L'ennesima conferenza sul clima

Il capitalismo, per quanto disperatamente tenti, non trova vie d'uscita alla sua crisi storica (che causa anche un'emergenza ambientale) per il semplice fatto che non riesce a vedere altro al di fuori del profitto. Ne è esempio l'entusiasmo dei capitalisti per la green economy, il fiorente business che avrebbe dovuto risolvere i problemi legati all'inquinamento del Pianeta, ma che è stato ridimensionato sotto i colpi della guerra in Ucraina e degli effetti delle sanzioni alla Russia. Le implicazioni belliche hanno infatti portato al dietrofront dai propositi ecologisti usciti dal vertice di Glasgow dell'anno scorso sul clima (COP26), che aveva stabilito di ridurre la produzione di energia elettrica con il carbone, e alla ripartenza a pieno ritmo delle centrali a combustibili fossili.

Durante la COP27, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici tenutasi quest'anno a Sharm el-Sheikh, il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha lanciato un nuovo allarme: "O scegliamo di cooperare o sarà suicidio collettivo". E ancora: "Guidiamo su una strada che porta verso l'inferno e lo stiamo facendo con il piede che spinge sull'acceleratore. Stiamo perdendo la battaglia per la vita: le emissioni di gas serra continuano ad aumentare, la temperatura globale continua a crescere". Parole tanto forti quanto destinate a non essere ascoltate. Il problema del riscaldamento globale esiste, ma non si può pensare che esso venga risolto dal sistema che l'ha generato. Anche se l'energia fosse prodotta interamente dal fotovoltaico o dall'eolico e le automobili fossero tutte elettriche, non sparirebbe l'immane sciupio connaturato all'attuale modo di produzione, basato sulla anarchica divisione sociale del lavoro (entro gli stati e tra gli stati).

In ogni nuovo summit planetario la classe dominante riscontra che gli impegni precedenti non sono stati rispettati, e ne prende di nuovi. L'accordo di Parigi sui cambiamenti climatici del 2015 avrebbe dovuto vincolare tutti i paesi a ridurre le proprie emissioni di gas serra al fine di limitare il riscaldamento medio globale, ma il documento stilato in realtà altro non faceva che indicare il generico obiettivo di mantenere l'innalzamento delle temperature al di sotto dei 2°C e di stanziare fondi per i paesi in via di sviluppo.

Tra i grandi assenti alla COP27, i presidenti di Russia e dei due giganti asiatici, India e Cina (che insieme contano circa 3 miliardi di abitanti), a dimostrazione che il vertice è stato un fallimento in partenza. Unica nota positiva, fanno notare gli addetti ai lavori, è l'istituzione di un fondo per risarcire i danni causati dai cambiamenti climatici nei paesi in via di sviluppo. Ma nemmeno su questo punto c'è concordanza di vedute. Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea e capo delegazione Ue alla COP27, ha dichiarato: "Sulle riduzioni delle emissioni abbiamo perso un'occasione e molto tempo, rispetto alla COP26. La soluzione non è finanziare un fondo per rimediare ai danni, è investire le nostre risorse per ridurre drasticamente il rilascio di gas serra nell'atmosfera".

Nonostante il Capitale abbia la stringente necessità di darsi strumenti internazionali di coordinamento che, nel caso del riscaldamento globale pongano dei limiti all'utilizzo di combustibili fossili, questi limiti cozzano contro gli interessi nazionali, motivo per cui i rappresentanti dei paesi presenti a questi incontri firmano protocolli e prendono impegni solenni per poi continuare opportunisticamente sulla via che ritengono più vantaggiosa.

Rivista n. 52