Orazione in morte della trinità Religione, Filosofia e Scienza

"Una esatta rappresentazione dell'universo, del suo sviluppo e di quello dell'umanità, così come del riflesso di tale sviluppo nella testa degli uomini, può essere costruita soltanto per via dialettica con continuo riguardo alla vicenda generale del divenire e del trapassare, alle trasformazioni che procedono innanzi o indietro".

Amadeo Bordiga, Appunti sulla teoria della conoscenza, 1926-27.

Un lavoro in sequenza continua

È sotto gli occhi di tutti la grande mistificazione che accompagna l'invecchiare del capitalismo. Tutto è rovesciato: la società più trivial-materialista della storia s'ammanta di idealismo, una violenza spietata vien fatta passare per umanesimo, la guerra è missione di pace, la pace è una guerra pluridecennale con centinaia di milioni di morti, il benessere è fame e sofferenza per miliardi di persone, la religione è politica e mercimonio, la superstizione è gabellata per scienza, il progresso si accompagna a un rigurgito di metafisica e feticismo, la medicina fallirebbe se guarisse i malati sui quali profitta, la famiglia è sempre più sacralizzata mentre genitori massacrano i figli e viceversa, la libertà democratica è divinizzata mentre oligarchie ultra ristrette schiavizzano il pianeta, l'individuo egoista è innalzato ad assoluto mentre folle immense vengono schiaffate nel girone dell'anonimo, massificato e coatto consumo di merci. Si potrebbe continuare, ma non c'interessa tanto tenere un elenco minuzioso delle magagne del "sistema", quanto accennare alla mistificazione strutturale che sta alla base di discipline che vengono ancora nominate separatamente, come la filosofia e la scienza.

Introdurre il lettore al significato degli scritti di Bordiga che pubblichiamo in questo numero significa soprattutto rendere chiaro che non vi sono campi salvifici che possano essere estratti dal complesso. Perciò non vi è filosofia che possa giustificare o anche soltanto spiegare la sopravvivenza del capitalismo; non vi è scienza che possa dare speranze in un miglioramento della vita, della produzione e dei rapporti sociali entro il capitalismo. La filosofia dovrebbe voler dire "amore per il sapere", ma l'umanità ha mai saputo così poco della propria vita. Il circolo vizioso va spezzato, il paradosso eliminato, la logica ripristinata. La ricerca di Bordiga verte su che cosa potrà determinare una tale rottura e come si svolgerà il processo.

L'economia e la scienza amano il quantitativo, il misurabile, quindi spingono a ragionare in cifre. Il sistema santifica ogni giorno l'economia e la scienza che rendono disponibili tali cifre, e su di esse costruisce il proprio trionfo. Ma proprio le cifre, i dati quantitativi, denunciano le qualità del sistema, la miseria crescente nonostante l'aumento della ricchezza. Le cifre, non le filosofie, condannano a morte il capitalismo.

Oggi siamo non più alla millantata lotta delle libere democrazie contro le dittature (balla che già non stava in piedi, dato che l'America del dopoguerra sosteneva tutti i fascismi esistenti tranne quello staliniano), ma alla lotta del Bene contro il Male. Chi abbia un po' di sale in zucca sa che questo ha molto a che fare con la teologia, la mistica, la metafisica, l'idealismo, con tutto quel che si vuole tranne che con la scienza e il progresso. Eppure non da oggi si parla di morte della filosofia e della metafisica ad opera della scienza. Anche "Dio è morto", ed è luogo comune dire che il comunismo gli è andato appresso. Religione, Filosofia e Comunismo, quest'ultimo nell'accezione staliniana con il sol dell'avvenire come surrogato di Religione e Salvezza, non sono più disponibili per l'irrazionale di cui l'uomo ha sempre più bisogno. È arrivata la Scienza con la maiuscola.

Ora, Bordiga non è il solo ad affermare che il trionfo dello Spirito e della superstizione nell'epoca della scienza e della tecnica è un fatto. Del resto basta guardarsi attorno. La scienza, si dice, avrebbe tentato di far da succedaneo alle mistiche della salvezza (cioè della speranza), ma ogni mito salvifico è religione, quindi irriducibile alla razionalità. Perciò o si misticizza la scienza o la si abbandona per l'irrazionale tout court. L'uomo moderno, posto di fronte alla contraddizione tra la potenza dispiegata del sistema in cui vive e la miseria dei risultati in termini di godimento della vita, avrebbe cercato infine nella metafisica, qualunque essa fosse, la Salvezza. Non può credere a quella razionale, platealmente promessa, e perciò contribuisce al recupero dell'irrazionale e alla sua sopravvivenza. Quando l'Immanente fa schifo, il Trascendente trionfa, dato che l'unione dialettica diventa indigesta, ma questo è normale.

Bordiga fa un discorso più profondo e complesso. L'uomo capitalistico non recupera affatto l'irrazionale antico, ché quello aveva una sua dignità "scientifica"; ciò che la società attuale partorisce di continuo è al massimo una sua caricatura. Argomento centrale della critica alla teoria della conoscenza d'oggi non è e non può essere la paccottiglia dell'irrazionale mercificato, non è neppure solo la scienza industrializzata, sottomessa alle leggi del valore e dello scambio. È l'intera concezione dell'uomo e della natura che viene messa violentemente in discussione, quella che sta nei libri, nelle accademie, nella testa di coloro che fanno la storia della scienza attuale.

La scienza-conoscenza non è un contenitore asettico posto all'esterno dell'umanità, al quale ogni cervello singolo possa attingere come elemento cosciente e in quanto tale depositarvi ulteriori elaborati; non è neppure una relazione biunivoca fra l'individuo e la biblioteca del sapere (forma pseudo-illuministica dello Spirito), ma un insieme di saperi, di capacità, di possibilità di apprendimento ed elaborazione che migliaia di generazioni ci hanno tramandato, e che tramanderemo in una dinamica continua, non spezzettata e distribuita in grani di coscienza individuale. La conoscenza non si materializza tanto in supporti concreti e cervelli (biblioteche, fabbriche, scienziati, filosofi, ecc.) quanto, soprattutto, nell'elaborazione continua nel processo di produzione e riproduzione della specie. Solo quando l'accumulo continuo di conoscenza giunge a trovare nel sistema sociale una barriera all'ulteriore sviluppo, si verifica un blocco che è necessario spezzare, e allora l'intero sistema, conoscenza compresa, viene rivoluzionato.

Oggi questa dinamica è visibilissima. Una conoscenza enormemente potenziata dai risultati dello stesso capitalismo, è come chiusa in sé stessa. Il sistema, invece di utilizzare al meglio tali risultati, dissipa, frena, si comporta come un ostacolo che impedisce l'avanzare sia della forza produttiva che del sapere in generale. L'insieme delle possibilità umane, dell'accumulo quantitativo e soprattutto qualitativo di conoscenza (oggi impossibile da decifrare nella sua pienezza), delle interazioni fra miliardi di uomini nel corso della loro vita fisica, delle energie lavorative, delle battaglie fra gruppi, partiti e classi, dei legami che si formano indipendentemente dalla coscienza soggettiva; tutto questo oggi è per lo più sprecato, perché non vi è un ordine consapevole, un indirizzo, una polarizzazione che tenda ad un risultato univoco se non quello della brutale conservazione del sistema. La società capitalistica è come un gas surriscaldato in cui domina il caotico muoversi delle molecole e, fatalmente, in conformità al secondo principio della termodinamica, ha il sopravvento la perdita di energia utilmente adoperabile, cioè la perdita di vitalità che i fisici chiamano entropia.

