Malthusianesimo ricorrente e tenace

Ci risiamo: appena tira un vento di crisi saltano fuori i "colpevoli". Così il capitalismo si salva attribuendo i suoi guai a qualche capitalista. Quando salivano i prezzi delle materie prime, la colpa era degli speculatori. Poi, quando i prezzi sono scesi all'origine ma non al consumatore, la colpa è passata a grossisti e petrolieri. All'esplodere della crisi finanziaria i colpevoli su tutta la linea sono diventati i banchieri. Ma il meglio è finalmente arrivato: è colpa della sovrappopolazione.

La FAO comunica che il prezzo delle materie prime alimentari è aumentato perché vengono ormai prodotte con un ritmo di crescita inferiore a quello della popolazione. Le riserve mondiali di grano sono ridotte a 40 giorni di consumo. Un cattivo raccolto può condannare alla fame decine di milioni di persone oltre a quelle che già la soffrono. Idem per le altre materie prime anche se la "fertilità" delle miniere e dei giacimenti segue un criterio industriale e non biologico-stagionale, quindi è ancora possibile l'aumento della produzione per qualche anno.

Malthus torna alla ribalta. Com'è noto la critica di Marx a Malthus non era tanto rivolta alla "ragionevole" formuletta sulla contraddizione fra la crescita esponenziale della popolazione e la crescita aritmetica della produzione agraria, quanto all'errata "teoria della popolazione" che ne veniva dedotta. In poche parole, per Marx la sovrappopolazione è dovuta all'aumento della produttività industriale che abbassa il prezzo unitario delle merci e genera il potenziale per la crescita demografica, proprio mentre libera operai dalla produzione rendendoli superflui (sovrappopolazione relativa e assoluta). Il boom demografico dei paesi in via di sviluppo è dovuto alla disponibilità di merci a basso prezzo e quindi alla rottura di antichi equilibri, mentre nei paesi a vecchio capitalismo si accentua il fenomeno della sovrappopolazione anche in presenza di una stagnazione demografica (unica eccezione gli Stati Uniti a causa della loro possibilità di sfruttare la produzione altrui).

Cinesi, indiani e africani sarebbero dunque troppi. Ormai è un ritornello ipocrita insopportabile: "Pensate se questi tre miliardi si mettessero a consumare come gli europei e gli americani". Il mondo non basterebbe a produrre grano, ferro e petrolio per tutti. Come se "loro" dovessero fare a meno di ciò che per "noi" è il massimo della civiltà. Ovviamente c'è qualcosa di vero in questo malthusianesimo un po' razzista e tanto interessato: il mondo in effetti non basterebbe. Ma non c'entrano i cinesi, gli indiani o gli africani, c'entra il modo di produzione.

In una biosfera dagli equilibri delicatissimi semmai "è di troppo" chi consuma già da tempo una quantità indicibile di risorse naturali. Uno sviluppo del capitalismo a livello occidentale in quei paesi non avrà solo effetti economico-malthusiani, sarà semplicemente incompatibile con l'esistenza del capitalismo. Se due miliardi e mezzo di cinesi e di indiani leggeranno giornali e useranno carta igienica non basteranno gli alberi da cellulosa del mondo. E così per il resto dei consumi. Non sono certo gli approcci riformisti all'interno del sistema che possono offrire una soluzione al problema, e quelli ecologisti meno di tutti.

Questa crisi minaccia di affamare ulteriormente il mondo, ma sicuramente non per "colpa" di qualcuno né tantomeno dei miliardi di uomini inconsapevoli, di cui il capitalismo ha bisogno pur considerandoli un fastidioso sovrappiù.

Rivista n. 24