Contributo per una teoria comunista dello Stato (1)

"Lo Stato non è affatto una potenza imposta alla società, 'l'immagine e la realtà della ragione', come afferma Hegel. Esso è piuttosto un prodotto della società giunta a un determinato stadio di sviluppo, è la confessione che questa società si è avvolta in una contraddizione insolubile, che si è scissa in antagonismi inconciliabili, che è impotente a eliminare. Ma perché questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto, non distruggano sé stessi e la società in una sterile lotta, sorge la necessità di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell'ordine. Questa potenza che emana dalla società, ma che si pone al di sopra di essa e che si estranea sempre più da essa, è lo Stato" (Engels, L'origine della famiglia della proprietà privata e dello Stato).

"Emana dalla società ma è al di sopra di essa"

In questo contributo non rispetteremo l'ordine cronologico con cui si usa procedere nello studio delle questioni che si sviluppano storicamente, aggiungendo o sottraendo elementi intorno a un nocciolo in evoluzione. Non vogliamo cioè "raccontare una storia" che inizia con il comunismo originario e continua fino al comunismo sviluppato, attraversando la grande parentesi intermedia che Marx ha chiamato "preistoria dell'umanità" e che comprende il periodo di tempo in cui si sono presentate tutte le forme sociali fino al capitalismo compreso. E, anche, non possiamo, perché troppe cose si sovrappongono fino a rendere non-lineare la storia. Occorre ridurre la complessità dell'intero percorso storico a un modello semplice, specie là dove si sovrappongono i contrari e si evidenziano potenziali contraddizioni. Lo Stato non è altro che uno strumento della dominazione di classe? Sì, ma lo diventa, prima è qualcos'altro, è l'essere sociale che sovrintende alle esigenze di una particolare specie in evoluzione, la nostra.

Abbiamo iniziato con una citazione di Engels che ci spiega sinteticamente come possa essere scaturito lo Stato dalla struttura sociale che l'uomo si era dovuta certamente dare non appena uscito dalla condizione animale, e proseguiremo con le anticipazioni di Stato che si sono presentate alla storia. Ma dovremo interrompere il flusso lineare dell'esposizione, perché Marx, Engels, Lenin, quando affrontano il problema dello Stato ne parlano come di un dato acquisito, come se fosse nato e non diventato tale, perciò già pronto per essere conquistato, abbattuto, sostituito ed estinto. La teoria di partenza è una coraggiosa ipotesi dedotta da pochissimi indizi, mentre oggi lo sviluppo di una teoria dello Stato può disporre di tutto il materiale necessario a una sua elaborazione. Ma, sembra un paradosso, mentre Engels poteva dedurre una teoria dai pochi dati di cui disponeva, oggi una teoria completa dello Stato, basata sulle prove ora disponibili, non c'è. Oggi alla borghesia una teoria dello Stato non serve, ha già lo Stato. Sono i nemici dello Stato ad aver bisogno di una teoria e non l'hanno. Quella disponibile, pur autoproclamandosi "marxista", fa parte di un patrimonio non più di moda.

Il nocciolo della teoria dello Stato enunciata da Engels nella citazione riportata sta nel fatto che l'evoluzione della società umana, della famiglia, della divisione tecnica e sociale del lavoro comporta un'organizzazione tesa a migliorare le condizioni di produzione e riproduzione della nostra specie. L'insorgere di differenze fra i membri della società è dovuto alle diverse funzioni che essi svolgevano materialmente al servizio della comunità. Le forme proto-statali che iniziarono a manifestarsi all'inizio delle grandi civiltà rappresentarono un salto evolutivo del comunismo originario verso forme nuove, anticipatrici di quelle future. Lo Stato, all'inizio, fu il traguardo della fase comunistica prima della sua scomparsa. La forma sociale antico-classica ha le sue radici in civiltà precedenti che avevano già raggiunto l'unità centralizzatrice su vasti territori ben amministrati, nei quali vigeva ancora la produzione, l'ammasso e la distribuzione del prodotto sociale propri della fase pienamente comunistica precedente. Civiltà che oggi sono classificate come "statali" rappresentavano in realtà un ponte fra il comunismo originario e le società di classe. Non conoscevano lo Stato ma stavano sviluppando quello che sarebbe diventato il loro futuro statale. Per difendere le loro prerogative antiche si diedero forme sociali complesse che permettessero il controllo centralizzato della propria esistenza. Ebbero bisogno della scrittura e l'idearono. Ebbero bisogno del calcolo e l'inventarono. Ebbero bisogno di tecniche produttive sofisticate e sconvolsero il mondo delle specie vegetali e animali che addomesticarono fino a far dimenticare le specie di origine.

Società e Stato "odierni"

Nella Critica al Programma di Gotha Marx annota la principale contraddizione della socialdemocrazia: che mostra di essere contro lo Stato, ma nello stesso tempo eleva questo ente particolare a interlocutore per le rivendicazioni del proletariato. Così facendo non solo essa "riconosce" lo Stato borghese per la sua funzione di classe, ma lo reputa in grado di modificare sé stesso al fine di concedere "garanzie" sociali alla classe che contribuisce a sfruttare, lo reputa perciò in grado di trasformarsi, al limite, in uno Stato socialista.

Già sul Manifesto Marx ed Engels affermano che i proletari non hanno garanzie da rivendicare entro i confini della società borghese: di tanto in tanto gli operai vincono uno scontro ma ogni "conquista" si rivela ben presto "effimera".

Che qualcosa non vada nell'impostazione socialdemocratica del problema "Stato" ce lo annuncia l'abuso dei termini "società odierna" e "Stato odierno", espressioni che non possono essere utilizzate con lo stesso significato.

Marx rileva che la "società odierna", pur tenendo conto delle differenze locali, è il capitalismo. All'apparenza, questo modo di produzione assume aspetti assai diversificati, ma in sostanza essi sono facilmente rapportabili non solo al capitalismo tout court ma alla sua versione più matura. Come annota anche la nostra corrente, questa forma sociale è la più contaminata della storia, quella che più di tutte vede convivere al suo interno tracce di altre forme, siano esse residuali antiche, siano esse modernissime anticipazioni di quelle future. Al limite, possono essere poco evidenti, proporzionalmente esigue, ma in grado di esprimere la natura del cambiamento in corso, di dare la propria impronta al movimento sociale.

Lo "Stato odierno" al contrario, presenta forti differenze fra paese e paese, perciò non può rappresentare, in quanto "Stato", il modo di produzione come forma sociale. Non è una funzione ma "una finzione" scrive Marx. Tutti gli Stati, anche quelli dei paesi più civili, presentano "variopinte differenze", ma hanno in comune il fatto di essere organizzati dalle esigenze del capitale. È a queste esigenze che bisogna guardare, gli Stati sono al loro servizio:

"Si può parlare di uno Stato odierno, in contrapposto al futuro, in cui la presente radice dello Stato, la società borghese, sarà perita. Quale trasformazione subirà lo Stato in una società comunista? In altri termini: quali funzioni sociali persisteranno ivi ancora, che siano analoghe alle odierne funzioni dello Stato? A questa questione si può rispondere solo scientificamente."

Occorre ponderare bene questa importantissima citazione di Marx. Ai suoi tempi le conoscenze che permettessero di rispondere "scientificamente" al quesito erano appena all'orizzonte. Solo dopo il 1872 i matematici sarebbero stati in grado di formalizzare il transito di invarianze da un sistema all'altro in presenza di trasformazioni. Dunque la fondamentale intuizione scaturiva non da una prova ma da fatti collegati. Fondamentale, perché ci obbliga a ripetere la domanda cruciale: è ancora vero che dopo una rivoluzione come quella possibile oggi persisteranno, trasformate o no, funzioni statali analoghe a quelle odierne?

Marx, Engels e Lenin risposero di sì; Stalin rispose in pratica che non di semplice analogia si trattava ma di identità, perché lo Stato borghese era abbattuto ed era risorto come Stato Proletario; noi avremmo risposto allora di sì, ma rispondiamo oggi di no. Perché?

Marx, Engels e Lenin vivevano in un mondo in transizione, non solo in quanto ambiente di uno sviluppo quantitativo della produzione sociale, ma in quanto ambiente per lo sviluppo qualitativo. Abbiamo visto che Lenin, pur essendo vissuto non molti anni dopo, accompagnava le valutazioni qualitative a quelle quantitative. In ogni caso, fino al tempo di Lenin il capitalismo aveva ancora qualcosa da dare, specialmente dal punto di vista della snellezza e della leggerezza. L'era del carbone e dell'acciaio doveva ancora passare e nessun fattore di accelerazione sociale sembrava possibile.

Analoghe funzioni per condizioni diverse?

Togliamo subito dalla scena lo schema staliniano: la sconfitta della Rivoluzione d'Ottobre si presentò come annientamento di tutte le forze che avevano contribuito alla precedente vittoria. La Russia fu catapultata in una situazione ibrida, nella quale partito, Stato e ideologia si trovarono indietro rispetto a risultati già raggiunti dalle masse umane in movimento caotico. Il partito e lo Stato si fusero dando luogo a un mostruoso fenomeno di auto-correzione rispetto al programma originario e alla prassi conseguente: presero il sopravvento non solo gli aspetti evidenziati da Marx (cioè la differenza di velocità con cui maturava la teoria rispetto al movimento sociale), ma anche lo stillicidio di minuzie quotidiane; mentre l'apparato poliziesco mostrava fino a che punto lo Stato proletario svolgesse funzioni analoghe a quelle dello Stato borghese. Il partito-Stato che doveva nascere al servizio della società civile, fu sopraffatto dallo Stato-partito che mise la società civile nelle mani di un'oligarchia amministrativa. Questa, a sua volta, fu impegnata a scimmiottare lo Stato come incarnazione dell'assoluto potere cui gli uomini non potevano sottrarsi perché così loro comandava una forza superiore. Nasceva lo Stato etico, con l'esercito formato dal modello di soldato politico. In Russia il fenomeno apparve come mistificazione, ma sul piano della "socializzazione" in corso sarebbe apparso con chiarezza nel documentario di Leni Riefenstahl, Il trionfo della volontà, dove a sfilare con le SS non erano soltanto i militari, ma tutti i rappresentanti della società civile, del popolo, che in Germania fu il vero artefice del nazismo.

