Il ritorno del bisonte

La dieta altamente proteica dell'uomo occidentale è, come tutto, legata al profitto. Il ciclo cereali-soia-carne richiede l'espandersi di quella mostruosità che è l'allevamento in massa di tipo industriale e che comporta non solo danni alla salute ma disastri per l'intero ecosistema. L'uomo è un primate, e la sua dieta originaria era la stessa del suo parente più prossimo, lo scimpanzé, a base di tanti vegetali integrati con poche proteine animali. Teoricamente dovremmo ritornare alla dieta di quando eravamo australopitechi e ciò turba le nostre credenze sul progresso. Sappiamo comunque che ad un certo punto la dieta a base di carne è stata adottata con notevole successo evolutivo dai nostri antenati, diventati nel frattempo homo sapiens. Scrive Engels:

"La nutrizione carnea esercitò la sua influenza più importante sul cervello, al quale pervenivano, in copia molto maggiore di prima, le sostanze necessarie per il suo nutrimento e per il suo sviluppo… Col permesso dei signori vegetariani, l'uomo non si sarebbe formato senza alimentazione carnea".

Per tutta la durata del paleolitico ci siamo rimpinzati di carne integrandola con vegetali. Solo nel mesolitico, forse a causa di condizioni ambientali, la carne divenne meno disponibile, in una dieta al limite della sottonutrizione. Oggi si sa con sufficiente precisione, grazie all'analisi dei denti fossili e della loro usura, che la specie homo si è evoluta in parallelo con il consumo di carne. Difficile dire se l'evoluzione ci ha permesso di procurarcene di più o se procurandocene di più ci siamo evoluti più rapidamente. Comunque il progresso nella caccia per mezzo di strumenti e l'effetto evolutivo benefico sul cervello sono provati. È anche provato che la sedentarizzazione, con l'abbandono della dieta paleolitica a favore di quella neolitica a base di cereali, comportò gravi problemi di salute.

Oggi è evidente che ci alimentiamo secondo suggestioni indotte, opinioni che hanno ben poco di scientifico. Essendo costretti alla scelta fra il male e il peggio, finiamo per sponsorizzare inconsapevolmente l'uno o l'altro. La reazione ai disastri alimentari produce disastri ideologici, e oggi semplicemente non sappiamo quante e quali proteine faranno parte della dieta ottimale. Possiamo ragionevolmente prevedere un ritorno al menu vegetariano integrato con proteine animali ed escludere che queste ultime saranno larve d'insetti o pillole. Escludendo anche il proibizionismo carneo, nell'articolo Il lavoro del sole (n. 5 del 2001) avevamo immaginato la semplice abolizione dell'allevamento e il ricorso a mandrie allo stato brado. E siccome gli animali addomesticati da millenni hanno bisogno di pascoli "nobili", avevamo fatto l'esempio di un'antilope asiatica oggetto di ripopolamento a scopo alimentare nelle magre steppe russe.

Adesso leggiamo che in Canada è stato avviato un esperimento su larga scala per ripopolare le praterie con il bisonte salvato dall'estinzione. Il bovino selvatico cresce più lentamente di quelli domestici ma può raggiungere i dieci quintali vivendo allo stato brado e cibandosi di erba e sterpaglie spontanee. Non ha bisogno di mangimi né attrezzature, solo di grandi spazi. È resistente alle malattie e non ha bisogno di medicina preventiva. Se l'umanità consumasse proteine solo in rapporto al suo fabbisogno fisiologico, questo potrebbe essere totalmente fornito da un'infima parte delle mandrie libere (e delle greggi, degli stormi, dei branchi di pesci…).

Rivista n. 37