È in tale contesto che s'inserisce la critica di Bordiga alla conoscenza borghese: se non fossimo in presenza della dinamica sopra ricordata, egli non avrebbe sentito l'esigenza di riscrivere l'Antidühring e la Dialettica della natura di Engels (implicitamente anche Materialismo ed empiriocriticismo di Lenin) sulla base di ulteriori risultati scientifici. D'altra parte egli non poteva sostituirsi a un cervello sociale, il partito mondiale, che all'epoca era già degenerato. Il periodo rivoluzionario, che si chiudeva proprio con il 1926-27, aveva posto all'ordine del giorno la transizione, ma non l'aveva potuta realizzare. Il tentativo sul campo di battaglia rimase un tentativo anche sul campo teoretico: come non fu possibile unificare in una sintesi la teoria della relatività e la meccanica quantistica, le quali restarono irrimediabilmente dualistiche, allo stesso modo mancò una sintesi rivoluzionaria nel campo sociale. Quando la rivoluzione in Russia degenerò, presero il sopravvento il capitalismo e la sua ideologia, e questa fu assunta in pieno dallo stalinismo, con tanto di culto del condottiero e dello Stato.

Di conseguenza non fu possibile un ulteriore sviluppo nel campo della teoria della conoscenza. È vero che la svolta fondamentale rispetto alla metafisica e a tutte le filosofie era già avvenuta con Marx, ma l'immane tragedia della controrivoluzione richiedeva altrettanto fondamentali precisazioni nel rispetto della continuità e dell'invarianza. Ecco perché nel dopoguerra si sarebbe dovuto elaborare, com'era nel proposito di Bordiga e del movimento cui apparteneva, un vero e proprio corpo di tesi sulla conoscenza come base di adesione al movimento rivoluzionario, al di là dei confini del gruppo di lavoro che, nel 1960, dichiarava di sentire tale necessità.

La rivoluzione comunista (che, secondo Marx ed Engels, cova sotto la cenere anche in periodo controrivoluzionario) toglie il monopolio del sapere alla classe dominante e forgia i suoi militi affinché siano in grado di vedere lontano. Non ha nessuna importanza se, nei periodi sfavorevoli come l'attuale, tali militi sono sparsi nel tessuto della società, non riescono a combattere a ranghi serrati, secondo una strategia e una tattica date, e non si riconoscono neppure come tali: essi per ora rappresentano un potenziale anticipato rispetto alla inevitabile esplosione, siano proletari organizzati per fini immediati, piccolo-borghesi rovinati, o borghesi non più in linea con l'ideologia, la scienza e la prassi del proprio sistema.

Non siamo di fronte ad invenzioni estemporanee nate durante la noia del campo di prigionia a Ustica nelle discussioni fra Bordiga e Gramsci (gli Appunti epistemologici); né davanti a un materiale ad uso e consumo di un gruppo di sopravvissuti alla grande controrivoluzione fascista, pseudosovietica e americana, tanto pazzi da credere che nell'universale sfacelo fosse possibile evitare attacchi frontali alla dottrina fondamentale della rivoluzione (le tre riunioni sulla teoria della conoscenza). Ma si tratta invece di un lavoro in sequenza continua con lo sviluppo generale della teoria rivoluzionaria anti-capitalistica, come si può agevolmente mostrare partendo da molto lontano, per esempio dal giovane Marx. È un'orazione in morte di una società che non ha più ragione di esistere, un colpo di bulldozer contro i suoi pilastri portanti: religione, filosofia e scienza.

Il bisogno di conoscenza nel giovane Marx

Il primo volume delle Opere Complete di Marx ed Engels si apre con un componimento scolastico di Marx sulla scelta della professione scritto nel 1835. Il diciassettenne futuro rivoluzionario si sofferma non tanto sulla scelta in sé quanto sulla sua coerenza e sulla necessità di fondarla stabilmente in vista di un nobile "operare per l'umanità": perché solo così "la nostra felicità appartiene a milioni" e "le nostre imprese vivono silenziose ma eternamente operanti".

Marx, come tutti sanno, si scagliò contro il "marxismo" mentre era ancora in vita, ma ciò non impedì che i suoi scritti venissero inglobati in una specie di nuova filosofia, la quale, nella regressione controrivoluzionaria staliniana, divenne una vera e propria religione con la sua trinità, le sue reliquie, le sue icone e la sua liturgia. Marx ragazzo venne fatto passare per un consapevole anticipatore della Salvezza, così come fu fatto con Lenin e poi con Stalin scovando cento prove della loro precocità rivoluzionaria. È significativo come lo svolazzo romantico di un giovane sensibile, abbia colpito la fantasia dei "marxisti popolari", più di altre sue osservazioni, ben più interessanti, per esempio, dal punto di vista di ciò che sarebbe stato il lavoro di Marx nella demolizione della filosofia. Se proprio volessimo annotare un "qualcosa di precoce" in quel testo, non ci baseremmo su un roboante luogo comune: ci sono accenni più pregnanti. Marx afferma infatti che può essere felice solo chi non inganna sé stesso; chi non assume posizioni basate su verità astratte e staccate dalla realtà; chi non ubbidisce all'attimo fuggente ma ad idee ben radicate. Sarà per contro "annientato" chi, avendo abbracciato idee dimostratesi false alla luce dell'esperienza, non vedrà salvezza che nell'illusione e nell'autoinganno. Tutto ciò è certo detto en passant, senza consapevolezza completa, ma, come vedremo, sarà il motivo dominante del primo capitolo dell'Ideologia tedesca: "Ogni profondo problema filosofico si risolve con la massima semplicità in un fatto empirico". La filosofia, come la religione, non è altro che il rifugio, la via di fuga nell'illusorio, un surrogato ideale della realtà su cui si può opinare.

Da chi prese questi spunti, Marx? Non si crea nulla, nemmeno il pensiero, perciò la concatenazione dev'essere riconoscibile. Da almeno un secolo, infatti, la filosofia si dibatteva fra il razionalismo scientifico determinista, avanzante con la rivoluzione industriale, e la libertà dello spirito, che non ammetteva interferenze così prosaiche. Nel programma scolastico del giovane studente c'era Kant, attraverso il quale la filosofia aveva già tentato la critica a quei filosofi che si basavano sul metodo materialistico in scienza, indugiando però, senza giungere a una sintesi, nelle credenze metafisiche (per esempio Descartes). Nell'Ideologia tedesca Kant è citato poco e pure trattato male, come esponente dell'immatura e impotente borghesia tedesca, capace soltanto di "determinazioni ideologiche puramente concettuali e di postulati morali". Forse il giovane Marx aveva notato l'acutezza dell'analisi critica kantiana ma l'impossibilità della sintesi. Permanendo la separazione fra il mondo reale e l'idea, la filosofia non faceva che emettere frasi. Marx racconta che i giovani hegeliani da lui frequentati si erano accorti di non criticare altro che delle frasi; alle quali però, date le loro concezioni e il loro metodo, non potevano "opporre altro che frasi, non combattendo il mondo realmente esistente ma le frasi del mondo". I "nuovi" filosofi di allora, compreso Feuerbach, avevano certo criticato sia la religione che la filosofia, ma solo per sostituirle con una nuova religione. Di nuovo si dimostrava impossibile la sintesi fra fisica e metafisica. Non aveva forse ammesso Hegel che tutta la sua filosofia della storia era basata solo sul procedere del concetto di storia, esponendo la vera teodicea?

