I grandi uomini

"Se il capitalismo finisce col fare a meno delle grandi personalità, il comunismo comincia allo stesso modo. La ruzzolata spaventosa che ha compiuto la forza rivoluzionaria in questi ultimi trent'anni sta in relazione stretta con la continua esaltazione di persone, con la sciagurata fabbrica di genii sconosciuti. Il bello è che sono stati elevati al grado di merce-genio certi fessi da far paura, e che poi forse proprio i meno fessi sono stati cento volte oggetto di applicazione della etichetta di Abbietto e Birbante. La pecorizzazione della classe operaia è giunta agli estremi. Per lunghi decenni è stata stupidamente ad attendere, non l'ora del combattimento per i propri scopi ed il proprio programma, ma che 'Lui' se ne andasse, e quando se n'é davvero andato è rimasta più schiava di prima. Dopo la hanno messa fiduciosamente ad aspettare che 'ha da venì Baffone'. Ma Baffone è morto senza intraprendere il viaggio" (Fantasime carlyliane, 1953).

[I nostri avversari sarebbero felici di cogliermi in fallo per quello che sto per fare, cioè demolire il mito dei grandi uomini attraverso la memoria di uno che loro stessi hanno elevato a superfesso. Li vedo già puntare il dito sogghignando sinistramente. Ebbene, questa soddisfazione non l'avranno]. Qui siamo in stretto cerchio di partito e possiamo capirci perfettamente. È ovvio che se io avessi per scopo di provare che la personalità non conta e lo dimostrassi solo raccontando cose che ho fatto di persona, fatterelli, episodi e aneddoti della mia vita, effettivamente ci sarebbe una contraddizione fra la dimostrazione a cui voglio arrivare e i mezzi di cui mi servo. Quindi l'avversario avrebbe buon gioco di critica, si potrebbe facilmente divertire alle nostre spalle, alle mie in modo particolare. Ma innanzi a voi non l'ho questa preoccupazione, quindi farò un miscuglio di documenti e ricordi autobiografici, utilizzando un fatto di ordine puramente materiale, cioè che l'animale Amadeo Bordiga ha una buona memoria e quindi ricorda più di quanto non si riesca a trovare nella documentazione che stiamo raccogliendo. E siccome alcune cose negli scritti non le abbiamo trovate proprio, le debbo citare per forza a memoria. Allora dovrò adoperare ogni tanto la prima persona singolare. Naturalmente la sintassi non l'abbiamo ancora rivoluzionata. Quando ci sarà la società comunista non ci sarà l'io, il tu e il lui, ma adesso devo dire io.

Siccome vedo che questo vi fa divertire, mi fa piacere rendervi la cosa leggera. Voi dunque non me ne vorrete se mi sono tolto la giacca, non è una minaccia verso di voi, un segno che sarò più lungo, più scoccioso del solito. E se volete chiudere le finestre, chiudiamole. Toglietevi le giacche se vi danno fastidio, non c'è problema, fa caldo. Abbiamo disposto nei nostri piani organizzativi che non facesse caldo a Milano, malgrado le insinuazioni di molti compagni e di alcune compagne e quindi possiamo stare benissimo a finestre chiuse. Adesso i milanesi mangeranno, l'ora sacramentale del pranzo a Milano sono le dodici. Berranno e naturalmente cominceranno a gridare, quindi è meglio che ci chiudiamo dentro, così non ci disturbano.

Il fatidico librone

Ecco, vi faccio vedere il corpo del reato su cui dobbiamo pettegolare. Questo è il famoso libro degli annali Feltrinelli che costa dodicimila lire. Naturalmente non vi leggerò mille pagine, posso farvi sentire solo come pesa, per esempio scaraventandolo sulla testa di… Sperduto! Qui ci sono tutte quelle fregnacce di cui abbiamo detto, c'è tutta la "storia vera", eccetera, la storia rosa e la storia nera di cui sarei protagonista. Il libraccio in quistione è stato commentato da un articolo di uno di quelli che sono passati con Eugenio Reale (1) il quale a sua volta è passato nel partito di Saragat. (2) Costui incominciò a fare "rivelazioni". Sono di grande moda le rivelazioni. Si tirano fuori documenti, lettere, si specula…

Il seguace di Reale, quello che scrive l'articolo intitolato "Realtà e trasfigurazione di Togliatti - Pubblicato il carteggio tra capi del partito comunista italiano" fa dunque una grande rivelazione. Naturalmente io non ero un capo del partito, in questo carteggio non c'è niente di mio. Non ci sarebbe stato nessun gusto a pubblicare le mie lettere private perché esse avrebbero detto le stesse cose che erano scritte negli articoli. Non ho mai scritto lettere private ad un compagno, ho scritto delle cose che servivano per il partito. Già allora a volte le firmavo, a volte no, adesso la firma l'abbiamo abolita completamente. Quindi non c'è nessuna speranza che sia scoperto e pubblicato un mio epistolario privato, questa rivelazione non avverrà mai. Comunque anche se ci fosse non sarebbe una scoperta, perché nelle lettere dicevo le stesse cose che dicevo nella sezione del partito, nei suoi organismi o nei congressi internazionali.

Invece questi nostri amici nelle loro lettere dicono cose tutte diverse da quelle che dicevano nelle occasioni pubbliche. Di qui la morbosa curiosità che ha destato la pubblicazione dell'epistolario, e questi seguaci di Eugenio Reale se ne sono fatti belli. Reale era stato ambasciatore a Varsavia e aveva captato, non so come, una gran mole di documenti. Si tratta di merce vendibile. So che in molti di voi serpeggia la suggestione di pubblicare qualche libro con il materiale firmato Bordiga, (3) ma non metteremo in commercio tutti questi dossier che abbiamo preparato. Ritorniamo però al librone. Di archivista in archivista il materiale ritrovato aveva raggiunto prezzi notevoli, sembra che Feltrinelli l'abbia pagato milioni. Anche dopo la morte di Angelo Tasca egli ha comprato tutto quanto l'archivio, quindi possiede altro materiale importante che verrà stampato.

Pure noi abbiamo raccolto materiale importante, ma ovviamente non intendiamo farne un articolo di libero commercio. Per noi le parole scritte o parlate sono strumenti di lavoro che possono essere molto utili, se possiamo li diffondiamo stampandoli con le nostre forze, ma non abbiamo nessun motivo per ricavarne denaro. Dai documenti messi in commercio è stata invece confezionata la questione della storia rosa e della storia nera. Vi rivelerò che l'articolista è un vecchio nostro compagno, un certo D'Ambrosio, un tempo comunista e adesso socialdemocratico. È naturale che costui sia anche un anti-bordighista. Non si compiace del fatto che attraverso questo libro la Sinistra si prenda una rivincita sul centrismo togliattiano. In quanto socialdemocratico spaccato, oggi addirittura un destrissimo, totalmente contrario al nostro programma, si è servito del materiale ritrovato per fare della speculazione politica, naturalmente, per mettere in imbarazzo il partito comunista, insomma, per dare del fastidio a Togliatti.

Sono cose di poco conto ma significative. A noi però il carteggio segreto interessa soprattutto nel senso che vogliamo dimostrare come la storia non vada avanti attraverso gli uomini illustri, quelli di cui i giornali pubblicano il nome tutti i giorni in quanto parlamentari, capi di partito, comizianti, conferenzieri, organizzatori di assemblee, congressisti, insomma, quelli che sono sempre sul candeliere.

Praticamente tutti gli autori di questi carteggi sono quegli stessi che, attraverso le vicende del nostro partito sono giunti ormai da molti anni a una via diversa da quella da noi seguita fin dall'inizio. Noi siamo andati sempre diritti e quindi, secondo i canoni pubblicitari correnti di quest'epoca controrivoluzionaria, siamo spinti sempre più nell'ombra. Siamo un piccolo gruppo di lavoro, appena conosciuto da chi appunto lavora con noi o almeno ci conosce direttamente. Non beneficiamo di titoli sui giornali a grande tiratura, il nostro movimento non è nominato neppure quando si fa la storia delle origini del PCd'I e ovviamente non sono nominate le persone che all'epoca furono più attive. E meno male, perché se si incominciasse a parlare di noi se ne parlerebbe a partire prima di tutto dalle persone.

È un vecchio vizio italiano porre prima di tutto la domanda: Ah, chi è, chi è? Da dov'è venuto? Chi era suo padre? Chi era suo nonno? Chi era il suo trisavolo? State sicuri, incomincerebbero dai nomi. Ma, sia lodato il cielo, non faranno proprio nulla, dato che per loro ogni nostro Pinco Pallino non esiste. I Pinchi Pallini loro, sono invece notissimi e chiunque li può sentir nominare parecchie volte al giorno. Noi vogliamo dimostrare che questi notissimi individui non hanno influito affatto sulla storia che hanno ricostruito a posteriori; non sono neppure responsabili dell'opportunismo nostrano e dei fenomeni controrivoluzionari, che c'erano ben prima di loro. Non sono che mosche cocchiere di fenomeni da cui sono stati travolti. In fondo tutti i grandi nomi della storia non sono che mosche cocchiere di eventi la cui origine va ricercata nell'energia sociale, nella forza collettiva.

Far fuori Bordiga

A noi il carteggio interessa unicamente per mostrare che persone piccole, ridicole, meschine, stupide erano questi grandi uomini, molti ancora in esercizio. Attraverso di esso si dimostra che per un lungo periodo, da quando è stato costituito il Partito nel gennaio del 1921 (o da poco dopo, cronologicamente parlando, o da molto prima, logicamente parlando, se si facesse la storia guardando alle cause materiali), per molti anni fino a dopo il 1926, hanno lottato contro dei mulini a vento. Hanno sprecato una quantità enorme di energia per il grande problema di togliere di mezzo la Sinistra e prendersi la direzione del partito. E tutto ciò sarebbe ancora normale per dei politicanti. Ma come hanno svolto il loro lavoro? Ufficialmente attraverso una polemica, una discussione contro il nostro programma, contro il nostro metodo, come si faceva allora, dibattendo tesi sulla stampa o ai congressi, come hanno fatto i russi e la stessa Internazionale. Ma il vero lavoro contro di noi è la parte più massiccia, quella di cui il pubblico è più famelico, quella che desta maggiormente la curiosità morbosa, cioè il lavorio interno, segreto, puntato sulle persone. Da queste lettere che si scambiano i grandi uomini esce non lavoro politico ma lavoro sporco, basso maneggio per risolvere un grandissimo problema storico: come mandare via Amadeo Bordiga dalla direzione del partito.

Ne concludono che si trattava di un problema difficilissimo da risolvere. Invece è una prima grande fesseria. Era un problema facilissimo da risolvere. Bastava dirmelo e io me ne andavo. Io non ho mai preteso di essere un capo. Me ne fottevo completamente di essere il capo del partito, non avevo proprio di questi sfizi personali. Mi aveva messo lì un lungo lavoro finalizzato a ben altro. Ora, le carte sono queste; o, per fare una scena un poco retorica, la rivoltella è questa, non la posso che prendere. Il libro è questo, lo posso dare sulla testa di Sperduto o posso farne un uso politico. Il mio lavoro lo facevo con una certa vitalità, con una certa energia, potenziata allora dai pochi anni che avevo sulla groppa. Lo facevo bene, lo facevo intensamente. Ma non è che lo dovevo fare per forza io. Se avessi visto un altro che diceva: lo voglio fare io, me ne sarei andato e sarebbe venuto lui. Quindi non dovevano che dire alzati di lì, io mi sarei alzato e il problema era già risolto. I quarant'anni di lavorio nascosto, le mille pagine e le dodicimila lire sarebbero stati perfettamente inutili.

Ora, delle persone che pensano siano stati determinanti sette anni di corrispondenza segreta, dodicimila lire del 1961, mille pagine delle edizioni Feltrinelli per raggiungere il bel risultato di farmi fare il lavoro che faccio adesso (o quello che fanno loro) sono evidentemente assai sciocche. Eppure passano per essere i più grandi uomini all'avanguardia del movimento politico italiano, i dirigenti del partito più minaccioso, quantitativamente più importante. Poveri sciocchi, che non solo noi, ma anche avversari di altra sponda, si divertono a deridere.

