Uragani d'America

Irma o della crescita esponenziale dei danni

Gli uragani della costa occidentale atlantica diventano sempre più frequenti, e provocano disastri sempre più pesanti (in un solo mese, a cavallo tra agosto e settembre, se ne sono scatenati quattro: Harvey, Irma, Jose e Maria). Oltre a causare morti e feriti, distruggono o danneggiano milioni di abitazioni, con effetti dirompenti in un contesto in cui buona parte della popolazione è costretta ad espedienti per poter a volte semplicemente sopravvivere. Ma l'uragano, come una guerra, è sinonimo di ricostruzione. Basta osservare le grandi colline formate con le macerie dei quartieri rasi al suolo dalle intemperie e ulteriormente spianati con i bulldozer per capire che manna sia per ogni tipo di speculazione.

L'uragano Andrew, del 1992, fu catalogato di forza 5 e produsse danni per 26 miliardi di dollari. Katrina, del 2005, catalogato di forza 3, ne produsse per 80 miliardi di dollari. Irma, recentissimo (settembre 2017), anch'esso di forza 3, ha causato distruzioni per 300 miliardi di dollari (400 se si conta anche l'uragano-fratello Harvey abbattutosi sul Texas pochi giorni prima). È vero che l'entità delle distruzioni dipende molto dalle caratteristiche delle zone attraversate dall'uragano, ma questo crescendo è sospetto: è possibile che le ricostruzioni siano di bassa qualità rispetto alle norme di sicurezza, come è possibile che c'entri soltanto qualche causa contingente. Sta di fatto che nel caso di Irma l'organizzazione preventiva dello stato ha funzionato meglio di altre volte, per cui sette milioni di abitanti sono stati evacuati senza problemi. O quasi. Mentre code di migliaia di auto si sviluppavano sulle autostrade in direzione opposta a quella dell'uragano, i quartieri "cubani" di Miami andavano sott'acqua e i loro abitanti sui tetti. I grattacieli hanno resistito benissimo mentre i ghetti poveri di case prefabbricate sono stati disintegrati. Insomma, niente di nuovo intorno al Golfo del Messico. E niente di nuovo nemmeno dal punto di vista dell'ordine pubblico (coprifuoco a Miami), né da quello dello sciacallaggio legale rappresentato dalle mille "ditte" che promettono facilitazioni per ricostruire. Nuova invece, a quanto sembra, la mancanza di una rete di solidarietà effettiva, segno che l'uragano non ha comportato una soglia sufficiente di stress sociale. Scorrendo la rete si notano centinaia di enti, associazioni, strutture dedicate alla sicurezza pre e post catastrofe. Questa tutela virtuale è palpabilmente fasulla in buona percentuale, e siccome colpisce individuo per individuo non suscita reazioni collettive.

Ricordate Katrina?

Ben diversa fu la situazione venutasi a creare con l'uragano Katrina. Il 23 agosto del 2005, nei pressi delle Bahamas, si formò una depressione atmosferica classificata come normale uragano tropicale di categoria 1. Spostandosi verso il continente americano, acquistò energia fino a rientrare nella categoria 3. Il 29 agosto, dopo aver devastato parte della Florida, colpì la Louisiana e il Mississippi. L'ondata d'acqua dal cielo e l'effetto marea dovuto alla bassa pressione provocarono il cedimento delle dighe di protezione di New Orleans in cinquanta punti, con il conseguente allagamento dell'area metropolitana per un 80%. Vi furono 1.836 morti e danni per 80 miliardi di dollari. La protezione civile e l'esercito furono sopraffatti dalla mancanza di organizzazione, e il ricorso ad aziende para-militari private produsse una inusitata repressione "anti-sciacallaggio" contro gli abitanti che, avendo perso tutto, cercavano cibo e soprattutto acqua. In questa situazione apocalittica la popolazione rimasta intrappolata nella città sommersa, abbandonata a sé stessa, diede prova di una notevole auto-organizzazione, mentre cresceva la protesta contro l'inettitudine dello stato.