Le Opere Complete presentano come secondo testo una lettera di Marx al padre, del 1837, nella quale è delineato, quasi per intero se pur in modo molto discorsivo, il programma "filosofico" che porterà alle successive elaborazioni. Il nocciolo è ancora il rapporto fra le verità astratte distinte dalla realtà e la ricerca della salvezza attraverso l'illusione e l'autoinganno, atteggiamenti qui rappresentati dal ricorso ai filosofi dell'idealismo tedesco (Kant, Fichte, Schelling, Hegel). Attraverso un tentativo di distillazione delle parti sulla filosofia della natura ("Giunsi a cercare l'idea nella realtà stessa", a "trovare la natura spirituale altrettanto determinata, concreta, saldamente conchiusa di quella fisica"), il giovane Marx si accorge che, senza un rivolgimento radicale, tale lavoro lo "porta come una sirena ingannatrice tra le braccia del nemico". Si ammala, aggirandosi "come un pazzo nel giardino", riprende Hegel e lo legge "dal principio alla fine insieme alla maggior parte dei suoi discepoli", guarisce, brucia tutti gli appunti e le composizioni poetiche, frequenta il Doktorclub dei giovani hegeliani berlinesi e scrive un diario sulla concezione scientifica del mondo nella sua epoca, che il padre, nella risposta, giudicherà "una folle abborracciatura che indica come tu sperperi le tue doti soltanto per partorire mostri".

La scienza come supporto di esigenze salvifiche

Il "mostro" sarà comunque partorito e avrà questo programma: ogni passo del movimento reale dell'umanità rappresenta il divenire comunista attraverso la soppressione dello stato di cose presente. Ogni aspirazione filosofica dell'uomo è eliminata attraverso la sua realizzazione. Così come l'antica filosofia del mondo classico viene soppressa-assorbita dalla religione, la religione viene soppressa-assorbita dalla filosofia moderna, la quale viene soppressa-assorbita dalla scienza.

Ma l'antica filosofia classica greca aveva soppiantato a sua volta un'altra forma di sapienza: quella unitaria del mondo, non ancora influenzata dalla divisione del lavoro. Abbiamo visto che "filosofia" significa "amore per il sapere", ma sembra che prima di Platone nemmeno esistesse il termine. Non c'era ancora una categoria di uomini che si specializzasse nell'amore per il sapere, esisteva il sapere e basta. Esso era distribuito nella forma del mito-religione e ad esso attingeva tutta la popolazione, attraverso "luoghi di culto" come i santuari degli oracoli. L'enigma nel quale si celava il responso a piccoli e grandi quesiti era una chiave per mettere in moto una conoscenza poco strutturata, di tipo diffuso, nel senso che non era fatta di nozioni separate ma di intuito, sensazioni e pulsioni naturali, senso della vita. L'oracolo era una specie di meccanismo catalitico che rendeva possibile una reazione emotiva dalla quale l'individuo traeva indicazioni di comportamento (non differenti altri tipi di divinazione, come per esempio quella sciamanica o quella messa in atto con l'I-Ching, il Libro dei mutamenti). Questa era scienza umana, primordiale ma umana.

La Bibbia, che Bordiga legge in riunione a militanti divertiti e anche un po' perplessi (qualcuno se ne andrà sbattendo violentemente la porta di fronte al dileggio della sacra scienza), è testo sapienziale oltre che mito e storia. Il libro sacro è più affidabile dell'articolo di uno scienziato perché mostra brutalmente storia, guerra, sangue, sesso, lotta, violenza, tradimento e redenzione, mostra cioè di essere ciò che è: vita condensata, non una elaborata mistificazione ideologica. Il mito arcaico, o persino la logica dei teologi medievali può dunque insegnarci di più che non la prosopopea scientifica della nostra epoca. Nell'ultima società di classe, l'attuale, la scienza non è affatto neutra e oggettiva come pretende di essere. Essa è anzi impregnata di ideologia, cioè di contenuti e metodi adeguati agli interessi della classe dominante. È suddivisa in branche già a cominciare da quelle riguardanti la natura, figuriamoci nel campo dell'uomo e della società, dove esse riproducono la divisione sociale del lavoro. È piena di contraddizioni che pensa di risolvere semplicemente accantonandole, nascondendole sotto la cortina del successo tecnologico che alimenta la produzione; invia sonde su Marte; spacca gli atomi con macchine grandi come città; ma produce una filosofia della scienza che invece di porre attenzione al "sapere la fisica" emette elucubrazioni "sulla fisica".

Come si vede siamo alla meta-fisica, e non è solo un gioco di parole. Che ci fosse qualcosa oltre la fisica lo pensavano ad esempio Einstein e Jung, ma si chiedevano cosa fosse davvero la fisica l'uno citando la telepatia, l'altro studiando l'astrologia. La scienza, si dice, è potenza liberatrice, portatrice di progresso, soluzione ai problemi del capitalismo, anzi dell'umanità tutta. La Scienza (con la maiuscola) è dunque scivolamento nell'ipotesi salvifica, ma si salvano i capitalisti e il loro entourage opportunista mentre miliardi di persone vivono nella sofferenza. La prossima fase di transizione da un modo di produzione all'altro sarà dunque soppressione di questa scienza-surrogato di esigenze salvifiche, cui l'uomo ricorre non solo per risolvere problemi esistenziali ma anche come rifugio in cui riporre le proprie illusioni, perpetuando l'autoinganno secondo cui sarebbe possibile – basterebbe un po' d'impegno – mettere in moto la buona volontà dei governi. L'uomo borghese è fermo a Berkeley: non sarà più attraverso la filosofia, ma è certo attraverso la scienza che può ancora credersi al centro dell'Universo e dire che quest'ultimo non esiste se egli non lo pensa.

Noi ovviamente non sappiamo come si chiamerà la conoscenza dell'umanità liberata dal capitalismo. Sappiamo però che essa non sarà né un surrogato di religione-filosofia, né un sapere frammentato e disposto nelle due grandi sfere antiche, quella celeste e incorruttibile, cui si è sostituita la "mente scientifica", e quella terrena, transitoria, confusa, in continua metamorfosi, nella quale oggi gli uomini si barcamenano facendo convivere l'indeterminismo filosofico con il suo contrario, l'empirica "ricerca sperimentale". Due atteggiamenti antitetici entro lo stesso mondo scientifico che persino alcuni esponenti della borghesia rifiutano recisamente, a ragione, di inserire nel vocabolario scientifico, in quanto insensati.

La scienza è tale, dice Marx nei Manoscritti riferendosi al primo Feuerbach, solo quando procede dal mondo sensibile e non dalle idee. Quando perciò procede dalla duplice forma del sensibile, dalla necessità (determinismo) e dalla coscienza di esso, cioè dalla consapevolezza che le idee degli uomini nascono dai processi naturali, entro i quali è compresa la storia dell'uomo, cioè il suo divenire umano. Attraverso cosa? Il lavoro e l'industria. Quindi la scienza della natura assorbirà entro di sé la storia dell'uomo, così come la scienza dell'uomo assorbirà la conoscenza del divenire umano, cioè la scienza della natura e dell'industria. Nella società futura non vi sarà quindi che una sola scienza.

Tanta scienza e tecnica, poca conoscenza

Oggi l'umanità, padrona di tecniche mirabili per la produzione di merci e di teorie complesse sull'Universo e sulla materia, ha qualche problema con la conoscenza in quanto tale. O perlomeno con ciò che oggi si intende per scienza, dato che siamo al punto in cui le vecchie categorie non servono più e non ve ne sono ancora di nuove. Molti scienziati sanno bene che l'approccio alla conoscenza non può più essere semplicemente "interdisciplinare", termine che denuncia ancora la divisione sociale del lavoro, una specie di federazione fra scienze separate, ma dovrà essere prima o poi unitario. Richard Feynman, Nobel per la fisica, riconobbe che siamo in uno stato di profondo disagio da transizione. Sia Einstein che i quantisti hanno passato decenni alla ricerca dell'unificazione delle conoscenze, almeno in fisica. Non sono riusciti. La scienza "funziona", ma la conoscenza è approssimativa.

