La misura e la scienza
Riceviamo e pubblichiamo.
Parto da una considerazione che potrebbe essere il titolo di quanto segue: il ricambio organico fra uomo e natura non può essere studiato attraverso le ristrette categorie economiche e conoscitive del capitalismo. Mi allaccio, per la chi l'ha seguita, alla prima parte della conferenza di Cingolani tenuta al Politecnico di Torino e a uno dei temi affrontati ultimamente all'interno della nostra rete di lavoro e che è stato intitolato "Le rivoluzioni come fatto fisico". Traggo spunto dalla tematica che entrambe le discussioni condividono circa il come e il quanto la società umana conosce sé stessa. Da una parte la nostra ricerca, se ho letto bene, vuole ricordare che con la prossima biforcazione rivoluzionaria la conoscenza umana dovrà compiere un salto qualitativo, al fine di poter governare la complessità e l'entropia che il modo di produzione capitalistico lascia in eredità all'uomo; dall'altra, nella conferenza, emerge prepotentemente quanto gli attuali rapporti sociali e i modelli computazionali, che questi esprimono, ci impediscano di avere una visione di insieme e una capacità previsionale sul futuro di specie.
Prendiamola da lontano. Nella prefazione alla prima edizione tedesca del Capitale Marx avverte il lettore che per studiare la società occorre operare per astrazioni: i rapporti sociali non sono indagabili attraverso microscopi e reagenti chimici come gli altri fenomeni naturali, essendo immateriali. I rapporti sociali non sono osservabili allo stesso modo, ma in forza di astrazioni, adoperate nelle scienze naturali, superiamo il modo concreto di apparire dei fenomeni sociali (così come ragioniamo in termini di massa ma possiamo osservarne solo il peso, ovvero la forza esercitata dalla gravità terrestre, noi comunisti ragioniamo di valore ma abbiamo sotto gli occhi solo il suo epifenomeno, i cartellini coi prezzi). Questo pone già delle iniziali difficoltà ad ogni indagine, che sommate al fatto che la borghesia ha esaurito il suo slancio rivoluzionario nella storia, soprattutto nel campo della conoscenza, portano l'uomo capitalistico a ragionare sulla società solo rimanendo alla superficie delle cose, al modo di manifestarsi dei fenomeni.
Ciò crea giganteschi problemi di informazione. Il più macroscopico è la manifestazione dei rapporti mercantili e il modo in cui essi vengono percepiti: il prezzo, la forma prezzo che assumono i prodotti del lavoro umano. Infatti, è proprio sull'analisi delle stime monetarie di costi e benefici, costi economici attuali e benefici economici futuri, che i policy maker progettano ed implementano le politiche volte allo sviluppo e gli interventi ambientali nell'intero Pianeta. Ed è anche per questo motivo che tali piani se hanno successo funzionano da toppe temporanee, altrimenti falliscono aumentando il disordine sociale e modificando ulteriormente lo squilibrio tra attività umane e capacità di carico della biosfera. Volendo ci si potrebbe addentrare sui metodi di quest'analisi costi benefici, ma basta riflettere di quanto sia pervasiva questa visione: migliaia di studi commissionati usano come unità di misura il prezzo monetario per indagare i fenomeni più disparati che spesso hanno un legame deterministico molto più forte con altri fattori di tipo fisico, ecologico ecc.: ad esempio studi che correlano il PIL pro capite alla salute (aspettativa di vita, spese sanitarie), alla felicità (pare che sopra un reddito di 75 000 $ la felicità non cresca più), all'inquinamento con conclusioni paradossali. Si può accennare anche a come, con miopia mercantile, si affrontino le questioni ambientali. I funzionari del capitale impersonale hanno escogitato un modo per contrastare il problema dei quantitativi di CO2 nell'atmosfera e rispettare gli impegni presi con il protocollo di Kyoto. Il "diritto" ad inquinare ha un prezzo, ed è ovviamente deciso non da criteri tecnico-scientifici ma dalle forze impersonali che intervengono quando tale diritto viene immesso sul mercato. Andando diritti al punto, poniamoci la seguente domanda: per conoscere e pianificare il ricambio organico tra uomo e natura è più utile riferirsi alla forma prezzo o alle grandezze fisiche? C'è più Informazione, con la I maiuscola, dietro al dato "un barile di petrolio costa 70$" o "un barile equivale a 1700 KWh?" Oppure, per usare un esempio di Cingolani, quanta informazione c'è nella frase "1 caffè costa 1 euro" rispetto alla frase "1 caffè richiede 24 litri di acqua"? O ancora, come misuriamo in termini di prezzo il fatto che all'uomo servono per sostenersi e riprodursi 45$ al giorno o ha bisogno di 3.000 Kcal? In ciò sta il primo grande problema di informazione. Solo liberandoci dal feticismo insito del prezzo possiamo utilizzare grandezze che permettono di comprendere e modellare le dinamiche del sistema chiuso Pianeta Terra.