Di fronte alla domanda posta da Marx nella Critica al programma di Gotha "esistono scenari futuri in cui sopravvive l'esigenza di mantenere funzioni statali analoghe a quelle odierne?" lo stesso Marx, con Engels e Lenin che l'avevano ripresa, non avrebbe potuto che rispondere di sì. La società capitalista doveva ancora raggiungere due stadi fondamentali del proprio sviluppo: 1) la dominazione dello Stato sul capitale e 2) la dominazione del capitale sullo Stato. Sono condizioni che noi conosciamo bene in quanto le abbiamo vissute e le viviamo, ma che al tempo di Marx erano passaggi che la rivoluzione avrebbe ereditato tra quelli da portare a compimento. Se è facile comprendere il primo punto, il dominio dello Stato sul capitale (socializzazione massima della produzione e distribuzione), è meno immediato comprendere il secondo punto. La nostra corrente spiegò che con il termine "capitalismo di Stato" non si doveva intendere semplicemente "nazionalizzazione dell'industria", cosa che avrebbe comportato una semplice sostituzione dei capitalisti privati con funzionari dello Stato lasciando il capitalismo tale e quale; per "capitalismo di Stato" si doveva intendere modo di produzione interamente statizzato, cioè un capitalismo che, indipendentemente dalla proprietà, domina la società facendo, come diceva Lenin, della produzione sociale una produzione socialista. La proprietà è un accessorio ininfluente, nessuna fabbrica ha più un "padrone".

In una società in cui il capitalismo non sia giunto a esprimere tutte le sue possibilità, lo Stato ha ancora un lavoro da compiere: vigilare affinché l'appropriazione privata del prodotto sociale non solo non avvenga, ma non sia più possibile. Lo Stato serve ancora, l'analogia è plausibile, anche se sarebbe più opportuno evidenziare le differenze, ad esempio la rapida eliminazione del problema alle radici. Per noi che viviamo nel terzo millennio la questione dell'analogia non si pone: il capitalismo si sta già auto-estinguendo, anche se con modalità mostruose per quanto riguarda la morte della legge del valore e la caduta storica del saggio di profitto, non più solo tendenziale. Il compito distruttivo dello Stato di transizione nei confronti di quello capitalistico è enormemente facilitato (eviteremo l'espressione "Stato proletario" o "comunista", un ossimoro molto usato ma assurdo).

Una teoria, in qualsiasi campo, è sempre la sistemazione di conoscenze registrate in passato cui viene aggiunta conoscenza nuova. Per quanto riguarda la natura, questa è agevole da esplorare in quanto presenta fisicamente sistemi numerabili e misurabili. Quando tali sistemi siano individuati e isolati, cioè resi leggibili senza pericolo di inquinamento, rivelano insospettate quantità di informazione sotto forma di leggi. Il percorso della nostra conoscenza è quindi il seguente:

Legge → Congettura → Ipotesi → Teoria → Verifica

Una teoria scientifica concatena le osservazioni raccolte man mano che i fenomeni vengono individuati, quindi, all'inizio, senza un ordine leggibile in quanto tale. La teoria si sviluppa tanto meglio quanto più risponde al fine per cui se ne è sentito il bisogno. Ordinare i dati grezzi per spiegare i fenomeni della natura significa utilizzare la conoscenza passata in modo da precisarla, e questo non si può fare in altro modo che a partire dalle leggi che detta natura rivela chiaramente quando il processo della conoscenza si avvicina alla soluzione. Questo significa che il fine e il percorso conoscitivo per raggiungerlo, dal punto di vista della teoria sono un tutt'uno. Faremo quindi progressi nella conoscenza dell'entità "Stato" quando riusciremo a osservarne "la dinamica verso…" e non solo una descrizione dell'immobilità nella distesa dello spazio-tempo.

Stato-Gemeinwesen?

Il campo privilegiato in cui si sente la necessità di ricorrere a teorie è il mondo fisico, nel quale i fenomeni si dispiegano con regolarità, invarianze e possibilità di sperimentazione, offrendoci l'occasione di elaborare modelli sperimentali.

Le teorie prodotte nell'ambito di quelle discipline che la scienza considera non-scienze (storia, psicologia, sociologia, economia, geo-politica e in genere ciò che non è quantificabile, sperimentabile, misurabile), possono fregiarsi dell'aggettivo "scientifico", ma non saranno accettate come scienza dalla comunità scientifica così come si è venuta configurando nella sua evoluzione.

Tale accettazione non è né giusta né sbagliata, è un dato di fatto. Marx preconizza l'unità di tutta la conoscenza, mentre la scienza d'oggi non può accettare una ricerca che sia basata su concetti esclusivamente qualitativi (e a rigor di logica non si dovrebbero in tale contesto usare aggettivi come "giusto" o "sbagliato"). Nello stesso tempo, però, organizza la propria conoscenza in aree "interdisciplinari", riconoscendo implicitamente l'esigenza di una "teoria del tutto", teoria affrontata e accantonata per eccesso di zelo, non perché fosse errata ma perché non aveva prodotto risultati.

Tutte le teorie fisiche tendono a essere transitorie perché non possono essere provate con assoluta precisione. Una teoria può essere smentita da una sola osservazione che sia in contrasto con le sue previsioni.

Vi sono teorie famose che pongono ancora problemi di completezza, come quella detta della relatività e quella detta quantistica. Ve ne sono altre che presentano domande che non hanno ancora ricevuto risposte soddisfacenti, come quella dell'evoluzione.

Infine, occorre ricordare che non c'è teoria scientifica senza la scoperta delle leggi di natura e la ricerca su di esse. Senza le leggi di natura Galileo non avrebbe potuto osservare il movimento isocrono del pendolo, o il moto accelerato dei gravi in caduta, o la relatività del moto; senza la legge della gravitazione Newton non avrebbe potuto elaborare la teoria generale del moto.

Anche se si è soliti attribuire al marxismo il carattere di scienza, esso non lo è propriamente, come in un certo senso non è scienza la matematica. Ma tutte le discipline in cui abbiamo suddiviso la conoscenza sono affrontabili con lo stesso metodo utilizzato da Marx, che è poi quello opposto rispetto al filone idealistico alla Goethe. La matematica è oggi utilizzata in discipline un tempo restie a quell'approccio, l'economia politica, la sociologia, la psicologia. Perciò, se si vuole fare "scienza marxista" occorre osservare la natura (e al suo interno la società) attraverso la metodica scientifica, cosa che di per sé non preserva dagli errori (cioè da teorie sbagliate).

I marxismi nati dopo Marx sono nel campo della scienza? Si può dire "scienza marxista"? E "teoria marxista"? La legge del valore-lavoro è una legge di natura? E se ne può ricavare una teoria? Può esistere una teoria marxista dello Stato?

Se escludiamo l'approccio storico-sociologico a una teoria dello Stato da parte della borghesia, rimane quello dei grandi filosofi del passato e ogni ricerca viene indirizzata verso Machiavelli e proiettata su Hegel. Il quale, secondo alcuni, non presenta una vera e propria teoria ma un manifesto dello Stato etico quale migliore strumento di controllo della società. Una specie di religione, in contrasto con il sottotitolo della sua opera sul diritto pubblico:Lineamenti di scienza dello Stato.

Nella nostra escursione sull'argomento, in occasioni diverse, abbiamo affrontato il problema della funzione "Stato" nella storia, ricorrendo anche a schemi dello spazio-tempo per sottolineare la continuità dei fenomeni proprio mentre si tratta la storia delle rivoluzioni che della continuità sono la negazione. In realtà lo Stato non è un fenomeno che si possa trattare incasellandolo come una forma definita, neanche se si usa l'accortezza di adattare tale forma ai diversi modi di produzione. Lo Stato è una funzione, nasce dal comunismo originario e muore nel comunismo sviluppato. Ma, allo stesso modo del partito, può essere inteso come organismo sovrasensibile, che diventa altro (va oltre): per cui la sua "estinzione" va affrontata con i criteri della complessità (rovesciamento della prassi), non con quelli di un'abolizione d'ufficio.

Avevamo già sottolineato, nelle Tesi di Napoli, il percorso storico del partito-Gemeinwesen (partito-Essere-sociale), un ente organico che rappresenta in anticipo la futura società; molto meno intuitivo è il passaggio necessario che porta a paragonare lo Stato all'Essere sociale. Eppure questo accostamento, che ha quasi l'aspetto di una provocazione, è una realtà: l'origine dello Stato ha molto a che fare con il concetto di Gemeinwesen. L'uomo è un animale politico, ha sviluppato al massimo la socializzazione mondiale del lavoro, ne ha fatto parte importante della sua vita, non può non tenerne conto nello studio di come si svolge questa vita. Scrive Lenin:

"Tutte le produzioni si fondono in un unico processo sociale di produzione, mentre ogni produzione è diretta da un singolo capitalista, dipende dal suo arbitrio, e gli dà i prodotti sociali a titolo di proprietà privata. Non è forse chiaro che la forma di produzione entra in contraddizione inconciliabile con la forma dell'appropriazione? Non è forse evidente che quest'ultima non può non adattarsi alla prima, non può non divenire anch'essa sociale, cioè socialista?".

Lenin su questo argomento è piuttosto rigido e ribadisce altrove:

"I rapporti di economia e di proprietà privata formano un involucro che non corrisponde più al suo contenuto. Esso deve andare inevitabilmente in putrefazione qualora ne venga ostacolata l'eliminazione".

Nel primo caso, sottolinea la contraddizione inconciliabile fra la produzione ormai completamente sociale e l'appropriazione privata; nel secondo caso, annota un importantissimo dato di fatto: come, cioè, il modo di produzione capitalistico sia ormai diventato un vecchio, inutile, estraneo contenitore di una società nuova.

