Dimenticare Babilonia (1)

"Dal VII millennio a.C. a oggi viene impiegata una tecnica contabile di base con una costanza e uniformità impressionanti. Si tratta di un sigillo che contraddistingue la scorta di un certo prodotto e che, asportato, registra lo spostamento di una certa quantità del prodotto stesso. Questo sistema di base, proprio per la sua facilità di impiego e la superba chiarezza concettuale, ha offerto nel tempo uno strumento perfettamente adattabile alle esigenze diverse di una società in continua evoluzione, entrando a far parte di sistemi amministrativi complessi a cui ha fornito sia una strumentazione esaustiva in assenza di scrittura, sia la base essenziale di una più analitica e ricca registrazione di dati quando la scrittura si è presentata alla storia". (Enrica Fiandra, La nascita dell'amministrazione, in Dal segno alla scrittura, Le scienze dossier n. 12, 2002).

"È impossibile eliminare il denaro stesso finché il valore di scambio rimane la forma sociale dei prodotti. È necessario aver ben chiaro questo punto per non porsi problemi impossibili e riconoscere i limiti entro i quali riforme monetarie e trasformazioni nell'ambito della circolazione possono riorganizzare i rapporti di produzione e i rapporti sociali che su di essi poggiano”. (Marx, Grundrisse, in Denaro, 2.5 Merce e Denaro).

Prima parte - Ieri

Che cosa vogliamo dimostrare

Marx analizza la genesi e il "funzionamento" del modo di produzione capitalistico per dimostrare che esso è transitorio e che la sua transitorietà è insita nella sua stessa struttura, nel suo modo di funzionare. Egli inserisce la sua dimostrazione particolare in un contesto generale in cui le forme economico-sociali, nel passaggio dal comunismo originario a quello sviluppato, hanno un inizio e una fine, "nascono", crescono e muoiono. La futura forma comunista non avrà le contraddizioni di queste forme di passaggio perché metterà fine al loro succedersi. L'intero ciclo è infatti approdato alla forma più micidiale di tutte, l'ultima, quella che può esistere solo eliminando ogni residuo di quelle precedenti, quella che deve crescere in modo esponenziale pur mostrando che tale crescita in un mondo finito è assolutamente impossibile.

La questione, essenziale per capire il lavoro di Marx, di Engels e di tutti coloro che hanno abbracciato la dottrina rivoluzionaria dell'epoca attuale, è stata sviluppata dalla nostra corrente con il fondamentale schema di "rovesciamento della prassi", che mostra graficamente la transizione di fase fra necessità e libertà, cioè fra causalità naturale e volontà, fra esistenza puramente biologica e progetto cosciente. La vera separazione fra preistoria e storia non va collocata al confine tra l'età della caccia-raccolta e l'età dell'agricoltura, come c'insegna la periodizzazione scolastica, ma al confine tra il capitalismo morente e il comunismo.

Attraverso il suddetto schema, su cui si basa la nostra classica teoria del succedersi dei modi di produzione, vediamo anche la metamorfosi dei mezzi di controllo (amministrazione) della produzione-distribuzione. Siamo nel passaggio dal neolitico alle prime forme classiste e già si presentano i meccanismi che porteranno all'avvento del denaro e della moneta. Dapprima il movimento dei beni prodotti viene registrato con semplici segni di presenza o assenza, dai quali si svilupperanno successivamente altre forme di registrazione che utilizzeranno segni più complessi, fino a giungere alla separazione del segno dall'oggetto. Il fenomeno ci pone dei problemi: il segno autonomizzato è sicuramente mezzo di scambio in quanto passa di mano, ma non può essere ancora denaro, dato che quest'ultimo è "misura del valore", mentre nell'epoca di cui stiamo parlando non c'è ancora scambio secondo valore (tempo di lavoro medio contenuto nel bene oggetto di scambio). D'altra parte, lo scambio che avviene con registrazione contabile sulla base di un qualche equivalente comporta già una embrionale moneta di conto. La stessa che diventerà moneta nella fase mercantile-bancaria (Fiorino, Corona, Ducato), quella che sarà infine moneta aderente alla forma capitalistica sviluppata.

Data la simmetria da noi ben conosciuta (il ponte che collega il comunismo originario a quello sviluppato), il processo dell'affermazione del denaro lungo tutto l'arco storico delle società di classe sarà seguito dal suo processo speculare: il denaro si trasformerà da "materializzazione diretta del tempo di lavoro generale" a espressione contabile del tempo di lavoro, fino a misura per il controllo amministrativo delle quantità fisiche di beni prodotti e distribuiti. Ovviamente sarà un qualcosa di completamente diverso, e cesserà di essere denaro non appena verranno meno le condizioni storico sociali che rendono merci i prodotti del lavoro.

C'è o c'è stato qualche fenomeno che assomigli a questo "qualcosa di completamente diverso"? L'autrice della citazione che abbiamo posto in apertura scrive a proposito di una continuità fra il VII millennio a.C. e l'oggi. Purtroppo, non ci fa esempi di che cosa oggi possa svolgere la funzione dei segni grafici comparsi al confine fra la preistoria e la storia.

Probabilmente intende alcuni aspetti contabili sopravvissuti fra le residue popolazioni primitive del pianeta, ma possiamo estendere l'osservazione ai sistemi di rilevamento elettronici di presenza, come il transponder (es. il Telepass) o l'RFID, Identificatore a radio frequenza (come i circuitini anti-taccheggio). È notevole l'invarianza nonostante le trasformazioni avvenute nei millenni, invarianza che attesta come sia possibile avere un'amministrazione rigorosa ed efficiente senza ricorrere a segni di valore.

Nella Critica al programma di Gotha, Marx affronta il problema della contabilità nella fase di passaggio al comunismo. Siamo di fronte a un lascito della società-madre (capitalismo) alla società-figlia (socialismo) con tare ereditarie che vanno eliminate: all'individuo spetta una quantità di beni equivalente alla quantità di lavoro erogato (detratto quanto serve alle necessità sociali). Senza sfruttamento, senza accumulazione e senza appropriazione di valore da parte di qualcuno.

Sussiste ancora scambio tra lavoro e prodotto per mezzo di denaro ma a condizioni così diverse da configurare un superamento del denaro stesso. Oggi tra l'altro assistiamo a una generalizzazione di pratiche sempre più contraddittorie rispetto al capitalismo: lo scambio peer to peer, la moneta programmabile, le comunità aperte che attuano lo "scambio ineguale" sono tutti casi diversi di uno stesso fenomeno.

Prima dell'amministrazione

L'archeologia attuale del Calcolitico (o Eneolitico o Età del rame, VIII-IV millennio a.C.) ha reso obsoleti precedenti modelli interpretativi, pur ritenendo validi alcuni aspetti metodologici dello studio di quella che è stata definita "rivoluzione urbana". Correnti a noi contemporanee accettano in parte, con qualche precisazione, le conclusioni cui si era giunti rispetto alla produzione, l'ammasso e la redistribuzione, che risultavano regolati da organismi centralizzati di quell'epoca. Nel modello suggerito la forma sociale è una transizione verso l'urbanesimo ed è egualitaria, sia che il prodotto venga distribuito dall'alto di una gerarchia, sia che venga distribuito da membri della comunità che non assumono per questo una preminenza politica.