Le leggi fisiche operano indipendentemente dai rapporti sociali che l'uomo ha conosciuto nella sua storia, trascendono i modi di produzione; per questo, ragionare in partita doppia, in termini di costi e benefici monetari oltre che inutile è anche dannoso. Il rapporto sociale mercantile più sviluppato, il capitalismo, offusca questa banale verità, la sovrastruttura ideologica che il Capitale impone, sta ampliando il divario, già esistente per la natura biologicamente datata del nostro cervello, tra percezione e realtà.
Provando a sviluppare il tema da un'altra angolazione si può recuperare l'affermazione di Gershenfeld, riportata nel numero scorso della rivista, secondo cui il denaro "è una cosa stupida". Si può osservare che è sempre stato uno strumento per conoscere fuorviante, e che oggi la sua obsolescenza ci può condannare all'estinzione. Il denaro compare sulla scena storica per due motivi, insiti nella sua duplice natura di valore d'uso e di scambio della merce: esso compare affinché tutte le merci possano esprimere le proprie grandezze di valore senza che si scambino direttamente l'una con l'altra. Infatti, per provare il proprio valore di scambio, una merce deve cambiare di proprietario e manifestare detto valore nella corporeità della merce altrui. Deve permettere questo senza che ad esempio il possessore di lana che ha bisogno di ferro debba incontrare chi ha ferro e ha bisogno di lana. Assolvendo tali compiti, funge da espressione generale dei valori delle merci e questo è il massimo di informazione che può contenere. Il sistema di prezzi ci dà una grezza rappresentazione degli ordini di grandezza tra i valori delle merci, ci dà la magnitudine della spesa di lavoro medio sociale che contengono, non ci comunica precisamente le effettive ore di lavoro, come spiega chiaramente Marx (nei suoi esempi usa sempre prezzi monetari e non ore lavoro). Il denaro e i prezzi oltre non vanno, non ci dicono come è stata fatta una cosa, chi l'ha prodotta, quali sono gli input, qual è la catena del processo lavorativo, l'impronta energetica o ecologica. Non possono dircelo perché la categoria economica di valore, che rimane una qualità sociale, è una categoria storica e transitoria. Non possono spiegarci o darci una mano a capire cosa sono l'entropia, il ciclo dell'azoto o quello dell'acqua a cui il lavoro umano è generalmente legato.
L'esistenza nel mondo delle merci dell'equivalente generale limita il nostro potere conoscitivo nel campo della misura, che è potenzialmente molto più vasto di quello del solo prezzo monetario. Il processo di scambio delle merci per generalizzarsi e perfezionarsi obbliga i proprietari delle merci ad adottare il denaro, espellendo dal mondo delle merci una merce particolare che funge da espressione universale e unica del valore di queste. In tal modo ogni merce riceve una sola espressione, conosce un solo equivalente: tale processo non permette di allegare altri dati. Se, specularmente, lo scambio diventa non necessario perché siamo in un modo di produzione superiore, l'uomo può permettersi, consapevolmente, di esprimere i prodotti del proprio lavoro in tutti gli equivalenti fisici che vuole e conoscere, a seconda di quale aspetto del processo di produzione vuole studiare, l'impatto ambientale e le condizioni per la riproducibilità dell'organismo sociale. La combinazione lineare di quantità fisiche di materia dietro a qualsiasi prodotto (es. piatto di pasta al sugo da 100g = x gr. di farina + y litri di acqua + z gr. di pomodori + w gr. di sale; a loro volta tutti gli "ingredienti" sono combinazioni lineari di altre forme organizzate di materia), può essere così convertita secondo diverse unità di misura in base ai bisogni (es. piatto di pasta al sugo (x Joule) = y Joule farina + z Joule acqua + ecc.). Ciò permette di risalire alla rete di relazioni fisiche complesse in cui un certo prodotto è inserito, così come si mappa la complessità di una catena alimentare tra specie di uno stesso ambiente. Se si confrontano gli ingredienti di una pasta asciutta sotto il profilo mercantile, l'unica relazione che si ottiene è il prezzo relativo o costo-opportunità. Se ad esempio la pasta "costa" 4,50 $/Kg e la farina industriale 1,50 $/Kg, so che, date certe risorse, producendo un chilo di pasta in più rinuncio a tre chili di farina industriale. Oppure questa relazione ci dice che un chilo di pasta espresso in chili di farina ha un prezzo relativo di 3. Quando si mettono di fronte gli stessi ingredienti e li si "trasforma" nei rispettivi equivalenti fisico-chimici, si incomincia a trovare più relazioni che legano le cose le une alle altre. Si può rintracciare cosa si trasforma in cosa e per quali reazioni chimico-fisiche, si può capire come al variare di una sostanza cambi completamente il risultato finale, si può descrivere la catena di reazioni e processi naturali che mette in rapporto le une alle altre, vedere quali settori di provenienza, nella loro produzione, interagiscono ecc. Comincia ad aprirsi un mondo di relazioni, e il concetto di relazione, la pratica di associare, connettere, è alla base di ogni nostro procedimento conoscitivo. La teoria della misura è un ramo della matematica. Per ampliare gli esempi di relazioni e chiarirli, basterebbe che uno qualunque degli scienziati disposti a studiare e utilizzare la teoria della misura per questioni tecniche, magari scrivendo un saggio, fosse spinto ad applicare detta teoria alle questioni sociali. Ci direbbe che il prezzo campione non sarà mai conservato a Sèvres con il metro campione e che il valore in tempo di lavoro medio ha invece precisione infinita essendo un'astrazione matematica.
