Primitivismo

Ho letto l'articolo sull'uomo-industria (n. 19 della rivista), che peraltro mi è piaciuto molto, e sono rimasto colpito dalla determinazione con cui criticate il cosiddetto primitivismo. Leggendo la rivista vedo che avete assunto un'impostazione molto ottimistica sui risultati attuali della scienza. Vi confesso che ho molto meno fiducia di voi nelle possibilità della scienza borghese. Essa non potrà mai rappresentare un fatto positivo nella transizione da una società all'altra ma dovrà essere demolita dalle fondamenta, come del resto sembra dire anche Bordiga nelle riunioni degli anni '60 da voi pubblicate sul numero doppio 15-16.

Come vedrete dai due documenti che allego, anche nella sinistra francese c'è una grande discussione su natura, scienza e tecnologia, specialmente a proposito di Internet e della scomparsa del valore, del lavoro gratuito, della smaterializzazione delle merci, etc. ma qui il modo di fare politica è ancora molto tradizionale e non sembra che il movimento primitivista sia importante come negli Stati Uniti e nemmeno che possa diventarlo. Tuttavia credo che sia importante come fenomeno di rifiuto, anche perché il primitivismo coerente come quello di un Zerzan (Futuro primitivo) è rifiuto del consumismo e dell'addomesticamento degli uomini per mezzo di macchine. Tutto questo non conduce direttamente a un conflitto con il modo di essere del Capitale?

Il fenomeno è importante come reazione al mondo capitalistico e al suo modo di asservire l'uomo alla macchina, ma ciò non significa che abbia senso dal punto di vista della rivoluzione anticapitalistica, anzi. Individualmente ognuno di noi può aver bisogno ogni tanto di fare il "primitivo", abbandonare le macchine e camminare in montagna, distendersi sulla riva di un fiume, piantare la tenda in un'amena valletta, ma di qui all'ideologia primitivista ne corre.

Nell'articolo che citi il tema del primitivismo è solo sfiorato, mentre merita di essere sviscerato a fondo. Infatti abbiamo tenuto due riunioni sull'uomo-industria descritto da Marx: una tratta della sua genesi dalla preistoria a oggi, ed è quella da cui abbiamo ricavato l'articolo di cui stiamo parlando; l'altra critica l'odierno primitivismo in modo diretto ed è in corso di sistemazione.

Testi come quello di Zerzan a nostro avviso sono pura affabulazione, cioè non hanno alcun valore epistemologico. Il libretto da te ricordato non ha contenuto empirico, nel senso che è al di fuori della realtà, è filosofia antecedente al suo faticoso unificarsi con la scienza. È una delle dimostrazioni che i primitivisti sono dei reazionari. Solo che si travestono. Mentre i cultori dell'età antica come un Julius Evola hanno una loro dignità mitica ed epica, coloro che, in critica alla società della tecnica capitalistica, sognano un "futuro primitivo" invece di lavorare per il superamento della preistoria umana, meritano attenzione solo in quanto epifenomeno della civiltà macchinista (un suo riflesso). Tra l'altro alcuni di essi sono dei retrogradi saccenti che nascondono la loro ignoranza del mondo reale dietro enciclopedici sproloqui. Non riescono nemmeno a pensare che proprio l'enorme sviluppo della forza produttiva sociale permetterà alla nostra specie di entrare nella vera storia, cioè di armonizzarsi al meglio con il ciclo termodinamico basato sull'energia che il nostro pianeta riceve dal Sole.

Come dicemmo nel lavoro prima ricordato, spostare l'attenzione dalla lotta contro il capitalismo a quella contro la tecnologia e attribuire a quest'ultima i guai dell'umanità è un'operazione controrivoluzionaria. Se non sapessimo che la piccola borghesia genera spontaneamente l'ideologia della conservazione sotto ogni forma, ci sarebbe da pensare che è in corso una sofisticata guerra psicologica, da parte degli organismi di difesa dello statu quo, per la deviazione di ogni movimento dai veri problemi legati alla transizione sociale. Al Capitale interessa la propria sopravvivenza e per ottenerla non c'è niente di meglio di questi minestroni interclassisti e carnevaleschi unificabili sotto l'innocua etichetta no-global.

