L'Internazionale Comunista e i suoi "limiti"

[Nei lavori di n+1 ci si riferisce spesso al superamento dei risultati dell'Ottobre e soprattutto dell'Internazionale Comunista]. È vero che l'Internazionale fu una realtà del tutto disomogenea fin dalla propria fondazione. Essa fu fortemente voluta da Lenin e dai bolscevichi per contrastare l'influenza internazionale della socialdemocrazia ma, mentre la socialdemocrazia era unitaria almeno nei programmi riformisti, le forze comuniste presenti allora sul campo permisero soltanto una specie di federazione fra partiti e gruppi differenti persino nei programmi. Studiando le cose con il senno di poi la disomogeneità risulta ancora più evidente se pensiamo ad esempio che questa condizione materiale fu certamente la causa delle spinte verso la teoria del fronte unico. Esplose cioè all'esterno ciò che era già prassi politica all'interno, cioè un compromesso politico tra forze diverse, in certi casi addirittura incompatibili. D'altra parte bisogna riconoscere che la rivoluzione in marcia spingeva davanti a queste forze disomogenee i comunisti d'Europa che, con tutte le loro contraddizioni, hanno permesso alla nostra corrente di definire il II Congresso dell'IC (1920) come il punto più alto raggiunto dal processo rivoluzionario. Dal III Congresso (1921), dopo soltanto un anno, i segni del rinculo erano già manifesti. Tuttavia credo che sia sbagliato criticare a posteriori, nel suo insieme, il processo di formazione, seppure fallito, del partito comunista mondiale. Fare un bilancio è necessario, ma non significa buttar via il proverbiale bambino con l'acqua sporca. C'è il rischio di schierarsi con gli avversari del comunismo, non solo di avanzare riserve sulle modalità di funzionamento dell'IC. A proposito delle immense difficoltà da superare, vorrei ricordare che i due soli partiti genuinamente comunisti erano quello russo e quello italiano. Il primo agiva in una nazione pre-borghese ma fondamentale negli schieramenti internazionali, il secondo in una nazione borghese matura, quasi millenaria, ma ininfluente. Perciò prima di emettere sentenze credo che occorra mettersi sull'attenti di fronte ai grandi risultati raggiunti a dispetto delle difficoltà. Pensiamo soltanto alle realizzazioni dei primi quattro o cinque anni di governo bolscevico in Russia, cioè in clima di spietata guerra civile in mezzo a mille attacchi o alle conclusioni, espresse in chiarissime tesi nel 1920, sull'intricatissima questione nazionale e coloniale.

 

Nessuno emette sentenze, naturalmente. L'argomento è più complesso di quanto possa sembrare e non può essere ridotto alla raccomandazione di non buttare via il bambino con l'acqua sporca. Né può essere ridotto a una "critica" alla politica dell'Internazionale. La critica si presenta nel corso degli eventi come scontro fra tendenze, classi, modi di produzione. Essa viene impersonata da uomini, gruppi o partiti che lottano fra di loro. Ma, passati gli eventi, il bilancio non si può trarre immedesimandosi negli uomini, gruppi o partiti di allora, come se gli eventi fossero ancora in corso, il distacco storico è troppo grande. Possiamo anche rendere l'onore postumo delle armi e metterci sull'attenti, ma non è che risolviamo con questo la difesa del filo rosso contro gli avversari.

Uno degli argomenti più in voga tra costoro è che siccome "la situazione non è più quella" occorre che cambino anche teoria e tattica. Oppure, argomento più subdolo, "Marx era espressione del capitalismo ottocentesco e della scienza positivista e perciò di fronte al capitalismo e alla scienza moderni le sue tesi devono essere sostituite con altre più adatte". Alcuni aggiungono qualche rispettosa formalità verso il defunto nonno della rivoluzione, ma i più ormai tranciano di netto. Per noi le cose stanno ovviamente in modo ben diverso. Che la situazione non sia più quella di allora è banale osservazione. Che per questo debbano cambiare teoria e tattica è da vedere: il capitalismo non ha cambiato natura e le classi esistono ancora. Nonno Marx sarà morto, ma il Capitale parla della società di oggi più che non di quella dell'800. Anche Darwin è morto, ma la teoria dell'evoluzione è ancora inattaccabile proprio grazie alle nuove scoperte in campo genetico e biomolecolare. In tale contesto noi non "critichiamo" affatto l'Internazionale, a questo ci aveva già pensato la nostra corrente in una gigantesca battaglia sul campo. Se fossimo stati presenti allora avremmo partecipato allo scontro, ma adesso non serve altro che presentare in buon ordine la documentazione abbondantissima che ci è stata tramandata. Ed essa spiega da sé perché ci troviamo nell'odierna palude sociale. È di fronte all'esperienza storica ereditata che riusciamo a ripercorrere all'indietro le tappe del disastro e descriverle. Non si tratta di avanzare una "critica" morale all'inadeguatezza o all'obsolescenza di Marx, di Lenin o dell'Internazionale, si tratta di assimilare e comprendere la critica dei fatti.