Io naturalmente non ho alcuna intenzione di dare qualche risposta personale alle varie questioni, né in questa né in altre sedi. Qui mi dilungo un po' con costoro per farvi divertire, ma riprenderò poi la questione da tutt'altro punto di vista, cercando di dimostrare che i cosiddetti grandi uomini sono sempre inutili, non solo i superfessi, ma anche quelli migliori. Sono gli uomini, ovviamente, che fanno la loro storia, ma vorrei dimostrare che anche l'uomo più dritto e più intelligente non è un "fattore di storia".

Incominciamo con la costruzione idealistica del grande uomo in negativo, il Farabutto. Se io fossi una star del momento, inviterei il mio agente di pubblicità a mettere in evidenza il fatto che si è mosso un apparato notevole, anche di tipo economico, per ripescare documenti in cui si parla continuamente del sottoscritto, evidenziando in modo eccezionale, con gran copia di argomenti reiterati con gran frequenza, come fosse difficile mandarmi via. Perché? Perché sarei stato un uomo assolutamente speciale. Che poi questa specialità è che lavoravo molto.

Gramsci in una delle sue lettere dice che è una parola sostituirmi, dice che pover'uomo è malato. E infatti aveva delle gravi tare organiche, c'erano periodi in cui aveva frequentemente febbre e mal di testa. Fumava sigarette a strafottere e io non riuscivo ad impedirglielo. Finiva per distruggersi in questo modo. Qui non si tratta di trovarne un altro — dice — certamente non sono io, ne dovete trovare almeno tre. Evidentemente Gramsci, per una volta materialista, pensava che fossi un uomo in grado di decidere la storia non di 40 o 50 milioni di uomini, quanti ce ne sono in Italia, ma tutt'al più, modestamente, per tre. Questo è un po' più ragionevole, è una questione di ordine muscolare. Insomma il mio merito poteva essere solo questo, la mia differenza rispetto all'uomo medio è solo questa: di essere un buon manovale del muscolo cervello. L'operaio meno qualificato, il manovale alza normalmente un quintale, e qui ce n'è uno particolarmente atletico che di quintali ne alza tre. Nel campo del lavoro storico, politico, organizzativo di partito io ero quello che faticava di più.

Allora Gramsci non dice: Bordiga è un genio, è un grande uomo. Essendo il meno fesso di quelli che scrivono su quelle pagine, certe stupidate non le scrive. Si preoccupa di trovare qualcuno che in una giornata facesse tre giorni di lavoro come li facevo io, tra articoli, attività, viaggi, conferenze, comizi, tutte le attività che chi ha il compito di organizzare un partito deve svolgere. Io ne svolgevo tante, ecco tutta la differenza. Ma allora vuol dire che io potevo dirigere un popolo di tre persone, non di quaranta o cinquanta milioni. Cioè me stesso per tre. Non v'è altra ragione, per cui non ha senso tutta la manovra segreta. Chiunque poteva sostituirmi, bastava che l'avesse detto. Era inutile scrivere tutte queste lettere che dal 1922 al 1924 andavano da Vienna a Mosca, col racconto di una quantità di storielle, alcune vere alcune false. Ma dalla farragine dell'intero carteggio si può cavare qualcosa, almeno dal punto di vista della documentazione storica. Per la prima volta, ad esempio, si capisce come stavano veramente le cose, è stata pubblicata con una certa esattezza (questo poi lo vedremo quando sostituiremo man mano alcuni documenti nostri ai documenti loro) la vera storia del partito. Adesso non possono più nascondere che il partito l'abbiamo costituito noi, hanno scritto quali erano i componenti del comitato centrale, com'era composto il nuovo partito, che provenienza avessero le sue forze. E con ciò hanno ammesso che loro erano una sparuta minoranza.

Storia rosa, storia nera, storia ridicola

A questo punto dovrei prendere la parola per difenderli contro chi dice che però nel '21 erano allineati alla Sinistra. Difenderli ad esempio contro l'attacco dell'articolista di Corrispondenza Socialista, (4) il quale afferma che i futuri centristi, quelli che presero poi la direzione del partito, all'inizio la pensavano come la pensava la Sinistra, erano anche loro seguaci di Bordiga. Ora io vorrei dire che invece non è vero, non hanno mai pensato come pensavamo noi, avevano dei vizi di origine. Eravamo noi che cercavamo di strigliarli, di grattarli, di tirarli un po' su, di trasformarli in veri comunisti, ma in effetti non lo sono mai stati. Ideologicamente parlando, sono stati sempre dei borghesi, sempre dei democratici. Quando parlano di democrazia hanno ragione, tirano in ballo le proprie origini. Tutto lo scopo della rivistucola socialdemocratica è dimostrare che costoro non hanno il diritto di parlare di democrazia, di dire che sono dei buoni democratici. Noi siamo invece qui per attestare che hanno perfettamente il diritto di dire che sono dei buoni legalitari, dei buoni costituzionalisti, dei buoni democratici. Erano sotto la nostra influenza, certo, ma non è vero che per alcuni anni non sono stati democratico-borghesi. Anche allora difettavano, e quello che è successo dopo dimostra che in questo campo non hanno fatto che continuare.

Il periodico socialdemocratico dice che la storia rosa dei togliattiani ora viene sostituita da quella nera della realtà. Che la storia fasulla dei centristi fosse rosa, cioè romanzata, lo sappiamo. Caduta la finzione, rimangono i frammenti di una storia ancora da scrivere. Dunque per la storia-romanzo noi non siamo mai esistiti, non abbiamo mai diretto il partito e questo partito l'avrebbero fondato loro. Noi saremmo stati degli emuli di Trotsky, il quale per gli stalinisti era un agente dei tedeschi e quindi un disfattista. Perciò saremmo stati fascisti, agenti del nemico, dei banditi, insomma, epiteti di questo calibro.

Ma come: dopo che per tanti anni avete raccontato che Bordiga e tutti gli altri suoi seguaci erano degli agenti di Mussolini, eccetera, adesso tirate fuori una quantità di lettere dalle quali risulta che per tanti anni, almeno dal 1921 al 1926, avete fatto lavoro sotterraneo contro i veri fondatori del partito, i suoi dirigenti seguiti dalle masse e dalla stragrande maggioranza dei militanti. Dirigenti che non osavate attaccare apertamente proprio perché il partito li rispettava. Per amore della "rivelazione" pubblicitaria morbosa avete abbandonato la forma romanzata della storia e avete incominciato a scrivere quella vera con i documenti originali della lotta segreta. Ma la storia vera era nei documenti ufficiali! La vita autentica del partito, finché è dipeso da noi, era riflessa nei documenti pubblici, perché i comunisti non nascondono mai i loro scopi. Siete voi che ingannate gli operai facendo loro credere che siete ancora rivoluzionari ma con una doppia anima: pubblicamente sareste democratici e moderati, mentre sotto sotto preparate chissà cosa. Così ci sono dei vostri operai che parlano ancora di insurrezione e di dittatura del proletariato, mentre la storia di domani rivelerà che la vostra doppiezza è solamente una furberia politicantesca nello stile della pubblicità consumistica.

Insomma l'allenamento alla grande furberia con cui questi signori vorrebbero abbattere addirittura il capitalismo mondiale guidato dagli Stati Uniti d'America ha una storia di quarant'anni: storia incominciata con un obiettivo più modesto, che sarei stato io, vale a dire l'incomodo di cui occorreva sbarazzarsi facendolo cadere da una seggiola che vedevano solo loro. Sì, perché nel nostro partito non esistevano seggiole. Togliatti in persona è stato incaricato di redigere uno dei capitoli del librone per dare una versione a modo suo, per spiegare la natura di una specie di contrasto interiore che stava originando un conflitto nel partito. Ora in parecchie pagine del libro si dice una cosa inesatta, cioè che Bordiga sarebbe stato il segretario generale del Partito Comunista d'Italia. Ciò è falso ed è importante sottolinearlo. Il partito tendeva a un funzionamento organico e quindi limitava all'essenziale la gerarchia interna (oggi l'abbiamo completamente eliminata). Per questo non ha mai avuto un segretario generale, non esisteva questa carica. Essa esisteva nel partito socialista (come sapete la ricopriva Costantino Lazzari) (5) e c'era quella di vicesegretario. In alcuni partiti, disgraziatamente, esiste non solo il segretario ma persino il presidente del partito, come in Germania e in Italia.

I piani diabolici

Il partito comunista non aveva altro che un Comitato Centrale e un Comitato Esecutivo, ma in pratica era retto da quest'ultimo, cioè da sole cinque persone. Nel libro hanno commesso grossi errori anche nei nomi del Comitato Centrale. Ad esempio, Tarsia (6) lo danno per morto e invece eccolo qui, lo vediamo, con la sua barba lunga e con i suoi 85 anni. E incomincino ad incassare questa prima correzione fra le piramidali fesserie. Se lo vogliono vedere noi siamo pronti a esibirlo, è quello vero, non è che l'abbiamo resuscitato, tra i nostri poteri magici questo non c'è. Siccome siamo descritti quasi come dei maghi attendisti e settari in grado di inibire la lotta di classe o cose del genere, ecco, abbiamo fatto resuscitare Tarsia. Hanno fatto una banale confusione tra Ludovico e un suo fratello, che Togliatti ha conosciuto in quanto molto attivo nella lotta partigiana, e che non è stato mai un compagno. Comunque il Tarsia nostro eccolo qui, sta ancora qui, chi lo vuole toccare, assicurarsi che non sia un fantasma si faccia avanti, insomma, ossa e muscoli si possono vedere.

Ci sono altre inesattezze di questo genere. Alcuni esponenti del Comitato centrale, che si componeva di 15 membri, non li hanno rinvenuti perché hanno fatto i conti su quanti erano i provenienti dalla frazione astensionista e quanti erano i non astensionisti. Come sapete la prima frazione che si formò nel Partito Socialista Italiano era la Frazione Comunista Astensionista, il cui giornale Il Soviet usciva a Napoli; essa aveva il suo Comitato Centrale, e al Congresso di Bologna dell'ottobre del 1919 rappresentò un piccola minoranza che raccolse appena quattromila voti. Attraverso le vicende che abbiamo già raccontato ampiamente, al tempo del II Congresso di Mosca e della formazione dell'Internazionale Comunista, noi della Frazione astensionista fummo i soli a reclamare, fin da allora, non solo l'abbandono del metodo parlamentare, cosa sulla quale Lenin non fu d'accordo, ma anche l'espulsione dei riformisti dal partito, cosa sulla quale Lenin invece fu d'accordissimo. Fummo così affiancati da altri elementi di sinistra del Partito Socialista che man mano si schieravano con noi sulle richiesta di modifica delle condizioni di ammissione all'Internazionale di Mosca.

È vero dunque che avevamo una larghissima maggioranza, ma non è vero quel che dicono i togliattiani, cioè che Bordiga fece il Comitato Centrale a modo suo piazzandovi una grande maggioranza di astensionisti. Cercano di elencare quelli che lo erano e quelli che non lo erano, ma sbagliano completamente perché oltre a me e Tarsia mi pare che non ce ne fossero altri, o forse solo un altro. La maggioranza del Comitato Centrale era composta da ordinovisti, membri dell'estrema sinistra e della frazione massimalista che si erano distaccati da Serrati. Citano come astensionista Luigi Polano, (7) ancora vivente, che era segretario della Federazione Giovanile dei socialisti e non era affatto astensionista. E così molti altri. Ci sono, insomma, anche degli errori di fatto. Ma probabilmente non lo hanno fatto apposta. In generale hanno cercato veramente di passare dalla storia romanzata, quella che si usa raccontare un po' come si vuole a seconda dell'effetto che si vuole raggiungere, ad una storia documentata. Hanno speso milioni, hanno stampato tutte queste pagine, però ci sono anche molti errori e vi farei perdere molto tempo se volessi segnalarveli tutti.

Errori che ha commesso anche Togliatti. Lo chiamo in causa personalmente, tanto per raccontarvi com'è andata veramente a proposito di un episodio su cui più si specula in questo articolo dei socialdemocratici. L'epoca è quella in cui io ero in carcere, nel 1923. Dopo l'andata al potere dei fascisti nel '22 io e Grieco (8) del Comitato Esecutivo fummo arrestati a Roma. Nell'esecutivo due erano gli astensionisti, io e Grieco. Gli altri erano Repossi, (9) Fortichiari (10) e Terracini (11) che non lo erano affatto. Quando incominciano a dire "ecco i trucchi dell'abilissimo Bordiga" dimostrano soprattutto il contrario, cioè che io non ho mai avuto alcuna abilità politica. Sono d'accordo con la loro dimostrazione, e chiunque la può verificare proprio con i piani diabolici che avrei escogitato.