Sequenza Sintesi delle determinazioni denaro/moneta: dalla loro assenza iniziale alla loro assenza finale
1 Caccia e raccolta. Rapporto metabolico della specie con la natura. È presente lo scambio (selce, ossidiana) ma è assente ogni determinazione di valore.
2 Produzione, distribuzione e consumo. Contabilità quantitativa (Lo scambio è sporadico e solo del surplus). Prime determinazioni di valore attraverso molteplici equivalenti.
3 Produzione, distribuzione, consumo e scambio. Contabilità qualitativa (Si affianca la produzione apposita destinata allo scambio. Riferimento a un equivalente generale).
4 Produzione, distribuzione, consumo e scambio (L'equivalente generale denaro/moneta sviluppa tutte le sue determinazioni).
5 Produzione, ecc. Tutte le determinazioni denaro/moneta si sovrappongono (Rimangono valide quelle inerenti al capitalismo ma ad esse si accompagnano nuove determinazioni, indotte dalla crescente autonomizzazione del capitale: debito permanente, capitale fittizio, creazione di moneta, denaro programmato).
4 Produzione, ecc. (L'equivalente generale perde i caratteri tipici del capitalismo decomposto e ritorna mezzo contabile semplice).
3 Produzione, ecc. (La società contabilizza in base a tempo di lavoro e retribuisce di conseguenza. L'attestazione del lavoro svolto è individuale e non cumulabile).
2 Produzione, ecc. (La società conosce e amministra sé stessa registrando esclusivamente quantità fisiche. Il tempo di lavoro non è più riferibile alla persona ma diventa un dato sociale).
1 Il grande cambiamento apportato dal comunismo non consiste semplicemente in un miglioramento dell'efficacia sociale, cambia soprattutto l'efficienza.

Il medesimo modello sarebbe ravvisabile anche all'interno di comunità molto vaste che sono generalmente definite "imperi". All'esterno, tra comunità diverse, il surplus del prodotto da redistribuire sarebbe stato barattato o "venduto" secondo criteri derivati dalla consuetudine e non da un calcolo di valore. Prassi che potrebbe essere un retaggio di forme precedenti, quando lo scambio era considerato un dono reciproco; nello stesso modo si spiegherebbero anche le procedure fenicie di commercio attraverso baratto.

Questa sintesi è sicuramente arbitraria rispetto a ciò che hanno elaborato i singoli autori nominati in nota, ma essi, con le correnti cui sono stati assimilati, rappresentano un insieme omogeneo, specie per i loro critici che li chiamano "primitivisti". I "modernisti" – i critici, appunto – sostengono che le tavolette contabili di argilla, ritrovate negli scavi a milioni, possono essere state male interpretate e che in realtà la nascita di un equivalente generale del valore dei prodotti compare molto prima di quanto si supponga dimostrato. Ad esempio, la decifrazione della scrittura di Creta ad opera di Chadwick e Ventris, avrebbe trascurato il fatto che i movimenti di prodotti non erano avvenuti solo all'interno dell'insieme economico dei cosiddetti palazzi, dove era sufficiente la registrazione dei "pezzi", ma fra quell'insieme e l'esterno, dove lo scambio era con e fra privati, dove cioè non era più sufficiente il baratto fra oggetti incommensurabili ma occorreva un confronto secondo una misura omogenea, il tempo di lavoro. Di qui l'affermazione che, se di valore si trattava, allora c'era moneta o perlomeno un suo embrione.

L'archeologia su basi scientifiche si sviluppò dopo la morte di Marx ed Engels e fu comunque inquinata da interpretazioni idealistiche; ma essi ne avrebbero potuto attingere informazione sufficiente per rafforzare la teoria delle forme economico-sociali consecutive (notiamo ad esempio quanta informazione supplementare ricavarono da Morgan), sulla quale ci appoggiamo per trattare l'argomento mettendoci nei panni di un Marx davanti ai reperti archeologici. Come abbiamo spiegato altrove, poniamo con sicurezza lo stadio raggiunto dalle civiltà calcolitiche entro il modo di produzione asiatico e non nella forma antico-classica. Nella forma cosiddetta asiatica antica il confronto fra valori non è necessario. E dato che, all'interno di un sistema economico, produzione, ammasso e redistribuzione sono strettamente legati a sistemi egualitari, allo stadio preso in considerazione l'amministrazione riguarda unicamente le quantità, non i valori. Ma anche lo scambio fra insiemi (nazioni, imperi, gruppi umani vari) avviene senza un confronto di valori. Anzi è proprio in casi simili che sopravvive una forma di dono e lo scambio avviene nelle modalità più ineguali.

Solo più tardi, nella prima età del bronzo, interverrà il confronto fra i beni scambiati e alcuni equivalenti; ma per millenni, questi equivalenti non saranno "misura del valore" riferita al tempo di lavoro bensì un'arbitraria quantità di metallo o altro, stabilito per consuetudine.

Genesi dell'amministrazione

Come abbiamo visto, si hanno tracce di attività amministrativa fin dal VII millennio a.C., prima che si sviluppasse la forma urbana ma dopo che fu superato il semplice rapporto di scambio energetico con la natura attraverso il cibo, tipico degli uomini paleolitici cacciatori-raccoglitori. Purtroppo, gli scavi archeologici non hanno fornito materiali sufficienti per documentare gli aspetti più antichi della contabilità, tuttavia è certo che il primo manifestarsi di questa esigenza produsse la più elementare forma di registrazione: c'è o non c'è (ad esempio le tacche su osso del paleolitico).

L'ipotesi che si ricorresse all'uso di oggetti simbolici per la registrazione di date quantità di prodotti (posati per esempio su di un supporto che in qualche modo indicava la provenienza degli oggetti amministrati) è stata suffragata dal ritrovamento di biglie in terracotta in luoghi adibiti a magazzino. Queste biglie possono essere assimilate a quelle di un pallottoliere sul quale esse vengono spostate idealmente da un magazzino al consumatore o comunque altrove. Una biglia spostata segna contemporaneamente una quantità di prodotto in meno in un luogo e una quantità in più in un altro. La loro funzione originaria è spiegata attraverso la loro evoluzione: ad un certo punto alle biglie si accompagnano cubi, coni, cilindri, segno che dalla elementare nozione di "c'è o non c'è" riferita a un prodotto si passa all'individuazione di più prodotti attraverso la forma differenziata di ciò che li rappresenta. Un passo successivo consiste nell'applicazione di sigilli direttamente sul contenitore presente in un determinato magazzino con l'indicazione del tipo di prodotto, della quantità e del destinatario. Spezzato il sigillo e distribuito il prodotto, i frammenti del sigillo vengono conservati come registrazione della consegna avvenuta sino all'inizio del ciclo successivo, presumibilmente l'anno agricolo.

I segni impressi sull'argilla fresca dei sigilli si trasformano nel tempo in un insieme di regole standard, per cui non è più necessario abbinare fisicamente sigillo e prodotto: è sufficiente registrare il movimento su di una tavoletta di argilla e conservare quest'ultima in uno scaffale come prova dell'avvenuto movimento. Magazzino e scaffale si autonomizzano e possono risiedere in luoghi diversi e distanti fra loro. Naturalmente c'è ora bisogno di qualcuno o qualcosa che garantisca la veridicità dei documenti, in modo che non venga meno la fiducia nel metodo.

I segni sui documenti non sono più soggettivi, cioè collegati a chi li deve incidere e a chi li deve leggere, ma patrimonio comune di gruppi umani anche molto estesi: è la base della scrittura. Il magazzino diventa complesso e richiede un'amministrazione sempre più vasta: a questo stadio non è ancora sorto lo stato, esiste tuttavia da tempo immemorabile un elemento ordinatore che risiede nel tempio e che poco per volta si trasforma in divinità, con la sua religione e con i suoi addetti, cioè sacerdoti, scribi e magazzinieri. La divisione sociale del lavoro da tecnico-fisiologica incomincia a divenire mercantile e compaiono le proto-classi. L'ambiente è già urbano e sono fiorenti gli scambi fra gruppi umani. Compare il "mercante" nel senso di addetto agli scambi.

Finché la caccia e la raccolta non avevano richiesto una complessa organizzazione sociale, i membri della comunità apportavano il loro contributo in maniera naturale, spontanea, e non irrazionale come succederà con il mercato più tardi; la divisione sociale del lavoro era funzionale alla distribuzione dei compiti entro gruppi umani ristretti dove il ciclo produzione-consumo non esigeva una distinzione fra gli apporti singoli alla vita comune, non essendo necessario confrontare sforzi e bisogni della comunità.

