Socialità e socializzazione

In questo numero pubblichiamo il terzo articolo di una serie sul secolo della socializzazione, da fine '800 a fine '900. Eccone i titoli:La socializzazione fascista e il comunismo sul n. 42; La grande socializzazione, sul n. 47; La dottrina sociale della Chiesa su questo numero. La "questione sociale" è affrontata dalla Chiesa dall'alto di un'esperienza bimillenaria che nessun altro organismo può vantare, e ciò le permette di cavalcare le opportunità che la storia stessa presenta.

D'altra parte, forme evolute di socializzazione sono comparse in varie epoche e hanno rappresentato fenomeni diversi, ad esempio il lavoro di massa finalizzato al raggiungimento dell'obbiettivo come nel caso delle grandi cattedrali nel Medioevo, oppure un fenomeno permanente come nel caso delle antichissime civiltà pre-statali, oppure ancora un modo di produzione vero e proprio come nelle società "asiatiche".

La differenza fra il cristianesimo e le altre religioni, per quanto riguarda il nostro studio, consiste nel fatto che la sua organizzazione, cioè la Chiesa cattolica, è diventata parte integrante dello stato in ognuna delle forme con cui quest'ultimo si presentava. Sia la forma sviluppata antica e moderna (Roma, stati borghesi), sia la forma feudale delle "dipendenze" stratificate hanno permesso alla Chiesa di sostituirsi allo stato in ambito internazionale, in conflitto con l'Impero. In realtà, fino alla Controriforma, è impossibile immaginare un'Europa senza Chiesa. La quale non era l'organizzazione della società: era la società. Parlare di socializzazione della Chiesa è persino riduttivo: si può "socializzare" unicamente ciò che non è ancora socializzato. Il capitalismo socializza la produzione con il suo semplice star sulla scena, socializza le fabbriche quando le nazionalizza insieme ai servizi per ragioni di utilità pubblica, socializza reti logistiche al servizio dell'industria, come ha fatto l'Italia nel dopoguerra. Infine, come si suol dire, privatizza i profitti e socializza le perdite.

Nel lungo articolo vediamo, oltre alla grande escursione storica intorno all'argomento, la particolare attenzione che la Chiesa dedica al lavoro. Ciò è naturale, non solo per la formula sintetica ora et labora che riassume la storica posizione di chi ha dominato sulla produzione sociale per quasi due millenni, godendone anche, e a volte soprattutto, dal punto di vista dei beni materiali e dello sfruttamento del lavoro servile. Non solo, dunque, per la formula, ma proprio per la simbiosi tra lavoro e dominio, quella situazione ibrida due volte rivoluzionaria (comunistica e capitalistica) in cui si trovò la Chiesa allorché, degenerando la ricchezza spirituale in ricchezza materiale, suscitò eresie per reazione. Ad esempio, quella dei Cistercensi, quando scoprirono che il lavoro salariato sistematico consentiva di ricavare più di quanto si erogava. O quella di Francesco, il Santo, che riconobbe il "giusto profitto", purché provenisse da un "giusto salario" e non andasse ad impoverire i poveri per arricchire i ricchi. Il carattere comunistico della regola benedettina, che influenzò le eresie, esplose dal Mille al Milletrecento e mostrò la doppia faccia di una Chiesa che non era riuscita a controllare il cambiamento che per il rotto della cuffia, è vero, comunque l'aveva controllato. Nessuno ancora si era reso conto del meccanismo dell'accumulazione e delle sue conseguenze, ma le correnti che da prima del Mille rifiutavano l'arricchimento si accorgevano di poter disporre di un "plusvalore" che la loro regola comunistica non sapeva come gestire. E proprio la socializzazione/socialità permise alla Chiesa di vincere le grandi eresie, stroncandole o recuperandole, e di non soccombere a quella tarda eresia armata che fu la Riforma.

Rivista n. 49