Primo piano diabolico: avrei messo tutti i miei scagnozzi astensionisti nel gruppo dirigente del partito. Ora, l'effettiva direzione del partito era il Comitato Esecutivo e fra i cinque che lo componevano di astensionista c'era solo Grieco. Repossi e Fortichiari erano di Milano, Terracini era di Torino. Togliatti non c'era, anzi, non era nemmeno tra i quindici del Comitato Centrale. Sentite la spiegazione che viene fornita del fatto che chiamammo Togliatti a fare il direttore de Il comunista (12) a Roma: "Ecco che il diabolico Bordiga, per distruggere l'influenza di Togliatti sugli operai di Torino, lo fa venire a Roma a dirigere il giornale principale del partito". Ma guardate un po' se io posso essere così fesso: per raggiungere uno scopo simile avrei messo in mano a Togliatti l'organo centrale del partito. Da notare che oltre tutto sarebbe stato uno scopo inutile, perché ancor prima della scissione la maggioranza della sezione di Torino era nelle mani degli astensionisti, quindi la maggioranza degli operai di Torino seguiva già le nostre riunioni.

Che cosa significa tutto ciò? Che razza di comunisti saremmo? Non internazionalisti, ma peggio che nazionalisti, gente che funziona magari bene a Torino ma non a Napoli, a Milano ma non a Roma. Io non me ne ero forse andato da Napoli per occuparmi del partito a Milano dove il Comitato Centrale ebbe la sua sede per qualche tempo? Quando poi passò a Roma e Il Comunista divenne l'organo centrale del partito ci occorreva un buon giornalista, un buon compagno, perciò dissi a Togliatti: "Vuoi venire a fare il giornale a Roma"? e lui venne, tutto qui. Ecco il piano diabolico per minare la sacra Torino dove ci sarebbe stata solo la tradizione di Gramsci. C'era, nel 1920-21, ma non era determinante negli equilibri del partito e non c'era alcun bisogno di pigliare il principale giornale del partito e consegnarlo a Togliatti. Insomma, cose di questo genere, e se seguitiamo è solo per qualche spunto utile alla nostra ricostruzione, sarebbe assolutamente ridicolo seguire pedestremente tutto il materiale.

[Secondo piano diabolico: violenza della Sinistra sui futuri centristi. Il plagio sarebbe provato dal loro entusiasmo per un mio manifesto scritto in carcere e fatto uscire di nascosto. (13) Abbiamo visto che Gramsci, Togliatti e compagnia non sono diventati ideologicamente democratico-borghesi ma lo erano già allora. Tuttavia bisogna dire che effettivamente subivano l'influenza della Sinistra]. Voglio raccontarvi un fatterello. Il fascismo andò al potere nell'ottobre del 1922. Il Comitato Centrale era sempre quello, il Comitato Esecutivo idem. La sede era a Roma, dove avevamo un ufficio in via Frattina. I fascisti cominciarono a fare i loro piani per sopprimere il partito, volevano arrestare la centrale. E ci riuscirono. Arrestarono me e Grieco. Ricordo che arrestarono anche un nostro giovane collaboratore, oggi sindaco di Bologna, il voluminoso Giuseppe Dozza. (14) Quando ci portarono in carcere si manifestò tutta la fessaggine della polizia: Dozza che era un ragazzo fu preso a schiaffi per farlo cantare, io invece che ero adulto (15) fui umilmente pregato. Vedete quanto è ridicola la polizia, quanto è ridicolo il fascismo; sono convenzionali, hanno paura di rompere con le convenzioni fino al punto da prendere a schiaffi i giovanotti e rispettare un uomo adulto.

La famigerata "questione italiana"

Naturalmente non parlai io, ma non parlò neanche Dozza perché non era un fesso (non lo è neanche adesso), ma insomma era un ragazzo a posto, si comportò molto bene. Da quel momento, come tutti coloro che erano nelle nostre condizioni, incominciammo a fare il nostro lavoro in carcere e stabilimmo una comunicazione con l'esterno. La reazione padronale, la tirannide fascista, come si dice, non era ancora quella cosa così terribile. Avevamo la nostra rete di soccorso e, purché si prendessero della misure con calma, potevamo cercare di difenderci. Riuscivamo ad avere comunicazioni continue con il partito e con l'Internazionale. Io ad esempio avevo una corrispondenza diretta addirittura con Zinoviev. Le lettere arrivavano e partivano, naturalmente scritte in forma cifrata su foglietti sottilissimi che guardie compiacenti portavano dentro e fuori dal carcere, venivano consegnate, si rispondeva, eccetera. Mentre noi eravamo in carcere, fuori si tenne una riunione a cui parteciparono Togliatti, la Ravera (16) e altri compagni che erano stati aggregati in sostituzione di quelli arrestati. Si era già delineato il contrasto fra il Partito Comunista e l'Internazionale di Mosca. Come sapete, dopo la costituzione del partito a Livorno una parte dei serratiani si distaccò e formò la cosiddetta Frazione terzinternazionalista, con lo stesso Serrati. (17) I russi si erano illusi che Serrati stesso avrebbe riportato l'Avanti! al partito, pentendosi di quel che aveva fatto. Serrati rimase isolato, circondato da poche migliaia di compagni che si erano nel frattempo iscritti al Partito Comunista. Perdette l'Avanti! perché mentre lui stava in carcere Nenni (18) fece l'elegante colpo di impadronirsi della direzione e lo estromise. Quindi le nuove adesioni rappresentarono un apporto quasi insignificante; in compenso portarono molta confusione proprio durante il periodo più difficile della formazione del Partito Comunista, anche perché l'Internazionale impose di costituire comitati di fusione, comitati misti, eccetera. Questo dette molto fastidio, non solo agli ex-astensionisti o a me personalmente, o a Tarsia, o a Grieco. Erano tutti contrari, anche Gramsci e persino Togliatti, per quanto nel '22 a Mosca fossero stati del parere di ubbidire alle ingiunzioni dell'Internazionale.

La famigerata "questione italiana" era già stata posta, e il contrasto con Mosca era già chiaro per le note divergenze sulla tattica internazionale. Nel 1923 infatti eravamo a due anni dalle questioni poste al III Congresso su parlamento e fronte unico e la situazione era peggiorata, per cui credetti opportuno scrivere dal carcere un manifesto che, nelle intenzioni, doveva essere diffuso in tutta Europa, in tutto il mondo. Era un semplice documento di critica all'indirizzo dell'Internazionale Comunista, che anticipava la nostra successiva denuncia riguardo il pericolo di opportunismo. (19) Questo documento non lo ricordavo e, se non l'avessero pubblicato negli annali Feltrinelli, nonostante la mia memoria, non sarei stato capace di riscrivervi il suo contenuto. Il manifesto fu certamente scritto di nascosto in carcere, cifrato da noi prigionieri, poi fatto uscire tramite i soliti canali. Tutto normale; se non che, anche i futuri centristi, che avevano già deciso di obbedire alla disciplina di Mosca, se ne entusiasmarono e Togliatti fu quello che se ne entusiasmò più di tutti. Si disse che il manifesto si doveva pubblicare, che Amadeo aveva ragione, insomma, in quella riunione i presenti lo fecero proprio e lo trasmisero a Gramsci, che era a Mosca, affinché fosse diffuso come espressione delle direttive del Partito Comunista d'Italia riguardo alle "questioni italiane", cui si erano aggiunti i rapporti con l'Internazionale e la fusione con i Terzini. (20) Oggi si trova strano che Togliatti, dopo tutto quello che era successo, fosse ancora del parere di pubblicare il manifesto del '23 e che Gramsci, da noi mandato a Mosca in rappresentanza del partito, [fosse il destinatario di una proposta per la sua diffusione mondiale. (21) Ma era normale: la controrivoluzione aveva appena incominciato la sua azione catastrofica sui rapporti internazionali, interni, sociali].

Gramsci anti-partito

Questo logorio generale di individui e gruppi attraverso le lotte nel partito e nell'Internazionale, è un processo naturale, un processo della storia a cui non possono sottrarsi i grandi organismi sociali, figuriamoci se possono sottrarsi gli uomini. [Noi non abbiamo plagiato nessuno, è la rivoluzione montante che ha spinto i Gramsci e i Togliatti nelle nostre braccia, ed è la controrivoluzione che li ha spinti in seguito nelle braccia dell'avversario]. Uomini che credono di essere alla guida dei fatti sono da questi determinati. Quando la rivoluzione rincula, spinti dalle loro velleità, dalla vanità che ne deriva, dall'ambizione, dal desiderio di notorietà, compiono indicibili capriole nel nome della obbedienza a un organismo formale volgendo le spalle al grande corso storico. Si piegano quindi agli ordini dell'Internazionale, giurano fedeltà ai principii del leninismo in tutti gli svolti in cui la convenienza permette loro di fare un passo innanzi nella stupida posa di figurare nella gerarchia, di essere membro del tal comitato centrale, di tal delegazione, del parlamento, eccetera. Il parlamento è la trappola per eccellenza. C'è un passo in cui Marx dice che il parlamento è effettivamente molto utile al partito rivoluzionario: per far emergere tutte le carogne di cui è bene liberarsi è utilissimo il metodo parlamentare. Appena eletti, i più schifosi si auto-denunciano apertamente aggrappandosi alla poltrona. Persino quando il parlamento non c'è più i parlamentaristi riescono ad essere sé stessi. Sebbene i fascisti avessero abolito il parlamento, ciò non ha impedito a questi signori di trovare altre vie, altre reti attraverso cui dimostrare come il loro essere carognesco personale potesse svilupparsi.

[C'è qualche cosa di malato in tutto ciò. Dal momento che tendono a costituire sé stessi in idoli, hanno bisogno di crearsi idoli più potenti cui sottostare, e non c'è niente di meglio, in questo, che servirsi dei morti. Così nasce il marxismo e poi il marxismo-leninismo, cui si piegherà anche Gramsci, nonostante non fosse ancora neppure arrivato al marxismo. E non si sa mai, anche il sottoscritto corre qualche pericolo, se non da parte sua certo da parte vostra]. Può darsi che uscendo di qui mi offrano un miliardo di dollari e rinneghi tutto il bordighismo con una dichiarazione, ma in caso contrario, almeno finché non sono proprio crepato, c'è da sperare che voi non abbiate bisogno di santini.

Gramsci era un uomo che per le sue qualità personali (e se per non perdere tempo vogliamo adoperare questa espressione priva di senso: qualità morali) stava effettivamente al di sopra dei grandi uomini che adesso lo usano. (22) Naturalmente, questa brava gente si è gettata sulla citazione di Gramsci, per dare ragione a Togliatti e torto — diciamo — a Bordiga e a tutto il bordighismo. C'è qualcosa che non funziona. Il 24 gennaio 1924 scrive Gramsci a Togliatti:

"La reazione si è proposta di ricacciare il proletariato nelle condizioni in cui si trovava nel periodo iniziale del capitalismo: disperso, isolato, individui, non classe che sente di essere una unità e aspira al potere. La scissione di Livorno (il distacco della maggioranza del proletariato italiano dalla Internazionale Comunista) è stata senza dubbio il più grande trionfo della reazione". (23)

Dunque, voi dite che la massima vostra mente politica fu Gramsci, l'autore del vostro vangelo e il fondatore del partito. Perché allora non vi accorgete che pubblicando questa lettera entrate in una contraddizione tremenda? Gramsci, lungi dal rivendicare come voi il merito di aver promosso la scissione a Livorno, dice che il fascismo ha vinto proprio perché noi a Livorno abbiamo voluto e organizzato la scissione dal Partito Socialista. Questi abilissimi grandi uomini non sono così infallibili come vogliono far credere. Questi manovratori che dovrebbero guidare il proletariato mondiale non sono che dei bluffatori. Noi ci siamo temprati nel corso di mille battaglie ma non siamo mai diventati maestri del gioco d'azzardo. Siamo rimasti rivoluzionari che rifuggono i bizantinismi e l'abilità manovriera, siamo "schematici e settari" ma giochiamo a carte scoperte, non sappiamo bluffare perché non ci serve. A loro sì che serve: devono essere bravissimi e abilissimi per destreggiarsi nella giungla della politica-politica, dei corridoi parlamentari. Ma se veramente hanno tanta abilità, perché non traggono dai loro meccanismi cerebrali almeno tanta destrezza politica da non entrare in contraddizioni così grossolane? A noi poveri sprovveduti, a noi mezzi rimbambiti, iguanodonti fossili, come dice Togliatti, fossilizzati nella rimasticazione di vecchie chiacchiere che si insegnavano 100 anni fa, non succede. Solo a gente superiore succede di essere tanto fessa da pubblicare questa sguaiata dichiarazione anti-partito di Gramsci. Scritta evidentemente in un momento in cui aveva mal di testa (era un uomo intelligente, ma era soggetto a terribili emicranie). Io non sono soggetto ai mal di testa e forse è per questo che scrivo da cinquant'anni sempre le stesse cose.