Nei mesi successivi, risultò evidente che si stava procedendo all'espulsione degli abitanti delle zone più povere della città per abbatterne le case e ricostruire. I profitti erano garantiti non solo dalla riedificazione dei vecchi quartieri ma soprattutto perché questi venivano "riqualificati" (gentrification). La speculazione sfacciata e l'espulsione di massa provocarono una dura reazione degli abitanti, non prevista e molto estesa. Lo stato si rivelò incapace di affrontare anche la nuova emergenza: per evitare sommosse mobilitò la Guardia Nazionale.

I grandi lavori di ricostruzione richiamarono migliaia di lavoratori, la maggior parte latinos precari fatti venire dall'estero. Assunti per lo più giornalmente con il metodo del caporalato, lavorarono, in base a una promessa di salario che non ricevettero mai, sino a 10-12 ore al giorno per sei o sette giorni alla settimana. Furono rapinati di decine di milioni di dollari e per difendersi dovettero creare organismi di sostegno di carattere sindacale. La situazione era tesa: gli abitanti di New Orleans, presi a fucilate prima per "sciacallaggio", poi per resistenza ai militari avendo cercato di impedire la distruzione delle proprie case, e infine per occupazione di aree pubbliche avendo rifiutato l'espulsione, si coalizzarono e, man mano che, praticamente costretti, migravano verso altre città trasferirono ad altri la loro esperienza. Questa migrazione, tra l'altro, non era provvisoria, dato che le case in cui tornare non c'erano più (ancora oggi il mercato del lavoro a New Orleans è meno vivace che altrove).

Ma non era solo New Orleans ad aver bisogno di essere ricostruita: l'uragano era passato su quattro stati e i cantieri erano molti. Non riuscì alcun tentativo di organizzazione sindacale tradizionale, ma si formarono dei gruppi connessi tra loro, e una qualche forma di coordinamento sopravvisse anche per via dell'enorme ammontare di lavoro non pagato che avvocati liberal tentavano di recuperare. Questa labile rete rappresentò una differenza importante rispetto al passato. Essendo di tipo immediato, non ebbe connotazioni ideologiche; essendo nata contro lo stato, non ebbe neppure semplicemente connotazioni sindacali; essendo sopravvissuta dedicandosi a problemi pratici continuò ad occuparsi di problemi dello stesso genere: non perdere la casa, non essere sbattuti ogni volta a centinaia o migliaia di chilometri di distanza, non soccombere di fronte a imprese che approfittavano selvaggiamente del bisogno assoluto di lavorare. È probabile, anche se non si può ovviamente provare, che queste forme di collegamento siano sopravvissute, in pratica o nella memoria (com'era successo dopo la lotta dei corrieri della UPS), fino al 2011, quando il movimento di Wall Street esplose apparentemente dal nulla, di primo acchito come eco dei movimenti iniziati con la "Primavera araba".

Occupy Wall Street non nasce dal niente

Non stiamo sostenendo che il movimento OWS sia "nato" dalle forme organizzative che si era data la popolazione durante e dopo Katrina: stiamo sostenendo che la condizione materiale in cui si trova la popolazione degli Stati Uniti non può che produrre situazioni sociali estreme. La mancanza di tutela da parte dello stato, che anzi, mette in campo la sua violenza repressiva contro i cittadini disastrati, produce bisogno di autotutela, organizzazione spontanea, resa efficiente dall'uso della rete. È difficile operare collegamenti diretti, ma il peggioramento delle condizioni di vita di milioni di persone in seguito alla crisi del 2008 è stato certamente un fattore di ricomposizione di esperienze passate. La rinascita di un movimento a distanza di anni non si può spiegare solo con ciò che era successo in Nordafrica e in Europa. E tantomeno si può spiegare con l'improvviso attivismo di qualche intellettuale liberal che ha cercato di farsi passare come padre del movimento rivendicando il primato dello slogan 99 contro 1 per cento.