Feynman vede questa indeterminazione riflessa nei libri per le scuole, dalle quali dovranno uscire i futuri scienziati. Bordiga, che oltre ad avere poca ammirazione per la scienza d'oggi odiava il mondo accademico dei mangiatori di stipendio a sbafo, si sarebbe sollazzato nel leggere queste righe: "Quei disgustosi manuali dicevano cose inutili, abborracciate, ambigue, confuse e sbagliate. Non riesco a capire come si possa imparare la scienza da testi che scientifici non sono affatto". Su uno di questi si leggeva la domanda: da che cosa sono mossi automobili, giocattoli a molla e biciclette con ciclista? La risposta era: sono mossi dall'energia. Feynman osserva: "Non aveva senso. Se la risposta fosse stata: 'quelchetipare' avremmo avuto lo stesso principio generale: funziona a quelchetipare. Il ragazzo così non impara niente, sente soltanto una parola".

Noi sappiamo far calcoli sui fenomeni, ma di questi ultimi conosciamo poco. Mentre gli antichi cercavano di rispondere al "perché", noi ci siamo adeguati al modo della conoscenza attuale e ci limitiamo a cercare "come" succedono le cose. Per capire lo stato della scienza è utile ricorrere al paradosso del vocabolario: si sa che la capacità esplicativa di questo strumento è assai limitata, dato che cerca di spiegare dei termini con altri termini equivalenti. Ma nel caso del lessico scientifico ci si trova di fronte a un vero disastro. Prendiamo lo Zingarelli e facciamo una prova. "Energia: attitudine di un corpo o un sistema di corpi a compiere un lavoro". Siamo ad Aristotele: l'energia come attitudine di un corpo; ma se la definizione è così generalizzabile, perché gli scienziati adoperano 36 modi per definirla e quindi per misurarla come osserva Feynman? Passiamo oltre: "Materia: ciò che costituisce la sostanza di un corpo". Come si vede siamo di nuovo ad Aristotele, o al Medioevo, dato che sostanza ha il suo complemento in accidente, ammesso che si sappia veramente cosa sono entrambi (a questo proposito il lettore troverà più avanti, citato da Bordiga, il Don Ferrante di manzoniana memoria). "Campo elettromagnetico: regione di spazio in cui esistono forze elettriche e magnetiche". Traduciamo alla Feynman e vedremo che si ricorrerà di nuovo al suo "quelchetipare". "Massa: rapporto fra la forza applicata a un corpo e l'accelerazione impressagli". Andremmo un po' meglio, se solo sapessimo che cos'è la forza. "Forza: causa che perturba lo stato di un corpo". Siamo di nuovo al "quelchetipare".

Essendoci una relazione fra massa ed energia, bisognerebbe sapere come mai l'energia associata al movimento si presenta come massa supplementare senza l'intervento apparente di una trasformazione della materia. Ma è vero questo? Non lo sappiamo, soprattutto perché una definizione di "materia" sfugge alle conoscenze scientifiche d'oggi. Nonostante tutto, qualche scienziato, turbato da una creazione gratuita, di materia, di particelle o di energia (tutti sinonimi?), va a cercare all'interno della materia chi "paga" le trasformazioni affinché il "bilancio" energetico (o la simmetria fisica), sia rispettato. Il linguaggio – in questo caso la definizione economica in termini di valore – ha di tali limiti, ma esso è un tutt'uno con la conoscenza.

È vero che nel caso della terminologia elencata più sopra stavamo cercando in un dizionario della lingua italiana e non in un trattato di fisica, ed è vero che non stiamo facendo ricerca accademica ma lottiamo con gli strumenti permessi dai rapporti di forza esistenti; tuttavia anche se cambiassimo strumenti e ambiente di ricerca, il risultato non sarebbe molto diverso. Oggi si sa a sufficienza sul mondo, sulla materia di cui siamo fatti, sulle relazioni fra le varie parti di essa, tanto da accorgerci della palese inadeguatezza del nostro bagaglio conoscitivo. Ci mancano invece gli elementi per dare una spiegazione a ciò che si "scopre" e non abbiamo neppure il linguaggio adatto per descriverlo. Mai come oggi, socraticamente, sappiamo – o dovremmo essere coscienti – di non sapere.

Ma il linguaggio non cade dal cielo. "Il linguaggio è la coscienza reale, pratica, che esiste anche per altri uomini e che dunque è la sola esistente anche per me stesso; il linguaggio, come la coscienza, nasce soltanto dal bisogno, dalla necessità di rapporti con altri uomini". Bordiga insiste su questo punto: la conoscenza vera, completa, compreso il linguaggio per esprimerla, non si avrà che dopo l'eliminazione della società capitalistica. Oggi, dal punto di vista della nuova scienza unificata del futuro, conosciamo di più intorno al divenire sociale che alle leggi di natura. Sappiamo della successione delle forme sociali, sappiamo della loro produzione e riproduzione e della loro scienza della natura, non della nostra. Ciò è normale, perché la sequenza degli eventi nella rivoluzione attuale verso il comunismo pone la rottura del sistema borghese prima dell'ulteriore conoscenza.

Una doppia dicotomia scientifica

Quando Bordiga dice (e non solo nei testi qui presentati) che occorre mandare in pensione Dio, lo Spirito e… Hegel, non fa che riprendere Marx ed Engels sulla "fine della filosofia". Come abbiamo visto, però, anche in campo avversario molti filosofi pare siano giunti alla medesima conclusione sulla fine della loro propria materia di studio. Pura apparenza: da una parte essi resuscitano la vecchia metafisica sotto nuove forme, dall'altra sostengono che la morte della filosofia è dovuta al trionfo della scienza e della tecnica, fenomeno alle cui implicazioni dedicano i loro studi. Alcuni ritengono che tale trionfo sia positivo nonostante gli evidenti difetti della scienza; altri lo interpretano in modo negativo, come rinuncia all'umanità dell'uomo. Bordiga nega l'uno e l'altro assunto, quello neometafisico e quello, contraddittorio, della scienza vista in positivo o in negativo: anche scienza e tecnologia, lodate o criticate che siano, non sono altro che una nuova forma di filosofia e per di più metafisica. Egli aggiunge persino che la scienza odierna è assimilabile a una superstizione magica.

Questa immane provocazione non è campata in aria: gli uomini non possono fare a meno di esprimere ciò che il mondo reale li determina a dire e fare. La loro tecnologia è superba e la loro scienza permette di costruire reattori atomici, ma alla fine si comportano come il classico apprendista stregone che non riesce a controllare le forze evocate. Per questo motivo, nella prima delle riunioni qui pubblicate (Firenze), Bordiga afferma: i comunisti non buttano via niente di ciò che ha prodotto l'umanità nel corso della sua storia; materiali a sostegno delle loro tesi, in positivo o negativo, possono essere ricavati da qualsiasi esperienza umana.

Che cos'hanno ammesso scienziati e filosofi a dispetto della difesa del proprio lavoro e del proprio stipendio? Che la scienza attuale, lungi dall'uccidere la filosofia, l'ha fatta rinascere, più metafisica e legata alle sfere celesti che mai. C'è stato naturalmente uno spostamento verso la scienza ufficiale, cosa che non vuol dire assolutamente un approccio più scientifico al mondo. È cambiato il nome, e da filosofia in generale è diventata, arricchendosi di attributi, "filosofia analitica", "filosofia della scienza", "filosofia del diritto" e così via; ma sempre filosofia resta, con l'aggravante del riferimento alla divisione sociale del lavoro. Come vedremo fra poco, ripercorrendone la storia, scienza e "filosofia della scienza" dovettero segnare il passo di fronte agli ostacoli innalzati, paradossalmente, dai loro stessi grandi risultati. Non hanno ancora ripreso il fiato, né lo riprenderanno più.

