Novant'anni dalla Rivoluzione d'Ottobre

Su giornali, radio e televisione il novantennale è passato abbastanza inosservato. Meno male. Comunque, quel poco che s'è potuto leggere non si discostava dai soliti vomitevoli luoghi comuni: abbasso il comunismo, viva la democrazia, Lenin uguale Stalin, i russi avevano le toppe al culo. Scientifico.

Per dieci anni gli sciocchi e ignoranti pennivendoli non ne parleranno più, cioè fino alla prossima data tonda. Probabilmente per il centenario avranno altro di cui occuparsi, dimenticando ciò su cui adesso parlano senza saper niente. Oppure saranno travolti da un'esplosione sociale. Fosse vero. Per adesso è una fortuna che abbiano smesso di rompere le scatole, almeno negli anni tra un decennale e l'altro.

Le rivoluzioni possono fallire. Ciò è normale, da mettere in conto alle avverse determinazioni. Ma quella che scoppiò in Russia fu una rivoluzione vera, non la pagliacciata controrivoluzionaria che hanno in testa i coglioni, anche "comunisti", e che va sotto il nome di stalinismo. Poteva essere l'innesco di una più gigantesca esplosione in tutta Europa, ma in Italia e Germania esplose contemporaneamente una contro-rivoluzione preventiva, in entrambi i casi per mezzo di ex appartenenti al movimento rivoluzionario, i Mussolini, i Noske, gli Scheidemann. La Russia fu piegata a una feroce industrializzazione capitalistica, ma prima fu piegato l'intero movimento proletario dall'interno, dai suoi capi, che tradirono quasi tutti entrando in collusione col nemico. La lezione maggiore che se ne può trarre è questa: la storia non perdona il minimo errore teorico. Lo dissero dei grandi rivoluzionari ora dimenticati o ridotti a marionette dai loro epigoni. E questo è il secondo insegnamento in ordine d'importanza: gli epigoni hanno ucciso i loro maestri più di quanto abbiano fatto le armi proprie o improprie del nemico.

Perciò la cosa migliore che possiamo augurarci è che nemici ed epigoni dimentichino la rivoluzione mentre essa avanza anonima. La sua storia è scritta in milioni di pagine, nella memoria della società e nel suo tessuto stesso. Perché nessuno potrà mai più fare a meno di confrontarsi con essa e, proprio mentre la si sbeffeggia con insulse storiografie, essa si prende la rivincita più grande: incomincia a far pensare gli uomini secondo paradigmi nuovi. Non tanto gli uomini che ne sono coscienti, ma − e sono infinitamente di più − soprattutto quelli che sono obbligati a capitolare ideologicamente a causa del loro rapporto con la realtà. Non è un caso che l'economia mondiale sia oggi misurata e in parte governata secondo la legge del valore di Marx, come non è un caso che sia esplosa la cosiddetta globalizzazione, cioè l'internazionalizzazione dei rapporti sociali, uno degli obiettivi della società futura, anticipato alla grande sotto gli occhi di tutti i critici che hanno il coraggio di chiamare comunismo una delle più grandi controrivoluzioni della storia.

Rivista n. 22