Il nostro è un metabolismo sociale di specie fisiologicamente robusto, in grado di smaltire pesanti interferenze da parte di eventi artificiali e produrre velocemente anticorpi efficaci, ma il corpo umano non è ben dotato per affrontare situazioni di stress psicologico: ci siamo evoluti all'insegna del pericolo fisico, la nostra stessa facoltà di catturare prede e raccogliere cibo in concorrenza con mammiferi meglio attrezzati di noi per farlo, ci pone in condizioni permanenti di scontro. Perciò abbiamo sviluppato una socialità organizzata che è diventata un nostro carattere distintivo. L'abbiamo sviluppata e poi difesa come un bene prezioso, non per capriccio ma perché era indispensabile: a causa della nostra debolezza abbiamo bisogno di sicurezza e protezione.

Come scrive Engels, sulla base del lavoro di Morgan, lo Stato è la conseguenza logica del superamento del nucleo famigliare ristretto, del suo allargamento in un territorio delimitato, della comparsa della proprietà privata, perciò si presenta come un organismo al di sopra dei singoli che li disciplina e organizza per giungere gradualmente alla sua autonomizzazione al servizio della classe proprietaria e, in ultimo, al servizio del capitale impersonale.

Bisogna leggere con attenzione ciò che dice precisamente Lenin: la forma dell'appropriazione è in conflitto con la forma della produzione, vale a dire che quest'ultima è costretta a conformarsi alla produzione sociale cioè a diventare socialista. Produzione socialista in uno Stato super-capitalista? Forse Lenin non era quell'ottuso pragmatista che i marxisti-leninisti hanno modellato a loro somiglianza!

Definizione e finalità dello Stato

"Tutte le nostre ipotesi sugli inizi e sull'origine dello Stato sono vane, e noi dunque non ci romperemo qui il capo, come fanno i filosofi della storia, intorno a tali primordi. Come un popolo diventa popolo? E come diventa Stato? Quali sono le crisi della sua nascita? Dove risiede quel limite dell'evoluzione politica, partendo dal quale possiamo parlare di Stato? Questi interrogativi daranno solo quel tanto di luce che basti perché si scorga l'abisso che abbiamo dinanzi" (Jacob Burckhardt, 1870).

Neanche davanti ai più oscuri misteri della natura la borghesia era riuscita a esprimere tanto pessimismo. E si intuisce senza fatica il perché: in modo più o meno consapevole, essa avverte che senza Stato essa non è niente; ma, nello stesso tempo, lo Stato non è così potente quanto le servirebbe. Non è più in grado di elevarla ai fasti del passato, non quelli dell'accumulazione originaria e dell'esplosione imperialista (che sarebbe voler troppo), ma anche soltanto quelli della forsennata seconda ricostruzione post-bellica.

E se non si troverà la soluzione – e non si troverà – l'assalto delle classi contro quella "colpevole" dello sfascio e contro il suo Stato assumerà connotati di inaudita violenza, come del resto prova l'enorme rumore di cocci che si sente salire tutto intorno a noi.

"Affinché la rivoluzione di un popolo e la emancipazione di una classe particolare della società civile coincidano, affinché uno Stato sociale valga come lo Stato dell'intera società, bisogna che tutti i difetti della società siano concentrati in un'altra classe, bisogna che un determinato Stato sia lo Stato dello scandalo universale, impersoni le barriere universali, bisogna che una particolare sfera sociale equivalga alla manifesta criminalità dell'intera società, cosicché la liberazione da questa sfera appaia come la universale autoliberazione".

Questo è ovviamente il punto di approdo, non certamente quello da cui è partita l'avventura dello Stato. Questa generalizzazione universalistica letterariamente robusta si addice, se letta al contrario, cioè in negativo, allo sviluppo dello Stato invece che alla sua caduta. L'universale autoliberazione diventa l'universale autodeterminazione a conservare quello che diventerà Stato, conservare cioè l'organismo che regge i meccanismi a disposizione della comunità per produrre e riprodursi.

"Affinché uno Stato divenga lo Stato della liberazione par excellence, bisogna, al contrario, che un altro Stato diventi manifestamente lo Stato dell'assoggettamento. L'importanza negativa universale della nobiltà francese e del clero francese condizionò l'importanza positiva universale della classe immediatamente confinante e contrapposta, della borghesia".

I due percorsi, dello Stato e del modo di appropriazione, non sono paralleli ma convergenti, si incontrano nel punto in cui l'appropriazione privata diventa appropriazione sociale (che a questo punto, però è anche distribuzione sociale). Per Lenin lo Stato è uno strumento di potere della borghesia. Dunque, è una vecchia scatola che contiene nientemeno che il socialismo, di cui è impedita non solo la conoscenza ma anche la semplice ipotesi.

Nelle definizioni della borghesia lo Stato si dà come presente, manca quasi del tutto la dinamica della sua formazione. È molto interessante, da questo punto di vista, quello che dice Max Weber, il quale, da buon borghese, interpreta l'avvento dello Stato come una serie di passaggi politici ottenuti attraverso l'applicazione di volontà:

"Lo Stato moderno è un gruppo di potere di carattere istituzionale che, all'interno di un dato territorio, si è sforzato con successo di monopolizzare l'uso della forza fisica legittima come mezzo di potere e che, a tale scopo, ha concentrato nelle mani dei suoi capi i mezzi oggettivi dell'esercizio del potere, espropriando tutti i funzionari di ceto che in precedenza ne disponevano a titolo personale e sostituendosi a essi con la sua suprema autorità."

Come si vede, è l'esatto contrario di ciò che scrive Engels nella citazione di apertura: "Lo Stato non è affatto una potenza imposta alla società. Esso è piuttosto un prodotto della società giunta a un determinato stadio di sviluppo". In Engels abbiamo una nascita e uno sviluppo endogeno a causa di necessità materiali, in Weber abbiamo un gruppo di potere che si sforza di monopolizzare l'uso della violenza, legittimandolo. Ma lo Stato non è "un gruppo di potere", esso è un dato di fatto oggettivo. Non risulta dall'uso (legittimo o meno) della forza fisica ma dalla divisione sociale del lavoro conseguente alla nascita della proprietà. I suoi capi non espropriano affatto i mezzi oggettivi per l'esercizio del potere ma i mezzi di produzione, che sono alla base di tutta la società e che quindi vengono prima della forza armata e del controllo poliziesco diretto.

L'Enciclopedia Treccani, dall'alto della sua impostazione generale hegeliana, dà dello Stato una definizione meno idealistica di quanto si potrebbe supporre. Interessante la critica a coloro che usano indebitamente la parola "Stato" riferita a epoche nelle quali lo Stato non c'era:

"Il concetto e il termine stesso di Stato sono relativi a una particolare strutturazione del potere politico, come meccanismo centralizzato di sovranità territoriale, che in quanto tale appartiene a un'esperienza storica che si forma e si evolve in tempi recenti, a partire grosso modo dal XVI secolo. Nulla di veramente paragonabile a ciò che definiamo comunemente come Stato è possibile rinvenire in epoche precedenti, nonostante l'applicazione che si è soliti fare di questo termine anche con riferimento a esse."

Niente che preceda il secolo XVI. Nel volume La religione dell'Antico Egitto l'autore, Henri Frankfort, inserisce un capitolo intitolato "Lo Stato egiziano" dove, nonostante il titolo, afferma:

"La lingua egiziana non possedeva un vocabolo corrispondente al nostro 'Stato'… [per l'Egiziano quello che per noi è lo Stato] non costituiva una forma creata dall'uomo, era un'istituzione divina, contemporanea alla creazione del mondo e parte costante dell'ordine universale. Il Faraone impersonava un essere sovrumano venuto a prendersi cura delle cose degli uomini… L'assenza di qualsiasi traccia di rivoluzione in tremila anni di storia lo conferma."

Le definizioni enciclopediche dovrebbero mettere a disposizione del lettore le varie interpretazioni di una voce, ma nemmeno il lavoro collettivo di Wikipedia riesce a mitigare l'omologazione. L'enciclopedia on line mette l'accento sull'impianto giuridico per la legittimazione della sovranità esercitata sul territorio. Permane un elemento soggettivo nella divisione fra chi esercita la sovranità e chi la subisce. In Engels lo Stato nasce in un certo senso per salvaguardare una società che altrimenti perirebbe, nell'enciclopedia on line manca del tutto tale dinamica:

"Istituzione di carattere politico, sociale e culturale che esercita la propria sovranità ed è costituita da un territorio e da un popolo che lo occupa, da un ordinamento giuridico formato da istituzioni e norme giuridiche."

Norberto Bobbio è considerato uno dei massimi conoscitori del problema dello Stato. La sua definizione è lapidaria e giustamente raccoglie sotto lo stesso termine di popolo l'insieme di controllori e controllati. L'organizzazione giuridica è impersonale e si identifica con lo Stato:

lo Stato è "l'organizzazione giuridica di un popolo su di un territorio".

Bobbio è autore di un dettagliato lemma dell'Enciclopedia Einaudi. Per definire lo Stato, precisa, è necessario chiarire se si vuole procedere per differenze o analogie, per epoche storiche o per tipo di economia, per continuità/discontinuità o per modalità di dissoluzione degli stadi precedenti. È evidente che una definizione esaustiva non può essere formulata: troppo complessa è la dinamica della formazione dello Stato cui bisognerebbe aggiungere la parte dell'estinzione, già visibile oggi per chi abbia registrato i caratteri determinati dei passaggi da uno scenario storico all'altro.

Chi veda invece la storia solo come un susseguirsi di colpi di scena, come l'avanzare e il rinculare di masse umane spinte a difendere i propri interessi con violenza e determinazione, ma senza collegare tutte le cause di simili spinte, non potrà radunare sufficienti elementi di giudizio per interpretare l'irreversibile freccia del tempo nella storia.

