Verso un nuovo paradigma

Martin Ford, Il futuro senza lavoro. Accelerazione tecnologica e macchine intelligenti. Come prepararsi alla rivoluzione economica in arrivo, il Saggiatore, 2017, pp. 340 euro 24.00.

Martin Ford ha fondato un'impresa di software nella Silicon Valley. Il suo saggio può essere letto come una continuazione de La fine del lavoro di Jeremy Rifkin (1995), l'economista che mise in evidenza il fenomeno della "disoccupazione tecnologica" in un libro che divenne subito bestseller. Non erano mancati, anche in anni più lontani, lavori importanti sull'argomento, come quello del Premio Nobel Wassily Leontief (Gli effetti futuri dell'automazione sui lavoratori, 1988), ma erano rimasti elaborati accademici di scarsa diffusione. Nel tempo che separa le due date di pubblicazione la robotizzazione si è trasformata da prospettiva a realtà generalizzata. Oggi il salto qualitativo nelle macchine, che da meccaniche sono diventate prima elettroniche e poi "intelligenti", produce necessariamente un cambiamento sia nell'approccio teoretico al problema, sia nell'impatto che tale problema ha sulla massa degli uomini, direttamente coinvolti in quanto sostituiti. E naturalmente se ne avvantaggia la produzione di libri sull'argomento.

Ford, con la lingua divulgativa raccomandata dagli editori, elenca, con dovizia di particolari, i cambiamenti avvenuti. L'indagine parte dalla metà degli anni Settanta, periodo in cui è venuta ampliandosi la forbice tra produttività del lavoro e retribuzione, e tra ricchi e poveri. La crisi del 2008 rappresenta una svolta rispetto a quelle precedenti: negli Stati Uniti la ripresa economica avverrà senza la creazione di posti di lavoro, anzi, con una crescita della disoccupazione e con il proliferare dei lavoretti e delle occupazioni precarie e sottopagate. Ciò a causa di una miscela di automazione, globalizzazione, delocalizzazione e finanziarizzazione sullo sfondo della perdita di potere dei sindacati.

L'interesse del saggio, a parte la confusione tra cause ed effetti, sta nella descrizione delle tecnologie dell'informazione, considerate "una forza rivoluzionaria senza precedenti" che sta spingendo l'umanità "verso un nuovo paradigma economico". Non è solo il lavoro degli operai ad essere eliminato dalle macchine, ma anche quello degli addetti ai servizi e di categorie che un tempo sembravano indenni, come giornalisti, traduttori, avvocati, medici, infermieri, sostituiti da software che producono testi, o da sistemi esperti in grado di fornire velocemente informazioni dettagliate su leggi, patologie, ecc., ambienti che oltre tutto si autonomizzano sempre più acquisendo capacità di auto-apprendimento. Nel mondo finanziario le transazioni automatiche rappresentano già il 50% di tutte le attività dei broker; e il trading robotizzato ad alta frequenza permette interventi ad una velocità "misurata in milionesimi o addirittura miliardesimi di secondo".

Nascono, in un contesto di frenetica ricerca, discipline come la cognitive computing, sviluppata da IBM e battezzata con il nome del suo primo presidente, Watson. Tale programma è un elaboratore di informazione disaggregata dalla quale viene distillata conoscenza in un determinato campo. Mentre si interfaccia con l'utilizzatore, apprende dal suo comportamento nuova informazione. Siamo di fronte a una serie di simulazioni del lavoro umano che vanno ormai dalla simulazione di intelligenza ai piccoli particolari della quotidianità, come scegliere un film, acquistare un libro, programmare una vacanza o… dialogare con il frigorifero. Sciocchezze? Non proprio.

La cosiddetta intelligenza artificiale distrugge più posti lavoro di quelli che crea, e siccome disoccupati e precari consumano poco (e non possono indebitarsi all'infinito), è fondamentale, dice Ford, che gli Stati intervengano aumentando la keynesiana propensione marginale al consumo, perché "una domanda di consumi non abbastanza solida può anche rallentare lo sviluppo e l'adozione di nuove tecnologie." La soluzione proposta è quella di introdurre un reddito di base, o reddito minimo garantito, nell'ottica di una riforma complessiva del welfare state.

Bisogna dire che fa un certo effetto vedere che dei capitalisti adottano la parola d'ordine dei comunisti: "forte riduzione del tempo di lavoro e salario ai disoccupati"; ma non dimentichiamo che le crisi del capitalismo maturo sono sempre avvenute perché si produce e consuma troppo, non troppo poco. Il basso consumo è l'effetto della crisi, non la causa. Chiedere un aumento del reddito per far aumentare i consumi è come chiedere un'altra crisi. Un contributo in denaro ai senza riserve e un aumento dei salari produrrebbe, è vero, un aumento dei consumi nell'immediato, e ripartirebbero quindi gli investimenti. Ma sull'onda della ripresa aumenterebbe la produttività e con essa la disoccupazione.

Se una fabbrica funzionasse in maniera completamente automatica, il proprietario intascherebbe un sovrapprofitto a spese degli altri capitalisti; tuttavia se tutte le fabbriche funzionassero in questo modo, non ci sarebbe alcun plusvalore da distribuire. Il regno della libertà comincia là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità, e oggi le basi materiali per fare un salto nel futuro sono gettate per sempre. L'esercito dei robot sta soppiantando non solo "l'esercito industriale di riserva", non solo la sovrappopolazione relativa, ma anche la sovrappopolazione assoluta, dato che riesce anche a sostituire gran parte del lavoro residuo, quello che viene pagato così poco che non permette nemmeno di acquistare il pane quotidiano. Per l'imprenditore saggista siamo di fronte a un indefinito "futuro caratterizzato da una drastica accelerazione della tecnologia di rottura". Bene, tutto ciò che è rottura con l'esistente è rivoluzione. Occorre una citazione per coprirci le spalle di fronte a coloro che vogliono la rivoluzione tipo standard comprata al supermarket del marxismo-leninismo? Apriamo il Manifesto e leggiamo:

"La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. Prima condizione di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l'immutato mantenimento del vecchio sistema di produzione. Il continuo rivoluzionamento della produzione, l'ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti. Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti."

Rivista n. 43