Fine della crisi… Forse... No, l'anno prossimo…

Strani giorni quelli che stiamo vivendo. I mercati sono euforici. Le borse, oscillando, raggiungono i massimi storici. C'è un po' di nervosismo intorno al petrolio, per via delle compagnie petrolifere che hanno cartolarizzato i debiti contratti per estrarre shale oil, ma tutto sommato è poca cosa (lo stesso si diceva tra l'altro cartolarizzando i mutui subprime). E non preoccupano le simulazioni che disegnano un andamento a "L" di qui all'eternità, la produzione industriale ferma al 2008, la disoccupazione e magari qualche guerra in giro per il mondo. Tranquilli, i mercati sono ottimisti: il tasso di interesse di Bank of England salirà all'1,5% entro dieci anni. Buon segno, oggi è allo 0,5%. Qualcuno faccia il calcolo dell'incremento annuo, per favore.

Anche i banchieri centrali sono ottimisti: Draghi dice che 1.000 miliardi di euro nuovi di zecca immessi sul mercato freneranno la deflazione. Miracoli della finanza: siamo in crisi di sovrapproduzione di capitali e il medico prescrive iniezioni di capitali. Geniale: quando l'economia "tira", sale l'inflazione; dunque, se creiamo inflazione faremo "tirare" l'economia. Idem per i tassi. Dice la Federal Reserve americana: finite le manovre finanziarie, la ripresa economica comporterà l'aumento dei tassi. Anzi, diamo una mano e li aumentiamo prima noi. Risponde il fondatore di Bridgewater Associates, uno dei più grandi hedge funds esistenti: guardate che nella situazione in cui siamo rischiate di innescare una bomba a orologeria come nel 1937. Ci volle una guerra mondiale per far quadrare i conti.

Si dice che ogni crisi getta i semi di quella successiva. La crisi del 1929 indusse a stampare denaro, provocando quella del 1937. La guerra fermò il ciclo fino al 1970-75 e da allora ogni crisi esplode secondo una gerarchia precisa, quella secondo la quale si strutturano i cosiddetti mercati: questa gerarchia quantitativa pone al livello più basso le borse (5.000 miliardi di euro, cifre al 2013); al livello intermedio il debito pubblico (100.000 miliardi); al livello più alto i derivati (1.200.000 miliardi di euro). Avete letto bene: non ci sono errori.

Borse: non siamo più nel '29 quando il capitale finanziario era quasi tutto capitale azionario quotato in borsa. E comunque le azioni valorizzate nel boom si svalorizzano nella crisi, le oscillazioni sono a somma zero. L'economia soffre quando di colpo scoppia una bolla, e soffre individualmente chi ci rimette. In generale, però, la cancellazione di capitale fittizio è addirittura benefica.

Debito pubblico: non si può semplicemente cancellare. Lo può fare l'Islanda, forse Cipro; ma già la Grecia, con il suo misero 1% del PIL europeo non può permetterselo, vedrebbe immediatamente prosciugate le sue fonti di finanziamento, i cittadini greci sarebbero praticamente alla fame.

Mercato dei derivati: è il più misterioso e pericoloso. Non è come quello di borsa, che tratta azioni, cioè parti di proprietà di aziende il cui prezzo varia a seconda della domanda e dell'offerta. Non è come quello del debito, tangibile, denaro preso a prestito ad un certo tasso d'interesse. I derivati sono essenzialmente polizze assicurative su operazioni di un certo rischio: se ho investito sul petrolio e sono preoccupato per il prezzo, posso acquistare uno strumento finanziario che mi ripara dal rischio se quel che temo si avvera.

Si dice che di per sé non sono pericolosi i derivati, sono pericolosi gli uomini che li manovrano. È lo stesso argomento usato dalla lobby americana delle armi per giustificare i 250 milioni di esemplari detenuti nelle abitazioni; quindi qualche motivo di preoccupazione ci sarebbe. Ma perché mai? Sono assicurazioni! Già, ma l'80% dei derivati sono legati a tassi di interesse. E i simpatici banchieri centrali stanno appunto giocando con i tassi, stanno usando i criteri di cui parlavamo all'inizio.

Rivista n. 37