Oltre tutto, quando si parla di Stato bisogna tener conto che, a causa dell'ideologia dominante, si è propensi a chiamare Stato anche forme di organizzazione e amministrazione che con lo Stato non hanno nulla a che fare. Si potrebbe supporre che, all'interno dell'area terzinternazionalista, almeno i dissidenti antistalinisti si fossero distinti. Niente. Citiamo la definizione di Ernest Mandel, trotskista, che riprende senza troppa immaginazione la versione marxista standard:

"Lo Stato è un organo che appare in un certo momento nell'evoluzione storica dell'umanità e che è destinato a scomparire nel corso di questa stessa evoluzione. Esso è nato dalla divisione in classi della società e scomparirà quando tale divisione svanirà. È nato come uno strumento nelle mani della classe dominante allo scopo di mantenere il suo dominio sulla società e scomparirà insieme con il dominio di questa classe."

No. Lo Stato non nasce come strumento della classe dominante con lo scopo di mantenere il dominio di quest'ultima sulla società. Nasce in seno alle società antiche e si sviluppa allo scopo di mantenere l'ordine complesso cui esse sono giunte e solo dopo, una volta che sono stati perfezionati gli strumenti di controllo di quest'ordine, esso può diventare uno strumento in mano a una classe che se ne impadronisce. Il risultato è analogo, ma il processo che porta al dominio di una classe sulle altre è materialistico, mentre una classe che si impadronisce di uno "strumento" per dominare ricorda più un evento volontaristico, un colpo di Stato, che non la formazione millenaria di detto strumento. Una frase come "lo Stato nasce come uno strumento nelle mani della classe dominante allo scopo di mantenere il suo dominio" è un paradosso logico senza senso: implica l'esistenza di una classe già dominante pronta ad usare uno strumento già affinato per lo scopo. La classe dei proprietari nasce prima dello Stato, prima di essere classe dominante. Nella formulazione di Engels lo Stato nasce per evitare che la società si autodistrugga con la lotta fra le classi, per porre una legge al di sopra delle parti. È dunque un ammortizzatore sociale.

Si sopprime o si estingue?

Lo Stato non viene abolito alla maniera degli anarchici, si estingue. Ci può accontentare una proposizione del genere? Lenin insiste su questo punto. Chiarendo il tema di fronte agli allievi di Kautsky, cita Engels: lo Stato borghese si "sopprime", si "abbatte". Quello proletario si "estingue". C'è da osservare che le varie proposizioni sono assai diverse a seconda di come si usa il linguaggio. Abbiamo visto che lo Stato per Marx, Engels e Lenin è un rapporto, una sovrastruttura espressione diretta di un certo modo di produzione, non va quindi trattato come un oggetto. E dunque si sopprime un rapporto? Si estingue? Non è forse il caso di introdurre il concetto di "maturità" dello Stato come già si fa con il modo di produzione? Prima di proseguire occorre precisare questo punto importante: supponiamo di agire secondo i dettami di questi nostri maestri, cosa farà realmente il proletariato per abbattere lo Stato borghese? E quest'ultimo resisterà fino allo stremo o cadrà come un frutto ormai troppo maturo? In un paese come l'Italia si parla di quattro o cinque milioni di persone che dipendono dall'amministrazione pubblica. Dalla contabilità nazionale alla scuola, dalle forze armate alla manutenzione stradale, dalle polizie agli ospedali. È una massa di persone che usufruisce del bilancio dello Stato o in qualche modo lo maneggia. E tale bilancio è di circa la metà del PIL. Lo Stato moderno è subdolo e pervasivo, ma è anche potentemente armato, e sulla strada dell'abbattimento non ci sono più palazzi d'inverno ma città con venti o trenta milioni di abitanti, catene di approvvigionamento, malattie esotiche cui non siamo abituati. Se non si spiega cosa voglia dire da un punto di vista sistemico "abbattere lo Stato", questa resta soltanto una frase senza contenuto empirico.

Lo Stato è un'entità fisica che incarna il rapporto fra le classi nel momento in cui queste si consolidano. Non basta cambiare nome a un organismo per cambiarne la natura. Lenin ha ragione, ma la sua verve polemica indebolisce il contenuto scientifico. Nel calendario della rivoluzione il futuro della nostra specie è senza Stato. Anzi, a ben vedere siamo già senza Stato a partire da adesso. Lo Stato ha subìto un'evoluzione, è naturale: se dovessimo analizzare la sua sostanza ai tempi di Machiavelli avremmo tanto da dire sulla sua funzione in quanto elemento della società dal quale non si potrebbe prescindere, ma oggi la sua funzione è consolidata e chiara, esso non ci serve più, e quindi insistiamo sul lavoro di approfondimento sul tema: "I compiti immediati della rivoluzione", compiti che sono maturati e matureranno nel contesto dell'impedito sviluppo della forza produttiva sociale.

La borghesia stessa ha condotto lo Stato alla sua massima espressione. Con la realizzazione di strutture che potrebbero già funzionare come un governo mondiale si chiude il ciclo borghese.

L'esplosione dell'informatica ha ampliato enormemente la capacità di controllo dei processi produttivi e gestionali rendendoli sempre più automatici e quindi capaci di liberare tempo di lavoro e di regalare tempo di vita. Ciò ha attinenza con lo sviluppo dello Stato e, nello stesso tempo con la sua ritirata verso l'estinzione. Come vedremo, meccanismi automatici escogitati fin dalle epoche preistoriche hanno segnato profondamente le funzioni contabili riguardanti la distribuzione dei prodotti, armonizzando quest'ultima con la vita collettiva in villaggi che man mano si sono trasformati in civiltà urbana. La celebre sintesi che viene usata per descrivere la società comunista: "da ciascuno secondo le proprie possibilità, a tutti secondo i propri bisogni" fu realizzata in pieno diecimila anni fa e da allora rappresenta allo stesso tempo un esempio superato e una meta da raggiungere.

Lenin chiede aiuto a Marx per descrivere la scomparsa delle vecchie forme e finisce per invertire le priorità. In effetti, a ben guardare, è un po' strano prendere il potere e poi abbattere lo stato: prendere il potere è già di per sé un evento sociale che abbatte lo stato. O meglio: senza l'abbattimento dello stato nemico non vi è presa del potere.

Noi stiamo sostenendo da tempo che lo Stato è entropico, indirizza all'azione senza rimpiazzare l'energia che perde in questa operazione irrimediabile. Da quarant'anni diciamo che il capitalismo è giunto alla fase in cui le sue crisi non sono più fenomeni congiunturali, che la sua è una malattia senile. Secondo alcuni nostri critici noi, indebitamente, ci aspetteremmo troppo dagli automatismi del capitalismo, il quale ha grandi capacità di ripresa proprio grazie alla sua struttura di rigenerazione del valore, il che permette il superamento delle crisi con la distruzione di capitale "inerte" invece che con la produzione di capitale "attivo". E aggiungono che da quarant'anni prevediamo la morte del capitale e questo è sempre lì, solo un po' più acciaccato ma capace di sopravvivere.

Si può dire che siamo in buona compagnia: Marx ed Engels si aspettavano una rivoluzione fin dal 1848. Lo Stato verrà meno quando verranno meno le cause che l'hanno prodotto, a cominciare dalla famiglia, dalla proprietà e dal potere di una specifica classe. Sono cause che non si possono "abbattere", si può abbattere soltanto la sovrastruttura. C'è questa ambiguità da eliminare se vogliamo una teoria su base scientifica.

"Engels insiste sulle reciproche reazioni tra la base e la sovrastruttura: lo Stato politico di una data classe è squisitamente una delle sovrastrutture, ma esso a sua volta agisce con atti come i dazi protettori, le imposte, ecc., sulla base economica, ricorda tra l'altro Engels. Fu poi al tempo di Lenin particolarmente necessario chiarificare il processo della rivoluzione di classe. Lo Stato, il potere politico, è quella sovrastruttura che più squisitamente si infrange in modo che possiamo dire istantaneo, per cedere il posto ad altra struttura analoga ma opposta" (Fattori di razza e nazione).

Non ci sono dubbi sul fatto che lo Stato sia una sovrastruttura: essendo la forma fenomenica assunta dal rapporto fra le classi in un determinato sviluppo della società, la definizione è esatta. Una sovrastruttura ideologica, una concezione del mondo, una costituzione politica hanno ovviamente riflessi strutturali, ma la potenza dello Stato ha raggiunto culmini che vanno al di là di una indiretta influenza sulla struttura sociale. Lo Stato è anche, direttamente, un fattore produttivo della società a diversi gradi del suo sviluppo. Senza lo Stato, il capitale non riuscirebbe a sopravvivere. Lo Stato fu la chiave della sala parto che permise al capitale di accedere al credito, armare flotte, costruire ferrovie, installare telegrafi, avvolgere l'intero pianeta con manufatti, reti di comunicazione e infrastrutture di ogni genere. Ma fu molto presto anche la chiave della sala di terapia intensiva, dove il capitale si trasformò in uno zombie tenuto artificialmente in semi-vita.

Come leggiamo la citazione? Nel finale si parla di una sovrastruttura che cade e di una struttura che la sostituisce ma con funzioni diverse. Affinché tutto ciò abbia un senso bisogna leggere: cade la "sovrastruttura", si impone la "struttura", quella scaturita dal movimento che abolisce lo stato di cose presente; quella futura che emerge come anticipazione dalla società così com'è, senza la quale ogni tentativo di far saltare quest'ultima sarebbe donchisciottesco; quella che è nell'involucro (capitalista) che non corrisponde più al suo contenuto (comunista); quella che ha già trasformato, adesso, la produzione sociale in produzione socialista; quella, infine, che ha preparato in anticipo il "programma immediato della rivoluzione proletaria".

È importante conoscere la genesi delle categorie odierne al fine di eliminarle. Per questa operazione occorre invocare un principio di invarianza. Tutte le grandi civiltà che sono giunte allo Stato hanno conosciuto una fase in cui un pre-Stato si stava formando. Vuol dire che il percorso naturale della potenza sociale porta allo Stato a partire da qualcos'altro. Tuttavia, fra le grandi civiltà non tutte sono giunte a un sufficiente sviluppo nei rapporti di produzione per superare un evidente effetto soglia. Per sviluppare lo Stato non basta la ricchezza o la complessità sociale, occorre una complessiva maturità. Da quando si verificano queste condizioni la caduta dello Stato è solo una questione di tempo.