Nella prima metà del '900 esplose un fermento scientifico che superò i già trionfali risultati ottenuti nell'800. Di conseguenza la filosofia esplose anch'essa trascendendo da positivismo a neopositivismo (cioè fondendosi di più con la scienza ma in modo meno ottimistico). La teoria della relatività e la meccanica quantistica sembravano aprire le porte a una nuova epoca della conoscenza, e i risultati furono grandiosi e precisi. O no? Proprio mentre li si celebrava, entrò in crisi il principio di causalità, cioè la capacità di conoscere gli oggetti stessi delle ricerche, lo spazio-tempo, la materia-energia. La filosofia s'impose e portò alla vittoria le tesi secondo cui definitivamente e irreversibilmente il determinismo non avrebbe più avuto senso e le leggi valide per la realtà macroscopica non sarebbero più state valide per il mondo atomico. Così saltava ogni logica, fece notare Einstein, perché il mondo macroscopico ha come materia soggiacente quello microscopico, e non poteva darsi l'esistenza contemporanea di leggi in contraddizione. Addirittura si esagerò, dicendo che anche gli atomi potevano essere considerati niente più che un'utile convenzione. Ci furono schieramenti che ricordavano le guerre di religione. Ma in generale il mondo scientifico accettò in blocco la nuova filosofia; solo alcuni scienziati non ne furono convinti: Einstein, Planck, Schrödinger, Ehrenfest, De Broglie e pochi altri.

La situazione non è cambiata da allora: i pilastri della scienza moderna continuano ad essere la teoria della relatività e la meccanica quantistica. Esse ci danno informazioni sull'Universo e sul micromondo delle particelle, confermate sperimentalmente con un grado di precisione incredibile. Su queste teorie si basano le cosmologie, le nanotecniche, la biologia molecolare, lo studio sulla struttura della materia, ecc., come dire che esse reggono il mondo attuale della scienza. Hanno un solo difetto: così come sono formulate non possono essere valide entrambe. Tutta la scienza del mondo si regge su due teorie incompatibili tra di loro.

Questa è la prima dicotomia. La seconda è la filosofia soggiacente: se è indeterminato il mondo fisico, figuriamoci il mondo sociale, fatto di caotiche interrelazioni non quantificabili fra uomini. Non c'è politico di professione, non c'è gruppettaro che non sia disposto a giurare su questa dicotomia. L'indeterminismo si fa idea, l'uomo si fa particella-massa, il suo motore esistenziale è l'egoismo, che egli chiama libero arbitrio. Di nuovo il capitalismo spinge l'individuo verso l'illusione di poter scegliere, verso la fuga e l'auto-inganno: io agisco, quindi sono, quindi plasmo la realtà. Sappiamo che questo miserabile attivismo è alla base di ogni disfatta.

La filosofia e la rivoluzione industrial-scientifica

Per migliaia di anni gli uomini hanno creduto che vi fossero due mondi incompatibili: un mondo fisico, quello che vediamo, tocchiamo, viviamo, e un mondo metafisico, oltre, al di là di quello terreno. Il mondo sensibile è, per esperienza, quello dove i suoi elementi (uomini, cose, ambienti) nascono e muoiono, divengono, si trasformano, scompaiono. Quello sovrasensibile e trascendente è quello dove tutto è immutabile e dato per sempre, dove si trovano i modelli perfetti cui tendere nella nostra imperfezione. Tutto questo valeva per gli antichi Greci, per tutto il mondo cristiano, non solo medioevale, e per gran parte dei filosofi moderni, che complicano le spiegazioni, ma tutto sommato si basano ancora su queste opposizioni.

Bordiga afferma che non solo la filosofia, ma anche la scienza è sottomessa a questa determinazione. La differenza è che, mentre nel mondo antico e medioevale la compensazione della realtà veniva attraverso i mondi impalpabili della filosofia e della teologia, oggi avviene attraverso l'impalpabilità del valore (denaro) o dei Valori maiuscoli (Libertà, Democrazia, Dittatura, Bene, Male, Progresso, Benessere, ecc.). Da una parte la ricchezza, il Capitale, dall'altra ciò che si crede in antitesi o perlomeno neutrale rispetto ai guai che esso produce: la filosofia e la scienza. Ma la filosofia, una volta messa la Terra in un posto qualsiasi dell'Universo e non al centro, deve fare a meno del mito, della metafisica e della mistica. Si ha un bel predicare la centralità dell'Uomo e dell'Anima, in un universo infinito dove l'uomo è nulla! E anche in Terra le cose non vanno meglio: cosa ne sarebbe, dice Marx, di Giove davanti a un parafulmine, di Vulcano davanti a un'acciaieria e di Ermes davanti alla Banca d'Inghilterra? L'avvento della rivoluzione industriale e scientifica, come tutte le rivoluzioni, abbatte barriere; in Terra, prima di tutto, con manifatture e traffici, parlamenti e università, ma anche fra la Terra e il Cielo. Preti e filosofi non poterono far altro che prenderne atto, l'Universo era ormai unificato, gli atomi del nostro cervello non si distinguono da quelli della più lontana galassia, le leggi che governano il moto, le masse e gli scambi energia-materia sono le stesse. La filosofia fu costretta a diventare prima filosofia della scienza, poi scienza tout-court. Nel senso che la scienza ne prese il posto, ereditando la metafisica, inglobandola nei processi reali di conoscenza della materia.

Gli illuministi seri ci andarono a nozze, gli idealisti registrarono la crisi ed elucubrarono scappatoie. Ma sotto l'incalzare dell'industria dovettero cedere entrambi. Alcuni furono utili a chi venne dopo, altri sparirono dalla memoria. Oggi il filosofo "normale" non conta nulla e in ogni caso la sua domanda angosciosa è se il mestiere che fa può ancora essere considerato una qualche specie di conoscenza. Bordiga risponde: no, da Hegel in poi la conoscenza prende esclusivamente altre strade. Se può. La scienza le sbarra la strada, o perlomeno la rende un'assurda corsa a ostacoli.

Nello spazio-tempo relativistico dell'Universo e nelle pieghe infra atomiche della materia quantica non c'è posto per il sovrasensibile cacciato dalle sfere celesti. Non c'è posto nemmeno nella meccanica, fra le macchine che punteggiano il lavoro organizzato degli uomini. Da Galileo in poi la scienza si reputa sperimentale e la trascendenza è sfrattata per sempre dai laboratori. Essa allora si prende una vendetta tremenda, che da Hegel in poi ha conseguenze incalcolabili: partendo da quella parte di mondo in cui la scienza equivale completamente o quasi all'ideologia, cioè dalla pretesa scienza sociale, dall'economia, dalla filosofia superstite, dalla psicologia, medicina, sociologia, politica, da queste aree ritorna ovunque, nella scienza del cosmo (Big Bang creativo) e in quella delle particelle sub-atomiche (rifiuto del principio di causalità, del determinismo).

Già Kant, accorgendosi che la rivoluzione scientifica aveva partorito ibridi poco coerenti, aveva cercato di distinguersi non solo da Berkeley, che definiva idealista dogmatico, ma anche da Descartes, che definiva idealista empirico e scettico, per via del suo tentativo di ricondurre categorie metafisiche nell'ambito dell'ambiente fisico ("Penso dunque sono" significa provare l'esistenza della materia attraverso il pensiero; non diverso era trovare una collocazione a un ente sovrasensibile come l'anima nella ghiandola pineale). Ora, se Descartes rimane un grande scienziato e filosofo nonostante le giuste critiche di Kant, gli scienziati che si comportano allo stesso modo oggi sono semplicemente ridicoli (ricordiamo le definizioni di Feynman e del vocabolario, piccolo paradigma della scienza attuale).