Se si vuole analizzare un manufatto o un processo del metabolismo sociale sotto l'aspetto prettamente energetico bisognerà disporre di una tavola dei flussi di energia in entrata ed in uscita tra nodi della rete produttiva, si registrerà la domanda proveniente dai consumi sociali ecc. Si potrà generalizzare, per esigenze di project management il calcolo automatico in ore lavoro-uomo, come fanno già oggi le maggiori industrie, si elaborerà l'apporto calorico se si vuole conoscere l'aspetto nutrizionale, si calcolerà il consumo d'acqua nell'ottica di utilizzo efficiente invece che sfruttamento risorse ecc. Un esempio tratto da una notizia recente mostra come, cambiando la natura dell'equivalente di un fenomeno, l'informazione che otteniamo è qualitativamente diversa. Se si misura la povertà con metro mercantile, dovremo stabilirla in dollari al giorno di reddito, confrontati a un qualche parametro considerato come soglia. Dai dati della banca mondiale appare che tutto sommato i "poveri" negli ultimi decenni sarebbero diminuiti. Questa apparenza è dovuta a due fattori. Da una parte, va da sé che se in statistica raggruppiamo le osservazioni per classi e variamo i valori limiti in cui le includiamo, varia la loro frequenza; detta più semplicemente, se procediamo ad alzare o abbassare l'asticella della poverty line i poveri aumentano o diminuiscono arbitrariamente. Dall'altra, negli ultimi decenni, milioni di contadini sono stati gettati nella fornace della produzione capitalistica, e i salari di sussistenza sono superiori alla soglia di povertà calcolata sul reddito del contadino. Vivere in uno degli slum che circondano le megalopoli modifica la soglia monetaria della povertà, ma non è detto che ciò migliori la vita degli interessati. La cifra della Banca Mondiale (800 milioni di poveri secondo i parametri monetari), confrontata con quella della FAO (1,5 miliardi secondo parametri alimentari) dimostra la debolezza intrinseca del calcolo basato sui prezzi. Il dato della FAO ci dice che in termini di frequenza/occasionalità dell'assunzione del cibo, sua qualità nutrizionale, apporto calorico, ecc i malnutriti sono quasi il doppio dei poveri. Calcolare la povertà sulla base del solo reddito monetario è fuorviante quanto calcolare la malnutrizione solo sulla base della magrezza: l'obesità è in massima parte connessa al basso reddito.
Quello della misura è un problema antico. Se anche non riusciamo mai ad avere una misura esatta di ciò che dobbiamo misurare, ci accontentiamo di rimanere entro tolleranze predefinite, ma senza misura non c'è scienza. Il denaro, si capisce, è uno strumento che oltre a misurare il valore è servito a consolidare il potere delle classi dominanti e quindi ha un'importanza enorme. Ma vi sono altri equivalenti che servono da misura e non sono stati liberati dalla contingenza della loro funzione. Come il prezzo assolve la propria funzione in modo relativo (il prezzo cambia a seconda delle situazioni), così le unità di misura adoperate in questo scritto valgono solo entro l'area che ha deciso di adottarle. Ci sono voluti millenni e diverse rivoluzioni per giungere a un sistema unificato di Pesi & Misure come quello metrico decimale ma, nonostante tutto, ancora oggi tale sistema è usato solo in una parte del mondo. È pazzesco, ma è così.
Il problema è più vasto di quanto appaia a prima vista. Anche un risultato storico fondamentale come la scrittura (che fa parte del linguaggio, cioè dei segni grafici, acustici, luminosi, ecc., perciò inerente ai mezzi di produzione) è frammentato, essendo basato a seconda del luogo, su segni grafici e strutture differenti. Eppure il linguaggio è comunicazione e questa è informazione misurabile. Una classe come la borghesia, al potere in una delle epoche roventi dell'evoluzione umana (e disumana), che non riesce a unificare gli strumenti fondamentali della produzione, è una classe stupida. Eppure in teoria potrebbe farlo, come ha fatto ad esempio la borghesia turca adottando i caratteri occidentali.
Accogliere, anche inconsciamente, criteri analoghi nella pratica quotidiana significa poi applicarli anche alle concezioni politiche: i "marxismi" sono troppi per essere utili a "misurare" l'energia di una rivoluzione.
* Roberto Cingolani, conferenza al Politecnico di Torino nell'ambito del ciclo Costruire il futuro, ottobre 2017-maggio 2018. Presente su You Tube.