La nave di Uluburun

All'inizio lo scambio non è tra equivalenti perché basato sui rispettivi surplus: chi ha per esempio esuberanza di datteri entra in rapporto di scambio con chi ha esuberanza di grano o lana senza che vi sia un criterio di valutazione oltre a quello della reciproca utilità. Molti popoli conservarono questa modalità di baratto fino a molto tardi, anche quando altre civiltà con cui erano in contatto scambiavano già sulla base di equivalenti.

Comunque, ben prima che si cercasse un equivalente generale, ad esempio conchiglie (dalla preistoria al Medioevo fu usata come denaro la Cypraea moneta, proveniente soprattutto dalle Maldive), vari tentativi di confrontare prodotti molto differenti tra loro attraverso un altro prodotto particolare hanno lasciato la loro traccia. Ovviamente nessuno va al mercato ad acquistare un lingotto di bronzo "pagandolo" con cento conchiglie che cava dal borsello. Si sa che il lingotto "vale" cento conchiglie e sarà scambiato, poniamo, con una balla di lino che "vale" altrettanto. Le conchiglie possono anche non apparire fisicamente nella transazione, l'importante è che ci sia fiducia in un pagamento differito o che la compravendita avvenga sotto gli occhi di chi la conclude. Solo più tardi l'elemento simbolico verrà sostituito da una merce particolare che per motivi di facilità d'uso assumerà la doppia funzione di oggetto scambiato e di equivalente generale. All'apice di questo modo di scambio siamo già in presenza di civiltà con un alto livello organizzativo in ambiente urbano; si affaccia alla storia un proto-stato, ma non c'è ancora modo di confrontare i prodotti con qualche criterio reale di valore. Per quanto riguarda la cronologia del Vicino Oriente, la situazione si protrae indicativamente fino alla metà del II millennio a.C.

Un importantissimo ritrovamento archeologico marino ci mostra con estrema chiarezza che cosa significava scambiare merci quando il denaro non c'era. Nei pressi di Uluburun, sulla costa meridionale dell'attuale Turchia, a cinquanta metri di profondità, è stata ritrovata una nave da trasporto con tutte le sue merci, probabilmente affondata a causa del sovraccarico durante una tempesta. La datazione dei reperti li ha fatti risalire con precisione alla metà del XIV secolo a.C. Si trattava di un natante molto capace, forse siriano, costruito in modo da essere più robusto che comodo, senza ponte, solo con un riparo leggero. Il carico era costituito da una gran varietà di merci: lingotti di bronzo, rame e stagno, oreficeria, incenso, ambra, vetro. Senza contare i materiali deperibili che sono scomparsi. Siamo già di fronte a beni prodotti appositamente per lo scambio. I sigilli e la tipologia delle merci hanno permesso di ricostruire la loro provenienza, perciò anche la rotta della nave che le ha raccolte nei porti dove erano arrivate via terra. Esse giungevano dalle rive del Baltico, dall'interno dell'Africa, dall'Egitto, dal Medio Oriente e rappresentavano l'incontro, sulla nave, di una decina di civiltà diverse che commerciavano fra loro.

La quantità dei materiali reperiti (18.000 "pezzi" per decine di tonnellate) e la loro qualità hanno messo in evidenza che il commercio prima della guerra di Troia non era un fatto episodico ma un'intensa consuetudine. Naturalmente non c'era denaro sulla nave, o meglio, ce n'era di molti tipi. Si può dire che esistevano tanti equivalenti generali quante erano le comunità di provenienza delle merci. I lingotti di rame, stagno o bronzo potevano aver svolto quella funzione. Ma allo stesso titolo potevano averla svolta diverse altre merci. Nel caso di navi come questa, lo scambio doveva avvenire nella località di sbarco, senza la mediazione di scritture contabili da compensare in qualche luogo a ciò dedicato. A meno di non immaginare un'estensione a livello così vasto delle casse di compensazione esistenti in singole aree.

La nostra ultra-sintetica schematizzazione storica è necessaria per una constatazione fondamentale: il periodo che va dal VII al II millennio a.C., vale a dire fino al tempo in cui la nave di Uluburun affonda, è contraddistinto, in ambito amministrativo, da una contabilità ingegnosa ed efficiente, tanto efficiente da essere il terreno fertile dal quale nascono scrittura, matematica, geometria. Ma sono cinquemila anni di scambi e poi di commerci su vasta scala basati sul prezzo convenzionale di alcuni beni confrontati con altri. Se poi per ulteriore convenzione aggiungiamo un altro millennio necessario all'avvento e alla generalizzazione del denaro monetato, abbiamo settemila anni di storia della circolazione di beni, del commercio e dell'amministrazione senza scambio tra equivalenti.

Si fa in fretta a dire "denaro"

Casi particolari possono comportare l'adozione di uno specifico bene come equivalente generale. Nel paleolitico i gruppi umani che si trovavano presso depositi di ossidiana scambiavano questo minerale fino a grandissime distanze. Ciò vale per altri minerali. A Provadia, in Bulgaria, è stato scoperto un insediamento proto-urbano in cui tutta la popolazione (circa 350 individui) era dedita all'estrazione e al commercio del salgemma. Poiché gli strati più profondi sono stati datati al VI millennio a.C., se ne è dedotto che durante il neolitico europeo l'intera comunità che gravitava intorno alle miniere considerava il sale come equivalente generale, con il quale si procurava gli altri beni necessari. Non s'è trovata traccia di amministrazione, ma certamente qualche tipo di contabilità doveva essere adottato, perché la monoproduzione facilita di per sé il compito: si estrae direttamente dalle miniere l'equivalente generale. Gli abitanti della neolitica Provadia erano di fatto insediati su di una miniera di denaro anche se il loro sale non poteva ancora esserlo!

"Solo l'azione sociale può elevare una data merce a equivalente generale. Ecco dunque l'azione sociale di tutte le altre merci escludere una merce data, nella quale rappresentare onnilateralmente i propri valori. In tal modo, la forma naturale di questa merce diventa forma equivalente socialmente valida. L'essere equivalente generale diviene, mediante il processo sociale, funzione specificamente sociale della merce esclusa. Così essa diventa denaro".

Il denaro in processo è dunque una merce che, accanto alla sua utilità "normale", acquisisce la capacità di misurare le altre. Nel caso del sale di Provadia non siamo solo di fronte ad una "esclusione", almeno per i suoi possessori: dato che essi non potevano vivere mangiando sale, dalle loro miniere usciva direttamente denaro (come ne usciva dal sottosuolo sudafricano in forma di oro). Anche perché la sola esistenza delle miniere influenzava gli scambi nell'intera area di circolazione del sale. Nel caso specifico si tratta di un bene deperibile, ma nel caso di altri beni, come l'ossidiana o le ceramiche, l'area di raccolta e diffusione è testimoniata dall'archeologia. Nella misura in cui un bene è raccolto o prodotto appositamente per lo scambio, cioè per essere alienato, si comporta come denaro. Il denaro compare quando il valore d'uso di una determinata merce non è più la sua acquisizione ma diventa la sua alienazione. In Melanesia, senza andare alla preistoria, la distribuzione ineguale dell'argilla aveva prodotto una specializzazione, per cui la "pentola", prodotta in serie per il mercato era diventata un equivalente generale, cioè denaro con cui si misuravano gli altri beni.

Non si sa esattamente in quale periodo l'uomo abbia iniziato a raffrontare i prodotti secondo il tempo di lavoro necessario per produrli. La nozione in senso moderno era già utilizzata ai tempi di Marx ed egli l'adottò. È presumibile che essa fosse alla base dei commerci regolati da un equivalente universale, ma è una supposizione, per quanto realistica. Leggendo traduzioni di tavolette non si riesce a stabilire quanto fosse "equivalente" il riferimento generale, dato che le quantità e i "valori" coincidono fra i diversi documenti solo entro una determinata area mercantile (mina e siclo mesopotamici non corrispondono alle misure egizie, palestinesi o greche con lo stesso nome). In uno di questi documenti, datato alla metà del III millennio a.C. e redatto in ambiente paleobabilonese, è registrato l'acquisto di rame, valutato in argento e pagato con lana. Ciò corrisponde alla descrizione degli scambi fatta nei paragrafi precedenti, ma non sappiamo quando e come il tempo di lavoro contenuto in un prodotto particolare che diventa equivalente abbia sostituito il criterio arbitrario/consuetudinario.