Erano una minoranza e non capivano

[Se volessimo insistere su aneddoti a proposito della storia del Partito Comunista, la storia vera da riscrivere, ne troveremmo a iosa, anche di quelli piccanti che piacerebbero un sacco ai giornalisti ficcanaso. Stiamo volando basso e citiamo episodi significativi, non vado spulciando a casaccio. Adesso dovrei fare un paio di sviolinate su Bordiga, un paio di quelle cose che possono farlo sembrare più grosso di quanto non sia ma che servono a mettere a fuoco l'ambiente italiano in cui le disposizioni dell'Internazionale stentavano ad essere applicate, prima per convinzione, poi… per paura. Devo per forza riassumere rispetto ai testi qui raccolti questa storia della paura. Chi adora l'idolo che si è costruito è ovvio che ne abbia soggezione, almeno finché non se ne sbarazza e allora lo declassa a diavolo. Gramsci scrive in una lettera: andate da Amadeo a dire queste cose… e chi glie le va a dire… Scoccimarro (24) ricorda bene che un giorno, in una riunione della delegazione italiana a Mosca ci siamo permessi di dire… E Amadeo ha usato parole molto forti, ci ha strapazzati… Se andate a dire questo e quello, Amadeo s'incazza… Insomma dimostravano di avere una certa paura mentre si dimenavano per fare quel che hanno fatto, e si dedicavano anche al dimenamento di quell'arnese che sappiamo, con le dattilografe messe a disposizione dal partito russo, azione che è forse quella principale del capo politico. Sarebbe veramente ridicolo se io spulciassi questi aneddoti per esaltare le mie personali qualità. Il fatto è che tra il 1920 e il 1921 gli altri lo facevano, anche con risonanza internazionale. E una volta raggiunta la vittoria, con l'adesione all'Internazionale e la costituzione del PCd'I, ecco che, mentre l'insieme del partito incominciava a funzionare organicamente, una piccola minoranza incomincia con la solfa di Bordiga, prima in positivo e poi in negativo. Questa minoranza proprio non capiva la battaglia per la difesa dell'Internazionale condotta rilevando criticamente i pericoli che essa correva. Ad un certo punto Gramsci dice: guardate che Bordiga, alla fin fine darà ragione all'Internazionale, perché non è vero che è un uomo a-politico (lì si sbaglia di grosso, è proprio vero invece che io non sono un uomo politico). In certi momenti Bordiga prende degli atteggiamenti molto strani, esprime concetti che noi non riusciamo a seguire, ma fesserie non ne fa. Se cercate di fregarlo facendogli fare compromessi e fesserie non ci riuscirete perché quello non ci casca. E quindi facevano lavoro sotterraneo contro il 90 per cento del partito]. (25)

Non è una questione di conta democratica, naturalmente, ma non c'era bisogno di furberie. Come abbiamo visto, togliermi di mezzo sarebbe stato molto semplice e invece hanno impiegato cinque anni, riuscendoci ovviamente solo perché la rivoluzione rinculava. Anche oggi, se qualcuno volesse fare quello che faccio io, sollevasse un milligrammo in più di quello che sollevo io, lo dica, io mi alzo e me ne vado subito. Naturalmente dovrebbe avere anche dietro di sé tutta la provvista di memoria che per mia disgrazia, pur essendo vecchio ormai e semidecrepito, funziona ancora. Ho conservato questo muscolo cervello con l'uso da buon manovale e forse è ancora un buon registratore, più fedele di quello attorno a cui sta sudando il compagno in questo momento, una macchina che è solo capace di ripetere a pappagallo. Se avessi riscritto a memoria l'opuscolo del '21 sulla questione agraria come quello che ieri abbiamo commentato con Sperduto avrei detto le stesse cose di quarant'anni fa. Saranno fesserie, ma state sicuri che sono sempre le stesse fesserie. Solo di queste cose si può essere sicuri quando si adopera da buon manovale il muscolo cervello. Il compagno, mentre venivamo in treno, leggeva l'opuscolo e declamava: "Ah, queste cose erano già scritte allora"! Si era eccitato a tal punto che, una volta scesi alla stazione di Milano un viaggiatore si è avvicinato e ha detto: "Quel signore dev'essere un po' strano". Questo perché il compagno leggeva con foga, non intimidito dalla presenza dell'uditorio nello scompartimento, con un effetto retorico di grado superiore, e s'entusiasmava, era fuori di sé, agitava le mani per fare effetto. E quasi quasi succedeva che all'uscita della stazione gli agenti del manicomio lo requisissero e lo portassero via!

Ma a parte gli scherzi, torniamo al nostro argomento. Siamo di fronte a un epistolario compassionevole che ci serve a dimostrazione della nostra tesi: ovvero che se è vero che la storia la fanno gli uomini, non la fanno secondo le loro piccole volontà anche se le credono grandi. La storia distribuisce soltanto alcune pedate nel sedere ai meno importanti dei suoi attori e incidentalmente li catapulta sul palcoscenico. È quel fenomeno di galleggiamento che si riferisce anche a certe sostanze cui alludiamo ogni tanto, quando vogliamo sfottere chi sta ai vertici e crede di fare la storia. Grandi uomini che sono saliti a galla e se ne stanno lì. Naturalmente se la cosa li diverte ci stiano pure, ma non dovrebbero raccontare tante storielle per le quali tra l'altro hanno dovuto spendere una somma enorme e creare addirittura delle case editoriali. Ma oggi quello che conta è la pubblicità, l'utilizzazione del denaro. La speculazione è imperscrutabile. A chi serva tutto questo non si sa. Per quale ragione riesca utile il librone, come sia ricompensato, chi abbia pagato tutto questo è una questione di mercato. Bisogna dire che da questo punto di vista le 12.000 non sono rubate, il prezzo è ben pagato, vedete che razza di stampa, e poi c'è molta roba. Come si siano trovati tutti questi documenti non lo so, il risultato però è quello che abbiamo detto: gli uomini notori, gli uomini che hanno adoperato un mezzo secolo della propria esistenza a salire in alto hanno fatto un'operazione che secondo la teoria marxista è dovuta semplicemente al caso, ad una legge naturale, ad una legge deterministica. Quindi il libro è un primo contributo per raccontare il resto della storia, che non so se la racconterò tutta oggi. (26)

I grandi sembrano tali solo a chi sta in ginocchio

Tireremo ancora fuori, probabilmente, alcuni episodi che abbiamo sfiorato, come quello del manifesto scritto in carcere, il cifrario, il Comitato Esecutivo che si riunisce in assenza dei titolari imprigionati, eccetera. Tireremo fuori anche qualche altro episodio significativo e poi abbandoneremo l'argomento. Per adesso ritorniamo al punto: come si possa stabilire che questa nostra posizione sulla inutilità completa dell'individuo — non solo nel nostro partito, non solo nella rivoluzione proletaria, ma sempre nella storia — è dimostrata ed è un concetto fondamentale di Marx. Se si crede nell'effetto determinante, risolvente che i grandi uomini hanno avuto nelle vicende della storia umana, specialmente quelli che sono più ricordati nei manuali scolastici, non si ha il diritto di chiamarsi marxisti. Non solo quando si tratta dei capi o capitelli del partito comunista e del movimento proletario, ma anche quando si tratta di tutte le figure che la storia ci ha trasmesso. Allora ci preoccupiamo ogni tanto di dimostrare questa nostra affermazione: [lo sviluppo del partito organico passa per] la distruzione dell'individuo, la sua riduzione alla proporzione di quello che è in grado di fare per la storia che l'ha chiamato in causa come suo strumento.

La cosa è fondamentale per la nostra concezione del determinismo e del materialismo. È tanto fondamentale questo concetto quanto quello che il marxista non possa essere un fideista, non possa essere un religioso. E questo lo ha detto Marx. Insomma, credere che il grande uomo sia un fattore determinante di storia è altrettanto umiliante, ridicolo, bestiale e cretino del credere che siamo soggetti a un Capo Supremo che sta nei Cieli. E questo vale sia per la credenza in un proprio capo eroico, giusto e buono, sia per la credenza nel capo dell'avversario vile, farabutto e carogna. Anzi, la religione antica è una forma mistica superiore a quella della moderna soggezione alle gerarchie di classe: in determinate epoche della storia la religione ha indubbiamente rappresentato un fenomeno evolutivamente utile, specie se noi lo guardiamo alla luce del tableau delle Forme che precedono il modo di produzione capitalistico. Quando invece ci troviamo di fronte al bigotto d'oggi che si va a battere il petto di fronte alla Madonna, ai Santi e al Padreterno, è una cosa ben diversa, [così com'è diversa la liturgia delle gerarchie d'oggi rispetto alla funzionalità dell'antica divisione tecnica del lavoro]. E questo non me lo sto inventando, è detto nei nostri testi classici, è enunciato cento e cento volte da Marx e da Engels. E possiamo cominciare a estrarre qualche citazione dai loro lavori che meriterebbero di essere letti testualmente dalla prima all'ultima parola.

Ci sono due lavori che vi tratteggio. Non ve li fornisco io, ve li fornisce il partito. Uno è sulla funzione dell'individuo nella storia; l'altro è un lavoro non meno importante che si collega al nostro argomento sulla funzione del partito nelle epoche sfavorevoli e sulla sua attività. Vedremo ciò che Marx pensava dei periodi di riflusso della lotta proletaria, cioè dei periodi in cui l'energia rivoluzionaria è particolarmente bassa. Vedremo a che cosa si riduce in quel momento il partito, argomento importante per noi in quanto risponde alla domanda sul perché siamo così pochi, perché non riusciamo a rompere il guscio, a fare chiasso, a mettere la testa fuori. Vedremo perché è necessario, inevitabile, che il partito attraversi periodi del genere, e che cosa succede quando li attraversa. Affronteremo insomma l'argomento sulla funzione del partito nelle fasi storiche controrivoluzionarie. (27)

Ci sono dei passi nella Santa famiglia di Marx ed Engels (1845, quindi siamo alle opere giovanili) che meritano di essere commentati. Dice il compagno Roger: (28) il problema dei grandi uomini è legato a quello del comportamento delle grandi masse, dunque è un problema di rapporti fra classe dominante e classe dominata. Esso dura fino a quando le classi non saranno superate. Nella Santa famiglia, scritta 120 anni fa, troviamo la soluzione.

La rivista La rivoluzione di Parigi (29) portava sulla testata la parola d'ordine: "I grandi ci sembrano grandi solamente perché noi siamo in ginocchio: alziamoci!". Dunque, la rivoluzione borghese fa già uno sforzo per liberarsi da questa superstizione del grande uomo. L'ideologia della classe che ci ha preceduto nella lotta storica tenta di registrare con slancio questa esigenza di liberazione anche dal punto di vista giuridico: tutti gli uomini sono eguali dinanzi alla legge. Ovviamente non basta, perché per essere uguali di fronte alla legge bisognerebbe essere uguali di fronte all'economia. A questo però i borghesi non potevano arrivare. Ma era già importante enunciare che il voto di Napoleone valeva quanto il voto del suo lustrascarpe. Voleva dire provocare il primo scossone all'edificio ideologico, incominciare a dimostrare che il grande uomo non si eleva affatto di molti cubiti sulla massa.

