Perché il marxismo non ha più il successo di una volta?

A Denver, una delle cento città americane in cui è presente il movimento Occupy Wall Street, Michael Moore è stato zittito perché s'era atteggiato a capetto. Nella stessa occasione l'assemblea ha eletto un cane come proprio leader. Roberto Saviano, invitato a parlare a New York, ha sollevato critiche perché s'è rivolto ai manifestanti con distacco: "Iovoi… il vostro futuro… dovete far questo e quello… il mondo vi ascolta...". A Zuccotti Park fin dall'inizio sono stati rimossi i cartelli con i simboli anarchici e comunisti. Sembra che oggi ci sia non solo voglia di rimuovere i vecchi concetti di organizzazione e leadership, quello che nella prassi chiamavamo "partito" e "avanguardia", ma anche ogni riferimento alla divisione in classi. Il simbolo"Siamo il 99%" è molto potente e più unificante di falce e martello, ma è indubbiamente interclassista. Tuttavia non è solo una questione di pratica "inclusiva", come dicono gli americani: è fin troppo evidente che da molti anni il marxismo è decisamente in declino, anche se i librai dicono che sono in aumento le vendite dei libri di Marx. Eppure negli anni '20 del secolo scorso e anche nel dopoguerra, fino al Sessantotto e oltre, milioni di persone avevano il marxismo come riferimento politico. È possibile che il fenomeno sia in gran parte dovuto alla mistificazione stalinista, per cui il nostro avversario ha avuto buon gioco nel definire "comunismo" il feroce capitalismo russo, ma sono passati troppi anni dal crollo del Muro per credere che lo stalinismo spieghi ancora la persistente diffidenza verso il comunismo. Il grande movimento in corso ha estensione mondiale, ma senza una teoria della trasformazione, un'organizzazione politica e una tattica da applicare non può che spegnersi.

 

È una questione che in modo diretto o indiretto viene riproposta con una certa frequenza. Nella teoria marxista della dinamica sociale e in quella matematica delle reti, i "legami forti" (all'interno dei nodi) e i "legami deboli" (fra nodi collegati) comunicano sempre in doppia direzione. Chi fosse qualitativamente avvantaggiato dall'appartenenza a un nodo storico molto forte (e ogni marxista ha indubbiamente un retroterra di questo tipo), non potrà far parte di alcuno sviluppo quantitativo senza collegarsi ad altri nodi attraverso i legami deboli. L'espansione di ogni sistema a rete può solo avvenire tramite questa interazione. La teoria del partito e del suo sviluppo si basa sulla premessa che vi sia una classe proletaria numerosa, che all'interno della società si polarizzino gli individui intorno a programmi antitetici, che si formino organismi per il coordinamento della lotta immediata, che tutti questi elementi portino alla maturazione di una "coscienza storica" in grado di "rovesciare la prassi", cioè di influire sugli avvenimenti per indirizzarli verso uno scopo. Questa coscienza storica per i marxisti è rappresentata dal partito.

Sorvoliamo per un momento sulle differenti concezioni intorno al partito e diamo per scontato che questo non sia uno fra i tanti, con i suoi iscritti, congressi, deputati, ecc. ma sia il vero anticipatore della società futura. La questione del presunto declino del marxismo e della possibilità di sviluppo rivoluzionario è talmente importante e vasta che occorre procurarsi strumenti sufficienti, prima ancora che per rispondere, per formulare la domanda. Partiamo da una definizione sintetica, ricorrente ma sbagliata: "il marxismo è una scienza". Con lo stesso criterio dovremmo dire: "il galileismo, il newtonismo, l'einsteinismo sono una scienza". Il mondo intero ha dovuto fare i conti sia con Marx che con Galileo: dopo le scoperte di fatto e di metodo dei due giganti, il mondo nanerottolo ha dovuto salire modestamente sulle loro spalle se ha voluto vedere più lontano.

Però un momento: mentre nessuno, neppure il Papa, mette più in discussione i risultati di Galileo, quelli di Marx non solo sono stati messi in discussione di continuo, ma rischiano di venir dimenticati, ignorati. Eppure hanno materialmente sconvolto il mondo non meno degli altri, tanto che la borghesia è costretta ad adoperare alcune categorie marxiste, capitolando ideologicamente di fronte al suo avversario. Di certo Marx non raccoglie molti proseliti all'altezza della sua teoria. Si potrebbe dire: un conto è la scienza fisica, un altro è la scienza sociale. Quest'ultima produce più "opinione" che verifica sperimentale. Il ragionamento ha qualche difetto: la teoria di Darwin riguarda il mondo fisico-biologico ma ha scatenato ugualmente guerre d'opinione. Comunque anche l'evoluzionismo è ormai vittorioso, persino i cattolici lo accettano come "disegno di Dio".