Bordiga, con distacco storico, inserisce Kant fra coloro che gettarono le basi del sapere moderno per il fatto di aver spazzato via tutte le categorie trascendenti, riconducibili a un dato antecedente, fino a mantenerne solo due, immanenti: il tempo e lo spazio. Marx ed Engels, nel tempo più vicini a Kant, gli rimproveravano di aver trasferito nel mondo della "buona volontà" tutte le categorie che egli stesso aveva contribuito a spazzar via, in un mondo che è quello della fede e della speranza, non certo della teoretica scientifica. La critica di Marx, Engels e Bordiga colpisce chiunque, dopo Kant, faccia la stessa operazione. Oggi la scienza è a quel medesimo punto: ha spopolato i cieli ma ne ha trasferito le pertinenti categorie al mondo reale della vita quotidiana.

Così il mito e il sacro si mescolano alle pulsioni di tutti i giorni; la "gente" viene chiamata a decidere se chiudere le centrali nucleari, i suoi rappresentanti votano all'ONU per stabilire se dare importanza al "buco nell'ozono", stuoli di scienziati trafficano a pagamento nel delicato campo genetico e riproduttivo, mercenari robotizzati ammazzano il "nemico" mediante tecnologie superlative nel bel mentre di una predica sulle categorie del Bene e del Male, per una crociata benedetta da Dio. In reazione, milioni e milioni di persone, cresciute poppando alle mammelle della Scienza, si dedicano a pastrocchi "alternativi", alimentando un giro d'affari che viene subito dopo quello dell'industria automobilistica.

Gli slanci e le barriere

Bordiga pone certamente Kant ad un livello superiore rispetto a Hegel anche se cronologicamente viene prima. Dal punto di vista del lavoro in questione, che tiene in primissimo piano l'importanza del processo sociale e quindi della sua maturazione verso il comunismo, Kant è un demolitore di barriere, mentre Hegel è un loro restauratore contro la conoscenza. Leggiamo con interesse Kant come uomo del suo tempo, mentre leggiamo Hegel provando un profondo rigetto per la sua impostazione profondamente anti-scientifica. Dopo l'illuminismo (compreso Kant) nessun grande filosofo si mise più in relazione materialistica con la scienza. Soprattutto la linea idealistico-metafisica nominata da Marx, quella dei Fichte-Schelling-Hegel ebbe il sopravvento contro i risultati scientifici della rivoluzione industriale, e la piramide di Bordiga poggiò di nuovo pericolosamente sul proprio vertice pensierocentrico. Con Hegel addirittura la scienza era tutta poggiata sull'elaborazione da parte del pensiero, ed egli non concepiva la doppia direzione teoria-mondo empirico.

Marx ed Engels riconoscono a Hegel l'impianto dialettico di un sistema del mondo fatto di relazioni, ma non di più; noi siamo abituati a pensare in termini di invarianti e, se anche una sola parte di un sistema vacilla, finisce che va a rotoli tutto quanto. In un contesto scientifico in cui la filosofia è morta, il suo ritorno è assurdo. Eppure oggi le maggiori teorie sul cosmo e sulla materia sono elaborate "filosoficamente", senza una doppia direzione fra prodotti del pensiero e mondo empirico. Il velato rimprovero di Bordiga a Lenin per la sua "infatuazione" per Hegel nell'epoca della scienza moderna è significativo. È solo un piccolo esempio, ma si può estendere a tutto l'arco storico, perché per i comunisti ha valore rivoluzionario solo ogni movimento reale che abolisce lo stato di cose presente: Kant capì che la scienza uccide la metafisica perché era in corso una rivoluzione; Hegel non solo non capì la scienza, ma pretese di far rivivere la metafisica quando essa era già morta e sepolta da un pezzo.

Il giudizio di Bordiga è estremamente drastico, tanto che non era condiviso da tutti i militanti del partito cui apparteneva. D'altra parte sui possibili sviluppi del suo discorso potremmo solo fare congetture, non possedendo che frammenti anziché quel corpo completo di tesi la cui stesura era in programma. L'unico modo per uscirne è lavorare agli stessi presupposti, per portare avanti il lavoro. Notiamo en passant che abbiamo una piccola verifica sperimentale: Hegel oggi è rivalutato solo dagli stalinisti, dai trotskisti, dagli operaisti universitari e… dagli scienziati teorici dell'indeterminismo filosofico come Prigogine. La dialettica non c'entra nulla col fatto che, privilegiando il qualitativo sul quantitativo, si dica poi quello che si vuole, liberi di trattare leggi di invarianza e processi storici secondo la propria opinione. Come i filosofi, appunto.

Giovani militanti della rivoluzione raccoglieranno il testimone della staffetta fra generazioni e porteranno a termine gli appunti di Bordiga. Non c'era nessuna rivoluzione in corso, tantomeno in Germania, quando Hegel scriveva la sua filosofia, mentre il periodo precedente era esploso nel processo della rivoluzione borghese. Con Kant e con l'illuminismo francese andarono in frantumi davvero, sotto la pressione dell'industria, della scienza e del disfacimento feudale, i presupposti metafisici della passata filosofia. Hegel invece muore diffondendo ancora concetti sullo Spirito e sull'Assoluto un anno dopo che sulle barricate di Parigi aveva già sventolato per la prima volta la bandiera rossa.

La conoscenza del reale è possibile solo entro i confini del mondo reale, dice Kant. Ma se, dopo l'avvento della scienza, non può più sopravvivere la metafisica, allora la filosofia non è altro che il prendere atto del mondo sensibile, il registrare i dati dell'esperienza per farne oggetto di trascendenza. La vera filosofia è critica della presunzione metafisica di conoscere il sovrasensibile, è ragionamento sulla demarcazione necessaria fra scienza e inganno della mente, cioè fra sapere effettivo e sapere illusorio. Si capisce bene perché Bordiga, all'interno del suo discorso sulla critica alla filosofia e, nello stesso tempo, alla scienza moderna, assuma Kant come modello di svolta: dal punto di vista della teoria della conoscenza, Kant fu il primo filosofo a basare la conoscenza esclusivamente sul modello scientifico, anche se fu il primo a "trascendere", cioè ad innalzarsi col pensiero al di sopra di ciò che la scienza poteva offrire ai bisogni dell'uomo pensante. Egli chiamò "immanente" ciò che si mantiene entro i limiti dell'esperienza sensibile, e "trascendente" ogni principio che porta il pensiero ad innalzarsi oltre questi limiti, e in ciò vi era una giustificazione storica. Al nostro tempo Bordiga vede nella scienza moderna solo una nuova e degenerata trascendenza, una fuga al di là del reale; vede nella superstite filosofia il sottoprodotto di una scienza disumana, ovvero una risposta esistenziale ai bisogni che la scienza non ha saputo e potuto soddisfare. Non a caso si scaglia violentemente contro l'esistenzialismo filosofico e politico.

L'intrusione della metafisica nella scienza

La metafisica, già battuta al tempo di Kant e degli enciclopedisti, come abbiamo visto, dovette lasciare il passo alla scienza e all'industria. Dopo vi fu la reazione, che però non intaccò le solide basi delle certezze capitalistiche rampanti dovute alla rivoluzione industriale. La filosofia sopravvissuta d'oggi, che non riesce fare a meno di residui metafisci nei suoi svariati programmi-opinione, si scaglia contro la scienza, con riflessi ben visibili nel rifiuto esistenziale da parte di frange che comprendono i cultori dell'alternativo, i mistici alla ricerca di archetipi orientali, i primitivisti ecc.