Marx come negazione di Hegel

Tuttavia questo traguardo parziale è ancora molto poco. Infatti Marx lo sottolinea: per alzarsi non basta alzarsi solamente nell'immaginazione e lasciar sussistere, "sulle reali teste sensibili, il giogo reale e sensibile che non può essere scosso con l'aiuto delle vuote idee". Non è solo una questione ideale che il piccolo pensi di volersi liberare del grande, che il povero si senta uguale al ricco, che l'ignorante ritenga di essere pari al sapiente. Non basta: bisogna schiacciare la grande testa con un movimento reale, il grande papavero va ridotto a miti consigli opponendogli una opposta concezione della storia e un'azione conseguente. In tutta la Santa famiglia Marx ed Engels scherzano sulla critica-critica e sul rapporto fra spirito e massa. I primi sinistri della storia, quelli della scuola hegeliana, sviluppavano la dottrina idealistica del maestro nel contrapporre dovunque lo spirito dell'uomo coltivato, eletto (che poi faceva parte di quel piccolo gruppo di studiosi versati nei sacri misteri della filosofia), alla massa degli ignoranti, alla massa comune. C'è sempre questa contrapposizione che Marx ed Engels si divertono a ridicolizzare, più che a criticare, con un sarcasmo continuo.

Tempi passati, ma il discorso non è inattuale, perché anche oggi l'esaltazione della massa passa attraverso l'esaltazione dei suoi grandi capi. Chi si chieda "che cos'è questa massa?" si sente rispondere che è una specie di "cosa" creata in un contesto completamente dualistico, fatto di due sostanze diverse: da una parte lo spirito che pervade il condottiero, dall'altra la materia plasmabile della massa. Queste due sostanze non sono state solamente proiettate nel cosmo: sono state introdotte anche nello stesso insieme umano. Una parte dell'umanità sarebbe una quota eletta che rappresenta lo spirito, la critica-critica che avanza; l'altra sarebbe una massa amorfa, gregge di pecore stupide e perciò orientabili, in grado di seguire quanti si arrogano l'autorità di criticarle e disprezzarle. Quindi il gran parlare di masse da parte degli attuali capi, non mostra il loro culto per le moltitudini ma il loro disprezzo. Se ne infischiano dei milioni di uomini sofferenti e sfruttati, cercano solamente di portare in primo piano le proprie figure e di sbrigare i propri affaracci politici non scevri da intrallazzi personali.

Nel trasporre il dualismo spirito-materia al livello eletti-massa si opera una dissimulazione che ha attinenza con la sfera democratica. La mistificazione dell'uguaglianza, specie attraverso il famigerato metodo parlamentare, ha bisogno non solo di grandi uomini ma anche di quel Grande Mediatore fra gli uomini che è lo Stato. Il culto di questa entità superiore praticato dagli attuali capi delle masse non è altro che il completamento "criticamente caricaturale" della concezione della storia di Hegel, la quale, a sua volta, non è altro che la variante speculativa del dogma cristiano-germanico, della opposizione tra spirito e materia, tra Dio e mondo. Questa contrapposizione dell'uomo superiore, del grande uomo, dell'uomo eletto, del pilota della storia, rispetto alla massa beota, non è che una espressione ricorrente della ideologia borghese, che vuole tutti uguali ma davanti alla legge, cioè davanti allo Stato, il quale però è fatto di uomini speciali, anche se in parte scaturiti dal popolo ed eletti dal popolo. Ciò è conforme alla concezione della storia di Hegel e basta di per sé a dimostrare che tale concezione in Marx non è solo il rovescio di quella di Hegel ma ne è la negazione totale. Essendo l'idealismo una espressione caricaturale della realtà, dato che lo spirito e le idee precederebbero la vita reale, esso si riduce a un'altra forma di religione.

Quella che sembrava una battaglia vinta in Francia, come in Inghilterra e in un certo senso anche in Germania prima di Marx, (30) cioè quella contro la costruzione filosofica fideistica che contrapponeva lo spirito alla materia, incontrava nuovi ostacoli. Ciò che sembrava ormai trionfante rinculava. Noi dovevamo lottare contro i borghesi sotto tanti punti di vista, ma sul fatto che dio non fosse più al vertice della società come nel Medioevo, e che i preti non dovessero essere ascoltati, loro ci erano già arrivati. Oggi siamo in una condizione peggiore perché hanno rinculato non solo la borghesia ma anche i sedicenti rappresentanti del proletariato. Ieri qualcuno di voi mi ha fatto vedere una citazione sulle solite attitudini dei russi a proposito dell'esistente, compresa la religione: non è più permesso fare una critica alla religione; non è più permesso irridere alle immagini feticistiche del culto ortodosso [come si faceva con la rozza propaganda ateistica ai primi tempi dello stalinismo]. Ma allora sembrava una conquista già fatta e comunque noi eravamo andati molto oltre all'ateismo della borghesia. Prima di irridere al dogma, bisogna perlomeno arrivare alla sua altezza storica.

[Comunque è parso alla borghesia tedesca, per mezzo di Hegel, di criticare il dogma cattolico romano con la sua variante speculativa, e ciò ha rappresentato un migliore involucro ideologico per il capitalismo]. Ma nella critica marxista è riservato lo stesso trattamento alla ortodossia cattolica e alla riforma evangelica: l'opposizione fra spirito e materia, fra Dio e il mondo, fra idea e realtà rappresenta un'invarianza che va ben al di là della sola religione. Essa permea la società borghese, e nemmeno il fatto scientifico riesce a debellarla. Questa opposizione invariante si esprime in effetti come segno distintivo di una parte specifica della storia, la quale poi non è altro che il racconto dell'universo degli uomini scritto dagli uomini stessi. Come dire che la opposizione individuata idealmente nel mondo naturale complesso, fatto di enti diversificati, cioè di materia definita significativamente "animata" e "inanimata" come nel Medioevo, l'opposizione quindi fra spirito e materia, si esprime in una versione sociale.

[Ovviamente per noi un'opposizione sociale esiste, ma è altra cosa rispetto al dualismo idealistico e metafisico. Per il borghese invece le elucubrazioni sulla versione sociale dell'antitesi, che crede di individuare in natura, prendono in ultima analisi questa forma: alcuni individui eletti, in quanto spirito attivo della storia, fanno fronte al resto dell'umanità, che sarebbe massa priva di spirito, massa-materia, come inanimata, senz'anima. Non crediate che sia un'esagerazione: di fronte alla vastità dell'universo da conoscere, milioni di tonnellate di carta stampata e miliardi di parole stanno veicolando l'idea che non si possa fare altro che occuparsi di ciò che Tizio o Caio hanno fatto o detto, nel "bene" e nel "male". E così facendo, invece di accumulare conoscenza oggettiva si fabbricano opinioni alla scala industriale, opinioni individuali santificate dall'ideologia dominante. Ogni tanto da questo chiacchiericcio, nobilitato dalla minoranza prescelta dalla Storia a rappresentare l'avanguardia del genere umano, emerge un condottiero, un pensatore, un poeta, un filosofo, e la massa lo sta ad ascoltare e lo segue come un gregge di pecore. Salvo poi ripetere l'operazione inversa quando dagli altari il grande uomo viene sbattuto nella polvere. Questa concezione di dividere l'umanità in due parti, una intellettuale ed una materiale, dove la prima rimorchia la seconda, è uno degli aspetti del capovolgimento ideale del mondo, quello stesso mondo che occorre rovesciare, mettere saldamente sui piedi invece che in bilico sulla testa. Tra l'altro è la massa cosiddetta amorfa che mantiene il mondo dello spirito, e questo la dice lunga sulla concezione della natura secondo la quale prima viene la creazione (da parte di un dio o di un qualche genio fondatore) e poi le conseguenze, cioè il guadagnare il pane col sudore della fronte]. (31)

La concezione hegeliana della storia presuppone uno spirito astratto, assoluto, che si sviluppa sulla base di una umanità divisa fra una parte cosciente e una incosciente il cui incontro è nello Stato. Al segno della storia empirica ed essoterica, cioè manifesta, bisogna dunque far precedere quello della storia speculativa esoterica. Come leggere questa cosa ed esprimerla senza il ricorso al linguaggio iniziatico? La storia dell'umanità si trasforma nella storia dello spirito astratto dall'umanità, e l'uomo reale sparisce di fronte a due storie: una, esplicita, che vale per tutti; un'altra, segreta, trasmessa attraverso menti speculative eccelse che hanno rappresentato la filosofia nel corso della storia e che hanno ispirato le svolte del corso umano. E queste svolte sarebbero avvenute solo perché le concezioni filosofiche dominanti sarebbero state deterministe o indeterministe, causaliste o fataliste, continuiste o discretiste, ecc. ecc.; col corollario naturalmente dei grandi condottieri che non ci capivano niente ma sapendo combattere davano una mano a far vincere l'una o l'altra schiera. Ora, noi non apparteniamo alle schiere che si sono succedute fino al giorno d'oggi. Il marxismo è l'antitesi di ciò che l'umanità ha conosciuto nel passato e riflette nel presente. La fisica moderna ha dovuto ammettere che se non c'è dualismo fra massa ed energia, fra spazio e tempo, fra gravità e moto inerziale, non c'è nemmeno dualismo fra pensiero e materia, fra animato e inanimato. (32)

I sacerdoti della scienza d'oggi

La concezione materialistica della storia non è un nuovo dogma cui sottostare, ma è un passo necessario sulla strada della conoscenza. Noi cerchiamo di capire il mondo a prescindere dal fatto che si creda l'abbia creato un dio in grado di trasfondere il suo spirito nella materia, e perciò in grado di dichiarare per l'eternità che vi è un mondo inanimato e uno animato e che su quest'ultimo regna un bipede particolare. Allo stesso modo cerchiamo di prescindere dalla funzione di ognuno di questi bipedi e ne collochiamo l'insieme nell'ambiente, in un processo evolutivo o rivoluzionario.

È una concezione, quella marxista, che non solo conferma ciò che andiamo dicendo in particolare sul grande uomo come fattore di storia, ma nega in generale ogni teoria che ricorra allo spirito per spiegare gli eventi. Ne abbiamo abbastanza di entità che sorvolano la specie umana, la sovrastano, la presiedono, la indirizzano rimanendo incompatibili con la prova scientifica, rimanendo cioè in una sfera esoterica, fatta di solo pensiero, segreta, rivelata solo ad un piccolo nucleo di iniziati come avveniva nelle antichissime religioni. Ogni concezione di tal fatta richiama la nostra critica, il nostro disprezzo! E quando ci appelliamo a una concezione scientifica non ci riferiamo alla cosiddetta scienza di oggi. Essa non è per nulla esente dalla metafisica, nemmeno la tecnologia modernissima lo è. Come la filosofia, la religione e l'idealismo, scienza e tecnologia sono un affare di pochi privilegiati, i quali non solo utilizzano linguaggi esoterici ma ovviamente ne ricavano cattedre, stipendi, brevetti, profitti. (33)

Dal punto di vista di classe noi risolviamo facilmente la questione. Come ha giustamente scritto Roger, (34) le fasi storiche dell'umanità si distinguono le une dalle altre perché sono divise da fratture rivoluzionarie prodotte dallo scontro fra modi di produzione. In ultima analisi fratture prodotte dalla soluzione della lotta fra la classe dominante e la classe dominata. Sono state sempre le classi dominanti ad avere un interesse affinché la massa passiva subisse la loro ideologia, veicolata come la religione, cioè prodotta come da "spiriti" giunti dall'alto. Specialmente la borghesia, costituita destramente in classe dominante con i suoi interessi di sfruttamento e di privilegio, ha sottomesso la società come nessuna altra classe aveva mai fatto. I soggetti della borghesia non appartenevano all'élite della società feudale. Erano più ignoranti dei servi della gleba contadini e degli artigiani, che avevano ancora un rapporto diretto con i loro mezzi di produzione. Non parliamo degli schiavi antichi, che specie a Roma, erano spesso depositari delle conoscenze di allora. Persino l'operaio salariato ha sempre avuto un bagaglio di conoscenze trasmessogli dal ciclo produttivo. La borghesia fu potente, anche se disprezzata dal vecchio regime, perché si avvaleva del privilegio economico. E, a dispetto dell'illuminismo e dell'Enciclopedia, è avvenuta una specie di combutta fra questo privilegio, che derivava dal far lavorare come bestie gran parte dell'umanità, e quello dell'ispirazione segreta, religiosa, filosofica o scientifica, fino all'epoca moderna, nella quale prevalgono più che mai le gonfiature colossali di un preteso sapere scientifico che non allevia di un atomo la condizione umana.