Ecco che la riformulazione della domanda, per quanto imperfetta, ci ha permesso di arrivare alla risposta giusta: non è corretto dire che il "marxismo" è una scienza; Marx, piuttosto, si è avvalso del metodo scientifico per svelare le leggi che regolano il mondo sociale. Egli stesso dice che Darwin ha fatto un lavoro analogo. Galileo, Einstein, Lenin, tutti i matematici e fisici, magari antimarxisti, che ci spiegano la teoria delle catastrofi o la fisica della storia hanno lavorato o lavorano per la rivoluzione. Da questo punto di vista non sembra che il "marxismo" sia in declino. Persino inconsapevoli economisti hanno deciso di misurare il PIL secondo la legge marxiana del valore affinché ogni calcolo sia fatto alla stessa maniera in ogni nazione e il risultato sia confrontabile. Il marxismo ha presentato un fallimento storico perché... è diventato marxismo, cioè una specie di religione, un'opinione generalizzata che produce contro-opinione altrettanto generalizzata. La grandezza della nostra corrente sta in questo: l'aver aperto la strada a una demolizione radicale della religione marxista. Si sa che Marx disse di non essere marxista. È almeno da quel momento che si poteva sapere come proseguire.

Perché dunque la teoria rivoluzionaria non ha più i milioni di seguaci (in sintonia o meno con essa) che aveva una volta? Perché non ne ha almeno un numero maggiore di quello attuale che si avvicina allo zero? In realtà la teoria rivoluzionaria ha milioni e milioni di seguaci, infiltrati ovunque, in ogni classe. Ma che se ne fanno di una religione in più? È di un partito che hanno bisogno. Allora "facciamo il partito", propone qualcuno. Ma anche questo punto è ormai risolto per sempre: i milioni di cui sopra sono come l'energia, che può essere potenziale o cinetica; il partito potenziale c'è già, quel che occorre è un movimento sociale che permetta la trasformazione del potenziale in cinetico. Da partito storico a partito formale. Tale movimento non si può "creare", ma se tutti coloro che si identificano nel programma suddetto hanno la possibilità di aggregarsi in un lavoro comune, allora non si crea nulla, si partecipa "semplicemente" a un divenire storico che – rapporti di forza permettendo – si potrà assecondare, amplificare, applicando quel rovesciamento della prassi che caratterizza in modo "frattale" il partito della rivoluzione, dal livello microscopico a quello delle grandi svolte storiche.

Stiamo vivendo un'epoca di grande trasformazione e i vari movimenti che da questa primavera scuotono gran parte del mondo sono un sintomo gravido di sviluppi. Come abbiamo cercato di mostrare su questa rivista, il nostro pianeta non è mai stato così vicino a un rivolgimento pari soltanto a quello che vide il passaggio dal comunismo originario alle società organizzate in classi. E questo non perché ci siano degli uomini in moto dietro delle ideologie, anzi; ma perché l'intera struttura del sistema capitalistico non regge più alla sua stessa pressione. Ci sembra ovvio concludere con l'augurio: è morto il marxismo (finalmente), viva la rivoluzione che sta mettendo in moto non più coloro che si aggrappavano alle rivoluzioni passate ma chi incomincia ad avvertire puzza di stantìo nell'ambiente che esse stesse hanno prodotto e che poi la controrivoluzione ha fatto degenerare. Tutto il bagaglio concettuale e persino lessicale del "marxismo" fa parte di una rivoluzione addietro, quando non di due. È infatti un misto di illuminismo settecentesco (progresso, democrazia e... "libertè, égalité, fraternité") e di bolscevizzazione staliniana. Fallito il primo, grande tentativo rivoluzionario comunista, la nostra corrente vide persino nello stalinismo una positiva continuazione della rivoluzione borghese in Russia e in Cina. Quello che sta succedendo oggi, che coinvolge ormai milioni di persone, stanche del capitalismo anche se non lo dicono con i termini della rivoluzione passata, non è un distacco dalla teoria rivoluzionaria, anzi, ne è l'affermazione.

Rivista n. 30