Siria

La cosiddetta primavera araba partita dalla Tunisia non poteva evitare di coinvolgere la Siria; e del resto, nella zona, ha coinvolto anche l'Iran e la Turchia, le cui popolazioni arabe non sono. Dopo un primo momento in cui il governo siriano ha potuto scaricare la tensione sui "terroristi", e ancor più sui "complotti stranieri" all'inizio inesistenti o perlomeno ininfluenti, la violentissima repressione interna ha fatto sì che terroristi e complottisti si siano effettivamente introdotti nel paese affiancando i rivoltosi antigovernativi senza peraltro fondersi con essi. Ciò ha provocato la più confusa situazione di tutto il Medio Oriente, inchiodando le varie forze al loro ruolo, voluto o meno.

I governativi non possono fare a meno di reprimere le forze ribelli. Primo, perché, in quanto minoranza alawita, l'hanno sempre fatto, e duramente, contro la maggioranza sunnita. Secondo, perché sanno benissimo che una vittoria degli insorti significherebbe consegnare la Siria ai fondamentalisti sunniti, compresi quelli di Al Qaida, sostenuti dalle monarchie del Golfo.

I complottisti stranieri, da quelli americani a quelli israeliani passando da quelli francesi e inglesi, non possono più fare a meno di appoggiare gli insorti non fondamentalisti, ma nello stesso tempo non possono far cadere il governo siriano perché, appunto, i fondamentalisti avrebbero la meglio. In questa situazione di stallo, gli Stati Uniti, dopo aver minacciato l'intervento militare, hanno preferito lasciare al governo di Damasco il lavoro sporco della repressione contro questi ultimi, aiutando nel frattempo le forze antigovernative non fondamentaliste in modo da impedire la vittoria di entrambe le parti.

Gli insorti non possono più fare a meno di combattere perché non essendo riusciti a conquistare un'autonomia militare e logistica, sono ormai carne da macello utilizzata sia dai complottisti stranieri, sia dai fondamentalisti, per cui, in caso di sconfitta, sarebbero completamente vulnerabili, abbandonati al loro destino dalle potenze occidentali e sotto attacco da parte dei russi e degli iraniani oltre che delle truppe governative.

In questa situazione intricatissima, che è possibile tratteggiare solo a sommi capi, ogni rottura degli equilibri esistenti potrebbe avere ripercussioni catastrofiche. È infatti evidente che la Siria è diventato un punto focale su cui convergono interessi strategici che vanno ben al di là dei singoli gruppi contrapposti. Gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali sono alle prese con una crisi che non lascia molto spazio di manovra; per cui hanno dato corda ad Arabia Saudita, Qatar e Turchia che, in mancanza di prospettive più chiare, contribuiscono a isolare l'Iran alleato della Siria. E prontamente l'Iran cerca di non farsi neutralizzare aprendo un nuovo corso diplomatico verso l'Occidente con l'appoggio non troppo nascosto della Russia. Israele risulta, fra i paesi coinvolti, il più spiazzato di tutti: sarebbe infatti danneggiato sia da un rafforzamento dell'asse Damasco-Teheran-Mosca, sia da una vittoria militare di Damasco, sia da una vittoria dei fondamentalisti, sia da una lunga durata della guerra civile in Siria, destabilizzante in un'area già abbondantemente destabilizzata dalla guerra stessa e soprattutto dalla situazione egiziana che già ha provocato scontri militari nel Sinai. Bisogna anche tener conto della diaspora palestinese, numerosa in Siria, dove viene rifornita di armi e controllata dal governo, e presente in altri paesi, con i quali mantiene alleanze spesso non chiare, sempre divisa al suo interno ma quasi ovunque armata.

Difficile stabilire quale sia lo sbocco più auspicabile. Gli ultimi superstiti fra gli affezionati dell'ex URSS, imperialista mancata, sono incondizionatamente a favore dei governi di Damasco, Teheran e Mosca, in quanto reputano che le rivolte urbane non siano altro che manifestazioni fomentate dai servizi segreti imperialisti. Reputano il regime teocratico di Teheran migliore dell'opposizione laica. Se non altro è una posizione chiara. Ma non si può fare a meno di tener conto dell'ondata di rivolta sociale che serpeggia nel mondo, ed è possibile prospettare un suo radicamento attorno a un programma politico al momento del tutto assente. Quindi il mantenimento dell'unità nazionale e di un controllo centrale da parte degli Stati esistenti sarebbe auspicabile per tutt'altre ragioni rispetto a quelle accampate dai neo-stalinisti. La fine delle correnti teocratiche con sede a Teheran e Riyad, delle satrapie ereditarie o comunque dei governi particolaristici semi-tribali, la loro sostituzione con moderni apparati statali, non importa se alleati di Mosca o di Washington, sarebbe un vantaggio anche per lo sviluppo del proletariato. Il governo di Damasco, tramandato di padre in figlio, con la coppia sorridente al vertice, pur essendo repubblicano, non è diverso da quelli monarchici di Marocco o Giordania. In ogni caso il particolarismo etnico o genealogico non è solo un fattore di non-sviluppo, è anche un focolaio di tensioni che pongono in secondo piano quelle di classe e mortificano ogni scontro sociale abbassandolo a un livello pre-capitalistico.

Dati gli interessi occidentali, cioè dei paesi che stanno adoperandosi per una situazione di massacro stabile in Siria in modo che non vi siano né vincitori né vinti, ma solo nemici estremamente indeboliti, un altro sbocco si presenta, il peggiore di tutti, cioè lo smembramento del paese. Del resto era già successo in Libano durante la guerra civile durata dal 1975 al 1990, quando diverse milizie più o meno mercenarie occupavano distinte aree del paese e non esisteva un governo centrale. Il peggio del peggio è stato prospettato recentemente: se gli occidentali continueranno a sostenere i rivoltosi senza distinguere troppo fra i complessi schieramenti, il governo di Damasco sarà costretto ad arroccarsi in una cittadella fortificata con la parte dell'esercito rimasta fedele, abbandonando al loro destino le altre parti del paese e ritornando così all'entità alawita dell'epoca coloniale. Di conseguenza vi sarebbe una spartizione del territorio siriano fra tutte o parte delle altre forze in campo: sunniti, sciiti, cristiani, curdi, ecc.

Rivista n. 34