Ecco perché abbiamo sempre detto, scritto e ripetuto che la stessa funzione svolta dalle conventicole di monaci e preti nelle società antiche, la svolgono le attuali conventicole di scienziati, professori universitari e accademici vari. Sulla base di un preciso modo di produzione che tende ad essere totalizzante, esse rappresentano la contrapposizione altrettanto totale fra una élite di uomini scelti e l'insieme della massa che a questo punto non può che essere calpestata o ribellarsi, senza sfumature. Quindi nella stessa misura in cui non era più accettabile lo schema ideologico secondo cui un dio guardava al tugurio del povero e al palazzo del signore con lo stesso intendimento protettivo… per l'aldilà, non è accettabile l'altro schema di classe secondo cui il governante, il filosofo, il filantropo o l'utopista escogitano sistemi di cui possono beneficiare al tempo stesso l'appartenente alle classi dirigenti e privilegiate e l'appartenente alla classi diseredate. E, come abbiamo visto, la stessa bestialità si ritrova nello schema insensato secondo cui esiste una scienza che vale per tutti i tempi e tutte le classi, che cammina da che l'umanità è sorta, una manifestazione del sapere universale cui dobbiamo di volta in volta attingere, come può fare tanto il partito borghese quanto il partito proletario. Se è vero che fino a quest'epoca l'umanità ha prodotto una scienza unica, riassunta dal suo livello più alto, quello borghese, è ancora più vero che tale scienza non si deve leggere con gli occhi delle società passate ma con quelli della società futura.

La pestilenza intellettuale

[Ciò è possibile e l'umanità ci ha provato più volte, producendo eresie di ogni tipo. Già in pieno Medioevo vi fu chi mise in dubbio certezze dogmatiche, cercando di unire ragione e teologia. Non sempre finì bruciato, anche se un Galileo rischiò grosso quando era già finito anche il Rinascimento. Dunque fa parte del percorso il rivolgersi a un dio del cielo per risolvere i problemi della terra; o rivolgersi al grande uomo sapiente, ispirato e caritatevole per risolvere i problemi degli scontri, della lotta che si svolge al livello della grande massa; o rivolgersi alla scienza, alle università, alle biblioteche, ai laboratori per cercare di alleviare la fatica quotidiana. C'è una certa invarianza che bisogna capire per sapere quale ente potrà sorgere nella prossima rivoluzione, un ente che dovrà spezzare la serie appena descritta, perché rappresenterà la fine degli schemi di classe. Ogni movimento rivoluzionario si è dovuto ribellare agli schemi precedenti. Abbiamo visto che la stessa borghesia, quando è diventata rivoluzionaria, s'è ribellata e ha scritto in testa al proprio manifesto: "Questi uomini sembrano grandi perché siamo in ginocchio dinanzi a loro, è ora di sollevarsi". E mentre si dedicava a sconfiggere per sempre il signore feudale, si accaniva contro l'odiato prete, radendo al suolo i simboli del suo potere. Oggi il compito è tremendamente più arduo. Il levarsi in piedi non è, come potrebbe sembrare all'anarchico o al rivoluzionario idealista, o al rivoluzionario piccolo borghese, non è un fatto di volontà di fronte alla personificazione di un potere. Posso ghigliottinare un borghese come egli fece con i feudali, ma avrei solamente tolto di mezzo il rappresentante di una classe ormai superflua. Posso sputare in faccia ad un professore universitario e così salire all'altezza della sua laurea, ma egli sarà sempre un'arma nelle mani dei miei sfruttatori, così come lo è l'azienda anonima che mi sfrutta. No, la lotta deve essere condotta diversamente. Essa deve incunearsi nella frattura della società, frattura che si allarga ogni volta che si scatena la lotta fra classi contrapposte]. (35)

Non voglio filosofare di più. Credo di aver reso abbastanza questo concetto. Adesso vorrei discuterlo però da un altro punto di vista, su un piano più modesto. Assodato che gli schemi delle società precedenti non ci servono, bisogna però constatare che al momento attuale la massa è inerte, non avverte la propria forza e, da inginocchiata, non ce la fa ad alzarsi per scagliarsi contro le chiese, le università, le questure, gli eserciti, contro tutti gli stati maggiori della classe borghese, e a trarre dal suo seno lo slancio spontaneo per capovolgere tutta questa società che poggia sulle sue spalle. Non si tratta solo dell'atto ideale, come dice Marx, di qualcuno che stando in ginocchio dinanzi al borghese, al sacerdote, al maestro, si leva in piedi e lo guarda in faccia da pari a pari. Quello non ha niente sulle spalle, mentre noi abbiamo un peso enorme che ci schiaccia al suolo, e potremmo sollevarci solo liberandoci da questo enorme peso. Il peso è quello dell'ideologia dominante, la quale, appunto, ci impedisce di vedere che è possibile liberarci di esso. Siamo di fronte a un paradosso logico: potremmo pensare di liberarci del peso solo se ci liberassimo del peso stesso. La storia si è incaricata di risolvere drasticamente la questione: non possiamo sollevarci se, pure in ginocchio, non buttiamo quell'altro a terra, se non incominciamo a esercitare una violenza distruttrice contro il suo essere fisico, oltre che contro le sue risorse e il suo prestigio ideologico e politico. Ciò significa non permettere che la lotta quotidiana per interessi immediati si affievolisca. Ora, tutto questo è giusto, però non possiamo combattere la teoria del grande uomo appellandoci a qualcuno che trattiamo come tale. D'accordo, l'ha detto Marx, ma questo riferimento mnemonico non deve farci dimenticare il succo di quanto abbiamo appena detto: nessuno di noi penserà che il socialismo non potrebbe esistere se non fosse esistito un Marx, oppure che la situazione attuale della storia europea e mondiale non potrebbe essere tale se non fosse esistito un Lenin. Questo errore non lo faremo, come non faremo quello opposto di chi dice che l'emancipazione dei proletari sarà opera dei proletari stessi. Questa parola d'ordine fu degli anarchici, poi dei sindacalisti rivoluzionari, infine degli operaisti e non è corretta: la società nuova non arriverà per opera di Marx né dei proletari che si auto-emancipano. Essa sta lavorando in sordina e lungo il percorso sceglie i propri strumenti, Marx, Lenin e tutti quelli che servono [corsivo nostro].

Vi sono molti passaggi di Marx che dicono: gli intellettuali sono una peste, per la rivoluzione non servono gli intellettuali. Però i peggiori intellettuali non sono i transfughi della borghesia venuti al proletariato ma sono gli operai che si sono messi a fare gli intellettuali. La rivoluzione ha bisogno dell'operaio che lotti con l'orgoglio della propria condizione e persino della propria ignoranza, che capisca l'importanza della lotta e che non la faccia dipendere dalla cultura. Non è l'ignoranza che frega l'operaio, è quel tanto di cultura borghese che gli ha instillato lo Stato con la sua scuola. Non ha senso dire che accetteremo un capo solo se proviene dalle file operaie, non esiste alcuna garanzia. Anzi, quel fetente di Kruscev a quanto pare era un minatore e prima ancora avremmo tutto l'elenco dei socialdemocratici che hanno impestato la lotta di classe: Ebert faceva il sellaio, Noske era operaio, Scheidemann tipografo, tre fra i peggiori traditori e assassini del proletariato che hanno ordinato alla polizia e all'esercito borghese di sparare sul proletariato in rivolta.

I fantasmi della controrivoluzione

Però si potrebbe dire: il grande uomo sia pure preso a prestito dalla classe borghese, ci può essere utile per smuovere queste benedette masse, per trascinarle all'azione. Permettetemi un esempio, servirà per farmi capire: qualcuno ha detto di pubblicare le opere, i discorsi di Bordiga. Può essere una manovra utile, costui è un personaggio conosciuto, era il capo del PCd'I, aveva incarichi nell'Internazionale. Qualcosa risuona nelle orecchie della massa ed ecco che allora questa si sveglia. Prendete Togliatti. Il Partito Comunista ha successo e con il suo nome ha fatto persino affari. Abbiamo dimostrato che questo signore era un fesso come tanti altri, ma che importa? Guardate come gli operai non credano che lo sia, lo seguano e portino il partito ad avere milioni di iscritti. Ma a quale prezzo? Iscritti alla controrivoluzione! Io voglio sostenere che questo genere di espedienti basati sulla persona è utile solamente alla controrivoluzione e che solo facendone a meno si possono preparare le condizioni per l'ascesa storica del movimento rivoluzionario. E non vale citare l'esempio di quegli uomini che sono morti prima di essere diventati traditori o prima di essere diventati opportunisti. Questo non significa niente perché questi uomini fanno del male più da morti che da vivi. Io dico che Marx e Lenin sono serviti più alla controrivoluzione che alla rivoluzione. Non per responsabilità loro naturalmente.

Essi hanno fatto di tutto per servire alla rivoluzione. Ma il fatto è che oggi sono diventati tutti marxisti, perfino i borghesi. In Italia abbiamo tre partiti marxisti, quello di Saragat, quello di Nenni e quello di Togliatti. Uno più reazionario dell'altro. Sul nome di un uomo sono state caricate tonnellate di fango, molte di più rispetto al numero, seppure enorme, delle tonnellate di merito rivoluzionario che durante la sua vita egli ha prodotto. E per Lenin, non è successa la stessa cosa? Perché l'opportunismo è tanto pericoloso? Perché riesce purtroppo ad utilizzare questa deficienza e questa ottusità, sia pure temporanea, della massa proletaria. Parlandole di rivoluzione, parlandole dell'Ottobre, parlandole della Russia, parlandole di leninismo. Aprite questi giornali che hanno intossicato il proletariato e trovate l'espressione di marxismo, di leninismo ad ogni riga. E non è mica facile andare a convincere l'operaio, voi lo sapete bene, che il marxismo non è quello, ma quello originario. Intanto se ne servono loro. Ne ricavano un sovrapprofitto politico-parlamentare. E siccome la situazione è determinata dallo sviluppo degli avvenimenti, al momento non c'è alternativa.

Dalla nostra esperienza della storia di cinquant'anni, dalla nostra esperienza di corrente e di frazione internazionale ricaviamo non solo che i grandi uomini non fanno la storia, e tanto meno fanno la storia rivoluzionaria, ma che nemmeno ci si può servire del fantoccio, del fantasma del grande uomo per far fare al partito un passo utile avanti. Bisogna che questa esperienza entri nel sangue del proletariato e della scuola marxista rivoluzionaria, affinché non si vada alla ricerca di un altro grande nome con cui si possa fare del chiasso, e non si immagini che così facendo si possa rimediare a inconvenienti storicamente determinati.

Volevo adesso dedicare ancora qualche parola a un passo dell'Antidühring di Engels. Quando deve dare la dimostrazione materialistica del rapporto fra sottostruttura economica e sovrastruttura politica nella determinazione della storia, egli spiega appunto che in questo rapporto non necessita affatto l'intervento del grande uomo. Tutti gli uomini contribuiscono alla formazione di questo rapporto. Non nella stessa misura e nella stessa direzione, ma come risultante delle forze in gioco, come in fisica, per cui l'insieme di quanto si verifica nella sottostruttura economica si riflette nelle manifestazioni della sovrastruttura ideologica e politica. Il gioco di compensazione delle varie accidentalità individuali è tale che il risultato singolo sfugge alla volontà personale e appare come dovuto al caso. Marx dice che l'economia borghese è la scienza del caso, e infatti alla sua anarchia della produzione-distribuzione noi contrapponiamo il piano generale di specie. La mancanza di controllo rispetto alle leggi economiche non è una regola generale. Se le società di classe funzionano in maniera che non le si può controllare, specie il capitalismo, non è sempre stato così. E soprattutto non sarà così la società futura, nella quale l'umanità conoscerà sé stessa. (36)

Questo mi interessa ribadire particolarmente, anche se non voglio esporre troppo a lungo perché il tempo non ci basterebbe. I falsi grandi uomini si possono facilmente deridere quando si credono i motori del mondo, ma noi diciamo che anche gli uomini validi, anche quelli che sono stati veramente dei grandi strumenti della storia e delle rivoluzioni, non sono mai stati fattori, bensì prodotti della storia e delle rivoluzioni.

