Materia, pensiero, mente

Ignazio Licata, La logica aperta della mente, Codice edizioni, pagg. 303, euro 22

Ignazio Licata è un fisico delle particelle molto attivo sul piano della divulgazione di qualità. Un suo testo sulla meccanica quantistica, La realtà virtuale, è stato pubblicato da Di Rienzo, un editore vicino alla scuola del matematico Luigi Fantappié, oggi dimenticato ma interessante per una sua teoria dei "potenziali anticipati", anche se ritenuta errata da altri matematici, ad esempio Francesco Severi. Licata contesta rudemente il riduzionismo e la concezione di computabilità di Ray Kurzweil (vedi articolo Verso la singolarità storica su questo numero), e di conseguenza nega la possibilità di una fusione organica fra cervello biologico e cervello artificiale, anche se il primo può evidentemente adoperare il secondo per potenziare le proprie capacità, come succede con tutte le macchine.

Ormai la fisica ha poco per volta invaso il campo di altre discipline, come la biologia, l'economia, l'ecologia, la teoria delle reti, le neuroscienze, per cui è sempre più difficile affidarsi semplicemente alla modellazione galileiana, alle precise leggi newtoniane, insomma, alla potenza di astrazione che un tempo sembrava poter spiegare tutto ciò che succede nell'Universo. Licata in questo è certamente d'accordo con i fisici (Robert Laughlin e altri) che sostengono teorie definite "dell'emergenza": il riduzionismo non si butta via, ma ad esso occorre affiancare nuove metodologie sensibili a una teoria della conoscenza delle strutture complesse, nuovi approcci sistemici, nuove aperture permesse e nello stesso tempo imposte dallo sviluppo della cibernetica e dell'intelligenza artificiale.

Secondo Licata il riduzionismo è praticamente superato in quanto anche alla scala dei fenomeni più semplici, dall'apparenza lineare, emergono interazioni complesse che i matematici hanno dovuto affrontare con metodologie diverse rispetto a quelle tradizionali della fisica teorica. E anche le simulazioni al computer, pur venendo in aiuto ai matematici quando non era possibile risolvere analiticamente un problema, non fornivano "dimostrazioni" dello stesso rigore. Il peggio però sarebbe venuto quando si è tentato di formalizzare i processi della conoscenza che riguardano il nostro cervello sia facendo ricorso alle macchine, sia paragonando il funzionamento del cervello ai processi computazionali di queste ultime.

Contro Kurzweil, Licata sostiene che l'approccio computazionale nel campo delle teorie della conoscenza ha fatto la fine del riduzionismo, per la semplice ragione che i processi grazie ai quali conosciamo sfuggono alla formalizzazione: non per un nostro pregiudizio interpretativo di carattere metafisico ma per una complessità che sfugge per sua natura a quel tipo di indagine e, peggio ancora, di simulazione. Sembra di capire che i processi cognitivi siano per l'autore di carattere ontologico e non epistemologico. E qui si avverte, leggendo, un riferimento, voluto o meno, all'annosa questione dell'indeterminismo quantistico che sarebbe, appunto, un aspetto ontologico e non una carenza di informazione dovuta a "variabili nascoste".

Nel libro vi è un capitolo sui due grandi matematici Kurt Gödel e Alan Turing in cui l'autore vuole dimostrare che i loro sistemi non rappresentano limiti invalicabili alla conoscenza ma sono invece sistemi aperti. Se così fosse, non sarebbe conoscibile, al limite, anche il modo con cui il nostro cervello conosce?

Rivista n. 40