Avvento e dissoluzione dello Stato

L'intera produzione teorica di Marx può essere capita solo se ci si pone dal punto di vista del cambiamento materiale della società. Questo compito preliminare serve soprattutto a sgomberare il campo dalle concezioni soggettive espresse ad esempio chiaramente nella citazione di Max Weber riportata qualche pagina addietro. Buona parte della fatica di farsi comprendere derivava dal fatto che il comunismo non è un'utopia, una forma di governo, un regime politico o un modello che qualcuno propone e qualcun altro accetta o rifiuta. Il comunismo è la dinamica che porta a una società nuova, che gli uomini lo vogliano o no, che lo capiscano o no, che ne siano coscienti o no. Naturalmente è la società degli uomini che realizza il cambiamento di sé stessa, ma il fatto che gli uomini diventino strumenti delle rivoluzioni nel tentativo di non perdere ciò che hanno conquistato, la dice lunga sul fattore soggettivo. Quando una data forma economica e sociale raggiunge il culmine della sua potenza produttiva, diventa un intralcio per l'ulteriore sviluppo e subentra un periodo di crisi. La motivazione immediata dello scontro sociale che avanza è la perdita del livello di vita raggiunto, quindi l'obiettivo primario è non perdere ciò che si ha. È nel corso dello scontro che emerge la possibilità non solo di difendere il vecchio ma di volere il nuovo.

L'ultimo punto delle Tesi su Feuerbach (non si tratta di interpretare il mondo ma di cambiarlo) non va inteso come manifestazione di volontarismo ma come manifestazione della maturità dei rapporti fra le classi, per cui gli uomini incominciano a rendersi conto che si apre uno scenario non solo descrivibile ma possibile. L'impegno politico di Marx nelle varie fasi della sua vita è un esempio di questa realtà. Esso prova che l'unità fra teoria e azione non è quella che ci fa dire banalmente: ci siamo impadroniti della teoria, adesso è tempo di applicarla. La teoria non è una ricetta, quindi dobbiamo dire che, poggiando su leggi di natura, la nostra concezione del mondo (filosofia) è diventata un'arma. Occorre sapere come assecondare le circostanze che con profittevole efficacia ci hanno armati.

Questo è il campo della politica, dato che vi sono interessi contrapposti che generano schieramenti umani contrapposti.

E siccome lo Stato è l'elemento principale nello scenario dei rapporti fra gli esponenti di tali interessi, il problema dello Stato è il problema principale di qualunque forza sociale che voglia mettere in discussione il potere politico. Ma questo scenario è già molto avanzato rispetto alla storia della genesi dello Stato. Siamo già ad un rapporto tra cittadini all'interno di esso. Prima di Marx lo Stato era considerato un ente giuridico che gli uomini si erano dato per mettere i cittadini sotto la protezione di una legge univoca. Essi vivevano in condizioni di ineguaglianza materiale, ma erano tuttavia più o meno garantiti da una "legge uguale per tutti".

Questa semplificazione estrema non va interpretata come puro espediente per facilitare lo studio dell'argomento: effettivamente, dal Codice di Hammurabi alle Dodici tavole latine, qualunque sia l'ideologia soggiacente a una definizione dello Stato, l'invarianza fondamentale è posta in una regola vincolante per tutti e fatta rispettare da qualcuno che ha il mandato e la forza necessaria per farlo.

È certo, però, che quando si arriva a questo punto, quando cioè si rende necessario stabilire una regola scritta al di sopra delle parti, si entra nello schema descritto da Engels nella citazione d'inizio: i rapporti tra le succitate parti sono già in grado di mettere in pericolo l'intera società, per cui nasce inevitabile l'esigenza di dare ad essa un ordinamento che la preservi dallo sfacelo dei rapporti interni.

Abbiamo visto che Norberto Bobbio considerava "Stato" l'organizzazione giuridica di un popolo che abita un certo territorio: dal Codice di Hammurabi in poi sembra, da un confronto, non esserci altro che precisazione, canone, complicazione o capacità di applicazione; e invece Hobbes, Hegel, Locke, Rousseau, Kant ritengono che il potere dello Stato sia complementare rispetto a quello della popolazione. Marx introduce una dinamica che altri autori non avevano visto affermando che la società civile non è il prodotto di uno Stato, semmai il contrario: è lo Stato che sorge dalla società civile, con i suoi problemi reali e la necessità di risolverli con una energia superiore a quella degli individui sommati.

La suddetta energia, convogliata nella società, impedisce che quest'ultima ritorni alla sua condizione originale, primitiva, prepolitica. L'esistenza dello Stato è per i filosofi la condizione per la quale il livello raggiunto da una società diventa un fatto irreversibile. Anzi, la meta della storia umana sarebbe lo Stato e il suo perfezionamento.

Questo è lo Stato da cui prendono le mosse tutti coloro che si sono occupati dell'argomento. Stranamente e curiosamente, nonostante la sua importanza, lo Stato è un qualcosa che sembra nascere in quanto tale, che sembra non avere un'evoluzione da condizioni precedenti. Certo, tutti accennano alla sua comparsa dovuta a svariati motivi, ma è difficile trovare una spiegazione al fatto che popolazioni intere siano state soggiogate da minoranze agguerrite capaci di imporre la propria volontà. Marx ci ha lasciato una potente traccia sulla dissoluzione delle forme che precedono quella capitalistica; Engels ha impostato il suo lavoro sulla nascita dello Stato a partire dalla necessità di disciplinare una società sconvolta dall'avanzare della proprietà privata; Lenin ha precisato la sequenza: presa del potere, abbattimento dello Stato borghese, formazione dello Stato proletario, estinzione dello Stato; la nostra corrente ha abbozzato un modello materialista dinamico delle transizioni di fase, ma partendo da questo livello senza prendere in esame ciò che è successo a cominciare da diecimila anni prima, non si può rispondere alla domanda di Marx:

"Quali funzioni sociali persisteranno ancora [nello Stato proletario], che siano analoghe alle odierne funzioni dello Stato?"

Oggi è persino difficile formulare bene la domanda: che cosa significa ad esempio "funzioni analoghe" nel contesto di un lavoro sullo Stato? Simili, affini, uguali, con elementi comuni? Per Hegel lo Stato è la sintesi universale e permanente dell'esistenza etica di una popolazione, la forma più alta della socialità umana. Egli vede i rapporti della società civile con lo Stato non come contatto empirico, di enti che ricevono e trasmettono dialogando, seppur in modo semplificato, ma come relazione, peraltro univoca, fra le sfere degli interessi di entrambi i soggetti. Con una differenza: quella privata, del diritto privato, è subordinata allo Stato il quale si manifesta al suo interlocutore ricordandogli che le determinazioni essenziali della sfera privata sono dipendenti dallo Stato, gli sono subordinate. Lo Stato si comporta come una superiore forma organizzativa, una potenza che disciplina interessi contrastanti, anche se la società civile e la famiglia devono trovare razionale il rapporto di subordinazione perché ne ricevono in cambio la certezza del diritto.

Invece per Marx lo Stato è una sovrastruttura locale e transitoria della forma sociale.

En passant: la grande controrivoluzione in Russia ha trasformato lo Stato di Marx nello Stato di Hegel. La prospettiva della sua estinzione si è trasformata in quella della sua perpetuazione, e tutto il mondo si è adeguato a tale catastrofe senza più domandarsi cosa sia dunque lo Stato, quale sia la sua natura essenziale. Marx, peraltro, su questo punto è preciso e ci offre le linee guida: ad esempio nella Prefazione a Per la critica dell'economia politica anche se non parla direttamente di Stato: tutte le forme sociali sono il risultato di movimenti materiali.

Fondamentale genesi del non-Stato

La confusione tra la prima grande rivoluzione e il modo di produzione asiatico ha oscurato per molto tempo la possibilità di chiarire l'importante aspetto delle transizioni di fase: esse avvengono al culmine dello sviluppo della società che muore, perciò quest'ultima utilizza per sopravvivere tutti gli espedienti più efficaci. Ci troviamo così di fronte a una società nuova, non ancora operante se non nella struttura nascosta dal paradigmatico "involucro non più corrispondente al suo contenuto", che adopera lo strumento più avanzato della conservazione a fini di rivoluzione: lo Stato dell'avversario.

È il momento più delicato di ogni rivoluzione, che nella formulazione bolscevica prese il nome di "dualismo del potere":

"Bisogna saper integrare e correggere le vecchie formule del bolscevismo perché, se si sono rivelate giuste in generale, la loro applicazione concreta è risultata differente. Nessuno aveva mai pensato, né poteva pensare, al dualismo del potere. In che cosa consiste questo dualismo del potere? Nel fatto che, accanto al governo provvisorio, al governo della borghesia, si è costituito un altro governo, ancora debole, embrionale, ma tuttavia reale e in via di sviluppo: i soviet dei deputati degli operai e dei soldati" (Lenin, Pravda, 9 aprile 1917).

Nessuno aveva previsto una situazione del genere: la formula corrente era 1) abbattimento dello zarismo, 2) governo democratico. Solo quei guastafeste di bolscevichi si ostinavano nel dire 1) conquista del potere e 2) dittatura del proletariato. Ed era evidente che le modalità della conquista si sarebbero rispecchiate nella modalità della conservazione del potere. Lenin avvertì la svolta. Appena arrivato alla Stazione di Finlandia, voltando le spalle ai delegati del Governo Provvisorio si era rivolto agli operai presenti: "Siete l'avanguardia della rivoluzione mondiale!" Coloro che avrebbero dovuto essere gli esponenti del dualismo del potere lo avevano preso per un pazzo. Come tutti sanno, il manuale della rivoluzione stabilisce che quella democratica viene (e perciò debba venire) prima di quella comunista. Lenin quindi mentiva. In realtà non c'era nessun dualismo di potere nell'aprile del 1917 in Russia tra soviet e governo provvisorio; c'era dualismo di programma per il potere tra bolscevichi e tutto il restante arco politico entro i soviet. Il capolavoro di Lenin fu quello di rischiare la sconfitta totale piuttosto di vivacchiare all'ombra di un parlamento vagamente socialdemocratico e chiacchierone, ma capace di prendere le armi contro i guastafeste.