OWS non ha accettato la logica sindacale della limitazione del conflitto nello spazio "della vertenza", non si è messo al rimorchio dei sindacati, numericamente ridotti, frammentati e sostanzialmente deboli, ma ha spostato la lotta sul piano "offensivo" coinvolgendo tutti i settori metropolitani. E ha costretto di fatto i sindacati, in taluni casi, a "inseguire" gli eventi partecipando a manifestazioni sotto il segno del rifiuto di questa società, estranee alla loro pratica abituale. L'aspetto fondamentale di questo importante movimento è stato quello di evidenziare, sia pure in maniera limitata e parziale, il nesso tra la lotta immediata e la nascente tendenza verso un altro modo di vivere, verso un nuovo modello di organizzazione sociale. Episodi come il blocco di Oakland con lo sciopero generale (proibito negli USA), il blocco dei porti sul Pacifico, i picchetti volanti nella fascia industriale della East Coast dimostrano che vi è stata una effettiva polarizzazione sociale, quella stessa che si è manifestata con la formula 99% contro 1%. Ciò significa che non si è solo creato un legame sociale fra i manifestanti e una parte della popolazione, ma che il movimento stesso era un'espressione autentica di questa parte.

I risultati pratici non sono stati eclatanti, il diffuso pragmatismo non si è collegato a una teoria, il successo delle iniziative di lotta non è stato completo, ma già il solo fatto di doversi impegnare per risolvere tutti i problemi pratici ed organizzativi conseguenti ad esempio al blocco dei porti lungo un fronte di migliaia di chilometri è segno che siamo di fronte a un moto sociale che non è un prodotto casuale di un generico malcontento ma un qualcosa di più profondo. Come confermano gli stessi molteplici obiettivi che esso si è dato: dall'occupazione di case per sfrattati (una delle sue maggiori sfere di interessi) alla formazione di ben organizzati gruppi di autodifesa dagli attacchi della polizia, contro la quale a Oakland hanno marciato sotto il segno dell'acronimo FTP, che significa, in stile web-OWS, sia File Transfer Protocol sia Fuck The Police.

Occupy Wall Street si è caratterizzato anche per un'altra particolarità inedita: poche chiacchiere e molta organizzazione per realizzare programmi decisi in assemblea, senza la presenza di leader, non voluti e anche fortemente osteggiati (tutte le volte che qualcuno ha provato a salire in cattedra è stato zittito). Agli europei, abituati ad altri metodi, può sembrare strano che ad ogni decisione presa in assemblea corrispondesse, postato on line, il "manuale di istruzioni" per la sua attuazione pratica. Così il movimento si è contraddistinto più come modello di società alternativa che come raggruppamento teso a ottenere un qualche risultato contingente rivendicandolo in questa società. Cui di fatto, ha voltato la schiena.

E ciò è risultato chiaro quando l'organizzazione di OWS, nel momento in cui stava già declinando, è diventata una rete di intervento attivo durante e dopo l'uragano Sandy (ottobre 2012). Il punto di partenza è lo stesso del caso Katrina: in seguito ad un avvenimento naturale catastrofico, i singoli stati e quello federale si sono dimostrati inadeguati rispetto alle necessità della popolazione. Immediatamente OWS ha messo in moto una rete di sostegno per portare aiuto materiale in situazioni in cui nessun organismo istituzionale è riuscito ad essere presente. Per qualche giorno, Occupy Sandy è stata l'unica forma organizzata in grado di affrontare la situazione, tanto che a un certo punto la protezione civile e soprattutto la Guardia Nazionale hanno dovuto basarsi sulla struttura OWS perché le loro non funzionavano più, sopraffatte dal caos. Ciò sarebbe stato impossibile senza un suo radicamento profondo nel tessuto sociale.

Interessante anche il fatto che un movimento come OWS, essenzialmente laico e anzi tendenzialmente ateo, abbia utilizzato senza la minima remora la rete fisica della Chiesa metodista, trasformando luoghi di culto ed edifici vari in centri di smistamento degli aiuti. Quando lo stato, terminata l'emergenza, ha riconosciuto sgravi fiscali a chi aveva organizzato degli aiuti, OWS, il cui impegno era stato sostenuto dalle sottoscrizioni dei suoi militanti e simpatizzanti, non ha modificato la propria personalità giuridica per intascare denaro.