Sembra salvarsi la cosiddetta filosofia della scienza, ma anch'essa ha i suoi problemi, dato che i vari Prigogine rappresentano una vasta scuola al suo interno. Si generalizza il fenomeno della morte della filosofia, mentre furoreggia la filosofia scientifica contro la scienza. Sembra un gioco di parole, ma in realtà nessuno è disposto a dare importanza a Unabomber e al suo odio contro la scienza, anche se milioni di persone condividono il suo rifiuto della tecnologia disumana, mentre dall'interno della scienza fiorisce la metafisica con i suoi pubblicisti, i suoi sperimentatori, i suoi accademici (Prigogine è stato insignito del premio Nobel). Non c'è una filosofia antiscientifica, una corrente metafisica, ce ne sono dozzine, e tutte in un modo o nell'altro negano le possibilità conoscitive della scienza in relazione ai problemi esistenziali dell'uomo. Qui avevamo Croce e Gentile, ma lo schieramento è vasto, va da Sartre alla scuola di Francoforte e si fa strada anche tramite insospettabili scientisti poco propensi agli svolazzi dei filosofi. Quasi nessuno resiste al richiamo – teologico più che filosofico – di mettere di nuovo la Terra al centro dell'Universo e l'Uomo al centro del Creato (col corollario dell'Individuo egoistico sul piedistallo del soggettivismo).

Gramsci, con il quale Bordiga aveva aperto una discussione epistemologica di portata enorme, aveva appunto una concezione pensierocentrica della filosofia, come se essa potesse rappresentare un fattore della realtà sociale invece che esserne il prodotto. Una concezione metafisica quindi. Egli non aveva assimilato il basilare sconvolgimento operato da Marx e riassunto telegraficamente nelle Tesi su Feuerbach: I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, si tratta ora di trasformarlo. Questo passaggio comportava necessariamente la critica distruttiva alla filosofia, non la sua trasformazione in motore di cambiamento. Per quanto possa sembrare pazzesco, Gramsci immaginava invece possibile una funzione attiva per la filosofia, anzi, per le filosofie individuali, al punto di giudicare la validità di ognuna di esse dal suo grado di forza sociale effettiva:

"Molti sistemi filosofici sono espressioni puramente (o quasi) individuali e la parte che di essi può chiamarsi storica è spesso minima e annegata in un complesso di astrazioni di origine puramente razionale e astratta. Si può dire che il valore storico di una filosofia può essere 'calcolato' dall'efficacia 'pratica' che essa ha conquistato (e 'pratica' dev'essere intesa in senso largo). Se è vero che ogni filosofia è l'espressione di una società, dovrebbe reagire sulla società, determinare certi effetti, positivi e negativi; la misura in cui appunto reagisce è la misura della sua portata storica, del suo non essere 'elucubrazione' individuale ma 'fatto storico'".

Già Marx non ammette ormai questa possibilità. Tantomeno Bordiga. La filosofia è morta almeno da quando è una realtà che non produce più effetti, vale a dire dall'illuminismo in poi, vale a dire da quando gli enciclopedisti e Kant registrarono la rivoluzione industrial-scientifica. L'incapacità di svincolarsi dal rigurgito idealistico colloca i falsi marxisti tra i veri continuatori di Hegel, e non a caso il loro movimento ha la sua apoteosi nello Stato capitalistico "assoluto" di tipo staliniano, fenomeno del tutto speculare del fascismo. Essi tornano a considerare l'uomo come il fulcro del divenire dell'Universo, non come semplice parte della natura attraverso cui essa stessa giunge ad una conoscenza più profonda di sé. Mentre Lenin, in Materialismo ed empiriocriticismo, sfiora ancora la dicotomia fra natura e uomo, Bordiga rifiuta nettamente questa separazione: anch'egli descrive la prima come capace di pensare sé stessa pur in assenza del secondo, ma solo per concludere che l'intero processo del divenire della natura va unificato, con il comprendervi tutta l'evoluzione biologica e quindi l'uomo.

Solo spostando il centro del pensiero dall'uomo alla natura nel suo complesso, come fa Bordiga, è possibile capire il Marx dei Manoscritti là dove egli sembra attribuire caratteri finalistici alla natura, come se essa fosse l'involucro predisposto per accogliere l'uomo e la sua industria. Senza questa operazione leggeremmo un Marx ancora prigioniero dell'hegelismo, come effettivamente fa qualcuno, non un suo potente distruttore. Ma Marx pone l'accento sull'uomo, sulla sua industria e sul suo sistema economico e sociale perché tratta specificamente della rivoluzione entro la società dell'uomo, non perché ritiene la natura un qualcos'altro, distaccato, da "usare". Per Marx l'umanismo, così come per Bordiga che lo esprime in termini diversi ma di eguale potenza, non è altro che il compiuto naturalismo, vale a dire che non esistono soggettività specifica, Idea o altro marchingegno metafisico, esiste solo oggettività diversificata all'interno della natura:

"Qui vediamo come il compiuto naturalismo o umanismo si distingua tanto dall'idealismo che dal materialismo [volgare] e ad un tempo sia la verità che li congiunge entrambi. Vediamo al tempo stesso che soltanto il naturalismo è capace di comprendere l'azione della storia universale".

Dunque l'uomo come parte della natura, e la storia umana come divenire naturale. Gramsci, Stalin e tutti i continuatori di Hegel, rimettendo l'Uomo, lo Stato e la Storia al vertice della natura, identificano la realtà con il solo movimento sociale; mentre l'Universo ovviamente va per conto suo, senza essere minimamente disturbato da una sua infima componente sviluppatasi sul pianeta Terra nel Sistema solare della Nebulosa che noi chiamiamo Via Lattea. E se pure un giorno si producesse cambiamento per opera dell'uomo in qualche punto lontano dell'Universo, la natura non avrebbe fatto altro che cambiare sé stessa. Se ben notiamo, la critica alle cosmologie pensierocentriche si adatta benissimo anche a una critica dell'ideologia gruppettara, la quale fa propria la concezione tipica dei popoli "primitivi" che chiamano "uomini" solo sé stessi e credono che il proprio villaggio sia l'ombelico del mondo. Il divorzio fra pensiero, linguaggio e realtà giunge, nel caso dei gruppetti, a vertici esilaranti.

La scienza dell'epoca borghese non è da meno: essa indaga il mondo fisico dall'alto del pensiero umano ormai sviluppato come se guardasse "fuori da sé", in direzione di un Universo alieno. Al tempo dei primi missili e satelliti artificiali, serissimi scienziati parteciparono senza battere ciglio alla saga della "conquista dello spazio", sapendo benissimo che l'Universo è un po' più vasto di quei miseri balzi effettuati qualche chilometro fuori casa (l'attuale Stazione Spaziale Internazionale dista dalla Terra quanto Firenze da Milano). L'orgia di parole, la semantica violentata, la promozione del prodotto scientifico in quanto merce, prendono il sopravvento su ogni altra considerazione della conoscenza. Persino il denaro e lo scambio, come mostra Bordiga nella terza riunione, entrano a far parte del lessico esplicativo di fenomeni che dovrebbero essere legati esclusivamente alla struttura della materia. Eppure è proprio lo scienziato che per primo reclama una precisione di linguaggio al fine di rendere condivisa la descrizione dei fenomeni senza interpretazioni soggettive; se non ce la fa a staccarsi dal modo di produzione attuale, che non ha nulla a che fare con l'oggettività della natura, è perché "le idee non esistono separate dal linguaggio".

Da quando è nata, la filosofia è passata attraverso mutevoli fasi di un'unica concezione del mondo, quella che per comodità possiamo definire platonica. Nelle diverse sfumature, essa è sempre partita dal presupposto che il mondo dell'uomo avesse qualcosa da conoscere "fuori" da sé, un qualcosa che riguarda la natura ed è stato chiamato "realtà". Come abbiamo visto, Kant rappresenta un punto di svolta dovuto al balzo della scienza sulla scena, ma le forme di trascendenza cui diedero luogo i suoi studi e soprattutto il rigurgito di metafisica romantica dovuto al trio Fichte-Schelling-Hegel non eliminarono il classico cercar la realtà "fuori" dall'uomo. Più tardi, né il positivismo ottocentesco, né il neopositivismo novecentesco, né l'epistemologia indeterministica riuscirono a superare questo ostacolo. Scalzata la filosofia con la scienza, ecco che questa, ancora, si mette a cercare la "realtà" da qualche parte "fuori" dall'uomo, dato che l'Universo è irraggiungibile e la materia microscopica sfugge all'osservazione proprio perché l'osservatore la indaga.