È noto l'esempio di Napoleone III. Marx nel suo Diciotto Brumaio lo deride chiamandolo Napoleone il piccolo. Prende a prestito l'espressione di Victor Hugo e rincara la dose con Hegel, secondo il quale ogni aspetto della storia si rovescia sempre nella sua parodia. (37) Nella storia dell'Europa di quel tempo la tragica parabola del grande Napoleone ha avuto la sua ripetizione in farsa con il piccolo Napoleone. Marx lancia i suoi feroci sarcasmi contro questa ignobile figura, ma nello stesso tempo ribadisce che gli uomini non fanno la storia secondo la propria volontà, quindi stabilisce in via teoretica che neppure il primo Napoleone era in realtà così grande. Infatti il personaggio si è trovato all'incrocio di varie determinanti per un concorrere di circostanze fortuite. La storia dell'umanità non sarebbe cambiata molto se in un tal giorno il tal luogotenente d'artiglieria non fosse stato comandato a guidare proprio quel reparto di Tolone eccetera eccetera. In guerra se ne sarebbero trovati altri di giovani ufficiali intraprendenti; di uomini con cervello e muscolatura tripla ce ne sono sempre a migliaia, e infatti quando occorrono alla storia questa non ha che l'imbarazzo della scelta e risolve ogni missione. La recente critica borghese sulla storia napoleonica ha ridotto molto la valutazione del compito dell'individuo che nella storia tradizionale classica di cinquanta anni fa sembrava assolutamente decisivo. Perciò non solo Napoleone il ridicolo, ma anche Napoleone il serio ci serve per dimostrare quel che ci interessa. Engels afferma addirittura che se Marx non ci fosse stato, sarebbe sorta lo stesso la teoria, perché era l'epoca storica in cui doveva sorgere e avrebbe trovato un altro ad esprimerla.

Ora io non posso naturalmente leggervi tutte queste cose. Mi limiterò a qualche breve squarcio che ho qui appuntato. Poi tra poco mi darete cinque minuti di riposo e cercheremo di concludere. Perderemo un po' di tempo, però io mi stancherò meno e riuscirò più comprensibile a voi.

Non confondere la causa con l'effetto

[Prendiamo ad esempio la famosa obiezione di Engels sulla tecnica: non è vero che, come dicono gli scienziati ancora oggi, la tecnica dipende dallo stato delle conoscenze umane e quindi dalla scienza. È vero il contrario: è la conoscenza che dipende dallo stato e dai bisogni della tecnica. Quando la società ha bisogno di risolvere problemi tecnici, essa imprime alla scienza un maggiore impulso di quanto non facciano dieci università. Galileo è lì a dimostrarlo: le macchine c'erano, Leonardo ne aveva progettate di meravigliose, però mancava la teoria per costruire macchine ancor più efficienti. Torricelli suo allievo portò avanti le premesse del maestro affinandone gli studi matematici che servirono a costruire lenti migliori, a capire sistemi di corpi complessi, a gettare le basi per l'idrodinamica, scienza a sua volta originata dal bisogno antichissimo di regolamentare le acque per l'agricoltura. Noi sappiamo qualche cosa di razionale sulla termodinamica dopo che abbiamo incominciato a usare la macchina a vapore, e sull'elettricità si possono fare calcoli solo da quando si è scoperta la sua utilizzazione pratica. Non è affatto un caso che le grandi invenzioni moderne come il telefono, la radio, l'aereo e la missilistica abbiano più padri]. (38)

Disgraziatamente, nota Engels, in Germania hanno preso l'abitudine di scrivere la storia delle scienze come se fosse caduta dal cielo. Non sembra che questa sia una prerogativa tedesca e nemmeno ottocentesca. Oggi la storia della scienza spaziale, che noi abbiamo tanto criticato, si scrive con lo stesso tono, come se fosse appunto caduta dal cielo. La massa deve solo rimanere a bocca aperta di fronte alla banalità rivestita di meraviglia per il bip-bip dello Sputnik o perché hanno volato Gagarin e Shepard, ma non deve sapere altro, perché da questo cielo non discende scienza ma propaganda di fronte alla quale tutti devono fare tanto di cappello. Dietro le quinte naturalmente ci sono gli scienziati, quelli che capiscono le formule e le infilano nelle macchine calcolatrici (o forse sono le macchine a capire e non gli scienziati, questo non s'è saputo ancora). E pensare che già Bacone criticava chi della scienza fa meraviglia da circo. (39) Con la scusa del segreto, qualunque balla può essere messa in circolazione e nessuno può controllare facendo due e due quattro. Si deve credere. Si deve credere come al tempo dell'oscurantismo religioso di cui si parlava prima.

Gli uomini fanno la propria storia – dice Engels riprendendo Marx – ma finora essi non si conformano a una volontà collettiva, secondo un piano d'insieme, e ciò perfino nel quadro di una società altamente organizzata. I loro sforzi si distruggono gli uni con gli altri ed è precisamente per questo che regna in tutte le società di classe la necessità completa e manifesta invece di quella libertà che sarebbe possibile con il nostro rovesciamento della prassi. Possiamo trovare le radici del comportamento di una società di classe nelle condizioni economiche e di produzione con cui ha incominciato a muoversi; e in queste condizioni, dominate dal caso, precisare la nostra critica alle teorie del grande uomo.

[È lo stesso procedimento che abbiamo ricordato a proposito della scienza e della tecnica: quando la produzione sociale ha bisogno di una tecnologia, prima la sviluppa e poi la porta a perfezione applicando o scoprendo leggi fisiche, trovando il modo di far calcoli, insomma facendo scienza. Quando la rivoluzione borghese in Francia fu attaccata dalle forze della reazione dinastica, gli "straccioni di Valmy" vinsero contro un nemico superiore come numero e armamento modificando sul campo le vecchie dottrine militari, introducendo la fabbricazione in serie di cannoni spartani ma robusti e con pezzi intercambiabili. Nessuno di loro finì sui libri di storia. Vi finì invece l'ufficialetto corso che ne raccolse l'insegnamento e la gloria. Ma poteva farlo chiunque]. (40)

Se Napoleone fosse stato centrato da una pallottola a Tolone, la storia avrebbe fatto sentire il bisogno di un rimpiazzo, e costui avrebbe raccolto l'insegnamento di Valmy, avrebbe messo a tacere i giacobini e forse — ma ciò non è essenziale — si sarebbe proclamato dittatore, imperatore o nuovo monarca. La storia dimostra che ciò è successo tutte le volte che è stato necessario, non sono mai mancate le figure come Cesare, Cromwell, Napoleone, Mussolini o Stalin. Marx ha dato sistemazione teorica alla concezione materialistica della storia, ma persino gli storici suoi contemporanei dimostrano che l'umanità era sulla strada per ottenere quel risultato. La stessa concezione fu adottata da Morgan (quello famoso citato nella Origine della famiglia, proprietà e dello Stato), altra prova che il tempo era maturo per essa e che doveva necessariamente venire allo scoperto. I moderni teorici borghesi della geopolitica hanno ripreso a modo loro il concetto e così hanno capitolato di fronte al marxismo. (41)

Torniamo a Engels che dice: Marx era inutile. Ora, c'è stato mai un uomo che ha conosciuto maggiormente la potenza dell'intelletto e la grandezza di Marx? Questo era Engels! Ed egli stesso scrive che Marx era inutile! Voglio rincarare la dose: Marx è stato più dannoso che utile e anche Lenin è stato più dannoso che utile, per l'uso che le carogne hanno fatto della loro tradizione e dei loro scritti dopo la loro morte. [Degli "straccioni di Valmy" non ha mai parlato nessuno, ma conosciamo la loro esperienza, il loro valore e soprattutto il fatto che rappresentavano una rivoluzione gigantesca che nessun orgoglioso e potente feudale poteva bloccare. Su Napoleone invece hanno scritto migliaia di libri nei quali si perde il significato del consolidamento della rivoluzione]. Avviene così di ogni altro azzardo, di ogni altro caso, di tutto ciò che nella storia matura per condizioni materiali e viene simboleggiato da un eroe positivo o negativo a seconda di chi lo giudica. La nostra risposta è la deduzione dei fatti politici, ideologici, storici, dalle condizioni economiche materiali in cui versa una data società e soprattutto dalla maturità dello scontro fra le classi.

Per concludere: ammettere che il grande uomo abbia una funzione imprescindibile, ammettere che sia fattore di storia, significa dare partita vinta agli avversari del determinismo, a quelli che contestano la nostra spiegazione materialistica del divenire umano. Dicono i nostri obbiettori: se non ci fosse il tale grande uomo ad aprire con una chiave la porta misteriosa della storia, come si sarebbero svolti gli avvenimenti? Rispondiamo con tutta tranquillità che il segreto sta nella porta, nella serratura e nella chiave, non nel fesso intercambiabile che gira quest'ultima.

Note

(1) Eugenio Reale, ex comunista, condannato nel 1931 a 10 anni di reclusione, ricopre nel dopoguerra diversi incarichi governativi. Ambasciatore in Polonia, è dapprima iscritto al PCI, dal quale si allontana nel 1956 per i fatti d'Ungheria.

(2) Giuseppe Saragat, militante del PSI, ambasciatore a Parigi, fonda il Partito Socialista Democratico Italiano nel 1947. Più volte ministro, è eletto presidente della repubblica nel 1964.

(3) C'è una lettera di Bordiga a Perrone del 19 maggio 1953 in cui si narra di un episodio legato alla firma del Dialogato con Stalin allora in corso di pubblicazione.

(4) In seguito alla repressione della rivolta ungherese del 1956, si produssero nel PCI diverse fratture. Renzo De Felice e Fabrizio Onofri uscirono dal partito fondando la rivista Tempi moderni; Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte fondando Tempo presente; Eugenio Reale fondando Corrispondenza socialista, il periodico già citato da Bordiga nelle pagine precedenti.

(5) Costantino Lazzari, ricordato con simpatia da Bordiga che lo considerava un "autentico proletario marxista", propose di lasciar libere le sezioni del partito sul problema dell'astensionismo anti-parlamentare, ben sapendo che gli operai sarebbero stati per la maggior parte astensionisti.

(6) Ludovico Tarsia, medico. Interventista nel 1914, diventa antimilitarista durante la guerra. Aderisce alla Frazione intransigente comunista e collabora al Soviet, anticipando lucide preoccupazioni a proposito del pericolo opportunista corso dall'Internazionale per via della sua tattica. Partecipa alla costituzione del PCd'I nel 1921 e fa parte del suo Comitato Centrale. Emigra in Brasile a causa del fascismo. Riprende l'attività politica nel secondo dopoguerra, rimanendo a fianco di Bordiga. Collabora a Prometeo. Presenzia a tutte le riunioni generali fino al 1966 e scrive, a 91 anni, l'opuscolo Come si forma il pensiero.

(7) Luigi Polano, iscritto al PSI dal 1914, rappresenta nel 1919 la Federazione Giovanile Socialista alla fondazione dell'Internazionale Giovanile Comunista. Nel 1921 a Livorno passa nel PCd'I con i giovani socialisti quasi al completo. Nel 1922 è direttore de Il Lavoratore di Trieste. Arrestato, emigra in URSS da dove, durante la guerra, trasmette un notiziario radio di controinformazione. Muore nel 1984.

(8) Ruggiero Grieco, socialista dal 1912, amico e collaboratore di Bordiga, aderisce alla Frazione Comunista ed è tra i fondatori del PCd'I nel 1921. Successivamente si avvicina al centrismo e dirige con Togliatti il centro estero del PCI. Dopo il 1945 è nominato commissario per l'epurazione antifascista e rimane nel nuovo partito comunista con vari incarichi.

(9) Luigi Repossi, socialista dal 1910, sindacalista, aderisce alla Frazione Comunista nel 1919 e collabora alla preparazione della scissione del 1921 a partire dal convegno di Imola (1920). È nel Comitato Esecutivo del partito ed è responsabile dei periodici Il sindacato Rosso, La voce comunista e Rassegna Comunista. Pronuncia un celebre quanto rischioso discorso in parlamento dopo l'assassinio di Matteotti. Dopo la guerra svolgerà attività politica saltuaria iscrivendosi infine al PSI.

(10) Bruno Fortichiari, socialista, collabora a L'Avanguardia dall'età di 15 anni. Nel 1914 presenta l'ordine del giorno per l'espulsione di Mussolini. Dal 1920 partecipa al corso politico che porterà alla costituzione del PCd'I nel 1921. Abile organizzatore, cura l'azione illegale contro il fascismo. Nel dopoguerra tenta una riunificazione ecumenica della Sinistra Comunista.

