Capitale e teoria dello sciupio

"L'età della pietra non finì perché ci fu una mancanza di pietre, così l'età del petrolio non finirà perché mancherà il petrolio" (intervista rilasciata dall'ex ministro saudita del petrolio Zaki Yamani all'agenzia Reuters nel 2000).

"Nella dialettica marxista ogni conquista della critica al regime presente corrisponde ad un postulato del movimento rivoluziona­rio. Le mirabili pagine del marxismo sul modo di concepire una economia comunistica, specie in risposta alle tante equivoche predizioni socialistoidi, ad esempio lassalliane, vivono di questo legame tra la solida critica del presente e la preparazione rivoluzionaria del domani" (La teoria del plusvalore di Carlo Marx base viva e vitale del comunismo, L'Ordine Nuovo, 1924, n. 3, 4, 5 e 6).

Semilavorati e continuità

Siamo partiti per il seguente lavoro dalla lettura e dal commento del Quaderno Scienza economica marxista come programma rivoluzionario, da noi pubblicato nel 1999. Ci è sembrato importante riprendere oggi quello studio alla luce delle molteplici conferme materiali e ideologiche degli assunti che ne stanno alla base. Più di una volta abbiamo espresso soddisfazione per il fatto che i borghesi più attenti sono costretti a venire sul terreno della rivoluzione, a capitolare ideologicamente di fronte al marxismo. Pensiamo in particolare alle analisi di Jeremy Rifkin intorno al sistema economico che perde energia ed è costretto a trasformarsi, o agli scritti di Serge Latouche sulla decrescita, o, ancora, al testo di Paul Mason sul futuro del capitalismo.[1] Tutti peraltro collegabili al nostro lavoro sulle simulazioni al computer che la borghesia aveva prodotto all'inizio degli anni '70 del secolo scorso e che delineavano un disastroso avvenire per il capitalismo se non si fossero presi provvedimenti.[2]

Una parte della stessa borghesia dunque ritiene indispensabile cambiare paradigma e lasciarsi alle spalle il mito della crescita. Un movimento interclassista dai connotati piccolo-borghesi come il 5Stelle ha addirittura messo in discussione un altro mito, quello del lavoro. Il suo programma sull'energia (dicembre 2016), seppure infarcito di luoghi comuni e di "buon senso", contiene interessanti considerazioni sulla necessità di trasformare tempo di lavoro in tempo di vita richiamandosi a un

"tipo di società dove il lavoro pesante lo fa la macchina, dove io ho più tempo libero e liberato dal lavoro, dove lavorano i robot e io posso dedicare tempo alla mia famiglia, a leggermi un libro, agli amici, alla mia vita".

Un tema come la liberazione dal lavoro, che fino a poco tempo fa portavamo avanti solo noi e sparuti gruppi, adesso è all'ordine del giorno. Persino i media ufficiali parlano quotidianamente di robot, di automazione, di intelligenza artificiale e delle conseguenze che questi avranno nella società.

Oltre l'era della dissipazione

Naturalmente non basta registrare quel che accade e sperare che qualche governo illuminato dalle varie ricerche sui disastri incombenti possa riformare un sistema ormai cadavere. Il fatto che la stessa borghesia arrivi a risultati catastrofici nei suoi modelli, e però sia impotente di fronte a eventuali soluzioni, ci dà la misura di quanto avanti sia il movimento che non farà capitolare la borghesia solo ideologicamente ma nei fatti, con il crollo del suo modo di produzione e la vittoria della classe antagonista. E quest'ultima non potrà essere sicura della vittoria fin quando non collegherà il proprio potenziale rivoluzionario con la formazione di un partito che sappia orientarsi nel marasma sociale crescente, sappia cioè trovare il famoso "filo del tempo" che lega passato, presente e futuro e ricavarne una dinamica. Si tratta insomma di fare proprio tutto l'arco storico che collega il comunismo originario a quello futuro tramite la parentesi delle società di classe. Per la nostra corrente, anche quando si parla di automazione spinta, robot e cervello sociale, è comunque sempre chiaro il legame con la "dottrina dei modi di produzione", per la quale capire bene ogni passaggio rivoluzionario, ogni spostamento parziale da un modo di produzione all'altro, è indispensabile alla comprensione della dinamica globale, quella cioè del grande salto dal comunismo originario al comunismo sviluppato, attraverso

"tutto l'arco millenario che lega l'ancestrale uomo tribale lottatore con le belve al membro della comunità futura, fraterna nella armonia gioiosa dell'uomo sociale".[3]

Il titolo Scienza economica marxista come programma rivoluzionario che abbiamo dato al Quaderno, è quello di un capitolo della raccolta di articoli-resoconto che furono pubblicati sul giornale del Partito Comunista Internazionale, e presentati come Questioni di economia marxista.[4] A nostro avviso, il nuovo titolo rispecchia meglio il contenuto, che dimostra quanto ormai sia necessario il passaggio ad una nuova forma sociale. Come più volte ricordato in apertura dei resoconti sulle riunioni generali, si tratta di semilavorati che venivano proposti a tutta l'organizzazione come materiale di studio e che sarebbero serviti per elaborazioni successive, nell'ottica di un ulteriore perfezionamento attraverso la concatenazione degli argomenti specifici messi in relazione col tutto.

Miscela esplosiva

Questioni di economia marxista è un commento ragionato del II Libro del Capitale, considerato da molti meno importante del Primo o del Terzo. La nostra corrente ne ha voluto invece ribadire l'importanza, basando su di esso l'elaborazione della teoria dello sciupio e riaffermando che il marxismo si formò come un tutto unico, monolitico e definitivo proprio nell'epoca in cui Marx lavorò al Capitale. Prendendo una parte dell'opera e scartandone un'altra non si fa quindi una buona operazione. Scopo del presente nostro lavoro è stato quello di riprendere questo materiale lasciatoci in eredità collegandolo sia al contenuto della rivista attuale, sia, come dicevamo prima, con il materiale "controcorrente" prodotto dalla stessa borghesia.

Già sul finire degli anni '50 del secolo scorso, dunque, in netto anticipo sui tempi, c'era qualcuno che sentiva l'esigenza di affrontare un tema allora poco dibattuto quale quello dello sciupio capitalistico, legandosi a lavori già svolti come Elementi dell'economia marxista,[5] eAbaco dell'economia marxista,[6] una formalizzazione algebrica delle leggi di crescita/morte del capitalismo.

Nel Capitale, il Primo Libro tratta principalmente dello "Sviluppo della produzione del Capitale" e il Secondo del processo di circolazione. Sembrerà ovvio, noi comunque lo vogliamo ribadire: motore del meccanismo sociale di classe proprio della borghesia è la produzione non tanto di merci quanto di capitale. Studiare la circolazione ponendoci dal punto di vista della merce trae in errore. Le merci non sono altro che il supporto materiale che rende possibile il ciclo di valorizzazione del capitale; capitale che via via si autonomizza fino a diventare una "astrazione in actu". Fin dall'inizio, cioè fin dal processo di accumulazione originaria, il movimento delle merci è subordinato a quello del capitale e il ciclo completo è rappresentato dalla sequenza:

D → M → P → M' → D',

che possiamo rappresentare con l'equazione:

D' = D + δD

Le prime due lettere (D e M) rappresentano rispettivamente il denaro e la merce. P è il processo produttivo, nel quale entrano semilavorati ed escono prodotti finiti (merci) attraverso un ciclo di lavorazione che impiega un certo numero di operai.

Prima della fabbrica capitalistica D, M e P erano separati in quanto separati erano sia gli individui che gli strumenti con i quali essi producevano: il possessore di denaro concedeva un prestito, con il quale l'artigiano acquistava il materiale ed eseguiva un lavoro producendo un bene. Usuraio, mercante e artigiano erano figure distinte, e ognuno di essi aveva per sé i propri "mezzi di produzione", poniamo il forziere, il carro e l'incudine. La separazione del produttore dai propri mezzi di produzione ha una sua storia, che è ben descritta da Marx sia nei Grundrisse (forme precedenti a quella capitalistica), sia nel Primo Libro del Capitale (capitolo sull'accumulazione originaria). Il primo atto capitalistico è di tipo mercantile: l'imprenditore acquista merci sotto forma di capitale costante e di capitale variabile combinando nel processo produttivo gli elementi che prima erano divisi: la forza-lavoro e i mezzi di produzione (macchine e materie prime).

Questi elementi si riuniscono dunque nel processo di produzione e la loro unione è paragonabile a un potenziale chimico fra elementi diversi, dai quali si sprigiona una super-energia quando venga attivata una reazione, ad esempio dal calore. Così nel processo produttivo: l'unione degli elementi precedentemente separati ha per risultato un fenomeno analogo (pensiamo all'interazione fra lo zolfo, il carbone e il salnitro nella polvere da sparo, o fra la benzina e l'ossigeno nei motori a scoppio o ancora fra i composti dei carburanti dei missili).