Archeologi e storici leggono i documenti con sfumature diverse. Alcuni pensano che mine e sicli fossero pesi di riferimento attraverso cui stabilire un prezzo; altri, che pezzi di metallo fossero effettivamente dati in cambio delle merci. Da notare che la traduzione di una lingua morta, scritta con un alfabeto a sua volta da decifrare, porta a differenze notevoli anche in una traduzione strettamente letterale.

Quello che a noi importa molto sottolineare è il fatto che per cinquemila anni non solo si è fatto a meno della nozione di "scambio tra grandezze di valore equivalenti" ma si è fatto a meno anche del denaro monetato. Infatti, nel documento citato, si fa riferimento a mine d'argento, cioè 1/60 di talento (circa mezzo Kg), pesi convenzionali standardizzati che fanno dell'argento una quantità di denaro e non solo di metallo. Ma nessuno se ne andava al mercato con svariati chili di argento appesi al basto di un onagro. Il risultato delle transazioni, positivo o negativo, doveva essere registrato – come avveniva in antico tramite conchiglie – in modo che il denaro, cioè i pesi d'argento, non circolassero, e solo ogni lasso di tempo probabilmente stabilito venissero controllati e spostati per le compensazioni. Sono state trovate più di un milione di tavolette e più del 90% riguardano l'amministrazione e gli scambi commerciali. E proprio sulle tavolette sono narrati fatti che mostrano come le compravendite venissero saldate quasi esclusivamente con scritture contabili e non con movimento fisico di denaro.

Abbiamo visto che le operazioni contabili eseguite con degli operatori fisici quali biglie, cilindretti o cretule poggiati su supporti che rappresentavano il magazzino di partenza e quello di arrivo, furono sostituite nel tempo, a scrittura "inventata", con "appunti" che descrivevano i movimenti, conservati in appositi ambienti dotati di scaffali ecc. Ora, con l'aumento della produzione, degli scambi, della potenza degli "imperi" ecc. tutto questo non venne meno, semplicemente si trasformò in un'attività tanto capillare quanto estesa, sempre basata sulla registrazione dei movimenti.

Modalità preistorica degli scambi

In un sistema mercantile di baratto non è che manchino le regole, ma la persistenza del dono fa sì che la sfera mercantile e quella privata si sovrappongano. In L'economia dell'età della pietra l'antropologo americano Marshall Sahlins, sottolineando la differenza fra lo scambio mercantile primitivo e quello di epoche successive, cita un episodio accaduto nel 1947 in Melanesia e raccolto dagli etnologi:

"Un tizio di Bukawa, ospitato da un parente di nome Boyya, ebbe l'idea di portargli una piccola scrofa. L'animale valeva 10 pentole, e siccome Boya ne aveva soltanto 5 da parte, informò in famiglia che chiunque fosse disposto a dargli una mano avrebbe ricevuto a tempo debito un maialino. L'invito fu accolto, e vennero offerte 22 pentole per un totale di 27 che furono tutte consegnate all'ospite. Questi, omaggiato tanto profumatamente, si sentì in obbligo di donare un'altra scrofa a Boya."

Qui la merce "pentola" serve come riferimento senza però essere equivalente generale, dato che si scambia non solo con una quantità arbitraria di altri beni ma con una sola tipologia di merce. Inoltre, è evidente la sovrapposizione di criteri privati e criteri mercantili. Il tizio di Bukawa in pratica riceve 27 pentole per due scrofe e Boya si indebita presso parenti ed amici per 22 maialini. Tenendo conto che una scrofa partorisce in media una decina di lattonzoli più volte all'anno, la forma di scambio più antica per Boya è un affare. Una "teoria del non-valore", per Sahlins, ma più che altro un paradosso, essendo difficile stabilire quale possa essere la sua utilità razionale. "I fatti sono ostici e spesso sconcertanti dal punto di vista ortodosso della domanda e dell'offerta", dice l'autore, e in assenza di un vero mercato è praticamente impossibile stabilire delle equivalenze.

Eppure, un mercato fatto di produzione, trasporto e scambio è esistito fin dal paleolitico, come attestano numerosi reperti. In un tempo così lungo si fissano delle forme, si seguono abitudini e convenzioni e, fattore importantissimo, si produce appositamente per lo scambio, come nell'esempio di Boya: la pentola in questione è un manufatto d'argilla prodotto per il mercato di un'area senza argilla. Affinché ci sia scambio soddisfacente deve stabilirsi una reciprocità, che infine prevale sottoponendo le transazioni a quello che l'autore chiama "tasso di scambio". Anche se è difficile constatarlo all'opera, questo tasso di scambio, qualunque cosa sia, permette alle merci scambiate di rimanere in qualche modo legate a criteri di valore: "Il dato caratteristico dello scambio primitivo è l'indeterminatezza delle tariffe," aggravata dal fatto che nelle transazioni primitive interviene quell'altra cerimonia che, oltre al dono complica assai le cose: il mercanteggiamento. Con una tale quantità di fattori qualitativi incommensurabili è praticamente un miracolo che si stabilisca per millenni il modo di scambiare prodotti. O forse è proprio a causa di tale quantità, perché in ultima analisi è da questa situazione che scaturisce "la teoria ricardo-marxiana del valore legata alla quantità di lavoro sociale medio" eccetera.

"È come se i popoli primitivi riuscissero in un qualche modo a costruire un'economia sistematica in quelle condizioni teoricamente marginali in cui, nel modello formale, il sistema viene meno. In verità, le economie primitive sembrano sfidare ogni sistematizzazione. È praticamente impossibile dedurre tariffe standard correnti da qualsiasi corpus di transazioni etnograficamente documentate."

Sono state tentate tabelle di equivalenza ma senza che si sia giunti a risultati certi. Oltre alla presenza del "dono", alla reciprocità fra situazioni ineguali e alla presenza di relazioni parentali fra partecipanti allo scambio, vi sono circostanze in cui il gioco della domanda e dell'offerta, già messo a dura prova, viene annichilito da momenti storici particolari. Pensiamo alle consuetudini di matrimonio (è un esempio di Sahlins) che impongono a una società di dare in dote agli sposi beni prodotti da un'altra società: le due parti scambiano, ma con obblighi che vanno oltre alla pur labile legge della domanda e dell'offerta. Eppure, è probabilmente dal mercanteggiamento rituale e da fenomeni analoghi che scaturisce l'esigenza di misurare il valore tramite il tempo di lavoro:

"Secondo la mia interpretazione (basata su una breve visita) i Siassi in questi racconti ingigantivano non tanto la scarsità di pentole quanto lo sforzo di produzione, in base al principio locale che un 'lavoro ingrato' merita una 'paga salata'. La più sofisticata astuzia mercantile era embricata in un'innocentissima teoria del valore come tempo di lavoro."

In Melanesia non esisteva un mercato propriamente detto, per cui aveva poco senso cercare l'origine delle leggi di mercato solo perché là abitavano popolazioni cosiddette primitive. Troppo esigua la popolazione, quindi troppo sensibile alle variabili sociali, tribali, relazionali. Trattare come mercato quel tipo di scambio poteva essere utile solo tenendo conto della sua particolarità, altrimenti, scrive l'autore, si commette lo stesso errore rimproverato da Marx a Proudhon, quando quest'ultimo spinge l'astrazione necessaria al limite estremo di considerare una società ad un solo produttore e un solo consumatore. Nel mondo reale ci sono interazioni fra persone e gruppi, specialmente c'è concorrenza, per cui non è lecito accorpare ciò che è oggettivamente separato.

In tutti gli stadi di sviluppo delle società molto antiche, lo scambio di prodotti segue regole consigliate dal mantenimento di rapporti possibilmente pacifici, ma è proprio nelle zone di confine attraverso le quali viaggiano i beni che di solito scoppiavano le guerre.

