La struttura del debito americano

Nel 2007 vi scrissi a proposito del debito pubblico americano come espediente per immettere liquidità nel sistema economico, rilanciare l'economia e far pagare ad altri paesi il costo dell'operazione collocando all'estero buona parte del debito stesso. Chiesi se funzionava solo in ragione della preminenza imperialistica americana sul mondo o se c'era qualche altro motivo. La risposta fu affermativa e per quanto riguarda le conseguenze fui invitato a leggere un numero della rivista dell'anno prima sulla legge della miseria crescente, in particolare per quanto riguardava gli schemi sulla reattività dei vari modelli economici rispetto agli interventi dello Stato. Tali schemi dimostravano che il sistema era ormai insensibile alla droga keynesiana e che stava andando velocemente in overdose, tra l'altro vaneggiando sul liberismo. La successiva crisi, iniziata con il crollo dei derivati in cui erano impacchettati i mutui a rischio, sembrò confermare la diagnosi. Essa rese evidente il limite della circolazione del capitale fittizio messo in fibrillazione dalla crisi di sovrapproduzione (adesso sappiamo che la produzione industriale americana nel 2007 era già in declino), ma lo stato americano, che fu seguito da tutti gli altri, non riuscì ad escogitare di meglio che immettere ulteriore liquidità nel sistema, finendo per essere accusato di "socialismo" per via delle nazionalizzazioni appena velate. Quindi con la crisi il debito pubblico è salito, rappezzando la situazione contingente ma peggiorando quella futura. Ora si discute molto sull'enorme debito pubblico degli Stati Uniti verso il mondo, specie Cina e Giappone, però l'Italia, la Francia e la Germania hanno un debito pubblico superiore, per non parlare di altri paesi più piccoli. Quindi, quando dite che gli Stati Uniti sono il paese più indebitato al mondo, vi riferite alla massa in dollari e non alla percentuale Debito/PIL. Però, se si tiene conto della posizione ancora dominante degli Stati Uniti e della loro capacità di manovra sui mercati finanziari, quello che conta alla fin dei conti è la percentuale e non la massa. Ne deduco che gli Stati Uniti non siano messi peggio di altri paesi e che potrebbero ancora sfruttare la situazione per limitare i danni prodotti dalla crisi, magari a spese dei concorrenti.

 

Intanto vediamo che la struttura del debito pubblico degli Stati Uniti è diversa rispetto a quella di altri paesi confrontabili: la spesa federale è solo una parte della spesa pubblica; negli USA vi sono Stati che hanno un'economia paragonabile a quella dell'Italia o della Francia, con altrettanti abitanti, e ognuno con la propria spesa pubblica (parlamenti, polizie, amministrazioni locali, ecc.). Ma la differenza più importante sta nella tua frase: "debito pubblico verso il mondo". In ogni paese il debito pubblico è coperto quasi totalmente da titoli di stato emessi verso il mercato interno e comprati da residenti, perciò in fin dei conti si tratta di una "partita di giro", prendere da una parte per mettere dall'altra, nella speranza che l'immissione di moneta stimoli l'economia ecc. A parte gli Stati Uniti, l'emissione di titoli di stato sull'estero da parte di tutti gli altri paesi è minima e avviene solo in frangenti particolari, in base al rating e alla disponibilità di catene di banche internazionali, in genere sotto la guida della Banca Mondiale.

Per gli Stati Uniti la cosa non dovrebbe essere diversa, ma il dollaro è moneta di riserva e di scambio universale, quindi moneta massimamente fiduciaria tramite la quale è stato possibile per gli americani invertire la tendenza degli "altri", cioè indebitarsi di più verso l'estero. Inoltre la particolare struttura del debito americano permette di aggregare i componenti del debito stesso in un tutto unico, operazione che per altri paesi sarebbe arbitraria. In particolare possiamo sommare il debito privato e il debito pubblico perché l'indebitamento privato agisce direttamente sulle importazioni (deficit commerciale) e quello pubblico sulla necessità dello Stato di emettere titoli sull'estero per far fronte ai propri impegni interni, espediente che gli altri paesi possono adottare in maniera assai limitata.

Perciò il debito pubblico degli USA è paragonabile a quello di un qualsiasi altro paese solo per quanto riguarda il debito federale, che è di circa 12.000 miliardi di dollari. Questo debito non spaventa più di tanto Washington perché è relativamente basso rispetto a quello di altri paesi, circa l'85% del PIL. Ma se al debito pubblico federale si vanno ad aggiungere i debiti del settore finanziario-business (anticipi di capitale sia per l'industria che per la speculazione), quello finanziario-sociale (mutui, assicurazioni, ecc.), quello degli stati federati e delle famiglie, fenomeno che non ha eguali al mondo, si raggiunge la bella cifra riportata nella prima figura qui sotto, cioè 57.000 miliardi di dollari. A ciò si accompagna la diminuzione netta della capacità di consumo (terza figura) e di risparmio (quarta): per gli americani una vera e propria maledizione.

Europei, giapponesi e cinesi tendono a risparmiare invece che a indebitarsi, e questa è un'altra differenza: oltre a mettere in moto una semplice partita di giro, essi riescono a trasformare più valore (anche il salario) in capitale, mentre gli americani evidentemente sono più sfruttati (se proletari) e più spremuti fiscalmente (se di altre classi). Il rapporto del debito globale con il PIL diventa astronomico: 57.000 miliardi di dollari su 14.000 fa il 400%. Bisogna per forza tener conto di questo rapporto perché gli Stati Uniti, la cui valuta è usata per gli scambi mondiali ed è principale moneta di riserva, sono l'unico paese che possa utilizzare così massicciamente l'emissione di titoli sul mercato internazionale per alimentare il debito interno. Gli altri paesi non possono. Gli Stati Uniti sono importatori netti, specie di merci cinesi e quindi offrono in contropartita uno sbocco all'esuberanza cinese, oltre che una garanzia come unica superpotenza mondiale. Germania, Giappone, Francia e persino Italia sono esportatori netti, non comprano merci cinesi in proporzione e comunque non potrebbero neppure pensare di gestire un credito di 2.500 miliardi di dollari (l'attuale riserva della Cina in valuta e titoli USA) nei confronti di Pechino. Questo contribuisce a spiegare la persistenza del dollaro come maggior moneta di riserva, nonostante tutto.

Se analizziamo le varie componenti del debito americano in rapporto al PIL (GDP, grosso modo equivalente al National Income, il nostro Reddito Nazionale), vediamo che al primo posto c'è il debito finanziario (industria, servizi e sociale) e al secondo posto c'è quello delle famiglie (compresi i mutui per le case, settore quanto mai disastrato). Si capisce perché molti economisti dicano ormai che la struttura del debito americano sia del tutto fuori controllo. Una riduzione del debito finanziario ucciderebbe infatti l'economia a partire dall'industria; una riduzione del mostruoso debito delle famiglie (che è pari al PIL) abbatterebbe ulteriormente i consumi basati sulle carte di credito; una riduzione del debito federale e statale farebbe saltare gli attuali equilibri interni e metterebbe in discussione la solvibilità americana, specie nei confronti della Cina, scatenando più che mai la funzione di sbirro interno e planetario dello Stato in quanto strumento del Capitale globale.

Rivista n. 28