Riproduzione semplice e allargata

Nella riproduzione allargata del capitale il plusvalore non è consumato dal capitalista che in parte, o per nulla, e ritorna all'inizio del ciclo dando il via a un ciclo maggiorato. Quando invece il plusvalore prodotto viene interamente consumato dal capitalista non c'è più il plusvalore necessario a far ripartire un ciclo allargato. Il ciclo capitalistico si ripete, ma resta uguale a sé stesso.

La riproduzione semplice, per certi versi, non è nemmeno capitalismo, poiché quest'ultimo è valore in processo e rifugge la quiete. D e M derivano quindi da P, l'unica sorgente del valore. I passaggi D e M non influiscono direttamente nel processo rivoluzionario. L'unico passaggio rivoluzionario è P, in quanto tutto il sistema vi si appoggia: è lì che si rende possibile la "creazione" di plusvalore, è lì che si forma il proletariato, è lì che esso impara a organizzarsi. Ne troviamo traccia nel Manifesto del Partito Comunista dove si dice che

"la borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali".

La rivoluzione sociale è una conseguenza della rivoluzione continua che avviene all'interno del processo produttivo. Dire che il capitalismo non può esistere senza rivoluzionare continuamente i mezzi e le tecniche di produzione, è come dire che il capitalismo non può esistere senza negare continuamente sé stesso. Infatti, la rivoluzione sociale è il risultato dell'incompatibilità fra lo sviluppo della potenza produttiva e la sovrastruttura di classe che ad un certo punto si tramuta in freno rispetto a detto sviluppo. Un modo di produzione così contraddittorio l'umanità non l'ha mai visto.

La merce che esce dal ciclo di produzione-valorizzazione può essere rappresentata come M' e scomposta in M + m, dove M sta per merce/valore e m per merce/plusvalore. È la parte m che decide tra la riproduzione semplice e quella allargata (consumo o reinvestimento). Il consumo del capitalista può rappresentare un impedimento all'accumulazione del capitale qualora egli consumi una quantità eccessiva di plusvalore. Il capitale ha esigenze diverse rispetto ai capitalisti, a lungo andare prende il sopravvento spodestandoli di ogni capacità decisionale e relegandoli al ruolo di meri esecutori.

Nel flusso m → d → m, che, essendo in riproduzione semplice, non fa parte della circolazione di capitale,

"il denaro funziona semplicemente come moneta; questa circolazione ha per fine il consumo individuale del capitalista. Ciò che caratterizza il cretinismo dell'economia volgare, è che essa ci dia come movimento circolatorio del capitale questa circolazione che in quel movimento non entra, ossia la circolazione di quella parte del prodotto-valore che viene consumata come reddito".[7]

La quota del plusvalore consumata dall'imprenditore non è capitale, non entra nel ciclo di valorizzazione capitalistico, funziona come reddito.

Gli immediatisti sono contro il consumo individuale del capitalista e vorrebbero che il suo "reddito" fosse distribuito ai lavoratori. La proposta del reddito di cittadinanza risponde alla esigenza keynesiana di innalzamento della "propensione marginale al consumo". Le varie "Tobin tax" (tassa che, applicata alle speculazioni finanziarie, dovrebbe sradicare dal mondo la povertà) sono proposte che non mettono in discussione le categorie capitalistiche, perciò non risolvono un bel nulla. La pretesa di combattere la società borghese restando all'interno della stessa è il più micidiale errore epistemologico in cui si può incappare.

L'esigenza del comunismo va alla radice del problema e si riassume in questa formula: fine del sistema del salario e dell'infernale ciclo di circolazione del capitale.

Lo sciupio più grande è quello che non si vede

In tutto l'immenso sforzo per valorizzare il capitale, c'è un altrettanto immenso sciupio di energia senza alcun corrispettivo che vada a soddisfare un bisogno di qualche genere. Nemmeno i capitalisti beneficiano di questo scempio. La ripartizione lavoro necessario/pluslavoro è impazzita, vi sono aziende altamente automatizzate che arrivano a un tasso di sfruttamento locale del 7-800 per cento. Lo sciupio nascosto sta proprio lì: se siamo arrivati a un così alto rapporto fra lavoro e pluslavoro significa che la dissipazione di energia umana nel solo ciclo produttivo è pari almeno a quel rapporto. Lo spreco visibile non è che una piccola parte, pur apparendo gigantesca. Ma anche il semplice immaginare una società senza denaro permette di rendersi conto immediatamente di quanto siano inutili il mostruoso sistema bancario, tutta l'amministrazione interna alle fabbriche riguardante i passaggi di valore, l'apparato fiscale dello stato, i controlli, i mestieri derivati (commercialisti, notai, poliziotti, fabbricanti di antifurti e sistemi blindati, ecc. ecc).

Le figure D, M e P, oltre ad essere diversi momenti del ciclo capitalistico, rappresentano differenti stadi di sviluppo del capitale, differenti classi sociali e scuole economiche. D rappresenta i possessori di denaro, la scuola economica di riferimento è quella mercantilista che descrive gli albori del capitalismo e difende gli interessi della nascente borghesia arricchitasi con i traffici e i commerci (dalle Repubbliche marinare italiane del XII secolo al capitalismo di stato francese del XVII secolo). I mercantilisti sostengono che "la reazione chimica" che produce ricchezza è da ricercarsi nella sfera della circolazione. Ogni classe difende i propri interessi e vede sé stessa come la grande protagonista della storia. Alla fine dell'epoca feudale, quando l'industria aveva già rivoluzionato economicamente la società e mancava soltanto il corollario politico, l'ultimo guizzo della classe possidente fu la ricerca di un equilibrio che oggi diremmo di tipo energetico: dato che tutto il lavoro umano consisteva, in ultima analisi, nella trasformazione di prodotti della terra, tutto il prodotto umano derivava da questa trasformazione, per cui l'industria non era che un tramite, non creava plusvalore.[8] Per i fisiocratici M poteva diventare M+m solo attraverso l'agricoltura e l'estrazione mineraria. Ovviamente la scuola corrispondente a questa visione del mondo non usava i termini che utilizziamo oggi e vedeva nel miracolo della produzione di un surplus il "lavoro di Dio". In pieno capitalismo quello che per i fisiocratici era la lettera M rappresenta i possessori di terra al modo borghese e in esso vige la teoria marxiana della rendita.

Quelli che invece vedono in P la produzione della ricchezza sono i capitalisti industriali la cui scuola economica è quella ricardiana. Ricardo dice una mezza verità: egli ammette che la fonte di produzione del valore è P, ma non giunge a capire che il valore non è prodotto dai capitalisti e non compete a loro. Il valore è del capitale e si ottiene dallo sfruttamento della forza-lavoro. Sentiamo come Marx descrive l'autonomizzarsi del capitale:

"Tutto il carattere della produzione capitalista è determinato dalla messa in valore del valore capitale anticipato, dunque in primo luogo dalla massima produzione di plusvalore, quindi dalla produzione di capitale, ossia dalla trasformazione del plusvalore in capitale. L'accumulazione, o la produzione su di una scala ingrandita, che appare come il mezzo per estendere la produzione di plusvalore e di arricchire il capitalista di cui essa accumulazione è lo scopo personale; questa accumulazione, implicata dalla tendenza generale della produzione capitalistica, diviene a poco a poco sviluppandosi (vedere il Libro Primo, cap. XXII) una necessità per ogni capitalista individuale. Il capitalista non può che mantenere il suo capitale aumentandolo senza posa".[9]

Via via che il capitalismo si sviluppa, le modalità con cui avviene la produzione non le decide più il capitalista: se vuole che la sua azienda rimanga sul mercato deve adeguarsi al processo generale di produzione capitalistica. Dovrà dotarsi di macchinari, tecniche, ecc., che permettano alla sua azienda di concorrere con le altre. La apparente libertà del singolo capitalista si svela essere una necessità, ed egli può essere sostituito in qualsiasi momento da un funzionario stipendiato. Data la potenza raggiunta, dati gli automatismi economici stabiliti, il capitale da "personale" diventa "sociale".

