Dieci punti per demolire Trump

L'America non finisce di stupirci. Essendo il paese più avanzato del mondo, oscilla fra la modernità e la decadenza, producendo situazioni oniriche. Dopo aver democraticamente eletto un presidente adeguato alla sua potenza imperialistica un po' acciaccata e bisognosa di protezione (nel senso di protezionismo economico), ha subito messo in piazza democratiche manifestazioni contrarie all'elezione. Michael Moore, regista e sagace sentinella della verginità politica dei democratici (anche nel senso di Partito Democratico), ha interpretato l'inquietudine di metà degli elettori avanzando un'idea in 10 punti per dis-eleggere il presidente pasticcione. Niente impeachment, dato che Trump non ha ancora fatto in tempo a combinare qualcosa, ma un'ondata di azioni pratiche tali da costringerlo alla resa. Una devastante bordata di artiglieria che, partendo dal popolo, demolisca la Casa Bianca.

La prima azione suggerita è quella di telefonare tutte le mattine al Congresso per manifestare la contrarietà del rivoluzionario anti-trumpista. Una volta si sarebbe intasato il centralino, oggi forse un software è in grado di sostituire i relé e digerire le telefonate. Si può anche evitare la fatica di farle personalmente: una app farà il numero e, nel caso qualcuno rispondesse, gli farà sapere qual è l'opinione di chi chiama. La seconda azione prevede una visita mensile agli uffici dei rappresentanti delle contee o direttamente a Washington al Campidoglio. La terza consiste nella formazione di un team di famigliari, amici, colleghi, ecc. e organizzarlo in modo che il medesimo sia pronto a mobilitarsi rapidamente per ogni evenienza (manifestazioni, pattugliamento sulla Rete, volantinaggi, ecc.). Seguono: il consiglio di iscriversi a gruppi di discussione sulla Rete, di mobilitare le donne per uno sciopero generale, di cacciare a calci nel sedere i politici corrotti del Partito Democratico, di barricarsi negli stati dove detto partito ha vinto creando "zone di resistenza", di candidarsi alla carica di delegato del partito nei distretti (quelli che votano alla convention di contea), di crearsi un sito sulla Rete dal quale fare controinformazione, di lanciare campagne di ridicolizzazione dell'avversario.

Formidabile. Già di primo mattino, dopo qualche decina di migliaia di telefonate a un numero creato apposta per dirottare i rompiscatole, il Sistema Trumpista incomincerà a tremare dalle fondamenta. Socialmente terrificante sarà l'impatto della visita mensile al candidato, che dovrà affittare un cinema per contenere tanta gente, farà un bel discorsetto di solidarietà e manderà tutti a casa, convinti del buon funzionamento della democrazia. Per il terzo punto si potrebbe pensare, invece di creare un nuovo team, di riciclare le assemblee di condominio, notoriamente fonte di decisioni proficue, razionali e unanimi. Idem per i gruppi di discussione in Rete e per tutti quei consigli che comportano il confronto democratico di opinioni, sottoprodotti dei parlamenti, dei quali copiano l'essenza, peraltro ben descritta dal nome stesso: luoghi dove si parla.

Sono antropologicamente interessanti sia lo sciopero delle donne, che ricorda Aristofane, sia le "zone di resistenza" in un paese dove le famiglie possiedono 300 milioni di armi da fuoco e gruppi armati contano 400.000 membri politicamente orientati. Rimangono l'iscrizione alle liste dei candidati, l'utilizzo della Rete per fare disinformazione e la ridicolizzazione dell'avversario. Che combinazione: gli stessi mezzi che ha utilizzato Trump. Ma del resto: non è tutto l'impianto dei 10 punti che offre un'inquietante simmetria fra le forze politiche d'America?

Rivista n. 41