Il patrimonio passato ci aiuta a capire che il processo rivoluzionario è di tipo continuo ma punteggiato da singolarità locali, esplosioni non risolutive che però conducono verso un accumulo che non può essere di durata infinita. Nel processo continuo è facile capire che ad esempio rivendicare la scuola gratuita per tutti (Manifesto) aveva senso quando tale scuola non c'era, ma che dopo la sua realizzazione, si fa avanti un nuovo bisogno umano, di ordine superiore. Oggi semmai questo bisogno è l'eliminazione della scuola, bisogno già registrato persino da teorici borghesi. In tal senso la rivoluzione critica continuamente sé stessa. Nelle singolarità che discretizzano il processo possono presentarsi biforcazioni, e allora la continuità si spezza e il passaggio diventa brusco, catastrofico, rivoluzionario. La Terza Internazionale si trovò di fronte alla biforcazione. L'andamento catastrofico poteva essere positivo o negativo: se il contesto avesse permesso il segno positivo, le incertezze frontiste sarebbero state spazzate via, in caso contrario… sappiamo com'è andata. Ma in entrambi i casi si fronteggiavano sul campo le due forze in grado di rappresentare le posizioni antitetiche. I comunisti proiettati verso il futuro non mancavano, specie nel Partito Bolscevico e nella Sinistra Comunista "italiana", ed erano ben individuabili i rappresentanti dello statu quo legalista, democratico, riformista in rappresentanza del passato. Vinsero questi ultimi, e si presero una rivincita terribile. Ci furono errori da parte dei comunisti, ma non avrebbe senso mettersi a far la morale sentenziando "si doveva fare in quest'altro modo".

I bilanci delle esperienze passate servono a capire quelle presenti e soprattutto quelle future. La società capitalistica diventa sempre più complessa nel tempo, si globalizza, escogita rattoppi per limitare i danni della propria senescenza, ma rimane una società fondata sulla produzione di merci e di plusvalore. Di fronte alla complessità dell'immane sovrastruttura abbiamo una struttura semplificata. Il Capitale si è reso ormai totalmente autonomo rispetto non solo ai capitalisti che lo posseggono ma di fronte agli Stati, che ne risultano sottomessi. La "questione contadina", che impegnava il movimento operaio in appassionate diatribe, non esiste più. Lo stesso si può dire per la "questione nazionale e coloniale", risolta con la scomparsa delle ultime colonie (i nazionalismi e gli irredentismi attuali non sono da confondere con il corso delle rivoluzioni borghesi). L'altra famigerata "questione", quella sindacale, s'è risolta con l'integrazione totale dei sindacati nell'apparato statale dei vari paesi. L'assetto imperialistico di oggi è polarizzato su di un unico soggetto globale, quello statunitense, non è più quello di un tempo, quando Lenin citava una pluralità di "briganti imperialisti che si dividono il mondo" e quando esisteva un'aristocrazia operaia corrotta perché su di essa cadevano le briciole del banchetto. Addirittura non ha più senso la secolare diatriba sulla "trasformazione del valore in prezzi" quando la borghesia stessa calcola i propri bilanci nazionali annui sulla base del valore totale in quanto somma della media dei prezzi (PIL, ovvero plusvalore più salario). Persino la famigerata CIA, il servizio spionistico americano, mette a disposizione del pubblico un servizio di comparazione dei dati economico-sociali dei vari paesi basato su unità di potere d'acquisto, cioè sul valore e non sui prezzi. Tutto ciò non può che avere influenza sul linguaggio, per cui quello terzinternazionalista non è più utilizzabile, ormai compromesso dall'immane controrivoluzione staliniana oltre che dal tempo che passa.

La semplificazione dei rapporti significa che oggi per i comunisti è possibile dedicarsi alla lotta contro l'esistente senza dover aprire infiniti dibattiti con altre componenti sociali quando non addirittura all'interno del partito. E sarebbe interessante vedere con che faccia uno pseudo comunista potrebbe sostenere una "via nazionale al socialismo" nel mondo globalizzato d'oggi. Ciò non significa che i fenomeni non si ripeteranno, ma, per quanto non sia evidente a prima vista, la società è sempre più polarizzata; e i difensori del passato, di cui l'ultima rivoluzione dovette tener conto, verranno inesorabilmente travolti.

La storia dell'IC va studiata dunque non tanto per criticare un organismo defunto quanto per constatare che l'esperienza frontista, presente fin dalla fondazione del 1919, fu ovviamente figlia dei tempi, ma provocò danni irreparabili. Il concetto di errore è sfuggente: è come se analizzando il guasto di un motore dessimo la "colpa" al difetto di un ingranaggio. Il processo produttivo comporta il rischio di errori e, tolto il sabotaggio consapevole, l'unico rimedio è l'acquisirne conoscenza in modo da non ripeterli. Ciò ha a che fare con il partito come organo del proletariato, senza il quale ogni rivoluzione è impossibile (in realtà sono le rivoluzioni che si rendono possibili esprimendo un partito adeguato). Tutti i partiti e i gruppi che si coalizzarono nel 1919 funzionavano come quelli che consideravano avversari e che discendevano direttamente dalla II Internazionale socialdemocratica. Così come la III Internazionale fu figlia della II. Stessa la concezione "politica" della lotta di classe per le "conquiste", stessa la concezione del partito, stessa la sua struttura democratica con voto al congresso-parlamento. Quando la rivoluzione prepara il partito per la vittoria, esso del nemico può prendere le armi, non certo la struttura sociale. Come la rivoluzione borghese aveva vinto il feudalesimo affossando la monarchia e istituendo la repubblica democratica, così la rivoluzione proletaria affosserà la democrazia e adotterà il funzionamento organico delle società senza classi.

Ci sono state in tal senso esperienze brucianti. Partiti che si riferivano alla Sinistra Comunista sono regrediti alle origini della III Internazionale nonostante nel frattempo si fosse imposta per un paio di decenni l'esperienza organica del partito futuro, con il suo programma assolutamente incompatibile con quelli delle organizzazioni precedenti o coeve. Più che criticare gli errori altrui noi ci ricolleghiamo a quel partito, a quel programma.

Rivista n. 28