Il passaggio P non viene rivendicato solo dai ricardiani, è rivendicato anche dagli operaisti che non mettono in discussione la formula del saggio del plusvalore, ma sostengono che la forza-lavoro dev'essere pagata di più, in modo che il plusvalore sia ridotto al minimo. Quindi i proletari che lottassero per aumentare il salario oltre il livello sostenibile dal capitalismo, lo farebbero saltare. Tutto si riduce ad uno scontro tra capitale e lavoro interno al perimetro aziendale, programma e partito sono posti in posizione secondaria (o addirittura spariscono).[10]

Un'altra scuola economica che rivendica il primato del passaggio P è quella stalinista classica: se gli operaisti sostengono che la classe operaia si debba prendere tutto quello che ha prodotto, gli stalinisti sostengono che il plusvalore dev'essere interamente investito in un'economia pianificata (e questo solo fatto permetterebbe la realizzazione del "socialismo"). Una politica di investimenti fatta propria anche dalla Triplice sindacale che, controllata per mezzo secolo dagli stalinisti si dichiarava, fin dal dopoguerra, responsabile verso l'economia dei borghesi "al grido diDemocrazia! Popolo! Unità! Pace! Produzione!". [11]

Il lavoro del Sole

Arrivati a questo punto, si potrebbe frettolosamente concludere che anche i comunisti non degenerati quali pretendiamo di essere, possono identificarsi in un qualche elemento del processo D → M → P. Ad esempio negando i passaggi D (denaro) e M (merce), rimarrebbe P (produzione), che non sparirà di certo nella società futura. Ma un conto è l'insieme di passaggi che rispecchiano la società borghese, un altro conto è eliminare tutto ciò che caratterizza la società borghese stessa. La produzione P nella società comunista non è subordinata alle categorie di valore, non rientra in un flusso dominato dai caratteri specifici dati dal rapporto che lega le classi. La produzione, liberata dall'influsso del capitale, diventa un fatto metabolico dell'intero organismo sociale che si alimenta trasformando la materia trovata in natura tramite il lavoro umano (non più merce forza-lavoro) e si risolve in uno scambio di energia tendente all'equilibrio:

"Nella economia socialista e comunista non si producono capitali e quindi non ne circolano. Non si producono nemmeno merci e non ne circolano, nel senso dello scambio a mezzo di denaro, e tanto meno a mezzo di baratti".[12]

Il nostro programma prevede che la produzione sia messa in relazione con la scala di bisogni conformi all'evoluzione della nostra specie, evoluzione che comprende le macchine, sempre più "intelligenti", non come forze aliene che schiavizzano uomini o li rendono inutili sostituendoli, ma come organi esterni che amplificano i nostri sensi migliorandoli, in quanto parte del cervello sociale. È chiaro che una società ritornata all'antichissima organicità, ma con l'ausilio di una sintesi fra "il nato e il prodotto" (uomo e macchina), sarà in grado non solo di ridurre lo sciupio ma di realizzare una società in bilancio energetico totale: sarà cioè in grado di mettersi in equilibrio con l'energia proveniente dalla fusione nucleare della stella più vicina a noi (il "lavoro del Sole").

È una "visione" diametralmente opposta a quella che si può avere rimanendo all'interno del capitalismo, il cui scopo vitale è quello di allargare il girone infernale dell'accumulazione per generare sempre più capitale; e lo può fare solo producendo più merci, dissipando secondo una curva esponenziale di crescita. Sul confronto tra l'attuale società dello spreco e la futura forma sociale, abbiamo scritto l'articolo Controllo dei consumi, sviluppo dei bisogni umani [13] sviluppando il punto "d" del Programma rivoluzionario immediato, di cui riportiamo un passo:

"Una volta ridotto il volume della produzione con un piano di sottoproduzione che la concentri sui campi necessari, la nuova formazione sociale eserciterà un controllo autoritario sui consumi, combattendo le mode pubblicitarie che creano artificialmente quelli voluttuari e, nello stesso tempo, abolirà di forza ogni sopravvivenza delle attività che alimentano la psicologia reazionaria del consumismo".[14]

Si tratta di un linguaggio ancora legato alle formule dell'ultimo tentativo rivoluzionario, e oggi sappiamo che la maturità del capitalismo permetterà allo stesso tempo una transizione più rigorosa dal punto di vista politico e meno coercitiva dal punto di vista dell'assetto produttivo.[15] Marx, dice la nostra corrente, ha afferrato l'anello giusto, ha colto nel processo produttivo, in quello industriale (sistema di macchine e lavoro associato), l'elemento centrale che anima il capitalismo. Il passaggio dalla manifattura all'industria è descritto nel VI Capitolo inedito del Capitale come passaggio dalla sussunzione formale a quella reale del lavoro al capitale: all'inizio il capitalismo si appropria del plusvalore, raggiunta la sua maturità esso si caratterizza come produzione sistematica di plusvalore, finalizzata esclusivamente alla produzione per la produzione, all'aumento del capitale.

Non si fa scienza con grandezze evanescenti

I capitalisti, come abbiamo avuto modo di vedere, si possono considerare in certo modo già estinti, dato che sono sostituiti da tecnici stipendiati e si limitano a possedere azioni delle quali "tagliano semplicemente le cedole". Oggi, con la marcia delle macchine intelligenti si stanno cominciando ad eliminare anche gli operai dal ciclo produttivo visto che si è stabilita un'interazione di nuovo tipo tra macchina e uomo. La Foxconn, azienda cinese famosa per essere la maggiore produttrice di prodotti elettronici di consumo, ha annunciato di voler sostituire 60mila dipendenti con dei robot. Le maggiori fabbriche di automobili impiegano già da tempo automi e stanno già passando alle nuove generazioni degli stessi basate sull'Intelligenza Artificiale. Amazon, il gigante del commercio online, ha aperto il primo supermercato senza casse né cassieri. Queste trasformazioni avvengono nella sfera della produzione (P) provocando a lungo andare degli sconvolgimenti a tutti i livelli. Le macchine fanno parte del capitalismo fin dal suo apparire, oggi diventano "intelligenti" e autonome e modificano nel profondo la produzione di plusvalore. Il governatore della Banca d'Inghilterra ammette che di qui ai prossimi anni spariranno 15 milioni di posti di lavoro nel paese a causa dell'automazione. Masse di disoccupati non rientreranno più nel processo produttivo e andranno ad allargare la sovrappopolazione assoluta. Guai a quella società, dice Marx, che invece di sfruttare i propri schiavi è costretta a mantenerli.

Seguendo i nostri articoli-resoconti arriviamo alla critica dell'accademica tripartizione della storia umana ineconomia naturale, economia monetaria ed economia creditizia. Marx confuta questa distinzione scolastica dimostrando che non si può fare la storia del capitalismo partendo dalla circolazione. E la nostra corrente coglie l'occasione per respingere le impostazioni errate sulla legge del valore in occasione dell'uscita di un lavoro di Antonio Graziadei, Prezzo e sovraprezzo nell'economia capitalistica. Graziadei sostiene che in luogo di "plusvalore" sarebbe più corretto parlare di "sovrapprezzo", dato che questo non è figliato solo dal sopralavoro dei salariati ma anche dai consumatori. Per la Sinistra risponde Bordiga con l'articolo La teoria del plusvalore di Carlo Marx base viva e vitale del comunismo . Graziadei non accetta la categoria "valore" perché sarebbe qualcosa di astratto, mentre solo i prezzi sarebbero reali. Egli vorrebbe superare la legge del valore pur restando fedele al marxismo. Inutile ribadire che non può esservi una teoria sballata dal punto di vista economico e corretta da quello politico: nel Capitale di Marx c'è la dimostrazione scientifica della morte del capitalismo, la quale dipende proprio dal fatto che è il capitalismo stesso a scavarsi la fossa: se la legge del valore fosse effettivamente sostituibile con l'evanescente teoria del sovrapprezzo, si dovrebbe analizzare il capitalismo non secondo leggi di invarianza ma secondo capricciosi eventi che fanno oscillare i prezzi. Nel Secondo Libro troviamo un passo che sembra scritto apposta contro il positivista Graziadei:

"Coloro che ritengono pura astrazione l'autonomizzazione del valore, dimenticano che il movimento del capitale industriale è questa astrazione in actu […]. I movimenti del Capitale appaiono come azioni del singolo capitalista industriale, cosicché quest'ultimo funge da acquirente di merci e di lavoro, da venditore di merci, da capitalista produttivo, e in tal modo, con la sua attività, media il ciclo [ma] quanto più si fanno acute e frequenti le rivoluzioni di valore, tanto più il movimento automatico del valore autonomizzato – che opera con la violenza di un processo naturale elementare – si fa valere contro le previsioni e i calcoli del capitalista singolo".[16]

Quanto più si autonomizza dunque il valore,

"tanto più il corso della produzione normale si assoggetta alla speculazione anormale e maggiore si fa il pericolo per l'esistenza dei capitali singoli. Così, queste periodiche rivoluzioni di valore confermano ciò che si pretende smentiscano: l'autonomizzazione che riceve il valore come Capitale, e che esso, grazie al suo movimento, conserva e rafforza".[17]

Il capitalismo autonomizzato risponde solo a sé stesso, è autoreferenziale al massimo: i capitalisti, le aziende, le banche, i governi, sono dei terminali che mediano un'attività generale che procede per conto proprio provocando sconquassi politici e sociali.