Ha dunque ragione Feyerabend quando giunge alla conclusione che la scienza attuale è un caotico accumulo di bugie giustificatorie a posteriori rispetto a un presunto metodo di ricerca scientifica. Tanto varrebbe lasciar correre a briglia sciolta ogni tipo di ricerca, dato che, allo stato dei fatti, "tutto va bene" per fare scienza ed hanno pari dignità la scienza ufficiale, la religione, la magia e le credenze New age.

Per una rivoluzionaria teoria della conoscenza

La potente trattazione di Bordiga sulla teoria della conoscenza parte dalla conosciutissima asserzione di Marx nei Manoscritti "Il comunismo è il risolto enigma della storia", e termina con il rovesciamento delle concezioni platoniche conservatesi sostanzialmente invarianti nelle varie epoche, fino al capitalismo compreso, sotto il nome di "filosofia".

Non si tratta perciò di contrapporre filosofia a filosofia, ma di avviare una critica positiva alla filosofia (per sostituirla con una nuova teoria della conoscenza). Non si tratta di porre domande nuove, ma di distruggere tutte le domande che l'uomo si è posto finora sulla base della sua concezione del mondo. Per quanto il compito possa sembrare immane, la soluzione non è cosa dell'altro mondo: nuove domande non farebbero altro che preparare il terreno ad altre domande, come ben sanno i bambini che non si accontentano delle definizioni circolari desunte dal nostro vocabolario interiore e ci inchiodano con i loro "perché?". Perciò la soluzione sta non nella critica ma nell'azione, cioè nel cambiamento reale che avviene sotto i nostri occhi e che è orientato verso la società futura (movimento che, con Marx, chiamiamo "comunismo"). Liberazione di energia fisica, lavoro, lotta, scontro fra uomini e nazioni, soprattutto fra classi, processo che i comunisti sanno cogliere e analizzare (per questo possono considerarsi anticipatori del futuro). Siamo alla Seconda tesi di Marx su Feuerbach:

"La questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva non è una questione teoretica, ma pratica. Nella prassi l'uomo deve provare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà del pensiero – isolato dalla prassi – è una questione meramente scolastica".

Quel che conta è dunque il sistema di relazioni entro la natura, compreso l'uomo che nel frattempo è diventato industria; è necessario non considerare queste relazioni come assoluti a priori da ordinare secondo la gerarchia metafisica che vede il pensiero preminente sulla materia. Il movimento reale che distrugge questa gerarchia è un tutt'uno con la fine della società di classe. Il rovesciamento della piramide della conoscenza operato da Bordiga è tutto qui: non sarà la scienza a darci la risposta sulla conoscenza del mondo ma la rivoluzione sociale.

Bordiga riprende Marx su questo argomento in modo un po' differente rispetto a Engels e Lenin. Egli afferma che la natura non è semplicemente l'entità originaria in sé, la quale si riflette nel pensiero dell'uomo – una volta che esso si è evoluto dalla materia fino ad acquisire capacità di elaborazione – producendo conoscenza. La potenza che troviamo nelle riunioni di Bordiga, nonostante il "semilavorato" che abbiamo a disposizione, consiste nella precisazione sul fatto che l'intera storia dell'universo è permeata di conoscenza, in altre parole di informazione (ed è significativa la confutazione degli argomenti addotti da un ipotetico "materialista dimezzato" nella riunione di Firenze). Partecipando allo stesso lavoro di Marx, di Engels e di Lenin, Bordiga ne ricalca le orme, ma fornisce un qualcosa in più rispetto a questa definizione che troviamo in Materialismo ed empiriocriticismo:

"Esisteva la natura prima dell'uomo? Le scienze naturali affermano con sicurezza che la terra esisteva in condizioni tali che né l'uomo né in generale qualsiasi altro essere vivente esisteva e poteva esistere su di essa. La materia organica è un fenomeno ulteriore, frutto di un lunghissimo sviluppo. Non vi era dunque materia dotata di sensibilità, non vi erano né 'complessi di sensazioni', né un Io 'indissolubilmente' legato, secondo la teoria di Avenarius, all'ambiente. La materia è primordiale, il pensiero, la coscienza, la sensazione sono il prodotto di uno sviluppo molto elevato. Questa è la teoria materialistica della conoscenza, sulla quale poggiano istintivamente le scienze naturali" (sottolineatura nostra).

Non è del tutto vero che la materia sia insensibile, e proprio Lenin cita nello stesso libro l'illuminista Diderot il quale dimostra, con il celebre esempio dell'uovo, che la materia lo è. Il pensiero è il prodotto di uno sviluppo della materia ad uno stadio molto elevato di auto-organizzazione, ma non può essere creazione dal nulla. Se non si specifica che l'informazione esiste già e che è solo da elaborare, può saltar su il "materialista dimezzato" e chiederci, alla maniera dei bambini con i loro "perché?":

"Se voi dite che per conoscere avete bisogno di un naturalismo che sia al tempo stesso umanesimo, che avete continuamente bisogno dello scontro tra l'uomo e la natura, come si è evoluto l'uomo? Come ha proceduto l'uomo quando non c'era pensiero nel cosmo e in nessuna parte?".

La domanda dell'interlocutore è di tipo logico. In effetti non c'era scontro fra uomo e natura che desse origine ad una conoscenza come l'intendiamo adesso. Ma ad una domanda del genere non possiamo rispondere collegandoci semplicemente alle sue premesse che partono già dall'uomo: essa deve essere riproposta in altri termini. Se non la riformuliamo siamo fermi al paradosso logico dell'uovo e della gallina ricordato da Bordiga. Se ne esce solo precisando che la "lotta" fra elementi naturali, cioè terremoti, uragani, eruzioni, maree, derive continentali ecc. è parte della formazione del mondo. Durante questa lotta la natura conosce sé stessa, scrive la propria storia negli strati geologici, nella formazione di composti del carbonio, i quali possono essere sia petrolio che protocellule anticipatrici del vivente, con il loro bagaglio memorizzato in sequenze molecolari che anticipano il DNA.

Non c'è assolutamente dicotomia fra il mondo della materia in quanto tale e le relazioni che vi sono in essa, le differenze molecolari, chimiche, termiche, di potenziale elettrico, e così via. La materia non potrebbe auto-organizzarsi se non vi fossero queste differenze in relazione fra di loro. Perciò tutto il sistema di relazioni non è altro che un "organo di senso" della natura, un qualcosa che non è per nulla "primordiale" da mettere arbitrariamente in contrapposizione a "evoluto" come fa Lenin, negandogli un po' frettolosamente sensibilità, nella battaglia polemica. Ecco che allora abbiamo la risposta: non alla domanda originaria, bensì a quella che ci siamo dovuti porre in relazione alla complessità del sistema-mondo, il quale, prima della comparsa della vita, non era certo abitato da "pensatori" umani ma aveva un suo pensiero sensibile, come l'uovo di Diderot. Ogni sottorelazione all'interno della complessità del sistema-mondo non è che un caso particolare che riproduce quello globale, quindi ogni differenza, ad ogni livello, produce sempre l'attivazione di un qualche organo di senso. La materia è dunque sensibile anche senza un uomo che la pensi, non è per nulla inerte. Ed è capace di darsi un'organizzazione a livelli sempre più alti. Questo processo di auto-organizzazione continua non è differente da quello che, espresso in altri termini, troviamo in Marx. Esso è stato interpretato come "finalismo" idealistico, ma non assomiglia per nulla al rovesciamento operato dagli epigoni, che hanno riportato l'uomo al centro del creato, il partito al vertice e il segretario Baffone sulla sedia di Dio.

Rivista n. 15-16