"Esiste un nesso," scrive Lévi-Strauss, "una continuità tra rapporti ostili e la fornitura di prestazioni reciproche. Gli scambi sono guerre risolte pacificamente, e le guerre sono il risultato di transazioni sfortunate".

La persistenza del dono primordiale e il ritardo con cui appare la misura del valore in tempo di lavoro nonostante fosse presente ad esempio nel mercanteggiamento, come abbiamo visto, è anche dovuta al fatto che occorreva avere regole duttili per evitare l'esplosione di conflitti; altrimenti, si chiede Sahlins, "come può essere che un tasso fissato da una reciproca generosità esprima la corrente domanda e offerta?".

Presunto capitalismo finanziario antico

È tale l'abitudine a maneggiare le categorie tipiche del capitalismo che siamo automaticamente portati ad affibbiarle anche alle forme sociali che ne sono ancora molto lontane. Le perfezionate strutture amministrative che regolavano l'ammasso, la distribuzione e gli scambi nel II millennio a.C. non erano anticipazioni geniali di forme che sarebbero venute millenni più tardi ma il prodotto di un'evoluzione da stadi precedenti. La prassi amministrativa mesopotamica non è prefigurazione ma persistenza. Tant'è vero che, collassate le civiltà che la adottavano, essa sparirà del tutto senza lasciare traccia. Quando con i Greci nascerà la moneta, l'antica prassi rimarrà dimenticata. Solo con la ripresa dei commerci su grande scala dopo l'anno 1000 d.C. si formerà ex novo una capillare rete di scambi basata su pratiche escogitate per non portare materialmente in giro metallo prezioso monetato. Di ciò che succedeva tre millenni prima, i mercanti-banchieri lombardi, fiorentini o veneziani non avevano certo ricordo.

È chiaro che non c'è differenza sostanziale fra uno scambio mediante argento presente all'atto della compravendita in quanto denaro e uno scambio senza passaggio fisico di argento ma garantito da una scrittura contabile sottoscritta dai contraenti. Dato che l'argento durante una transazione non circola, è sufficiente meno metallo per svolgere la funzione di equivalente generale. Ma perché sobbarcarsi la fatica contabile quando sarebbe molto più semplice produrre, misurare e distribuire? Probabilmente proprio perché non c'è ancora un equivalente generale che risponda agli interessi di tutti. È a questo punto che dev'essere scattata l'esigenza di una "misura del valore" in grado di soddisfare ogni tipo di scambio. La soluzione sarà trovata, ma occorreranno millenni.

Equivalenza: 1 siclo = 8,3 grammi d'argento Variazioni Editto Sin-Kashid, re di Uruk, XVIII secolo a.C.
500 litri di sale -
250 litri di orzo 750 litri
25 litri di olio di (palma?) 50 litri
10 litri di olio vegetale 25 litri
12 litri di strutto 24 litri
3 litri di birra 6 litri
3 kg di lana 6 kg
1,5 kg di rame 5 kg
1 mese di lavoro nei campi 15 giorni

Nel frattempo, gli uomini non si fermano di certo. I ricchi mercanti si ritrovano i magazzini pieni di merci che fruttano altre merci, dato che non c'è ancora il denaro, a parte il riferimento al peso di qualche metallo. Il tempio e il palazzo, con modalità diverse, rappresentano luoghi deputati a raccogliere l'esuberante produzione e a ridistribuirla. Gli immensi magazzini rinvenuti dagli archeologi fra le rovine delle città necessitavano di un'amministrazione evoluta, altrimenti sarebbe stato il caos. Gli scambi a lunga distanza tra popolazioni diverse in continua guerra fra loro pretendevano l'invenzione di espedienti per salvaguardare uomini e cose.

Dato che le distanze comportavano non solo la costruzione di magazzini lungo le carovaniere ma pagamenti differiti nel tempo, dovevano nascere in seno alle famiglie di mercanti dei punti di riferimento per le compensazioni o per mettere al sicuro l'argento da usare per gli scambi e da essi ricavato. Con un interesse del 10-12%, l'accesso al credito presso queste proto-banche permetteva di limitare l'usura che, con tassi del 30 o più per cento, era una vera piaga del tempo, implicava pignoramenti e in molti casi la riduzione in schiavitù del debitore insolvente. Portare con sé l'argento o l'oro era rischioso e dissipativo nelle piste dell'epoca, perciò troviamo registrati nelle tavolette tutti gli espedienti che nelle forme sociali successive saranno perfezionati fino a diventare la normalità, l'essenza stessa dell'economia politica. Le tavolette documentano pagamenti posticipati, anticipati o collegati ad altri pagamenti, e gli archeologi li paragonano agli analoghi strumenti moderni come cambiali, assegni, fideiussioni, pegni, garanzie varie, assicurazioni. Molto dibattuta è la funzione di tavolette che riportano incisa una somma pagabile al portatore. In questo caso avremmo le prime argillo-monete del mondo. Vi sono storici i quali hanno sostenuto che alcune tavolette del Codice di Eshnunna e una legge del Codice di Hammurabi provano che gli antichi mesopotamici conoscevano l'equivalente dei moderni derivati. Su queste tavolette una registrazione riporta ad esempio che un tale ha ricevuto un prestito in argento promettendo in restituzione una quantità di orzo al tasso di cambio orzo/argento che ci sarà al momento della chiusura del debito. Nel codice di Hammurabi un contadino viene sollevato dal debito se il raccolto va male.

Sofisticati mezzi contabili convivevano dunque con il baratto, ma soprattutto persisteva il sistema di produzione, ammasso e distribuzione tipico della fase superiore di quella che alcuni archeologi (non tutti) chiamano "società egualitaria", e noi chiamiamo "comunismo originario", mentre nello stesso tempo i metodi quantitativi della registrazione evolvevano nell'ambito del commercio privato. Uno degli studiosi che sostengono l'esistenza di categorie moderne nelle società antiche scrive:

"È indubbiamente errata la comune credenza che quella civiltà fosse economicamente 'primitiva', basata essenzialmente sul baratto. Infatti, la vita economica di quelle genti fu articolata e diversificata, non solo perché accanto all'attività economica delle Istituzioni andava sempre più emergendo un'attività privata, ma anche perché quelle genti, già a partire dal III millennio a.C., incominciarono a usare strumenti economico-finanziari che, ovviamente in forme più evolute e sofisticate, troviamo oggi nel nostro mondo globalizzato. In definitiva da tutto quanto detto emerge la necessità che a quella civiltà – durata per un periodo pari (se non superiore) alla prima metà dell'intero periodo storico dell'uomo – venga riservata quella maggiore attenzione che gli studiosi hanno da tempo riservato alle successive civiltà greca e romana."

Secondo questo autore è vero che sui mercati mesopotamici erano fisicamente in circolazione pesi di argento in funzione di moneta, ma egli si rende conto di come sia necessario rivedere la storia di stampo ottocentesco che è ancora in auge. È ormai sicuro che, come molti storici e archeologi affermano, storia e archeologia sono da riscrivere alla luce di scoperte e riscoperte recenti. La lettura del "capitalismo finanziario" mesopotamico, eseguita attraverso occhi diversi da quelli interessati a vedere capitalismo dappertutto, non ci mostra strutture capitalistiche simili a quelle attuali ma una persistenza di strutture "egualitarie" (secondo la formula degli archeologi) antichissime, evolute fino a suggerire analogie anacronistiche. Lo scambio fra equivalenti approssimativi, in continua deroga ai pesi in metallo o altro materiale conservati nel tempio o nel palazzo, non ha nulla a che fare con lo scambio attraverso una misura oggettiva del valore. Infatti, raggiunto l'apice del mercantilismo tipico della Mezzaluna fertile, intorno alla fine del II millennio a.C., le civiltà dell'epoca collassano e con esse sparisce la "finanza" mesopotamica. Il denaro come misura di valore tarderà un altro mezzo millennio per fare la sua comparsa in Grecia, e solo con l'Impero Romano comparirà un capitalismo antico anticipatore della forma attuale. Comunque, anche in questo caso, ancora ben lontano dal mettere in moto la potenza rivoluzionaria dello sfruttamento capitalistico.