Nessuno in Russia avrebbe potuto abbattere lo Stato borghese per sostituirlo con quello proletario, non c'erano né l'uno né l'altro, c'era un posto vacante che poteva essere occupato da chi fosse pronto per farlo. Purtroppo, sappiamo come andò a finire con il riflesso degli eventi sul dopo-rivoluzione. È possibile che oggi nessuno possa prevedere il comportamento di uno Stato moderno in una situazione di reale dualismo di potere. È possibile ma non probabile. Oggi le determinazioni sul comportamento di masse di uomini con le loro organizzazioni strutturate secondo i dettami del capitale, sono fortissime e quindi prevedibili in base agli elementari principi del materialismo. D'altra parte, viviamo in un mondo estremamente complesso, dove le previsioni non possono essere semplici ma fortemente dipendenti da fenomeni fortuiti (secondo il cosiddetto caos deterministico). In uno scenario del genere, ogni discussione su formule, parole d'ordine, studi, programmi, previsioni, eccetera deve passare attraverso il grande filtro della determinazione ultima, quella che rivendichiamo, quella di Dottrina dei modi di produzione, che preconizza il salto da n a n+1. Quella che vede oggi, invariante nonostante le trasformazioni, lo Stato borghese come unico bersaglio contro cui scagliare la potenza della società nuova.

Il non-Stato di cui sopra non nasce dal nulla. È difficile da individuare nei suoi momenti storici rendendo lineare la sua storia, ma dev'essere riconosciuto e seguito perché ci si possa appropriare con chiarezza del concetto che, tra l'altro, è racchiuso nella formula n+1.

Per l'esistenza del non-Stato è necessario lo Stato. Il titolo di questa rivista è n+1 (principio di ricorrenza completo di Poincaré) dove n è l'ultimo numero di una serie, e n +1 il suo successore. Per dare significato al titolo, assumiamo che n sia il capitalismo e n+1 il comunismo. Se un'operazione è vera per n è vera anche per n+1. Il comunismo, infatti, contiene il capitalismo come forma sociale incompleta. A sua volta il capitalismo contiene il feudalesimo come forma sociale incompleta. Allo stesso modo, la teoria della relatività di Einstein contiene la teoria della relatività di Galileo e così via. Quando si dice "e così via" vuol dire che si sta utilizzando il principio suddetto senza saperlo.

Se dal punto di vista più elevato x osserviamo un aspetto di quello meno elevato y, dobbiamo trovare le determinazioni che alimentano tutta la catena di osservazioni passando da x. Ritornando indietro nel tempo, dobbiamo incontrare una società che esprime in negativo ciò che troviamo in positivo nei livelli successivi. Per ciò che ci interessa, dobbiamo dunque individuare il passaggio dal non-Stato allo Stato, per poter individuare così il passaggio inverso dallo Stato al non-Stato. L'operazione è di estremo interesse, perché abbiamo la possibilità di scansire tutti i passaggi che la forma Stato ha conosciuto per capirne la sequenza, cioè la dinamica nel tempo, quindi anche prevedere il futuro di tale dinamica.

Vediamo degli esempi. Molte civiltà antichissime, come quella micenea, mesopotamica, egizia, vallinda, cinese, hanno nel loro insieme tramandato fino a tardi il sistema amministrativo tramite cretule, sigilli e tavolette, dal quale si evince che le economie dette palatine e proto-urbane erano in effetti economie di produzione e distribuzione. Mancando completamente, per migliaia di anni, ogni riferimento a tempo di lavoro o a materiali che rappresentassero l'equivalente generale, è escluso il rapporto mercantile tramite valore di qualche tipo. Le assegnazioni riguardavano soprattutto gli alimenti; a grande distanza seguivano le materie prime per l'industria, come la lana; o per la produzione di beni voluttuari come i profumi, indumenti particolari, vasellame, parti di ricambio come ruote di carri, remi, eccetera. Le assegnazioni riguardavano anche persone, spesso identificate per mestiere, sesso ed età, ma non c'è traccia, nel periodo iniziale della transizione di fase tra neolitico e società urbane, di differenze sociali; possiamo solo constatare, radicato nelle varie forme della transizione, l'incremento dei rapporti di dipendenza (da non confondere con la schiavitù, che si sarebbe presentata più tardi).

Purtroppo, Marx ed Engels, invece della genesi dello Stato, che come abbiamo detto era impossibile descrivere senza l'archeologia, ci mostrano la funzione di classe dalla quale lo Stato discende, ma nel presente, non in una dinamica storica. E affermano:

"Lo Stato non è altro che la forma di organizzazione che i borghesi si danno per necessità al fine di garantire reciprocamente la loro proprietà e i loro interessi". (L'ideologia tedesca).

Oppure:

"Il potere politico, nel senso proprio della parola, è il potere organizzato di una classe per l'oppressione di un'altra" (Manifesto del partito comunista).

La formuletta "non è altro che" è particolarmente insidiosa. Se contestualizziamo la frase così com'è contestualizzato lo Stato in L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, vediamo che quest'ultimo in effetti "è ben altro che" un mero strumento sovrastrutturale di dominio, è addirittura l'elemento che permette alla società di sopravvivere all'impatto della proprietà privata e della divisione in classi.

È un peccato che non sia stata sviluppata la prima parte, perché Marx ed Engels erano arrivati a formulare sulla transizione di fase dal comunismo originario alle forme successive ipotesi più precise di quelle elaborate dagli antropologi e dagli storici loro contemporanei. A differenza di costoro, avevano per esempio inquadrato correttamente la forma sociale comunistica degli Incas. Siccome non si trattava di un'antica civiltà dimenticata sottoterra bensì di una realtà contemporanea a quella dei conquistatori spagnoli, su di essa vi erano maggiori informazioni, ma la borghesia non era stata in grado di capirla e l'aveva sbrigativamente catalogata come "impero teocratico".

E, al pari di quella incaica, altre civiltà erano sfilate nella storia davanti agli occhi degli osservatori senza che questi se ne accorgessero.

Struttura dello Stato-Gemeinwesen

Affinché si imponesse lo Stato materiale, quello che ha sempre retto il capitalismo da quando esiste, era necessario che lo Stato ideale, quello che ha interpretato questo dominio come evoluzione del pensiero, si collocasse in una zona autonoma del cielo filosofico. Sgombrato il cammino da questo intralcio sovrastrutturale, i cui effetti pratici non si riscontrano tanto nell'economia quanto nella polizia, ente che si presta meglio a simboleggiare lo Stato, ha conquistato l'universo capitalistico lo Stato reale, quello che produce effetti, effettuale. Ovviamente, dal punto di vista materialistico, deterministico, causale, niente esiste senza produrre effetti, ma qui ci occupiamo di uno sdoppiamento indebito in quanto non è scientificamente corretto separare uno Stato etico, filosofico, metafisico dallo Stato il cui ruolo è da sempre quello di governare l'economia, cioè da millenni prima che Machiavelli fosse spinto a parlarne.

Ciò che vedremo nei successivi capitoletti è l'evolversi di strutture indispensabili alla produzione e direttamente legate al modo di produzione. Si tratta di società autoregolate attraverso la produzione e l'assegnazione del prodotto sociale. Il ribaltamento in sovrastruttura avverrà molto più tardi, alla fine della società feudale, alle soglie della Rivoluzione Francese.

Vedremo come addirittura parlando di Roma si può dire che non abbia conosciuto lo Stato come sovrastruttura, perché la sua potenza era data certamente dal diritto, dall'ideologia e da una sacralità mitica, ma ancor più e soprattutto da un'immensa rete di industrie e infrastrutture, fabbriche, ville, magazzini, frantoi, mulini, stazioni di posta, castra, insomma, un meccanismo dagli ingranaggi materiali possenti. I giganteschi magazzini (horrea) che assistevano la produzione/ammasso/distribuzione dell'Impero con i suoi milioni di abitanti erano costruiti e amministrati dallo Stato (struttura) ed erano indispensabili non solo al flusso delle merci ma soprattutto alla loro produzione: in un sistema produttivo complesso è il magazzino che ordina di produrre le merci che scarseggiano e di rallentare la produzione di quelle che abbondano. Come tutta la compagine giuridico-amministrativa, anche questa rete di magazzini tendeva ad essere totalizzante, tanto che integrava nel sistema anche i produttori privati, che sottoscrivevano regolari contratti di affitto, disciplinati da norme severe. Erano costruiti presso le grandi città, nei nodi stradali delle vie consolari, nei porti marittimi. La rete mediterranea di magazzini non era l'unica: la Via della Seta che penetrava in Asia aveva la stessa funzione e i mercanti potevano contare su enormi caravanserragli (figura 6).

Succede allo Stato un po' quel che succede al linguaggio: nessun sistema sociale può reggere senza la trasmissione di informazione, cioè, appunto, senza linguaggio; ma lo stesso linguaggio è soggetto al cambiamento. Come successe a quello della Terza Internazionale (langue de bois) e, meno visibilmente, alla società nel suo insieme.

È evidente che si stabilisce un rapporto biunivoco tra un servizio e chi ne usufruisce, rapporto che avrebbe avuto una parte fondamentale nelle possibilità di ingrandire le realizzazioni pratiche ed estendere la rete degli hub. Diventa chiaro che in un sistema altamente auto-referenziale come quello appena descritto, devono nascere competenze riguardanti la sicurezza di chi fisicamente compie il lavoro, specie di chi opera lontano dal luogo di origine. Gli antichi si muovevano da casa molto più di quanto immaginiamo. In poche parole, affinché avvenga il ribaltamento dalla divisione tecnica alla divisione sociale del lavoro deve nascere lo Stato-gendarme, il quale tende a estraniarsi sempre di più dalla società civile, a rendersi autonomo e indipendente da essa.

"Tutti i rivolgimenti politici non fecero che perfezionare questa macchina, invece di spezzarla. I partiti che successivamente lottarono per il potere considerarono il possesso di questo enorme edificio dello Stato come il bottino principale del vincitore".