(11) Umberto Terracini, socialista, aderente all'Ordine Nuovo di Torino. Presente al convegno di Imola, partecipa alla costituzione del PCd'I a Livorno nel 1921. Senza aderire alla Sinistra, ne è influenzato e firma nel 1922 con Bordiga le Tesi di Roma, rigettate dall'Internazionale. Dopo la guerra partecipa come vicepresidente all'Assemblea Costituente per poi rimanere nel partito togliattiano.

(12) Il Comunista, settimanale, prima organo della Frazione Comunista del PSI, poi organo centrale del PCd'I. Quotidiano dal 1921 al 1922.

(13) Il "manifesto di Bordiga" è reperibile sul nostro sito Internet.

(14) Giuseppe Dozza, aderisce al PCd'I nel 1921. Incarcerato dal 1923 al 1926, emigra poi in Francia. Partecipa alla lotta partigiana, viene nominato sindaco di Bologna dal CLN, ed è rieletto fino al 1966. Attivissimo come amministratore, promuove un piano urbanistico moderno con decentramento delle industrie e qualificazione delle aree residenziali.

(15) Dozza aveva 22 anni e Bordiga 34.

(16) Camilla Ravera, nel PSI dal 1918, partecipa alla costituzione del PCd'I nel 1921. Nella redazione dell'Ordine Nuovo quotidiano, viene in seguito incaricata di dirigere il periodico La Compagna. Aderisce al centrismo, poi al PCI, ma ne è espulsa con Terracini nel 1943 per aver criticato il patto russo-tedesco del 1939. Vi rientra, fa parte del Comitato Centrale e viene nominata senatore a vita.

(17) Giacinto Menotti Serrati, socialista, molto attivo nell'ultimo decennio dell'800, tanto da accumulare diverse denunce e condanne. Sostituisce Mussolini alla direzione dell'Avanti!, partecipa alle conferenze di Zimmerwald e Kienthal. Appoggia la Rivoluzione d'Ottobre ed è a capo dell'ala socialista "massimalista" che aderirà nel 1924 al PCd'I.

(18) Pietro Nenni, repubblicano, poi socialista, processato per aver partecipato alla "settimana rossa" (1914), aderisce al PSI nel 1921. Segretario generale del PSI dal 1943, è prima favorevole a un fronte unico con il PCI, poi si fa promotore del cosiddetto autonomismo. Partecipa al primo governo Moro nel 1963 come vicepresidente del consiglio. Da ciò deriverà la scissione dell'ala sinistra e la nascita del PSIUP.

(19) Vi sono diversi documenti a questo proposito, il più significativo è "Il pericolo opportunista e l'Internazionale", apparso su L'Unità del 30 settembre 1925.

(20) Frazione del PSI. Fabrizio Maffi, il suo promotore, segue le indicazioni dell'Internazionale Comunista per la fusione fra PCd'I e PSI guidando poi la Commissione creata appositamente al IV Congresso. Bloccata la fusione da parte della maggioranza di sinistra del PCd'I, i terzini entrano nel PCd'I nel 1924.

(21) La discussione si protrasse per i primi mesi del 1924. Gramsci, che aveva sottoscritto le tesi di Mosca sulla "questione italiana", prese giustamente le distanze dal documento per non entrare in contraddizione con sé stesso (per "non fare la figura del pagliaccio", come scrisse a Scoccimarro). Terracini trovò che le critiche di Gramsci al manifesto fossero esagerate.

(22) È difficile capire perché mai Bordiga abbia mantenuto un attaccamento fraterno nei confronti di Gramsci anche se certamente sapeva delle manovre di questi. Come si vede, nemmeno di fronte a documenti che provano le bassezze dell'intrigo egli batte ciglio. Era fatto così, non gl'importava niente dei personalismi.

(23) C'è sicuramente un errore da parte di Bordiga nell'indicazione della data. Essa non è presente nel frammento originale e il curatore la fa risalire (con riserva) al 1922. Se così fosse, ed è verosimile, l'abiura sarebbe assai precoce e risalirebbe significativamente all'anno del II Congresso del partito, quello della discussione a Mosca sulla "questione italiana" e sulla fusione con i socialisti, quello in cui furono redatte le Tesi di Roma rifiutate dall'Internazionale. Da ricordare che a Mosca Gramsci e Scoccimarro facevano parte della maggioranza del partito e quindi della maggioranza della delegazione, cioè erano con Bordiga, anche se votarono contro la risoluzione con cui la maggioranza stessa rifiutava la fusione.

(24) Mauro Scoccimarro, socialista, poi comunista dal 1921. Passato con i centristi, entra nel Comitato Centrale del PCd'I nel 1924 e rappresenta il partito a Mosca. Chiamato "Scocci" da Bordiga, svolge un ruolo poliziesco interno anche dopo la Seconda Guerra Mondiale. La citata lettera di Gramsci a Scoccimarro è del 1° marzo 1924 ed è la stessa col riferimento al triplo lavoro svolto da Bordiga.

(25) Questa lunga parte fra parentesi quadre denota un certo imbarazzo di Bordiga nell'affrontare temi che riguardano sé stesso. Le frasi sono smozzicate e si è resa necessaria la ricostruzione di alcune di esse. Ad esempio quella sul "dimenamento" risulterebbe del tutto incomprensibile senza l'aggiunta delle dattilografe, dettaglio ricavato da una lettera cifrata di Bordiga alla delegazione italiana a Mosca, 6 agosto 1922, che termina ironicamente così: "Saluti comunisti, e scusate lo stile dovuto al fatto che in questi giorni abbiamo per le mani certi c... e probabilmente ben diversi da quelli di cui costà fassi larghissimo impiego". E il 25 agosto: "Vi è un proverbio napoletano che merita di essere la divisa dei comunisti: 'chi vò filà fila co' spruoccolo'. Fatelo tradurre dalla competente sezione del Comintern, avvalendovi di due dattilografe, quattro stenografe e cinque traduttrici".

(26) Come anticipato all'apertura dei lavori, nel programma della riunione in corso, a questa relazione ne segue un'altra sulla storia della Sinistra Comunista che abbiamo già trascritto e che pubblicheremo in uno dei prossimi numeri della rivista. Anch'essa, nella sua forma parlata, è inedita e contiene ancora più informazione di questa, sia dal punto di vista storico che da quello emotivo.

(27) Cfr. le Considerazioni ecc. del 1965.

(28) Roger Dangeville, collaboratore di Maximilien Rubel nei primi anni '50, aderisce al PCInt. nel 1956 fornendo al lavoro comune notevoli contributi. Abbandona il partito nel 1966 a causa di divergenze con una parte di esso ma rivendicando il decennale lavoro svolto con Bordiga.

(29) Settimanale uscito a Parigi dal 1789 al 1794.

(30) Cioè con Feuerbach.

(31) L'intero paragrafo è assai risistemato a causa di lacune, ripetizioni, incisi senza chiusura, ecc. Siccome l'argomento è analogo a quello affrontato nelle tre riunioni sulla "teoria della conoscenza" (cfr. questa rivista numero doppio 15-16), la sistemazione di tutta questa parte vi si riferisce fedelmente.

(32) Cfr. "Relatività e determinismo", Il programma comunista n. 9 del 1955.

(33) L'intero mondo scientifico odierno si dibatte disperatamente proprio in una dicotomia al momento insanabile tra mondo macroscopico, relativistico-continuo, e mondo microscopico delle particelle, quantistico-discreto. D'altra parte la fisica è giunta a un modello standard, al momento non confutato seriamente, che contempla il Big Bang, cioè una specie di creazione dell'Universo.

(34) Roger Dangeville aveva lavorato alla successione storica delle varie forme sociali a partire dal 1957. Tale testo fu in seguito ampliato e pubblicato in volume dal gruppo di lavoro "Il filo del tempo" nel 1980 (edizioni 19/75).

(35) Questo paragrafo nell'originale è un riassunto di cose già dette, riproposte prima di passare alla parte successiva. Abbiamo distillato le frasi salienti, pur mantenendo qualche ripetizione, e le abbiamo collegate fra loro sviluppandone il contenuto con il consueto criterio filologico. L'evidente allusione al partito rivoluzionario, pur non nominato, è così nell'originale.

(36) Le affermazioni sul "caso" contenute in questo paragrafo non hanno nulla a che fare con le teorie indeterministiche: come d'altra parte si evince dal contesto, sia Marx che Bordiga intendono semplicemente stigmatizzare l'impossibilità di controllo, nel capitalismo, delle leggi economiche, a causa della contraddizione insopprimibile fra produzione sociale e appropriazione privata.

(37) Proprio nella prima pagina del Diciotto Brumaio Marx, citando Hegel, dice che i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano due volte. E glossa: sì, ma Hegel s'è dimenticato di aggiungere che la prima volta si presentano come tragedia, la seconda come farsa. Subito dopo troviamo la celebre proposizione: "Gli uomini fanno la propria storia ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione. La tradizione di tutte le generazioni scomparse pesa come un incubo sul cervello dei viventi, e proprio quando sembra che essi lavorino a trasformare sé stessi e le cose, a creare ciò che non è mai esistito, proprio in tali epoche di crisi rivoluzionaria essi evocano con angoscia gli spiriti del passato".

(38) Questa parte, molto confusa nel nastro, ha richiesto un notevole intervento di ricostruzione della sintassi e del significato.

(39) Francis Bacon, La nuova Atlantide, 1627.

(40) Proposizioni di questo tipo sarebbero da maneggiare più cautamente di come fa Bordiga nella foga dell'esposizione verbale. È vero in generale che i movimenti molecolari prescindono dal comportamento di ogni singola molecola e sono trattabili come insiemi prevedibili attraverso il metodo statistico; ma questo non è più vero quando dagli insiemi globali si passa a quelli locali perché essi non sono compatibili. C'è un problema di "tipi logici" ed esso traspare dalla stessa esposizione che abbiamo sotto agli occhi: ogni molecola dell'insieme militare di Valmy contribuiva al risultato in modo stocastico, prevedibile, poco passibile di perturbazione da parte di eventi singoli; la scomparsa della molecola "Napoleone", una volta distintasi a Tolone e soprattutto in seguito, avrebbe invece dato luogo ad una catena causale specifica, con relative biforcazioni ed esiti non prevedibili (nelle questioni sociali le interazioni locali rendono il sistema osservato particolarmente non-lineare). Tutto ciò non toglie nulla al determinismo, esso va solo ponderato molto più attentamente di quanto non si faccia nel linguaggio di tutti i giorni.

(41) Il tema della geopolitica e delle sue determinazioni materiali è affrontato nell'articolo "Il pianeta è piccolo", del 1950 (serie "Sul filo del tempo", Battaglia Comunista" n. 23 del 1950). La medesima osservazione si può fare a proposito degli storici Lucien Febvre e Fernand Braudel, i maggiori esponenti di quella che essi stessi chiamarono "geostoria", espressione ripresa dapprima in Francia nell'ambito del lavoro del PCInt. e poi generalizzata agli altri paesi.

Letture consigliate

I testi contrassegnati dall'asterisco sono tutti reperibili sul nostro sito nella sezione "Archivio storico".

  • Gli intellettuali e il marxismo, Battaglia comunista n. 18, 1949.*
  • La dottrina dell'energumeno, Battaglia comunista n. 19, 1949.*
  • Marxismo e persona umana, Battaglia comunista n. 34, 1949.*
  • Avanti, barbari!, Battaglia comunista n. 22, 1951.*
  • Il battilocchio nella storia, Il programma comunista, n. 7, 1953.*
  • Superuomo, ammòsciati!, Il programma comunista, n. 8, 1953.*
  • Fantasime carlailiane, Il programma comunista, n. 9, 1953.*
  • Plaidoyer pour Staline, Il programma comunista, n. 14, 1956.*
  • La Sinistra Comunista e il Comitato d'Intesa, (1925, antologia di testi sul tentativo di liquidare la maggioranza del PCd'I), Quaderni di n+1, pag. 458, 1996.
  • Storia della Sinistra Comunista, voll. III e IV, dal 1920 al 1922, edizioni Il programma comunista, 1986 e 1997.
  • Il processo ai comunisti italiani – 1923, Libreria editrice del PCd'I, 1924, reprint Feltrinelli, senza indicazione di data.
  • "Lenin nel cammino della rivoluzione (La funzione del capo)", conferenza, Prometeo n. 3 del 1924.*

Rivista n. 29