La nave di Uluburun ci mostra una contabilità elementare nonostante i notevoli scambi estesi nello spazio. Fra le migliaia di oggetti non se n'è trovato uno che facesse pensare a una contabilità di compensazione come quella in uso da secoli in Mesopotamia. Anche il possibile uso di lingotti e altri oggetti come moneta non è provato, e quindi nulla ci fa pensare a scambi di livello superiore a quello del baratto. Se la nave proveniva davvero dalla costa siriana, cioè l'attuale Libano, abbiamo la conferma che i Fenici non ebbero bisogno di moneta, dato che il metodo del baratto di merci prodotte da popolazioni molto distanti fra loro non consentiva di ricorrere a documenti contabili che comprovassero le compravendite. La nave di Uluburun era un prodotto della forma fenicia, anch'essa persistente ma destinata a essere soppiantata da una forma superiore.

Necessarie dissoluzioni

La questione dell'uso o meno di argento in guisa di moneta fisica è importante per capire la storia del denaro e della moneta, ma non comporta modifiche al nostro assunto di partenza. La struttura contabile nelle antiche società di cui ci stiamo occupando proprio perché sorprendentemente simile a quella del capitalismo potrebbe essere una prova della simmetria storica: come si è passati dalle cretule alla complessità contabile, così si passerà dalla complessità contabile alle cretule del futuro, cioè ai segni elettronici della produzione-ridistribuzione esenti da riferimento al valore. Notiamo di sfuggita che nelle tavolette compaiono diciture come "Nelle mani di… l'argento ha posato", oppure "Argento pagato in 12 lingotti"; ma se il pagamento diretto in argento fosse stato diffuso, i prezzi sarebbero stati meno arbitrari, almeno all'interno della stessa epoca. In alcuni resoconti sono registrati movimenti enormi di argento e oro, che si spiegano soltanto con scritture contabili senza movimento fisico. In una tavoletta della città di Ebla compaiono diverse tonnellate di argento e oro segnate in entrata. Ora, il cosiddetto impero commerciale non possedeva giacimenti di metalli, perciò riceveva questi ultimi in cambio di orzo, lana, manufatti. Per quanto fosse prospero e ricco, per quanto imprecisi fossero i prezzi, non poteva esportare 250 litri di orzo per ogni 8 grammi d'argento e contabilizzare il metallo in entrata per quantità nell'ordine di grandezza delle tonnellate annue. E questo solo per l'argento, mentre si registra anche una quantità considerevole di oro. L'argento fonde a 1.000 gradi: dalla miniera alla fonderia, le civiltà del bronzo antico non avevano una metallurgia di tale portata. Bisogna anche tener conto che il regno di Ebla aveva circa 250.000 abitanti e che l'orzo, oltre ad essere esportato, doveva essere distribuito alla popolazione. C'è qualcosa che non torna. O si tratta di giacenze sulle quali vengono calcolate le compensazioni, oppure le quantità non sono quelle indicate. Tra l'altro la consuetudine dei piccoli scambi senza intervento di denaro fisico non era tipica soltanto delle antiche civiltà: chi è abbastanza anziano ricorda che fino a una cinquantina di anni fa era diffusissima la pratica di acquistare pane, latte e merci da drogheria facendo segnare l'importo su di un quaderno e saldando il conto alla fine del mese.

Nella sua descrizione delle forme sociali che precedono la forma capitalistica Marx utilizza un'espressione molto efficace e scientificamente corretta: "dissoluzione" di un rapporto in un altro, di un modo di produzione in un altro. Ciò non significa affatto passaggio graduale da una forma alla successiva, ma, al contrario, significa distruzione catastrofica di una forma che viene superata da una forma nuova. E gli elementi distruttivi adoperati da quella nuova nei confronti di quella vecchia sono sviluppati all'interno della vecchia stessa. È questa "struttura frattale delle rivoluzioni" che ci permette di inserire la storia del denaro e della moneta entro lo schema generale del grande ponte storico "comunismo originario → comunismo sviluppato" attraverso la parentesi delle società di classe. Per cinquemila anni vige una forma contabile che è denaro-moneta smaterializzato e ora, giunti all'estremo del ponte, la spalletta oltre la quale è la sponda del comunismo sviluppato, stiamo per ritornare al pallottoliere protostorico che precede non solo il concetto di valore ma anche il primitivo equivalente generale; stiamo per ritornare alla cretula che registra mirabilmente tutto ciò che c'è da registrare in una società non intossicata dal valore. Una cretula elettronica, programmabile con i dati che la nuova società riterrà utile immettere.

Si sarà giunti allora nell'ultimo stadio di una società che ha ancora bisogno di misurare il valore di un prodotto, o meglio di sapere quanto tempo di lavoro occorre per produrlo: non per la conoscenza dell'universale processo produttivo che va progettato e governato, ma per un dare-avere superstite fra i membri della comunità e la comunità stessa (in cambio di ciò che mi serve per vivere devo dare un certo numero di ore-lavoro). Su questo terreno, si erano spinti oltre i confini del capitalismo i tecnocrati americani quando teorizzavano la necessità di spersonalizzare e demonetizzare gli scambi interni della società riportando il "valore" dei prodotti e della forza lavoro a una quantità di energia. I joule o i kilowattora al posto dei dollari. Già all'interno della società capitalistica si capisce dunque l'esigenza di superare la contabilità attuale (valore=tempo di lavoro misurato in denaro), si capisce perché è già superabile quella transitoria futura (valore=tempo di lavoro tout-court), si capisce perché vi sarà un terzo livello nel quale vigerà l'indifferenza per i rapporti di valore e ogni membro della comunità riceverà quel che gli serve senza alcun riferimento ad equivalenti.

Il risvolto etico della moneta secondo Aristotele

I Greci antichi, non corrotti dalla complessa sovrapposizione di determinazioni che verifichiamo oggi, con la chiarezza di una civiltà giovane ma ben sviluppata, maneggiavano bene l'argomento denaro/moneta. Per Platone (428-348 a.C.) la genesi di uno stato modello avviene, tra le altre cose, attraverso lo scambio (La Repubblica). Non solo fra merci e fra merci e denaro, ma scambio fra qualsiasi differenza. Senza lo scambio fra differenze, non è neppure pensabile una comunità, la quale può essere definita attraverso tre caratteristiche specifiche:

"La prima è quella con cui l'uomo apprende, la seconda quella per cui prova gli impulsi; quanto alla terza, a causa della sua molteplicità non abbiamo saputo definirla con un nome appropriato, ma l'abbiamo denominata in base al suo carattere più importante ed efficace: l'abbiamo chiamata concupiscibile, per l'intensità dei desideri relativi ai cibi, alle bevande, ai piaceri amorosi e a tutti gli altri che si accompagnano a questi, e avida di ricchezze, perché questi desideri vengono soddisfatti soprattutto grazie al denaro" (La Repubblica).

Nel voluminoso lavoro sulla genesi dello stato ideale, Platone nomina una quarantina di volte il denaro in quanto potenza in grado di soddisfare bisogni variabili. Nonostante sia portatore di corruzione sociale, avidità e ogni sorta di bassezze, il denaro rappresenta un motore insostituibile per lo sviluppo della società, purché l'avidità non danneggi la conoscenza:

"Tra i sapienti del passato, nessuno mai ritenne giusto riscuotere denaro come ricompensa, né dare dimostrazione delle sue doti davanti a uomini di ogni genere; erano tanto ingenui e schietti che sfuggiva loro il grande valore del denaro" (Ippia Maggiore).