Graziadei voleva scrivere una storia dei prezzi, trovare un inizio e una fine di tale storia, individuare una dinamica; ma se il capitalismo è basato sulla circolazione di moneta, crediti e capitale, non tutte le forme sociali che lo precedono lo sono. Nel comunismo originario, per esempio, non c'è circolazione di denaro e lo scambio è un'attività del tutto marginale. Nemmeno la società futura conoscerà circolazione di valore. Quello che è invece impossibile è una società senza produzione. Producendo i loro mezzi di sussistenza, gli uomini producono la loro stessa vita materiale. Se gli individui di una certa società basano la propria esistenza sulla compravendita della merce forza-lavoro, essi sono, anche in essenza, gli uni in rapporto alla compera, gli altri in rapporto alla vendita. Non sono liberi ma complementari, devono sottostare al diktat sociale. Ma se eliminiamo ogni rapporto di valore, allora non esiste più né compera né vendita, ognuno si rapporta all'intera società come la cellula si rapporta a un organismo vivente. Anche nell'antichità classica esisteva il denaro ed esso si confrontava con i prezzi. Ma il denaro odierno come segno del valore è tutt'altra cosa. Non è assolutamente comparabile. Così come non è assolutamente comparabile il produttore schiavo, che viene acquistato una volta per tutte in quanto strumento di lavoro, con il produttore libero di cui si acquista solo la forza-lavoro per un tempo determinato. Lavoro, denaro, prezzi, merci, mercato hanno significato profondamente diverso a seconda del tipo di società in cui li analizziamo. Chi non capisce questa differenza non può capire neanche la differenza fra la società attuale e quella futura che si sarà liberata da quelle categorie. Per questo motivo il marxismo è anche una dottrina dei modi di produzione, come dice un nostro testo del 1958.[18]

La non esistenza potenziale del capitalismo

In una delle puntate di Questioni dell'economia marxista c'è un capitolo intitolato addirittura "Il capitalismo non esiste". In esso si cita Marx il quale scrive:

" Veniamo ora alla riproduzione. Posto che il capitalista con­sumi l'intero plusvalore e si limiti a riconvertire in capitale produttivo la grandezza di capitale originaria, la sua domanda equivarrà alla sua offerta… Supporre questo, è supporre che la produzione capitalistica non esista, e quindi non esista lo stesso capitalista industriale. Infatti, il capitalismo è già soppresso nelle sue basi se si sup­pone che motivo determinante ne sia il godimento e non l'ar­ricchimento".[19]

Se noi dimostriamo che il fine del capitalismo non è il godimento del capitalista ma l'accumulazione di più capitale, dimostriamo anche la non necessità dei capitalisti e del loro modo di produzione. È l'impersonale esigenza del capitale sociale di aumentare tramite l'inglobamento di plusvalore che "regola" il modo di produzione capitalistico. I salariati non possono fare altro che consumare il salario mensile che ottengono in cambio della prestazione lavorativa. Sia i capitalisti che i proletari sono costretti – su piani di classe differenti – a svolgere ognuno la propria funzione con ristrettissimi margini di manovra.

Entro il capitalismo l'operaio non ha scelta: se spende esattamente ciò che guadagna, dimostra di vendere la propria forza-lavoro al giusto prezzo di mercato; se risparmia, dimostra che il suo salario è al di sopra di quanto gli serva per riprodurre la propria forza-lavoro; se spende più di quanto non guadagni dimostra che non è stato in grado, con tutti i suoi compagni di classe, di difendere il valore della propria esistenza. Nel primo caso, una variazione di stato (aumento dell'affitto, nascita di un figlio, malattia) provoca un abbassamento del valore della sua forza-lavoro rispetto alla media. Nel secondo caso, o l'operaio mette i soldi sotto al materasso tesaurizzando in modo sterile, o porta i soldi in banca trasformandoli immediatamente in capitale per altri. Nel terzo caso si indebita ed è come se vendesse la propria forza-lavoro futura, diminuita di una percentuale pari all'interesse.

Anche il capitalista non ha scampo, a dimostrazione che il capitale si autonomizza senza guardare in faccia nessuno: se riesce a mantenere un equilibrio fra prezzo di costo della sua merce e prezzo di produzione generale, due parametri completamente fuori dal suo controllo, può sperare di non subire la concorrenza e prosperare (ma è il caso più raro). Se deve ingrandirsi (e prima o poi tutti i capitalisti sono costretti a farlo, magari a spese di altri capitalisti) si rivolgerà alle banche indebitandosi, oppure ricorrerà al capitale azionario diventando un rentier, sempre che non gli portino via l'azienda con una scalata non amichevole (take-over). Se infine il profitto scende al di sotto della media, dovrà vendere l'attività o fallire.

Siccome la tendenza del capitalismo è quella di centralizzare i capitali, cioè di radunare più aziende, anche diversificate, sotto un unico controllo, l'attività di innovazione e investimento diventa questione di vita o di morte, per cui cresce a dismisura l'indebitamento. Ad esempio, l'industria americana è indebitata per circa il 30% della sua capitalizzazione e gli Stati Uniti hanno accumulato un debito complessivo (pubblico, industrie e privati) pari a 68.500 miliardi di dollari, su 18.000 miliardi di PIL. L'indebitamento ormai planetario è un chiaro segno che si è fatto ricorso al credito in maniera massiccia, fino ad accumulare una somma pregressa impossibile da ripianare. E si ricorre universalmente al credito quando si cerca di rattoppare produzione, economia, disastri bancari, ecc.

Dicevamo che non si può capire come funziona il capitalismo partendo dalla circolazione. Anche se la società capitalistica è quella del mercantilismo generalizzato, della trasformazione di ogni aspetto della vita in merce, l'elemento che da solo caratterizza la società capitalistica è la vendita di forza-lavoro in cambio di denaro. Il capitalismo è il sistema del lavoro salariato e se i proletari sono impossibilitati a vendere la propria forza-lavoro è sempre più difficile governare il fatto sociale, la società va fuori controllo. Le rivolte che da un po' di anni si stanno globalizzando ne sono una testimonianza. L'energia sociale sprecata al solo fine di aumentare il capitale o anche solo di salvarne l'esistenza si riflette su masse di uomini che da questo fatto sono state scaraventate ai limiti della sopportazione umana.

Feedback positivo

Prima di affrontare il tema della rotazione del capitale (Seconda Sezione del II Libro), facciamo una piccola precisazione: in quasi tutte le edizioni del Capitale si parla di "rotazione" ma è più aderente al concetto il termine "reintegrazione", scelto nella traduzione edita dalla UTET.

La prima sezione del Secondo Libro tratta della circolazione del capitale con le tre metamorfosi del ciclo M → P → D, la seconda tratta della restaurazione di un singolo capitale, la terza e ultima sezione è intitolata La riproduzione e la circolazione del capitale sociale totale. Restaurazione significa ritorno all'inizio, ricomposizione del capitale originario immesso nel ciclo di valorizzazione. Sul tema della "restaurazione del capitale dell'azienda", Marx scrive ad Engels, che di contabilità evidentemente se ne intendeva, domandandogli una serie di ragguagli. Nel riordino del materiale per il Secondo Libro, Engels aggiunge una nota (edizione francese Costes) in cui denunzia "di avere ricostituito questo testo col massimo disagio, e di averne dovuto eliminare parti contraddittorie" .[20] Engels pensa che sia di scarso interesse la ricerca di Marx intorno ai problemi della rotazione-restaurazione: l'importante è che ogni capitalista abbia un fondo di riserva che lo aiuti nel caso servano delle spese eccezionali (nuovi macchinari, ecc.), basta che tenga in cassa una certa quantità di capitale in forma di denaro.

A Marx non interessa né compilare un manuale ad uso degli imprenditori né fare corsi di economia politica, vuole svelare i meccanismi economici che porteranno a decorsi catastrofici per il capitalismo. Pensiamo per esempio a quel che comporta il blocco di un ciclo capitalistico aziendale per difetto di moneta: immediatamente problemi ai fornitori e alle banche. Il capitalismo, per i meccanismi degli anticipi di capitale e di indebitamento, ha bisogno di molta più moneta di quella che serviva in passato, ha sempre più bisogno di settori specializzati come quello bancario. Gli anticipi di capitale, i debiti e la necessità di ampliare i cicli di accumulazione sono forieri di crisi. Siccome ogni azienda si muove esclusivamente per i propri interessi, insorgeranno sempre degli squilibri dovuti alla mancanza di piano.