Neppure la rivoluzione proletaria avrà il potere di cancellare la natura di classe dello Stato. Tuttavia, lo Stato, durante il breve passaggio nelle mani del proletariato avrà due caratteristiche fondamentali che lo differenzieranno da tutti gli Stati precedenti:

1) Sarà un residuato storico delle economie passate, di cui si potrà fare a meno immediatamente perché non sarà più utile affidargli "compiti analoghi" a quelli che ha avuto nelle sue esistenze precedenti.

2) La mostruosa macchina repressiva e intrusiva si è evoluta a livello globale adattandosi alla complessità del sistema economico che doveva salvaguardare; se tale sistema crolla, vuol dire che la macchina è già crollata.

Il movimento rivoluzionario anti-Stato che dovrà occuparsi del problema agirà con sicurezza secondo quanto dice la dottrina:

"Al posto della vecchia società borghese con le sue classi e coi suoi antagonismi di classe subentra un'associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti."

Non dovrà cioè soffermarsi troppo sul punto 1) e concentrerà l'attenzione sul punto 2) poiché: la mostruosa macchina statale, adattata darwinianamente al suo ultimo ambiente, tenterà in tutti i modi una difesa disperata per evitare l'estinzione.

Dovrà rappresentare in positivo ciò che questa macchina caratterizzò in negativo. Positivo, come poco prima di fare il salto dal comunismo originario alle società di classe, cioè dalla gemeinwesen allo Stato. Ma sarà una cosa del tutto diversa e, tra l'altro, prevista: il capitalismo muore (il come, qui non importa), il proletariato, becchino per una volta, accompagna il cadavere e lo cala nella fossa per essere ben sicuro che sia sepolto.

Lo Stato e l'economia politica

Prima che il capitalismo imboccasse la strada modernissima della sussunzione del capitale allo Stato e quella attuale della sussunzione dello Stato al capitale, i rapporti fra "produttori", cioè fra lavoro sociale e appropriazione privata, erano quelli delle normali lotte tra sfruttati e sfruttatori che, se non andiamo ad indagare sulla struttura dello sfruttamento, sono comuni nelle società classiste di tutte le epoche. L'ultimo stadio dell'ultima società di classe ha però comportato, come abbiamo visto, una tale socializzazione della produzione da permettere a Lenin di utilizzare l'argomento a favore della maturazione dei rapporti capitalistici verso quelli socialisti. Ciò, conoscendo Lenin, non è usuale, dato che il suo temperamento politico era piuttosto avaro di sfumature e, da lottatore, era propenso alla versione "militare" di quelle che un tempo erano le "questioni" in discussione negli ambienti rivoluzionari. Lo Stato fa parte del retroterra che permette a Lenin l'affermazione sulla produzione socialista. È lo Stato che, nell'epoca imperialista, accompagna il capitale alla sua ultima funzione. Con la seconda (o terza o quarta) rivoluzione industriale si è perso ogni rapporto fra sfruttatori e sfruttati. In un film di qualche anno fa, le operaie gettate brutalmente sul lastrico da un'azienda decidono di uccidere il "padrone" che però non trovano dato che non è una persona ma un fondo d'investimento. Da Smith in poi non solo s'è perso il padrone, ma s'è fatta strada l'idea della possibilità che l'economia si autoregoli attraverso meccanismi invisibili. Cosa che, se fosse vera, renderebbe eterno il capitalismo.

In realtà non solo il capitalismo si è autoalimentato per sopravvivere da quando esiste, ma tutte le società che si sono date un minimo di organizzazione sociale hanno fatto ricorso a strutture centralizzate per migliorare o comunque salvaguardare le condizioni di produzione e riproduzione delle loro comunità. La socializzazione della produzione è un fenomeno visibilissimo e grandeggiante oggi, ma era presente anche quando gli uomini hanno incominciato, con la caccia, a lavorare insieme in modo coordinato. L'edificazione di una cattedrale, lo scavo di canali per una rete irrigua o la fondazione di una città non erano certo fenomeni spontanei. Semmai oggi si tende a vedere socializzazione anche dove dominano l'individualismo e l'anarchia, per esempio in campo economico, dove il comportamento spontaneo del mercato esclude il coordinamento: a leggere bene Adamo Smith, vediamo che aveva in mente qualcosa di più articolato che non la mano nascosta o la teoria del laissez-faire: l'economista padre del liberalismo prevedeva perfettamente l'intervento dello Stato. Ad esempio, là dove il capitale privato non arrivava e lo Stato doveva sostituirlo, come nel caso eclatante dell'investimento pubblico a favore di quelle che oggi sarebbero definite "risorse umane". Il capitalismo è nato statale e morirà super-statale.

Chi tentava invece di attribuire una teoria ai liberisti sosteneva che il mercato libero è una condizione naturale, una tendenza allo scambio di merci come c'è scambio di informazione con il linguaggio. Riportata così l'economia alla natura, i super-liberisti (von Mises, Hayek, Friedman, ecc.) sostenevano che la naturalizzazione dell'economia era una condizione irrinunciabile, non una interpretazione politica o dottrinaria, non una legge economica, è il modo naturale di vivere e produrre.

Le teorie dello Stato suggerite dalla rivoluzione industriale erano dunque compatibili con la fase espansiva, nella quale il capitale vuole essere libero di muoversi secondo le proprie determinazioni, insofferente verso ogni controllo e vincolo. La Grande Crisi del 1929, che fu il risultato della teoria dominante, portò al risorgere di teorie alternative a quella che aveva condotto il mondo a un simile sfacelo. Tali teorie furono alla base della reazione statalista che prese il nome da Keynes, ma che in realtà era già radicata prima che l'economista inglese le pubblicasse. In particolare, l'intervento statale fu considerato indispensabile per il rilancio di situazioni comatose, ma la realtà aveva già suggerito l'intervento pesante che andò sotto il nome di New Deal. E che permise alla grande industria di riprendere il tradizionale controllo.

Si è già detto in un articolo sul numero scorso di questa rivista, che la reazione alle cause della Grande Crisi comportò l'adozione di un New Deal a livello mondiale nella speranza che fosse efficace contro quella che sembrò un'apocalisse. Vennero raggiunti risultati notevoli, ma era evidente come il capitalismo fosse ormai storicamente fuori controllo e non si potesse né controllarne i meccanismi fondamentali, né trasformarlo in un qualcosa di diverso. Gli ingredienti di cui si alimentava erano sempre gli stessi e fu obbligatorio assecondare gli sviluppi automatici come in un esperimento di laboratorio.

Tramontato quindi il manifesto liberista originario di una società permeata da un capitalismo naturale dove tutto succede e si aggiusta automaticamente (Smith, Ricardo); tramontato il tentativo di imbrigliare il capitalismo in un sistema economico "a programma" (Sombart, fascismo, in parte Keynes); e tramontato il modello psicotecnico della creazione di valore attraverso il debito e la propensione marginale al consumo (Minsky, Robinson), lo Stato dovrebbe essere più che mai l'elemento regolatore degli eccessi dovuti all'autonomizzazione del capitale.

Siamo quindi in una situazione analoga a quella in cui si trovava lo Stato citato da Engels, quello che sorse come elemento al di sopra delle parti per impedire che gli opposti interessi provocassero una situazione furi controllo. Oggi, però, oltre al compito di appianare gli interessi contrastanti delle classi, lo Stato dovrebbe assumersi anche quello di controllare il capitale, cosa che, l'abbiamo visto, non è più possibile. E infatti siamo di fronte a un modello sociale che fa acqua da tutte le parti: dalla generazione del plusvalore al debito, dalla saturazione dei mercati all'incapacità di assicurare la salute, dalla disastrosa indifferenza verso la biosfera alla perdurante incapacità di sfamare buona parte degli abitanti di questo Pianeta.

L'analogia che rileviamo non si può spingere però al di là di un certo limite: allora si profilava all'orizzonte un nuovo elemento della storia, oggi si profila piuttosto la scomparsa di questo elemento. Se questo è vero – e i fatti sembrano dimostrare che è vero – si annulla anche la possibilità che oggi si possano utilizzare strumenti assimilabili a quelli utilizzati dalla borghesia per il suo Stato. Il funzionamento reale del capitalismo ci sta dimostrando che l'economia politica è morta. Lo Stato che dovrebbe gestire l'economia politica è almeno quattro volte disoccupato:

1) perché, appunto, non c'è più l'economia politica, nel senso che non vi sono più programmi, investimenti, algoritmi o… naso;

2) perché siamo al punto in cui i fattori dello sviluppo della forza produttiva sociale si sono tramutati in sue catene;

3) perché lo Stato non è più un interlocutore per chi rivendicasse una migliore posizione entro questa società;

4) perché lo Stato non controlla più la propria popolazione, né per quanto riguarda l'emigrazione/immigrazione, né per quanto riguarda il proprio territorio; la politica assassina verso chi tenta di fuggire da paesi ormai senza Stato è ormai parte della quotidianità. Sul fronte interno l'incapacità di sedare l'endemico disagio sociale che nelle megalopoli sfocia in persistenti, oceaniche manifestazioni, è ormai manifesta.

Al tempo di Marx, le merci rappresentavano l'incontrastabile artiglieria capace di abbattere tutte le muraglie cinesi; oggi, demolito il simbolico ostacolo, circolano merci ovunque e lo Stato non è nemmeno più capace di svolgere quell'imbonimento ideologico che era rimasto come suo ultimo compito, attraverso il monopolio dell'informazione. Adamo Smith è di nuovo sbarcato a Pechino con il suo librone, solo che questa volta gli ha strappato le prime 700 pagine, proprio quelle sul libero mercato. Strappate e lasciate in patria, ormai inutili con tutte le belle parole sulla leggenda della Mano nascosta e del Laissez faire.