Occupy Sandy è stato il canto del cigno di Occupy Wall Street. In un anno di esistenza organizzata e unitaria ci ha mostrato l'importanza dell'aspetto pragmatico e anti-ideologico che è stato più dirompente rispetto al passato: neppure la tradizionale genuflessione di fronte alla democrazia, in questi casi generalmente definita come "diretta", "dal basso", "effettiva", "sostanziale", ecc. è riuscita a far breccia, e il moto sociale si è dispiegato, dandosi spontaneamente le strutture che servivano al fittissimo programma di manifestazioni e di lotta contro il famigerato 1%.

Gli orti urbani

Del resto il pragmatismo che ha origine dalla comunità di villaggio americana, quacchera, pionieristica, è rintracciabile in molte delle manifestazioni sociali d'America. La salvaguardia del polmone verde di New York, Central Park, ad esempio, è garantita da un gruppo informale di volontari, affiancato dall'amministrazione pubblica, il quale funziona come uno stato con il suo parlamento, con i suoi poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Questo tremendo modulo sopravvive nella megalopoli ma si ripete spesso nella miriade di cittadine tutte uguali: dato che la popolazione americana è molto distribuita sul territorio (con 330 milioni di abitanti gli USA hanno solo 9 città che superano il milione) i caratteri originari della comunità di villaggio si sono fissati nella comunità urbana. A causa di stress sociale in America ci si ammazza spesso, ma è diffuso un senso di appartenenza a un gruppo. Quando il comune di Detroit è fallito in seguito alla crisi dell'auto, centinaia di ettari di terreno sgombrato dalle case abbandonate e fatiscenti sono diventati orto urbano comune. Non orto affidato a un privato che lo rende esclusivo nel senso di privare ed escludere (Opera Nazionale del Dopolavoro fascista, Schrebergёrten tedeschi, Jardins familiaux francesi); non terreno occupato abusivamente, cintato e gelosamente privatizzato come gli orti "di guerra" che punteggiano ancora oggi certa terra di nessuno nelle periferie di molte città in Europa; ma orto comune, finalizzato, nonostante l'inquinamento, a produrre cibo d'emergenza. Gli orti urbani di Detroit sono 1.400, tanto vasti da poterli osservare agevolmente sulle mappe satellitari e, con le 45 fattorie condotte da studenti, secondo il Comune producono ogni anno 200 tonnellate di cibo. Siamo di nuovo di fronte a episodi che si situano tra la ricerca di una soluzione di un problema contingente e reale e la proiezione in un futuro per niente ipotetico. Anche Occupy Wall Street (per l'occasione Occupy the Farm) aveva occupato terreni agricoli in cui il cibo prodotto collettivamente non avrebbe avuto carattere di merce, in cui anche le macchine sarebbero state autocostruite secondo progetti gratuiti presentati da ingegneri su Internet. L'orto urbano dell'epoca presente tende a non essere più uno sfogo ecologista della piccola borghesia liberal che pianta fiorellini ma una necessità per produrre cibo. E il fatto che si generalizzino i furti di ortaggi la dice lunga sulla "curva di distribuzione del reddito".

Catastrofe sociale dei lavoretti

Suscita recentemente imponenti reazioni collettive una catastrofe peggiore di quella degli uragani. Si tratta della condizione dei lavoratori precari negli Stati Uniti e altrove. Decine di milioni di persone sono costrette a una non-vita a causa di un'occupazione che non permette di sbarcare il lunario. Per mantenere una famiglia ormai è indispensabile in molti casi avere due o tre occupazioni, e si moltiplicano quindi per due o per tre il tempo e il costo dei trasferimenti, con tutto quel che comporta in fatto di stress una endemica mancanza di tempo libero. Si tratta oltre tutto di "lavoretti" pagati poco, dato che le retribuzioni minime di legge sono basse (da 6-7 a 9-10 dollari all'ora) e in molti casi nemmeno applicate (alcuni stati non hanno fissato un minimo legale).

