Controtendenza alla caduta del saggio di profitto in Germania

Il governo di Berlino sta sbandierando ai quattro venti, un po' come monito all'Europa, i propri risultati economici, soprattutto per quanto riguarda la piena occupazione. E al di fuori della Germania molti si aggrappano a questo successo per trarne linee guida politiche in positivo o in negativo (facciamo come i tedeschi; no, abbandoniamo l'Euro rifiutando il diktat tedesco). Ma siamo sicuri che sia tutto oro quello che viene fatto luccicare sugli opposti versanti?

Nel 1945 la Germania si trovò con 7 milioni di abitanti in meno rispetto ai 78 milioni che aveva nel 1939. Erano stati uccisi in guerra 4,5 milioni di soldati e 2,5 milioni di civili. Non stupisce, quindi, che fino ai primi anni '60 del secolo scorso vi fosse la piena occupazione: letteralmente, cioè non nel senso economico per cui è considerata "piena occupazione" una disoccupazione "fisiologica" del 5%. Anche l'Unione Sovietica ebbe la popolazione decimata (20 milioni di morti) e una disoccupazione inesistente nel dopoguerra. Entrambi i paesi, tenendo conto dei differenti gradi di sviluppo, fecero un enorme balzo economico e, nel giro di pochissimi anni non solo poterono effettuare la ricostruzione di ciò che era andato distrutto, ma conobbero un'accumulazione capitalistica superiore a qualsiasi altro paese.

Questo "miracolo economico" dipese totalmente da uno sfruttamento inusitato della forza-lavoro. In primo luogo a causa di una diminuita composizione organica del Capitale: la vasta distruzione degli impianti industriali e addirittura – per quanto riguarda la Germania – lo smantellamento a guerra finita da parte dei vincitori, aveva obbligato i tedeschi a fare un passo indietro nell'evoluzione dell'industrialismo, cioè a ricorrere più a uomini che a macchine. Questa per Marx è una controtendenza fondamentale alla legge della caduta del saggio di profitto. Detto in altri termini, dagli operai veniva mediamente ricavato plusvalore assoluto invece che relativo, occupandone di più e facendoli lavorare più a lungo e più intensamente con poco anticipo di capitale-macchine. In secondo luogo, dato che gli uomini in età di lavoro erano caduti in gran numero durante la guerra, la manodopera fu in buona parte femminile, quindi pagata di meno, anche se molto più efficiente di quella maschile nei lavori a catena di montaggio. Tutto ciò si scrive con una formuletta elementare: S = p/(c+v), cioè: saggio di profitto = plusvalore diviso (capitale costante + salario). Si capisce subito che essendo le macchine e il salario al denominatore, diminuendone il valore sale il saggio di profitto.

Al culmine della ricostruzione, a 15 anni dalla fine della guerra, la Germania si trovò con una disoccupazione a zero, un parco macchine nuovo e moderno, una popolazione giovane e preparata, un saggio di sfruttamento altissimo e una robusta base di capitale accumulato. Situazione che permise un innalzamento dei salari paragonabile soltanto a quello degli Stati Uniti e quindi un ciclo di consumi virtuoso, a sua volta motore di sviluppo. A questo punto il bisogno di sbocchi di mercato orientò la produzione verso l'esportazione (e ovviamente un grado altissimo di corruzione materiale e ideologica del proletariato).

Abbiamo citato il ciclo postbellico perché abbiamo sotto agli occhi un sistema produttivo che, di fronte a una crisi strutturale cui non corrisponde una reazione di classe, si dimostra in grado di autolimitarsi e di tornare indietro di mezzo secolo, a epoche in cui era preponderante l'estrazione di plusvalore assoluto dall'operaio invece che di plusvalore relativo. Questa autolimitazione è iniziata una quindicina di anni fa, quando furono intaccate, per la prima volta seriamente, le basi del welfare tedesco, che significava soprattutto sussidi ai disoccupati (ormai all'8%), assistenza ai disagiati, sanità, pensionamenti, ma anche una co-determinazione (Mitbestimmung) diffusa che andava dalla produzione di fabbrica alla responsabilità sociale dei cittadini. Alla fine degli anni '90 già c'erano state avvisaglie: in occasione dei preparativi per l'Expo 2000, era stato varato un piano di lavori pubblici insieme a una campagna di reclutamento di forza-lavoro disoccupata a basso prezzo. I cantieri pullulavano di manodopera sottopagata che sostituiva macchine, e i media incominciavano a martellare l'opinione pubblica sulla vergogna del sussidio a giovani forti e robusti in grado di lavorare se solo lo avessero voluto.

La famigerata legge Hartz fece il resto: giunta oggi alla quarta fase prevista dal progetto iniziale, elimina ogni residua discrezionalità ai disoccupati che ancora volessero lavorare ma non a condizioni schiavistiche. Sette milioni di persone sono state costrette ad accettare minilavori per 4 o 500 euro al mese. In un paese dove occupati e disoccupati rappresentano il 52% della popolazione (in Italia il 41%), far lavorare tutti i disoccupati a prezzi stracciati significa limitare drasticamente la composizione organica del Capitale, quindi gli effetti sociali della crisi. Ne risente ovviamente la produttività. In Italia gli occupati sono 22,5 milioni e producono un valore totale di 1.863 miliardi di dollari. In Germania sono 42 milioni e producono valore per 3.250 miliardi di dollari. Vuol dire che ogni occupato italiano produce valore per 82.800 dollari, mentre ogni occupato tedesco ne produce solo 77.300. Incredibile, vero? Ma i dati sono quelli reali (fonte CIA Factbook), non quelli della leggenda, vanto teutonico e spauracchio per i concorrenti. Un paese è tanto più maturo quanto più libera forza-lavoro, quanto più eleva la composizione organica del capitale aumentando lo sfruttamento attraverso l'estrazione di plusvalore relativo dai suoi operai. Dunque la Germania, secondo i parametri di Marx, è un paese che decide di ritornare giovane, per non dire arretrato. La grande capacità produttiva, la qualità delle sue esportazioni e soprattutto la meticolosa organizzazione sociale producono questo ibrido moderno capace di ringiovanirsi abbassando il rendimento della propria accumulazione.

Quanto potrà durare? Sicuramente poco. Non è mai esistito un paese che volontariamente sfrutti le "cause antagonistiche alla caduta tendenziale del saggio di profitto". La Germania, per quanto efficiente, non è sola sul mercato. I suoi concorrenti diretti sono, in ordine di anzianità, Italia, Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e Giappone. Si affaccia la Cina quando già lo scenario imperialistico è super-saturo. Si possono schiavizzare temporaneamente sette milioni di persone, ma il mercato chiederà di sacrificare tutti i 44 milioni di occupati, come sta succedendo ovunque. Se il capitalismo tedesco è ben organizzato, lo sono automaticamente anche i proletari tedeschi, pur non sapendo al momento come utilizzare questo potenziale.

Rivista n. 34