Ha invece portato con sé le ultime 300 pagine, quelle sullo Stato che lui, Adamo Smith, aveva ritenuto indispensabile integrare nel libro per impedire ai capitali individuali di combinare disastri, e che trattano delle: 1) spese militari; 2) spese per la giustizia; 3) spese per l'istruzione (ritenute indispensabili per innalzare il livello di efficienza del sistema produttivo); 4) spese per le agevolazioni commerciali e le infrastrutture; 5) e, da notare, l'argomento del giorno d'oggi: spese per gestire il debito pubblico attraverso l'emissione di titoli di Stato, oltre che attraverso la pressione fiscale.

Chi trovasse un po' strane queste che sono constatazioni di fatti reali può fare il confronto fra i non-Stati di oggi e i super-Stati inflazionati di appena cinquant'anni fa. È significativo il fatto che lo Stato, da poco più di una quindicina di anni preso di mira da milioni e milioni di manifestanti inferociti (tutto iniziò con l'incendio delle banlieues francesi), si comporta come se questi non ci fossero, rendendo apparentemente inutile sia la loro protesta, sia lo sfoggio di polizie sempre più violente, ormai superdotate di ammennicoli militari come se fossero eserciti.

Inutili. Apparentemente.

Concetto di simmetria

Sembra dunque che si possa fare un confronto fra epoche sulla base di analogie e differenze. Immaginiamo di preparare una simulazione ad alto livello di astrazione e di visualizzare il percorso dell'ente "Stato" dal momento virtuale della sua comparsa in poi. Poniamoci come osservatori in quel punto. Come non ci sono problemi nel vedere gli sviluppi futuri, così non ci sono problemi nel vedere indietro nel tempo (abbiamo girato un film del fenomeno osservato). Nel momento cruciale osserviamo la comparsa di un segno del Cielo, un miracoloso organismo che risponde alle caratteristiche elencate nei capitoli precedenti: controllo da parte di una classe su di un territorio e sulla popolazione che vi dimora, apparato giuridico al di sopra delle parti per dirimere le questioni, forza poliziesca per la disciplina interna alle leggi, forza militare per la soluzione di controversie internazionali, lavori pubblici, redistribuzione del reddito per aiutare coloro che hanno avuto meno della media per vivere, ecc.

Naturalmente il punto centrale da cui muove la simmetria è arbitrario, nel senso che lo decidiamo noi: la redistribuzione del reddito fa parte dell'essere Stato da meno tempo dei lavori pubblici che esistono da millenni. Il modello astratto, e per questo molto preciso, ci mostra il fotogramma centrale nel momento in cui il proiettore è fermo su di esso. Abbiamo guardato il film fino a questo momento e abbiamo messo la macchina in pausa. Abbiamo dunque visto la genesi dello Stato. Se togliamo lo stop, vedremo il futuro dello Stato.

Niente di speciale dal punto di vista tecnico del modello, ma gravido di conseguenze dal punto di vista politico che è il vero fondamento della teoria comunista dello Stato.

Se avanziamo o indietreggiamo di un fotogramma alla volta, vedremo delle fotografie della realtà distanziate di 1/24 di secondo (la velocità di proiezione standard per la pellicola 35 mm), in pratica non vedremo differenze tra un fotogramma e l'altro alla scala 1:1, quella reale. Per vedere differenze significative dobbiamo ingrandire molto le immagini o diminuire la velocità in fase di ripresa. È evidente che nella valutazione dell'osservatore conta molto un tempo soggettivo, ma occorre soprattutto sottolineare che, a 1/24 di secondo avanti o indietro, la storia del mondo non è sostanzialmente cambiata e lo Stato compare seguendo le proprie determinazioni, le quali non sono solo quelle da noi individuate nel momento in cui le cerchiamo seguendo le nostre ipotesi. Un modello di realtà deve contenere meno informazione rispetto alla realtà stessa, ma deve contenerne di più rispetto a ciò che della realtà vogliamo osservare e dimostrare. In una mappa dei trasporti pubblici è sintetizzata all'estremo la mappa cittadina, ma sono segnati gli orari dei mezzi ad ogni fermata.

La società organizzata secondo le esigenze primarie del comunismo delle origini aveva bisogno di poco, anche se in realtà possedeva molto in confronto alle successive forme sociali. La famiglia allargata si raccoglieva presumibilmente intorno a un capo carismatico il quale si appoggiava a un consiglio di anziani. Il resto della famiglia si dedicava alle attività produttive e riproduttive secondo una elementare divisione del lavoro. Questo antico schema, dedotto anche da sopravvivenze fino ai nostri giorni di società arcaiche, resistette per tempi che si contano in milioni di anni, e la sua stabilità dipese dal fatto che era semplice e funzionale rispetto al suo unico scopo: che tutti avessero una quota equilibrata del prodotto complessivo.

Lo scopo non è "ufficialmente" cambiato nel tempo, solo che in pratica l'umanità non l'ha più perseguito, giungendo a teorizzare che la diseguaglianza fa parte della natura, anche se in molte forme, dal mito alla religione, dalla formazione di gruppi sociali non omologati alla filosofia. La grande invarianza storica è dunque: ogni individuo deve poter usufruire di una quota del prodotto sociale corrispondente ai propri bisogni. Oppure, il che è lo stesso, la società deve poter produrre, nel suo insieme, una quantità di beni sufficiente a coprire il fabbisogno di ogni individuo. Per quanto tutto ciò appaia come una semplificazione estrema e quindi un po' provocatoria, i grandi pensatori dell'umanità non hanno fatto altro che cercare una risposta alla fatidica domanda: com'è stato possibile fallire così clamorosamente in un compito tanto ordinario?

La risposta, come spesso succede, è già nascosta nella domanda. L'umanità non può che chiedersi cose che hanno già una spiegazione, lo Stato è uno strumento nato per uno scopo e sta morendo perché viene adoperato per conseguirne uno diverso, opposto. I pensatori che si ostinano a immaginarlo capace di essere al servizio del cittadino sbagliano. Non sono soltanto superflui, sono al servizio dell'anti-storia, quindi nefasti.

Archeologia della storia

Per semplificare il lavoro, ricorriamo a un espediente simulando uno scavo archeologico, nel quale sono sovrapposti gli strati di epoche diverse, come nei tell o tepe, le colline che gli antichissimi insediamenti hanno lasciato nel vicino Oriente crescendo strato su strato. Abbiamo dunque una vista panoramica complessiva sullo scavo e tutta la documentazione lasciata da chi fisicamente ha scavato, compreso un filmato su pellicola.

Come punto di partenza per la nostra esplorazione possiamo scegliere, e ci spostiamo senz'altro in un fotogramma del filmato nel quale esista lo Stato con tutte le sue caratteristiche contingenti, quelle che abbiamo visto descrivere con significati diversi a seconda delle intenzioni dell'osservatore.

Se vogliamo cogliere le variazioni dobbiamo muoverci lungo la linea storica contenuta nel film: da un fotogramma all'altro la differenza è minima, per avvertirla bisogna riavviare il proiettore e dal fermo immagine passare alla dinamica nel tempo. Si può anche rimanere al fermo immagine, per cui osserveremo lo Stato come strumento del dominio di classe, come sovrastruttura. Dipende da che cosa vogliamo cogliere per il lavoro che stiamo facendo, dato che si tratta di capire come la forma Stato si è evoluta nel tempo da forme precedenti embrionali. Abbiamo ad esempio ipotizzato una forma che oggi verrebbe sicuramente chiamata "Stato" e che invece potrebbe essere un organismo-gemeinwesen. Cioè tutto il contrario di ciò che si è generalmente creduto fino ad oggi.

Siamo dunque fermi al punto in cui lo Stato è quello che presenta tutte le caratteristiche individuate da Marx ed Engels, da Weber, da Machiavelli, da Bobbio, da Smith e da tutti coloro che hanno scavato per portare alla luce informazioni sulla natura e sui compiti dello Stato. Siamo cioè su di una passerella sopraelevata rispetto al normale piano di calpestio, dalla quale possiamo spaziare con lo sguardo sullo scavo archeologico di un agglomerato urbano che mostra una stratigrafia dall'inizio del IV millennio a.C. a oggi. La località potrebbe essere un punto qualsiasi della Mezzaluna fertile, l'unico posto al mondo in cui i siti archeologici offrono la possibilità di compilare un catalogo completo dei tipi di civiltà proto-statali. L'archeologo che ci accompagna non dev'essere schierato con una delle varie autorevoli correnti accademiche, non si dev'essere formato alla scuola degli esploratori dell'800 ma sul campo, deve avere insomma un minimo di posizione critica, un minimo di apertura mentale che conduca a porsi delle domande quando lo scavo mostra delle condizioni sociali in contrasto con le teorie correnti. La metafora dello scavo di una città paradigmatica ci sarà utile per capire alcuni passaggi che sono sembrati incredibili anche agli archeologi che li hanno scoperti. Incominciamo a osservare gli strati partendo dal piano di calpestio e ricordando che l'archeologo procede per sottrazione, al limite fino a distruggere gli strati superiori per raggiungere quelli inferiori una volta accertato che hanno offerto tutta la documentazione possibile e non hanno particolare valore storico, artistico, turistico o altro. Lo stesso principio sottrattivo si applica all'oggetto della ricerca. Per chiarire al massimo ciò che è tipico dei modi di produzione l'archeologia deve togliere loro tutto ciò che non gli appartiene.

Gli archeologi non sono tutti d'accordo sul come incominciare la numerazione degli strati. Se partiamo dall'alto, il più recente sarà il primo e la numerazione si fermerà una volta raggiunto lo strato sterile, quello della natura prima dell'insediamento umano; in tal modo avremo una numerazione inversa rispetto alla sequenza cronologica e, se si troverà un nuovo strato inaspettato, basterà continuare la numerazione. Se iniziamo dal basso, cioè dal primo insediamento ritrovato, avremo una numerazione coerente con il tempo, ma avremo il problema di cercare e scoprire il primo strato, che è sepolto sotto tutti gli altri. Noi non abbiamo questo problema: stiamo cercando informazioni sui modi di produzione e questi, convenzionalmente, li abbiamo già numerati:
5) capitalismo;
4) feudalesimo;
3) antichità classica;
2) rivoluzione urbana e proto-Stato;
1) comunismo originario del paleolitico e della rivoluzione neolitica.

Rivista n. 48