Ci stiamo avvicinando al tema centrale dello sciupio, che non riguarda tanto la quantità di denaro in circolazione e tantomeno l'oro oppure i bit con cui viene rappresentato, bensì il lavoro umano che sta dietro alle forme fenomeniche della ricchezza. Come abbiamo visto, a noi interessa la quantità di lavoro umano che il capitalismo dissipa in confronto a quella che servirebbe all'uomo per riprodurre sé stesso e ciò che realmente gli serve per vivere. Ci interessa in somma misura proprio perché ogni modo di produzione ha la possibilità di sopravvivere solo fino a quando il suo rendimento non scende al di sotto di un certo limite, solo se riesce ad evitare di dissipare sempre più energia umana. È evidente che siamo vicini a quel certo limite: questa è una società che più sfrutta e schiavizza, dissipa e spreca, più ha bisogno di energia (umana e di altro tipo). Storicamente l'energia occorrente per produrre una unità di prodotto diminuisce, ma, come confermano le statistiche, la quantità totale di energia necessaria alla società capitalistica per sopravvivere aumenta. Questa contraddizione micidiale porterà il capitalismo alla morte certa perché non ha più modo di tornare indietro.

La bestia è l'azienda

Siccome il tempo di restaurazione del capitale incide su quello di produzione, per il capitalista tutto ciò che impedisce il libero fluire del capitale è dissipazione, in un certo senso anche lavoro sprecato. Ma per Marx il concetto di "lavoro sprecato" è ben altro. Se deriviamo il tasso di dissipazione dalla formuletta del tasso di sfruttamento (s = p/v = plusvalore/valore della forza-lavoro), vediamo che lo "spreco" lamentato dai capitalisti è una sciocchezza al confronto. E che cos'è, se non "lavoro sprecato", regalare a chi ti sfrutta metà o molto più di tempo di lavoro che potrebbe essere tempo di vita? Tutto ciò che non è salario, cioè profitto, interesse, rendita, è pluslavoro. Un semplice calcolo ci dà la dissipazione di tempo di vita in giornate-uomo di 8 ore: 6 ore di pluslavoro x 1,5 miliardi di salariati x 250 giorni lavorativi all'anno : 8 ore al giorno. Fa 280 miliardi di giornate lavorative all'anno, al fine di perpetuare così com'è la condizione dei 7,5 miliardi di individui che abitano il Pianeta.

Il ciclo di produzione punta a restaurare perennemente la proprietà aziendale e questo è un fattore di sciupio: la produzione per isole aziendali che hanno la loro contabilità, le spese commerciali, ecc., comporta un enorme spreco di energia sociale. Gli accantonamenti "privati" di ogni singola azienda presentano dei costi che il passaggio a una produzione associata eliminerebbe fin da subito.

Possiamo rappresentare in astratto le due sezioni della produzione: la prima che produce strumenti di produzione e la seconda che produce oggetti di consumo. Le sezioni ed eventuali sotto-sezioni hanno dei tempi diversi di restaurazione del capitale. Il plusvalore prodotto in una sezione viene quindi travasato nell'altra e il sistema bancario serve a questo. Questi smistamenti di valore non avvengono sempre senza problemi: periodicamente si presentano degli intoppi e scoppiano le crisi. Se la produzione fosse regolata secondo le necessità di specie e non secondo quelle aziendali, non esisterebbero blocchi dovuti a sovrapproduzione e crisi. Il richiamo a una forma sociale futura è fondamentale, sia per Marx che per la nostra corrente e vadano al diavolo coloro che con aria di sufficienza interpretano questo confronto con il futuro come una specie di utopia immaginata da gente poco "pratica". A dimostrazione della necessità di paragonare il presente con il futuro, in un nostro articolo abbiamo scritto:

"Una volta eliminata la proprietà, l'azienda scompare, e con essa gli insiemi superflui che prima apparivano così essenziali; il flusso produttivo, liberato dal controllo proprietario, può distribuirsi secondo i bisogni umani sull'intero pianeta indipendentemente dalle questioni imposte dal valore; di conseguenza, la popolazione non ha più motivo di migrare verso i punti di concentrazione di capitale".[21]

Il periodo di riproduzione del capitale totale è la somma dei periodi di produzione e di circolazione. All'interno del periodo di produzione si verificano dei passivi dovuti al persistere della forma aziendale. Pensiamo ad una falegnameria che acquista del legno per lavorarlo, il materiale prima di essere lavorato deve essere stagionato per alcuni mesi. In un'economia capitalistica il tempo di stagionatura rappresenta un passivo, problema che sarebbe completamente eliminato in una società che non conosce il valore. I passivi della circolazione sono dovuti alla momentanea impossibilità di realizzare il valore delle merci, alle spese di spedizione e di trasporto, a quelle di invio e ricezione del denaro. Le spese di contabilità di ogni singola azienda, come abbiamo visto, pesano sull'insieme della società capitalistica. Ogni metamorfosi del capitale rappresenta un passivo che si trasferisce nel bilancio del complesso sociale.

Aggiungiamo le spese morte riguardanti la circolazione. Le merci prodotte in attesa di essere vendute o arrivate alla distribuzione capillare, devono essere immagazzinate e lo stoccaggio ha un costo. Anche nelle società comunistiche parte del prodotto veniva immagazzinato; i magazzini avevano però funzioni completamente diverse da quelle di oggi poiché non contenevano merci ma beni prodotti dalla comunità per la comunità. Non essendoci separazione tra i produttori e i mezzi di produzione, i magazzini antichi funzionavano come organismi di distribuzione controllati da tutta la società, per cui, come dimostrano i sigilli posti sui contenitori, la contabilità veniva effettuata tramite semplice conteggio di quantità fisiche.[22] Oggi piuttosto che distribuire le merci in eccesso la società le distrugge.

Sullo sciupio dovuto alle spese di trasporto delle merci e degli uomini rimandiamo i lettori all'articolo Evitare il traffico inutile, punto "g" de Il programma rivoluzionario immediato.[23] Fin da subito, conquistato il potere politico, la nuova società dovrà adoperarsi per la "riduzione dell'ingorgo, velocità e volume del traffico, vietando quello inutile".

Per una teoria dello sciupio

Il lavoro per definire una teoria organica dello sciupio capitalistico è necessario, oltre che per i motivi già evidenziati, anche per dimostrare l'assunto di Marx, per il quale ogni nuovo modo di produzione porta alle estreme conseguenze lo sviluppo della forza produttiva sociale che, arrivata al culmine, si tramuta in freno dello sviluppo ulteriore. Dimostrare che la società capitalistica è sempre più dissipativa e si comporta come un ostacolo nei confronti della società emergente significa rendere palese che il confronto fra società si deve fare non fra quelle esistite ma fra esse e quella che ancora deve venire:

"Occorre dunque ammettere che i dati di una tale società del domani siano desumibili e deducibili, non da schemi ideali o da costruzioni filosofiche astratte, ma dai dati della storia passata e di tutte le forme sociali analizzabili: quelle precapitalistiche, e la capitalista".[24]

La società futura è descrivibile solo negando le categorie della società presente, e i testi della nostra corrente ci danno la possibilità di gettare ponti sicuri tra i modi di produzione e di definire il comunismo non come una "proposta" ma come un divenire, una maturazione dei rapporti di produzione – e quindi sociali – che nega la forma attuale.

Richiamarsi al futuro è anche un buon antidoto contro l'opportunismo. Il futuro non contempla una riuscita riforma del sistema capitalistico ma la sua morte. Negli anni '50 e '60 lo stalinismo criticava l'Occidente sostenendo che lì c'era una penuria di prodotti mentre nella "patria del socialismo" vi era continuo progresso nella produzione di grandi quantità di beni. Non era vero, il consumismo stava dilagando dagli Stati Uniti a tutto l'Occidente, e comunque l'indice del "benessere" non è fatto solo di dati quantitativi ma qualitativi: è tipico delle società capitalistiche avanzate progettare le merci secondo bisogni indotti, auto che possono correre a 300 Km all'ora su strade che hanno il limite a 90, computer che potrebbero fare da stazione di controllo per un viaggio alla Luna e vengono adoperati per giocare o chattare, impianti home theatre di potenza inaudita capaci di demolire con onde acustiche il salotto condominiale in cui li si installa. A volte il parossismo produttivo e consumistico porta a diffondere merci pericolose, spesso non riparabili, tipo usa-e-getta, oppure progettate secondo il criterio dell'obsolescenza programmata, cioè con l'intenzionale introduzione di parti che non durano nel tempo sotto sforzo o alle intemperie ecc., per cui è certo che dopo un periodo deciso in sede di progetto quella merce si deve buttare o sottoporre a costose riparazioni.

