Donald Trump e la politica economica

Sembra che la politica economica di Trump sia piuttosto primitiva. O almeno così appare dai suoi discorsi. A dire il vero ne sappiamo abbastanza poco perché l'informazione su di un argomento così sensibile è decisamente scarsa. Siccome pochi credevano che potesse essere eletto, il neopresidente della più potente economia del mondo è stato presentato poco elegantemente come un fenomeno folkloristico quando non da baraccone. Eppure egli andava dicendo che, se eletto, avrebbe elevato barriere contro il commercio dannoso agli Stati Uniti e avrebbe spezzato ogni catena che frenasse la crescita della produttività nazionale, che avrebbe deportato 11 milioni di lavoratori immigrati illegalmente e che avrebbe eliminato tasse per 7.000 miliardi di dollari in un decennio, riducendo alla metà il debito pubblico.

D'accordo, non ci credeva nessuno, ma adesso Trump è stato eletto e, anche se dovrà fare i conti con la realtà fattibile, il programma resta, con esso bisogna fare i conti, se non altro per cancellarlo, se ritenuto pericoloso per l'integrità del sistema economico USA. Già alcuni repubblicani del Congresso hanno presentato programmi alternativi che mitigano il populismo irrealistico trumpiano, ma se sul terreno fiscale è possibile porre un freno alla demagogia, su quello del protezionismo le leggi sono meno elastiche, e Trump ha già fatto notare in campagna elettorale che permettono al presidente di imporre tariffe in diversi casi. Anche il proposito di uscire dagli accordi NAFTA "in sei mesi" può essere messo in pratica giocando sul fatto che si tratta di politica internazionale e quindi sotto la responsabilità della segreteria di stato, l'incarico dell'esecutivo più vicino alla presidenza. Trattandosi degli Stati Uniti, è chiaro che non siamo di fronte a un problema di politica interna. Ad esempio, molti dei ventilati provvedimenti economici, come l'eliminazione del deficit commerciale e il dimezzamento del debito pubblico, riguardano rapporti con altri paesi. Ciò significa che sarebbero scaricati su di essi difetti che sono tipici dell'economia interna: primo fra tutti il cronico insufficiente tasso di risparmio, che si abbasserebbe ancora di più se fosse possibile rilanciare l'economia secondo la ricetta pseudo-liberista.

Anche nel campo della politica monetaria il programma trumpiano pone qualche problema. Le misure per il rilancio dell'economia, basate su stimoli come quelli che abbiamo visto, dovrebbero essere accompagnate, secondo Trump, da un aumento del tasso ufficiale di interesse. Questo perché la politica del denaro facile avrebbe scatenato una bolla speculativa all'interno di una situazione di crisi. Ora, se è vero che i tagli fiscali e il relativo aumento della possibilità di acquisto potrebbero essere bilanciati da una politica monetaria correttiva, è anche vero che la situazione denunciata è già il risultato di tentativi anti-crisi. Ricordiamo che la banca centrale americana, visti gli effetti della pioggia di denaro gettata sul mercato, aveva già deciso di alzare i tassi, ma aveva fatto marcia indietro di fronte alle prime reazioni degli ambienti finanziari.

Rivista n. 40