In Socrate (470-399 a.C.), nel dialogato con Erissia, la ricchezza non solo non è misurabile con denaro ma neppure con beni di altro tipo. Egli ritiene disdicevole chiedere ricompensa in denaro (sembra non si facesse pagare le lezioni) e difatti è considerato da Platone "un sapiente del passato". Alla domanda: "Qual è la maggiore ricchezza?" non c'è una risposta sola, perché quelli che chiamiamo beni soddisfano i nostri bisogni in modo soggettivo. Per Socrate la maggior ricchezza è stabilita relativamente al soggetto e comunque egli opta per la felicità. Un autore vissuto in un'epoca in cui dominasse il denaro avrebbe risposto diversamente: o scegliendo beni che lo rendono felice, o scegliendo l'oro che la felicità se la compra, come nota Shakespeare nel Timone di Atene citato anche da Marx.

In Platone, allievo di Socrate, il denaro in quanto moneta è esclusivamente mezzo di scambio, e ne La Repubblica viene nominato solo un paio di volte. Secondo Aristotele (384-322 a.C.), allievo di Platone, la moneta è un elemento dell'etica. La giustizia è un problema di reciprocità fra i cittadini; e la moneta, permettendo a tutti lo scambio al giusto valore, è una dimostrazione di reciprocità. Il bisogno di reciprocità è evidente nello scambio fra lavori diversi: la comunità si caratterizza proprio per questo scambio, che non può avvenire tra medico e medico ma tra contadino e medico, in ogni caso tra lavori differenti.

"Le cose di cui v'è scambio devono essere in qualche modo commensurabili. A questo scopo è stata introdotta la moneta, che, in certo qual modo, funge da termine medio: essa, infatti, misura tutto, per conseguenza anche l'eccesso e il difetto di valore… Se questo non avviene, non ci sarà scambio né comunità… Bisogna, dunque, che tutti i prodotti trovino la loro misura in una sola cosa… E questo in realtà è il bisogno che unifica tutto: se gli uomini, infatti, non avessero bisogno di nulla, o non avessero gli stessi bisogni, lo scambio non ci sarebbe. E come mezzo di scambio per soddisfare il bisogno è nata, per convenzione, la moneta. E per questo essa ha il nome di nomisma, perché non esiste per natura ma per norma, cioè legge, e perché dipende da noi cambiarne il valore o renderla senza valore… Tutte le merci devono essere valutate in moneta: così, infatti, sarà sempre possibile uno scambio, e, se sarà possibile lo scambio, sarà possibile anche la comunità."

La moneta non è dunque un prodotto della natura ma è stata introdotta per legge. Per questo motivo il suo valore è frutto di arbitrio, cioè possiamo stabilirlo per decreto o anche azzerarlo. Non erano passati nemmeno tre secoli da quando Creso di Lidia aveva messo in circolazione le prime monete che esse avevano già fatto più strada che nei sette millenni precedenti. Infatti, Aristotele parla del denaro monetato non solo come equivalente generale ma come 1) unità di conto; 2) mezzo di scambio; 3) riserva di valore. Cioè le tre determinazioni che duemila anni dopo faranno della moneta lo strumento attraverso cui il capitale si manifesterà come potenza economica e sociale. Da Socrate ad Aristotele passando da Platone è possibile intravvedere la dissoluzione di un mondo millenario. Nell'ambiente aristotelico la moneta può essere usata come metafora della giustizia perché è lo strumento livellatore delle differenze, la misura universale delle cose, l'incarnazione della perfetta reciprocità. In effetti il denaro monetato è anche lo specchio della democrazia: lo scambio tra equivalenti rende giuridicamente uguali gli uomini che scambiano. Più tardi, con la comparsa del proletariato, sorgerà il confronto fra equivalenti anche fra compratore e venditore di forza-lavoro: il proletario avrà il diritto di salvaguardare la propria capacità di riproduzione; il capitalista avrà il diritto di sfruttare ciò che ha pagato al prezzo di mercato; nessuna "ingiustizia" inficerà tale scambio, e in caso di controversia non avrà senso appellarsi a un giudice: diritto contro diritto, dice Marx, deciderà la forza.

Grandi civiltà senza denaro

Abbiamo visto che lo scambio tramite un equivalente generale non rende quest'ultimo di per sé "denaro" in quanto, almeno in un primo tempo, mancando il legame con il tempo di lavoro sociale medio, l'equivalente generale non può essere definito come "forma fenomenica del valore". Ricordiamo che per Marx il processo di formazione del denaro è l'esclusione di una determinata merce dal consesso di tutte le altre merci. Ovviamente, anche quando non siamo ancora in presenza di denaro vero e proprio, il fatto che sia stato individuato un equivalente, orzo, conchiglia o metallo, permette lo scambio, la contabilità e lo stimolo della produzione per lo scambio. Anzi, appunto il carattere di equivalente, presente in anticipo sulla forma denaro-valore, ci permette di annotare che l'eternizzazione ideale della forma capitalistica è un prodotto tossico del capitalismo e che, con un minimo di attenzione, possiamo assumere gli antidoti necessari anche attingendo dal lavoro dei borghesi quando registrano dei fatti invece di trasformarli in apologia della loro società.

Specialmente in Mesopotamia, nel passaggio dal proto-stato allo stato, le tavolette ci mostrano una contabilità evoluta e "moderna". Ora, se dire che gli antichi erano moderni è una sciocchezza più grave di quella secondo la quale saremmo noi moderni ad essere antichi, non dobbiamo tuttavia sorvolare sul fatto che per alcuni millenni sono state utilizzate modalità di annotazione degli scambi e di pagamento di cui si fa uso ancora oggi. Ma il fatto che non fosse possibile ragionare in termini di "valore" faceva sì che quelle modalità, pur simili alle nostre, non fossero assolutamente la stessa cosa. Una promessa di pagamento (praticamente una cambiale) non era "scontabile", e quindi non era monetizzabile, non poteva rientrare nel mercato e fungere da moneta. Alle lettere di credito, che millenni or sono servivano a muovere il corrispettivo in argento di una compravendita presso un intermediario lontano, nella società contemporanea si ricorre anche per generare denaro, scontandole presso una banca.

Un esempio chiarissimo di società mercantile senza moneta ci è dato dalle civiltà che si sono alternate a Creta. Lasciando da parte i Minoici, dei quali si sa poco ma che verosimilmente commerciavano alla maniera dei Fenici, secondo un baratto ponderato, i Micenei, che li sostituirono, ci offrono un esempio di contabilità che fa pensare alla fase precedente a quella in cui l'uso di equivalenti diventò normale. Fra le numerose tavolette ve ne sono alcune che sembrano registrare dei contratti di compravendita. Dice allora il traduttore della nostra epoca:

"Poiché apprendiamo dalla storia dell'economia che solo la moneta, nella sua funzione fondamentale di misura dei valori, consente il sorgere dei contratti secondo valori certi, obiettivi, il fatto che il palazzo concludesse contratti di acquisto di schiavi significa che l'economia micenea conosceva la moneta come misura di valore."

I traduttori precedenti non erano arrivati a una conclusione del genere. A parte il fatto che la Creta micenea non era una società schiavistica (la schiavitù era sporadica, non sistema), e quindi è poco probabile un contratto di compravendita per quella particolare merce, tali affermazioni sono ricavate da una tavoletta su cui, secondo lo stesso autore citato, è scritto semplicemente che un tale ha comprato uno schiavo da un altro tale. Tutto verte quindi sul verbo "comprare" e sulla parola "schiavo". Una lettura diversa la troviamo in un altro articolo:

"Ad un livello puramente teorico, quindi, il prezzo dello schiavo sarebbe risultato da un estimo certo ed obiettivo; di fatto, però, i documenti in nostro possesso registrano solo il nome dell'acquirente, quello dello schiavo e quello del padrone precedente, trascurando completamente la stima del valore commerciale dello schiavo."

Siamo dunque di fronte a libere interpretazioni che portano alla risposta coincidente con il pregiudizio di partenza. La "traduzione" di una tavoletta che compare nell'ultimo articolo citato ci mostra che, senza un inquadramento della transazione in un contesto storico, economico e sociale è quasi impossibile dedurre con certezza, direttamente dalla scrittura contabile, il suo significato:

...grano 6 fichi
al fabbricante di reti pagato grano 2 fichi 2
al tessitore pagato grano 12
vestito di lino leggero grano 5
vestito di lino leggero grano 15

Chadwick e Ventris avevano tradotto "tributo" al posto di "pagato", ma non è questo il punto: quando l'informazione è così scarsa occorre ricostruire l'ambiente, soprattutto bisogna sapere quali fossero i rapporti di produzione, quale fosse la dinamica storica e che cosa essa stesse dissolvendo. Quella micenea era una società giovane che non aveva soppiantato completamente la precedente, quindi ereditava più di quanto non lasciasse per testamento.