Avveniristico Engels

Usciamo adesso dal Secondo Libro del Capitale restando comunque collegati ai nostri articoli-resoconto di programma dove sono riportati due discorsi di Engels tenuti a Elberfeld nel 1845. Nei due testi Engels fa un raffronto tra la società capitalistica e la futura società comunista mettendone in evidenza tutte le differenze. In quel periodo Engels è già in contatto con Marx e incomincia a prendere forma la "nostra" teoria. Ma la socialdemocrazia strumentalizzerà le sue affermazioni per "inventarsi" un Engels giovane, utopista, contrapposto a un Engels maturo, scientifico. Egli avrebbe presentato il comunismo come proposta sociale, come modello da applicare, mentre lo stesso Engels aveva scritto più volte che il comunismo è il prodotto conseguente di un processo materiale. La nostra corrente nega questa contraddizione dimostrando che analisi economica e analisi politica sono inscindibili. Engels vuole mostrare il rendimento superiore di una società comunista rispetto alla società attuale:

"Nella società comunista, dove gli interessi degli uni non sono più opposti a quelli degli altri, ma associati, sparisce la concorrenza. Come facilmente si intende, non si tratterà più della rovina di alcune classi, di classi tutte intere. Così come sparirà il modo privato di acquistare i beni, sparirà il fine particolare dell'individuo di arricchirsi per proprio conto nella produzione e nella distribuzione dei beni necessari alla vita, così come spariranno da sé stesse le crisi generali del commercio".

Qui Engels al criterio utopista non si avvicina neppure, ma contrappone classi e categorie economiche e sociali di domani a quelle d'oggi. E le prime non sono un'invenzione letteraria ma la negazione delle seconde. Il discorso non è basato sulla "frase", come scriverà, con Marx, nella Ideologia tedesca, bensì sulla dinamica oggettiva che porta allo sciupio sociale.

"Nella società comunista dunque sarà cosa facile conoscere così bene la produzione quanto il consumo. Noi vediamo dunque come i mali essenziali dello stato sociale presente scompariranno nella organizzazione comunista. Ma se noi tuttavia entriamo in maggiori dettagli, noi troveremo che i vantaggi di una tale organizzazione non si fermeranno a questo, ma andranno fino ad eliminare una quantità di altri mali, di cui non menzionerò oggi che solo i principali. L'ordine attuale della società è certo dal punto di vista economico il più irrazionale ed il meno pratico che possa concepirsi. L'antagonismo degli interessi fa sì che una gran quantità di forze di lavoro sia utilizzata in un modo da cui la società non trae vantaggio alcuno, che una quantità di capitali è perduta inutilmente, senza potersi riprodurre... ".

Il confronto, con cifre e dati, lo troviamo anche nel discorso sulle esperienze comunistiche americane.[25] Il tema dello sciupio sociale, che in Engels fa da sfondo alla necessità del comunismo, visto anche come superamento dell'irrazionale, sarà riproposto da Marx quando affronterà il problema della trasformazione di capitali in capitali fittizi e, attraverso le crisi, come necessaria distruzione di capitali. Ed essendo il capitale frutto di lavoro, cioè di energia umana e fisica, ecco che si stabilisce un legame anche tra sperpero di capitale e sperpero di vita.

Oltre alla distruzione di capitali, allo sperpero di forze produttive dovuto all'anarchia della produzione capitalistica, quando si verifica una crisi le fabbriche chiudono e gli stock di merci prodotte vengono annientati. Ad un estremo dello scenario devastatore del capitalismo abbiamo la guerra e le relative spese sociali per prevenirla (si dice), per combatterla e per ricostruire ciò che ha demolito.

Altri aspetti di sciupio che Engels elenca sono le spese di trasporto e quelle derivate dall'idilliaco rapporto umano entro la società-jungla, rapporto che comporta l'esistenza degli apparati poliziesco, giudiziario e carcerario: la sovrastruttura necessaria a mantenere un minimo di ordine nella giungla capitalistica. La sola riconversione dell'industria bellica e degli eserciti, delle polizie e di tutti i settori "improduttivi" avrebbe permesso, alla data del 1845, di ridurre la giornata lavorativa della metà. All'interno di questa società la diminuzione della giornata lavorativa è un traguardo fondamentale per il proletariato. Nel nostro articolo Elevare i costi di produzione (n+1, n. 1), anche questo ispirato a un punto del Programma rivoluzionario immediato nell'Occidente capitalistico, abbiamo scritto: " Elevamento dei costi di produzione, per poter dare, fino a che vi sono salario, mercato e moneta, più alte paghe per meno tempo di lavoro" .

Un altro fattore di sciupio è quello dovuto al persistere del focolare domestico. Come sono dissipativi i limiti aziendali, così sono dissipativi quelli famigliari (pensiamo anche soltanto a tutti i beni durevoli privati, dalla casa all'automobile, dal frigorifero al personal computer, ecc). La famiglia oltretutto rappresenta un baluardo politico che si eleva a conservazione dell'esistente impedendo la formazione dell'uomo sociale, cioè alimentando l'egoismo solipsistico dei gruppi chiusi. Robert Owen, utopista e socialista inglese, nel complesso comunistico produttivo di New Lanark aveva fatto dei calcoli precisi sui risparmi dovuti alla vita e al lavoro in comune. Engels parlava della distruzione del focolare nel 1845 sviluppando un tema formidabile per l'epoca, che a ben vedere è formidabile anche per l'oggi visto che l'antistorico guscio famigliare ce lo troviamo ancora in mezzo ai piedi. Nell'articolo La dimora dell'uomo ( n+1, n. 9) abbiamo scritto che

"è impossibile rendere in poche pagine l'immenso sciupio sociale dovuto alla concezione borghese di un'urbanistica e un'architettura che concepiscono la casa come macchina abitativa. E dimostrare in modo esauriente la follia che ha prodotto quell'altra macchina individuale chiamata automobile, quella che serve a percorrere il cordone ombelicale che lega l'abitazione al luogo di lavoro, a spostare ogni giorno masse enormi di uomini in un insensato formicolìo."

Engels, come Marx, insisteva molto sulla necessità di superare la divisione sociale del lavoro. Questa necessità si collega al tema della dissipazione perché nella società futura i giovani saranno messi nella condizione di applicare le loro capacità e conoscenze in tutto il processo produttivo, superando così la specializzazione tipica della produzione parcellizzata.[26] Una tale condizione, apparentemente poco razionale secondo i criteri attuali, è invece ad alto rendimento sociale perché una diffusione della conoscenza permette al cervello collettivo di conoscere sé stesso e quindi di assumere una grande capacità di autoregolazione. Nella futura società la produzione non sarà più finalizzata a un qualcosa di estraneo (alieno), ma sarà produzione dell'uomo per l'uomo, rottura di isole chiuse, superamento non solo delle specializzazioni, ma anche delle professioni e delle ignobili carriere.[27]

Dissipazione energetica

Tutta la critica che storicamente il marxismo ha svolto contro il capitalismo contiene l'affermazione di una forma sociale futura che preme per liberarsi. La nostra teoria dello sciupio perderebbe senso se non ci fosse il riferimento a una forma sociale anti-dissipativa. Solo ponendosi in n+1 (comunismo) si può sperare di fare una critica seria a n (capitalismo). La necessità di un cambio di paradigma porta gli stessi borghesi a trattare il tema della dissipazione e, come abbiamo notato più volte, alcuni di essi, coscientemente o meno, finiscono per capitolare ideologicamente di fronte al marxismo.

Nell'articolo La grande dissipazione energetica come transizione di fase[28] abbiamo provato a dimostrare la crisi irreversibile dell'attuale modo di produzione basandoci su di un calcolo puramente energetico, partendo da unità di misura che non fossero quelle del valore. Invece di valore-lavoro abbiamo parlato di calorie arrivando comunque alla conclusione che il capitalismo è prossimo al collasso. In quell'articolo abbiamo anche tentato di evidenziare il potenziale energetico catturabile già oggi rispetto a quello che ci viene inviato dal Sole, senza far ricorso a fonti esauribili (petrolio, carbone, ecc.). A differenza degli ecologisti non pensiamo che riconvertendo la produzione di energie si risolvano tutti i problemi: se l'economia resta capitalistica l'immane sciupio di forza-lavoro rimane. Le fonti energetiche rinnovabili fanno gola al capitale. Bill Gates e altri capitalisti hanno annunciato il lancio di un fondo da un miliardo di dollari volto a investire in tecnologia e innovazione per ridurre le emissioni di gas serra in pressoché tutti i settori: produzione e stoccaggio di energia, trasporti, processi industriali, agricoltura, manifattura, edilizia. Si cercano dunque nuovi campi d'investimento, e non certo per combattere l'immane spreco di energie di specie che il sussistere del baraccone capitalista comporta.