I nostri pronipoti della società comunista non saranno affatto "primitivi", ma sapranno armonizzare la propria esistenza con il resto dell'universo in una equilibrata società organica a bassissima entropia (cioè a bassissima dissipazione energetica). In fondo la "rivoluzione neolitica", tanto disprezzata da Zerzan e soci (questa è una delle loro peggiori cretinate), fu proprio una rivoluzione anti-entropica, che portò gli uomini ad abbassare la dissipazione energetica della specie. La caccia con strumenti è stato un fenomeno collettivo ed è certamente servita a formare la società, ma era una pratica assai poco razionale in termini energetici. L'uomo è cacciatore almeno dal Pleistocene medio, cioè da mezzo milione di anni, e forse avremo conferma che i chopper di Olduvai servivano a spaccare ossi di animali catturati nelle prime forme di caccia già un milione e mezzo di anni fa. Il primitivista cade in una contraddizione tremenda quando disprezza la rivoluzione neolitica in cui vede l'addomesticamento dell'uomo oltre che dell'animale. Con la transizione da un ciclo alimentare a base proteica (caccia) a uno di livello superiore a base glucidica (agricoltura) la specie homo razionalizza il proprio divenire umano. L'agricoltura e l'allevamento furono un balzo nel risparmio energetico perché permisero di eliminare, con l'industria, una fase "naturale" dell'alimentazione: l'uomo cacciatore del paleolitico si cibava con animali che a loro volta si cibavano di vegetali, mentre nel neolitico l'uomo tornava a cibarsi direttamente con vegetali, non più raccolti in natura ma coltivati. Vi fu dunque una specie di "ritorno" al tipo di cibo che l'uomo si procurava prima della caccia, mediato però dalla tecnologia e dal lavoro. La dieta a base vegetale venne integrata con l'apporto di prodotti dell'animale vivo (miele, uova, latte, formaggio), mentre l'animale in quanto tale diventava cibo solo quando stava per morire, quando cioè non serviva più al ciclo agricolo (l'animale giovane era sacrificato agli dei e mangiato nei rituali). I primitivisti sono spesso vegetariani, ma se oggi mangiano devono dir grazie proprio alla rivoluzione neolitica.

Le società proto-urbane ancora comunistiche, come abbiamo incominciato a mostrare sulla rivista, non furono affatto dissipatrici e, contrariamente a quanto affermato dai primitivisti, si collocavano in un ambiente antropomorfizzato ma equilibrato, paesaggizzato da irrigazione e sistemazione del territorio. Quando dei primitivisti diciamo che sono "saccenti e ignoranti" non è per dedicarci all'insulto gratuito, ma per sottolineare l'ignoranza del fattore di classe mistificato da un'ondata di citazioni pseudo-dotte, come per "pararsi il culo" (specialità di Zerzan). L'esempio delle foreste di lecci rase al suolo dai fonditori di ferro etruschi vale quanto quello della desertificazione del Libano, in cui Egizi, Fenici, Greci e Romani saccheggiarono il territorio portando via i leggendari cedri per le loro flotte; quelle erano già società di classe, avide di merci e pluslavoro, dedite a guerre di conquista, anche se ovviamente non confrontabili, in quanto a dissipazione sociale, con il capitalismo (e non con la tecnologia, sciocchi!). Basta fare una gita turistica a Populonia per vedere che gli Etruschi della tarda età del ferro avevano seppellito senza riguardi, con una montagna di scorie di fusione, una necropoli monumentale dei loro antenati proto-urbani. Data la sacralità delle necropoli in genere, non potremmo essere in questo caso di fronte ad una società oligarchica e mercantile ormai pienamente classista, che cancella quasi consapevolmente, con una discarica, il ricordo di quella ancora gentilizia senza vere classi, alla quale non dà più importanza? Da eliminare sono le classi, non la tecnologia.

Rivista n. 21