Perciò negli ultimi anni è cresciuto un altro movimento, questo di tipo prettamente sindacale, che ha conosciuto un'espansione notevole, specie fra gli ultraprecari della grande distribuzione e dei fast food: un coordinamento fra lavoratori a sostegno della richiesta di portare con una legge federale il salario minimo a 15 dollari l'ora (#FightFor15); adesso la soglia minima è a discrezione di ogni singolo stato della federazione. Nato spontaneamente da una lotta dei 2,2 milioni di lavoratori schiavizzati della Walmart il cui slogan era "dignità e rispetto", si è prima allargato al settore del fast food e poi unificato sotto il segno dei 15 dollari orari. Gli scioperi indetti sono stati coordinati dal SEIU, un piccolo sindacato dei lavoratori dei servizi. Il quale, costituitosi una decina di anni fa in seguito a una scissione della centrale AFL-CIO, considerata da alcuni un'organizzazione di mestieranti troppo impegnata in manovre politiche piuttosto che nell'organizzazione degli scioperi, sta conoscendo uno sviluppo notevole.

In una situazione che presenta rotture e aggregazioni, ondate effimere e persistenze organizzate, è nato circa un anno fa, in seguito all'uccisione di neri da parte della polizia, il movimento, prettamente politico, Black Lives Matter (le vite dei neri contano). Quiescente da un anno, si è rivitalizzato in seguito a nuovi assassinii e ha assunto una forma organizzativa permanente, estendendo la motivazione della propria esistenza a tutta la società, non solo al mondo dei neri. E grazie a una intensa attività sulla rete, ha aggregato in poco tempo un numero consistente di persone, specie nei quartieri ghetto, neri o no. Tutta la storia degli Stati Uniti ci mostra che gli scontri sociali sono il prodotto di condizioni immediate vissute senza troppe contaminazioni ideologiche, e quindi poco influenzate dalla politica ufficiale. Anche in questo caso, benché in presenza di un tentativo di assimilazione del movimento da parte del Partito Democratico, la piazza e i network sono stati assai poco sensibili al richiamo. Anzi, si può con sicurezza notare che la tendenza è esattamente opposta: i nuovi movimenti agiscono per scopi pratici e prendono le distanze dalle rappresentanze istituzionali con sempre maggior determinazione.

È vero che la maggior parte della popolazione americana considera possibile un miglioramento delle condizioni di vita attraverso le strutture politiche esistenti, ma è certo che si troveranno sempre meno appigli in questo senso, soprattutto osservando il progressivo deterioramento dello stato in quanto sistema. Gli americani sono il popolo meno statalista del mondo, ma hanno lo stato più potente, quello che controlla maggiormente la società. Tale contraddizione produce sicuramente un effetto psicologico, ma è soprattutto un dato strutturale, il portato di una vittoria militare senza precedenti nella storia. "Dio benedica l'America" è il motto di uno Stato-nazione che si sente benedetto davvero, che crede nella missione mondiale. Niente sarà tanto deleterio per l'America quanto la scoperta di non essere affatto benedetta, di essere una giungla piena di armi dove vige la legge darwiniana della sopravvivenza del più adatto.

La crisi è stata sentita soprattutto dalla declassata classe media dato che per gli strati più poveri della popolazione il massacro sociale era già avvenuto nei decenni precedenti al 2008, quando duecento milioni di americani avevano dovuto abbandonare i posti centrali al banchetto capitalistico e spostarsi di sedia. La classe media americana è scomparsa e con essa il mitico sogno americano. La gentrification, la evacuazione della popolazione dai quartieri poveri, il loro risanamento urbanistico e la speculazione conseguente, è stata estesa a tutta la società. C'è solo un problema: se è sparita la classe media, chi andrà ad affollare i quartieri lasciati liberi? Chi siederà nei posti lasciati vuoti al banchetto?

Rivista n. 42