Con tragiche conseguenze. Non ultimo il fatto che una buona parte delle patologie psicologiche che attanagliano l'infelice umanità sono dovute al persistere di questo folle modo di produzione (come abbiamo visto nel nostro articolo Una vita senza senso): [29] pensiamo all'incalcolabile surplus di spreco sociale dovuto a una disoccupazione che giunge in certe aree a superare il 50%, al fenomeno dei Neet ("Not in education, employment or training"), milioni di giovani che non lavorano e non studiano e vivono sospesi nel vuoto, ai milioni di anziani che, usciti o espulsi dal processo produttivo sono spesso relegati fra i senza-riserve impoveriti. Pensiamo a quanta parte di umanità è retrocessa a livelli sub umani proprio mentre si fa parossistica la campagna tipica dei tempi di crisi: "acquista!".

Entropia

È il titolo di un notissimo libro di Jeremy Rifkin, pubblicato per la prima volta nel 1980 sotto il patrocinio della Foundation of Economic Trends, in cui il saggista statunitense, pur non usando le categorie di Marx, arriva alle medesime conclusioni, o quasi. La borghesia da tempo si preoccupa dei problemi legati all'ecologia e al consumo energetico e cerca delle soluzioni; così facendo è però costretta a criticare sé stessa mostrando che la sua scomparsa dalla scena storica non è poi così lontana.

In Entropia Rifkin descrive un sistema di produzione e riproduzione soggiacente al secondo principio della termodinamica. Se ci fermassimo al primo principio (legge della conservazione dell'energia, per cui niente si crea e niente si distrugge) non ci sarebbe problema energetico. Ma il secondo principio afferma che l'energia passa da una forma all'altra, da una meno probabile (ordine) a una più probabile (disordine). Stiamo quindi parlando di sistemi dissipativi: se noi bruciamo un pezzo di carbone lo trasformiamo in una serie di gas che hanno perso la forma solida. Il carbone bruciato non tornerà più alle condizioni originarie, deve essere riprodotto attraverso un processo naturale che, sotto l'impulso solare, riordini atomi e molecole in alberi.

Alcuni processi di ricostituzione hanno tempi brevissimi, come la crescita dell'erba tagliata, altri processi sono invece secolari o millenari come la crescita degli alberi o la formazione del carbone fossile. Ogni volta che una certa quantità di energia passa da uno stato all'altro si ha una penalizzazione che consiste nella perdita di una sua parte che non sarà più utilizzabile per produrre lavoro. Nella storia della scienza, la termodinamica è un mirabile prodotto della rivoluzione industriale. Il termine entropia è stato coniato dal fisico Rudolph Clausius nel 1865, gli studi sull'argomento risalgono a quarant'anni prima ed erano stati portati avanti da Nicolas Sadi Carnot, un ufficiale dell'esercito francese che si interessava al funzionamento delle macchine a vapore. Nicolas Georgescu-Roegen, il fondatore della bio-economia, maestro di Rifkin, sostiene che "in un sistema chiuso l'entropia dei materiali dovrà a un certo punto raggiungere un massimo."

Qualsiasi sistema economico non può fare a meno di essere entropico e, afferma Georgescu-Roegen, qualunque scienza che si occupi del futuro dell'uomo, come quella economica, deve tener conto dell'ineluttabilità delle leggi della fisica. Ogni processo che comporti l'utilizzo di energia non potrà mai avere un rendimento uguale o superiore a 1, tale rendimento sarà sempre una certa percentuale dell'energia immessa: in una società non dissipativa si può diminuire drasticamente il grado di entropia (o di sciupio), ma non lo si potrà mai eliminare del tutto. La Terra è un sistema chiuso sul quale arriva solo l'energia del Sole; se ricaviamo dal pianeta più energia di quanta ne abbia accumulata o ne arrivi, lo distruggeremo dal punto di vista della possibilità di viverci. Ma se una società si apre a un'altra società di livello superiore, allora l'acquisto di nuova informazione può aumentare l'ordine interno e diminuire l'entropia. Ad esempio, sarebbe già tecnicamente possibile smettere di utilizzare fonti energetiche non rinnovabili, "basterebbe" eliminare lo sciupio dovuto al modo di produzione attuale. Invece viene sognato un miracolo: far funzionare il mondo così com'è con le solite fonti e il solito spreco. Proviamo ad immaginare l'attuale produzione mondiale di acciaio (1,6 miliardi di tonnellate) ottenuta con l'energia ricavata da pannelli fotovoltaici e batterie ricaricabili: non è semplicemente possibile.

Legge universale

A proposito della termodinamica e delle sue implicazioni, Albert Einstein scriveva:

"Una teoria è tanto più emozionante quanto più semplici sono le sue premesse, più diverse le categorie di fenomeni a cui si riferisce, più vasto il suo campo di applicabilità. Ecco perché mi ha sempre fatto una profonda impressione la termodinamica classica, l'unica teoria fisica di contenuto universale di cui sono convinto che, nel campo di applicabilità dei suoi concetti basilari, non verrà mai superata."[30]

La termodinamica classica è una legge universale. Essendo valida per la natura è valida per l'uomo che ne è parte. L'homo sapiens, secondo Rifkin, sta portando avanti un processo di colonizzazione di habitat e questo gli si ritorce contro:

"L'homo sapiens nel suo complesso dovrebbe avviarsi da una fase di colonizzazione a una fase di climax. Gli esseri umani, specialmente nelle società altamente industrializzate, continuano ad aumentare la quantità di energia utilizzata sia in ambito personale sia in ambito sociale, ma la crisi dell'uomo d'oggi è una crisi di transizione: nelle prossime età l'uomo si sarà stabilizzato nella sua fase di climax e darà alle sue attività un ordine tale da minimizzare i flussi di energia nei processi umani e sociali. Se non lo farà seguirà probabilmente il destino di altre specie che non seppero affrontare la transizione nei tempi passati".[31]

Se la specie umana non ritorna ad un livello di equilibrio con il mondo che la circonda va incontro ad una crisi di così vaste proporzioni che la porterà all'estinzione. Le società antiche conoscevano bene i limiti dello sviluppo, noi le abbiamo chiamate società omeostatiche perché tendevano a mantenere un equilibrio con l'ambiente.

Finché non verrà infranto il processo di colonizzazione/accumulazione la nostra specie continuerà a riprodurre i propri errori ingigantendoli. Conclusa la conquista della Terra da parte del capitale, l'uomo vorrebbe spingersi utopisticamente a colonizzare altri pianeti. È questa corsa a nuovi spazi per merci e mercato che spiega i progetti di conquista di Marte.

Rimanendo in questa fase di colonizzazione, dice Rifkin, la società aumenta il numero dei flussi, degli scambi energetici e dell'informazione. Se poi, aggiungiamo, all'aumento della complessità del sistema non corrisponde un'organizzazione globale adeguata degli stati, si presenta quella generale perdita di controllo che gli stati manifestano da tempo (ricordiamo che l'aumento del disordine in un sistema è aumento di entropia). Per far crescere la massa del plusvalore anche di poco bisogna mettere in moto una tale quantità di capitale che il sistema ad un certo punto si inceppa. Anche partendo dai campi più disparati la critica tende ormai a convergere con quella classica marxiana, anche se poi ovviamente i borghesi tendono a salvaguardare la loro società. Rifkin, per dimostrare come la dissipazione sia connaturata all'attuale modo di produrre, utilizza come esempio generale la produzione di una modesta brioche, di quelle che si consumano per colazione. Riprendiamo l'elenco sfrondandolo dall'ideologia ecologista e precisandolo in quanto a ciclo di lavorazione:

- Il terreno su cui è seminato il grano (proveniente da silos) è stato fertilizzato con prodotti azotati e lavorato con macchine. Non è ancora incominciato il ciclo della brioche e abbiamo già una dissipazione energetica (industria chimica, siderurgica, edilizia, dei trasporti, ecc.).

- Dall'ammasso nei silos il grano viene trasportato ai mulini e trasformato in farina a vari livelli di raffinamento. Al grano e alla farina sono aggiunti additivi antiparassitari e conservanti. Parte del capitale costante si trasferisce nella farina.

- La farina viene immagazzinata, trasportata e lavorata nei forni.

- Il prodotto da forno viene imballato in una confezione di carta, cartone e/o plastica stampati.

- Dai forni e dai magazzini le brioche confezionate per la distribuzione all'ingrosso vengono trasportate ai luoghi di distribuzione al dettaglio e in seguito consumate. In tutto il ciclo viene dissipata energia (carburanti, illuminazione, aria condizionata, ecc.).

- Il consumatore va in automobile al supermercato, torna a casa, toglie l'imballo, lo getta nei rifiuti e mangia finalmente il contenuto. I rifiuti vengono raccolti con macchine apposite e trattati in vario modo con altre macchine (presse, bulldozer, inceneritori, ecc.).