Per avere un sistema di prezzi sarebbe occorsa una generalizzazione della produzione per lo scambio e l'adozione di un equivalente generale in modo che si evidenziasse con forza il legame fra il prezzo e il tempo di lavoro. Niente ci fa pensare a una situazione del genere nei cataloghi di beni incamerati o distribuiti registrati in una scrittura nata da poco, non certo per raccontarci l'economia dell'epoca ma per meri scopi utilitaristici. L'informazione che noi riceviamo dalla tavoletta è che il fabbricante di reti e il tessitore hanno ricevuto del grano e dei fichi, mentre il rapporto fra il vestito leggero e il grano può essere un'equivalenza; ma in questo caso non corrispondono i numeri. Insomma, le tavolette ci dicono che a Creta nel periodo miceneo si producevano e scambiavano prodotti, che questi erano immagazzinati in grandi ambienti facenti parte del cosiddetto palazzo, che erano registrati in entrata e in uscita e che nessuno di questi prodotti era stato escluso dall'insieme di tutti i prodotti per diventare una misura di valore e non semplice bene di consumo.

C'è un'altra caratteristica che rafforza l'ipotesi di una civiltà più vicina al comunismo originario che non alla fase successiva, la quale vede affermarsi il concetto di valore: la distribuzione di razioni alimentari ad alcuni settori produttivi della popolazione. Qualunque fosse la condizione sociale dei beneficiari della distribuzione, è evidente che questa doveva avvenire in assenza di scambio secondo criteri di valore, un po' come avveniva a ben altra scala nelle "città operaie" dell'Egitto fin dalle prime dinastie.

La società micenea è strutturalmente più giovane di quella contemporanea mesopotamica e più matura di quella egizia. Non sappiamo come si sarebbe evoluta perché fu distrutta da un'invasione. Probabilmente non avrebbe potuto sviluppare gli strumenti "finanziari" mesopotamici essendo basata su di un piccolo territorio insulare e su zone limitate della terraferma, peraltro suddivise in diversi centri amministrativi. A parità di sviluppo della struttura sociale, con le civiltà in transizione verso la forma antico-classica quella micenea presenta molte analogie. Non esistendo debito pubblico, dato che non esisteva ancora lo stato, le grandi energie spese per opere come templi, palazzi o magazzini erano richieste direttamente alla popolazione, così come ricadevano direttamente sulla popolazione gli oneri delle guerre. È chiaro che nei rapporti fra nazioni gli scambi, e spesso i doni reciproci, avvenivano secondo criteri non solo imprecisi rispetto al valore che più tardi sarà espresso in denaro, ma del tutto arbitrari. La registrazione dei movimenti interni era invece molto accurata, anche dal punto di vista del valore. Comunque, pur senza che se ne avvertisse il fondamento, la consuetudine avvicinava le differenze estreme.

Denaro mediatore di abominio e fornicazione

L'evoluzione che porterà alla legge del valore sviluppata è già presente in Aristotele: le merci si scambiano perché sono differenti. Tuttavia, proprio per questo, non sono commensurabili. Il denaro è il mezzo che le rende tali. Aristotele attribuisce al denaro il potere di parificare le merci, Marx storicizza il processo: una volta che siano divenute confrontabili, attraverso la quantità di lavoro sociale medio, tra tutte le merci una particolarmente adatta allo scopo si autonomizza, si autoesclude, diventando denaro:

"Non è il denaro che rende commensurabili le merci. Al contrario, le merci possono rappresentare collegialmente i loro valori nella stessa merce specifica, elevandola così a comune misura del valore, cioè denaro, in quanto come valori sono tutte lavoro umano oggettivato e quindi sono in sé e per sé commensurabili. Il denaro come misura del valore è la necessaria forma fenomenica della misura immanente del valore delle merci: il tempo di lavoro."

Nell'epoca della massima socializzazione della produzione la differenza nel confronto fra valori è quasi cancellata, tanto che una rivista come The Economist giunge a utilizzare, come unità di misura per il confronto dei prezzi a livello mondiale, il Big Mac, il paninone di McDonald's. La standardizzazione dei processi produttivi, l'internazionalizzazione della forza lavoro e la delocalizzazione dell'industria riducono enormemente la differenza fra prezzo di costo e prezzo di produzione, cioè fra il prezzo individuale della merce di un singolo capitalista e la media dei prezzi che tutti i capitalisti concorrono a formare sul mercato mondiale.

Se non c'è più differenza fra prezzo e "valore in tempo di lavoro" non ha più senso tenere la contabilità in denaro/prezzo. Anche in fase di transizione il passaggio che la nuova società dovrà compiere verso la nuova contabilità sarà naturale e immediato; il denaro (non importa come si chiamerà) sarà abolito da subito. Sarebbe quindi ormai possibile una contabilità sociale direttamente fondata su quantità fisiche e sul tempo di lavoro necessario per produrle. In ultima analisi fondata sulla quantità di energia occorrente, come già avevano proposto i tecnocrati americani, probabilmente senza sapere che si stavano avvalendo di un criterio analogo a quello applicato da Marx nella Critica al programma di Gotha.

Ma c'è di più, molto di più: il sistema capitalistico ha raggiunto un limite oltre il quale ogni provvedimento economico assume un'aria sinistra, mortale per la sopravvivenza del sistema stesso. Se la borghesia, spaventata dalle possibili conseguenze di un drastico aumento della disoccupazione arrivasse a forme di appoggio generalizzato del reddito, attuerebbe di fatto non solo un buono-lavoro come quello previsto da Marx (equivalente alle ore di lavoro erogate) ma un buono-vita slegato dal tempo di lavoro. Paradossalmente la maturità dei rapporti di produzione ci proietta al di là della fase inferiore del comunismo e rende evidente un potenziale inerente alla fase superiore.

La strada percorsa dal denaro, dalla sua incubazione alla nascita e al suo sviluppo in moneta, è giunta alla fine. Qualunque sia la modalità della morte del capitalismo e qualunque sia il tempo dell'agonia, in tutto il suo viaggio ha fornicato con la Babilonia Biblica, la città più nominata dopo Gerusalemme: la grande ziggurat di Babilonia (Torre di Babele) ricorda l'impero dalle molte popolazioni e lingue. Isaia prevede che la sua distruzione avverrà intorno all'VIII secolo a.C.; due secoli dopo, con Ciro il Grande la profezia si avvera. Nel Nuovo Testamento, Babilonia è la metafora di Roma:

"Vieni, ti mostrerò la condanna della gran meretrice che siede sopra molte acque, con la quale hanno puttaneggiato i gran re della Terra… E mi trasportò in spirito in un deserto. E quella donna… aveva una coppa d'oro in mano, piena di abominazioni e d'immondizie della sua fornicazione; e sulla fronte era scritto un nome: Mistero, Babilonia la Grande, madre di tutte le fornicazioni e delle abominazioni della Terra" (Giovanni, Apocalisse).

Giovanni scrive nei primi decenni d.C., quando la forma denaro è pienamente sviluppata. Perciò nel testo sacro non si parla solo della dissolutezza morale. All'epoca della sua stesura la genesi del denaro e della moneta è già lontana, e i mercanti sono diventati gli antenati del capitalista: le loro navi, i loro magazzini e la loro banca influenzano la società intera:

"Questi hanno lo stesso disegno e affideranno la loro forza e il loro potere alla fiera. E che nessuno possa comprare o vendere senza avere tale marchio, il nome della Bestia, o la cifra del suo nome" ( Apocalisse, citato da Marx, Il Capitale, Libro I, capitolo III."

Rivista n. 43