La nostra brioche, 130 kilocalorie, è il frutto di un ciclo di lavorazione che valutato con il criterio EROEI (Energy Returned On Energy Invested) risulta decisamente catastrofico: decine di migliaia di kilocalorie/brioche divorate dal processo produttivo integrale per mettere in tavola o sul bancone del bar un prodotto che per la salute non è certo un toccasana (e così mette in moto un ulteriore ciclo: studi medici, ospedali, farmaci, ecc.).

Il prezzo di un prodotto industriale di grande diffusione come la nostra brioche si approssima al valore, cioè alla quantità di lavoro cristallizzata in esso, tant'è vero che la rivista The Economist ha escogitato, sulla base di un prodotto analogo, un Big Mac Index come unità di misura per confrontare i vari mercati nazionali. Il grande panino super industriale di McDonald's è la merce globalizzata per eccellenza su cui potremmo fare con maggior precisione lo stesso discorso fatto con la brioche. Si potrebbe obiettare che effettivamente molta energia va dissipata nel mostruoso ciclo di lavorazione globale, ma che la grande industria in fin dei conti ci dà un prodotto alimentare dal costo unitario molto basso, per di più nutriente e quindi utile per la sopravvivenza in tempi di… carestie. Tale ragionamento può essere consolatorio ma è sbagliato: il risultato del calcolo è che otteniamo 130 kilocalorie da un ciclo che per produrle ne dissipa centinaia di volte tante.

La brioche diventa un esempio che può essere esteso a tutta la produzione capitalistica. L'alimentazione dell'umanità è soggetta al tipo di ciclo che abbiamo sintetizzato, con l'aggravante che l'elevarsi del livello standard di vita comporta una dieta micidiale per l'ecosistema. Nel campo dei trasporti spendiamo più tempo di lavoro nel "risparmiare" sui tempi di spostamento che per gli spostamenti stessi, togliendo all'agricoltura lo spazio su cui sorgono immani infrastrutture (ferrovie, porti, aeroporti, autostrade, metropolitane, ecc). L'urbanizzazione è giunta a livelli di rottura, sia dal punto di vista sistemico che dal punto di vista sociale, per cui i rimedi per evitare che la situazione vada fuori controllo (amministrazioni pletoriche e corrotte, assetto militare degli apparati polizieschi, moltiplicazione delle strutture per l'intervento in campo sociale, ecc.) contribuiscono al caos invece di evitarlo.

Un capitolo del saggio di Rifkin è dedicato alla ridistribuzione della ricchezza: la storia ci insegna che ogniqualvolta l'energia disponibile in una società, cioè la sua ricchezza, si trova concentrata nelle mani di pochi individui o organizzazioni (il simbolico 1% contro cui si è scagliato il movimento Occupy Wall Street), così da impoverire e porre a rischio di sopravvivenza tutti gli altri, la società crolla o si avvia a una rivoluzione, oppure si verificano entrambe le cose. Una parte del saggio è dedicata alle anticipazioni, ai nuovi modi di vivere anti-entropici, e Rifkin fa l'esempio del movimento della scelta semplice, che già una trentina di anni fa negli Stati Uniti contava 4 o 5 milioni di persone, i cui seguaci, i neo-semplici, abbandonano il consumismo-capitalismo per vivere una vita a basso impatto energetico. Abbiamo commentato: "Alcuni vanno a vivere on the road , su camper o autobus attrezzati; altri preferiscono la vita urbana, in strutture comuni, che ormai anche le imprese edili propongono chiavi in mano… Non sono organizzati, a meno di non intendere per organizzazione l'essere collegati in rete". [32] Sono decine di milioni gli americani che in un modo o nell'altro tentano la fuga da una esistenza che ritengono insopportabile. Non danno vita in genere a movimenti politici: semplicemente raggruppano persone che ne hanno abbastanza di un qualche aspetto della civiltà capitalistica.

Non ci interessa criticare questi movimenti per quello che dicono di sé stessi; analizziamo questi fenomeni in quanto tali, come segnali in controtendenza, negazioni del capitalismo entro il capitalismo. Per il momento.

Letture consigliate

  • Latouche Serge, Breve trattato sulla decrescita serena - Come sopravvivere allo sviluppo, Bollati Boringhieri.
  • Mason Paul, Postcapitalismo - Una guida al nostro futuro, Il Saggiatore.
  • n+1 numero 24, Un modello dinamico di crisi. Indagine sul futuro prossimo del capitalismo.
  • PCInt., Scienza economica marxista come programma rivoluzionario . Ora in Quaderni di n+1.
  • Rifkin Jeremy, Entropia, Baldini & Castoldi;La fine del lavoro, Baldini & Castoldi;L'età dell'accesso, Mondadori; La società a costo marginale zero, Mondadori.

Note

[1] Jeremy Rifkin, Entropia, La fine del lavoro,L'età dell'accesso, La società a costo marginale zero. Serge Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena. Paul Mason, Post capitalismo (vedi bibliografia).

[2] Due modelli di mondo erano stati presi in considerazione: il primo, commissionato dal Club di Roma al MIT fu pubblicato con il titolo I limiti dello sviluppo (Donella e Dennis Meadows, Jǿrgen Randers, Mondadori, 1972). Si trattava di un modello previsionale realizzato secondo la "dinamica dei sistemi" di J. W.Forrester. Ripreso dopo vent'anni e pubblicato con il titolo Oltre i limiti dello sviluppo (Mondadori, 1992), confermava le previsioni. Il secondo, commissionato dall'ONU all'economista Wassily Leontief, meno pessimistico, aveva come titolo Il futuro dell'economia mondiale (Mondadori, 1977) ed era basato su di un modello input-output elaborato dall'autore.

[3] "Considerazioni sull'organica attività del partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole", Il Programma Comunista n. 2 del 1965).

[4] La pubblicazione degli articoli iniziò sui numeri 22 e 23 de Il programma comunista nel 1959, proseguì sui numeri 1, 2, 12, 13, 20, 21 del 1960, sui numeri 1, 2, 19 e 20 del 1962 e terminò sui numeri 8 e 9 del 1963.

[5] Composto a Ponza nel 1929 come traccia di un corso per confinati e pubblicato su Prometeo tra il '47 e il '50.

[6] Pubblicato in opuscolo nei primi anni '50 del secolo scorso.

[7] Marx, Il Capitale, Libro II cap. II.

[8] Si tratta della scuola fisiocratica, di cui l'esponente più conosciuto è François Quesnay. Curiosamente, la società futura, cercando un equilibrio fra l'energia che dal Sole giunge sulla Terra e quella necessaria all'umanità, realizzerà una specie di modello "fisiocratico" di ordine superiore. Cfr. il nostro articolo "L'uomo e il lavoro del Sole", in questa rivista n. 5.

[9] Marx, Il Capitale, Libro II cap. II.

[10] Cfr. questa rivista n. 14, L'operaismo italiano e il suo Sessantotto lungo vent'anni.

[11] Far investire gli ignudi, 1950, ora in Imprese economiche di Pantalone, Quaderni di n+1.

[12] Scienza economica marxista come programma rivoluzionario , citato.

[13] n +1, n. 3.

[14] Riunione di Forlì del Partito Comunista Internazionale, 28 dicembre 1952.

[15] La coercizione economica viene meno nella misura in cui la società capitalistica presenta già la soluzione a vari problemi. D'altra parte l'assetto materiale di ogni rivoluzione è: distruzione repentina del vecchio potere ("dittatura del proletariato"); evoluzione graduale della struttura produttiva-distributiva. La gradualità in rapporto al tempo dipende appunto dalla maturità dello sviluppo precedente.

[16] Marx, Il Capitale, Libro II cap. II.

[17] Marx, Il capitale, Libro II cap. IV.

[18] Dottrina dei modi di produzione , ora in Quaderni di n+1.

[19] Marx, Il Capitale, Libro II cap. IV.

[20] Scienza economica marxista … cit.

[21] Rottura dei limiti d'azienda, in questa rivista n. 4.

[22] Cfr. La prima grande rivoluzione, questa rivista n. 27.

[23] Cfr. n+1, n. 10.

[24] Scienza economia marxista cit.

[25] Marx-Engels, Opere complete, vol. IV: "Descrizione delle colonie comunistiche sorte negli ultimi tempi e ancora esistenti".

[26] Cfr. L'estinzione della scuola e la formazione dell'uomo sociale, questa rivista numero 13.

[27] Cfr. Abolizione dei mestieri e della divisione sociale del lavoro , questa rivista numero 12.

[28] Questa rivista numero. 31.

[29] Cfr. Una vita senza senso, questa rivista n. 18.

[30] Albert Einstein, Pensieri di un uomo curioso, Mondadori.

[31] Jeremy Rifkin, Entropia, Baldini & Castoldi.

[32] Cfr. Il movimento per la semplicità volontaria, n+1 n. 24.

Cumulo di merciCumulo di merci alimentari in un magazzino

Rivista n. 41