Sul libero arbitrio

"Lasciate però che, come nella Russia della grande guerra civile, le grandi forze del campo storico si destino suscitate dagli urti delle nuove forze produttive che urgono contro la rete delle vecchie forme sociali che vacillano; è allora che nella nostra immagine l'atmosfera storica, il magma sociale umano, si presentano jonizzati, e se vi fosse un contatore Geiger della rivoluzione le sue lancette prenderebbero a follemente danzare. Le linee di forza del campo si inchiodano sulle loro traiettorie, tutto è polarizzato tra due orientamenti inesorabili e antagonisti, ogni elemento del complesso sceglie il suo polo e si precipita allo scontro con quello opposto, finisce il mortifero dubbio, va a ignobilmente farsi fottere ogni doppio gioco, l'individuo-molecola-uomo corre nella sua schiera e vola lungo la sua linea di forza, dimentico finalmente di quella patologica idiozia che secoli di smarrimento gli decantarono quale libero arbitrio!"

(Struttura economica e sociale della Russia d'oggi, 1955)

Introduzione

Nelle nostre esplorazioni intorno alla teoria rivoluzionaria della conoscenza siamo arrivati al capitolo che qui presentiamo sotto il titolo Libero arbitrio. Dopo aver superato alcuni scogli metodologici che ci avevano fatto incontrare qualche difficoltà nello sviluppare l'approccio allo schema generale già tratteggiato dal la nostra corrente in diversi studi risalenti agli anni '20 e '60, il lavoro è proceduto spedito. I materiali, per lo più inediti, raccolti, trascritti, registrati e pubblicati furono da noi considerati buon terreno di approfondimento per un'epoca come l'attuale in cui sembra che il partito della rivoluzione debba staccarsi dalla realtà scientifica e occupare solo uno spazio "politico". Con il maturare del capitalismo era successo che in generale l'intera società si era scissa: da una parte le discipline umanistiche, dall'altra quelle scientifiche. Persino all'interno della borghesia si era sollevata la critica a questa situazione. Essa stessa aveva denunciato una contraddizione sottolineando che il consegnare a parlamenti composti da "avvocati" (designando con questo termine personaggi che esprimono pareri senza basarsi su una visione che derivi da un'analisi condotta con approccio scientifico) il potere di decidere su argomenti di respiro planetario non è solo ridicolo, è estremamente pericoloso.

Parte della classe dominante aveva incominciato a prendere molto sul serio questa tendenza critica, specie nei paesi a vecchio capitalismo, tanto che nell'industria, nelle università e nelle piazze era nata una corrente politica in grado di mobilitare milioni di persone (ce ne siamo occupati nell'articolo della rivista n. 47, "La Grande Socializzazione", analizzando sottocorrenti quali la tecnocrazia, il taylorismo, il fordismo, il planismo e l'economia programmata). Nell'epoca della complessità, della logica "sfumata" e della cibernetica occorreva affrontare i problemi in modo conseguente. Quella che i suoi fautori avevano chiamato "rivoluzione digitale" non iniziava con il suo esplodere nella "coscienza" collettiva, iniziava con le prime tacche incise dall'uomo su osso (la più semplice calcolatrice del mondo: tacca-sì, tacca-no), e seguendo il plurimillenario filo del tempo arrivava al moderno computer, ovvero una macchina per conoscere noi stessi e ciò che ci circonda. Il primo strumento che l'uomo ha utilizzato per contare è stata verosimilmente la doppia mano con le sue dieci dita (Engels: nell'evoluzione prima si è sviluppata la mano, solo successivamente il cervello). Ciò ha portato alla diffusione della numerazione in base 10 (1, 0, sistema numerico binario in informatica).

Nel corso dello studio sul mondo "digitale", in cui ci è tornato utile come scaletta per una serie di relazioni il libro Uomini e computer. Storia delle macchine che hanno cambiato il mondo, di Daniele Casalegno, abbiamo affrontato i lavori dei padri dell'informatica (Pascal, Leibniz, Jacquard, Babbage, Boole, Turing, von Neumann) sino a trattare dell'intelligenza artificiale, argomento già affrontato nell'articolo della rivista "Verso la singolarità storica", con riferimento al titolo del libro di Raymond Kurzweil, La singolarità è vicina (2008).

Kurzweil ha successivamente pubblicato Come creare una mente. I segreti del pensiero umano (2013,), saggio che è da leggere come una continuazione di quello precedente, e nel quale, affrontando il tema della simbiosi sempre più stretta tra uomo e macchina, racconta delle attuali ricerche scientifiche volte a comprendere il funzionamento del cervello umano al fine di costruire macchine sempre più intelligenti. La lettura di questo libro ci ha fornito elementi utili per collegare i due lavori, quello sul digitale e quello che stiamo presentando sul libero arbitrio. Nel libro di Kurzweil, infatti, viene sollevato il problema della coscienza e della libertà umana:

"La coscienza è un elemento di differenza filosofica fra cervelli umani e attuali programmi informatici. Consideriamo coscienti i cervelli umani, mentre non attribuiamo (almeno per ora) questa proprietà ai programmi. È forse questo il fattore che cercavamo e che sta alla base del libero arbitrio?"

La differenza tra uomini e computer risiede nell'avere o meno una coscienza? Ma che cos'è la coscienza? Come per il concetto di "tempo", tutti pensano di sapere cos'è, ma quando si tratta di spiegarlo, allora sorgono i problemi.

Nell'articolo "Principii di organizzazione" comparso sul n. 13 di questa rivista, avevamo messo in luce come chi lavora nei nuovi campi della ricerca scientifica (complessità, caos, sistemi dinamici, ecc.) sia costretto a capitolare ideologicamente di fronte alla teoria rivoluzionaria. Principio democratico, sacralità dell'individuo, libero arbitrio non reggono più alla critica dei fatti. D'altronde, se il funzionamento della società umana poggia su leggi di natura, allora il libero arbitrio non può esistere. Basti ricordare che nell'attuale forma sociale, quella capitalistica, vige la schiavitù salariale, e i moderni schiavi e i moderni schiavisti sono perennemente in lotta, che lo vogliano o meno. Finché c'è sfruttamento dell'uomo sull'uomo, c'è una determinata lotta di classe. Nel numero della rivista sulla "Miseria crescente" abbiamo constatato che la polarizzazione dei redditi (oggi rilevata dai borghesi con l'Indice Gini) ha conseguenze automatiche sul divenire della società capitalistica. Lo abbiamo fatto utilizzando la "simulazione di Montecarlo" (metodo nato negli anni '40 e utilizzato oggi in fisica, chimica, biologia, ecc.), che si basa sulla probabilità della distribuzione dei redditi, ed è applicabile universalmente a qualsiasi fenomeno della natura che comporti la possibilità di utilizzare l'analisi statistica.

Il libero arbitrio

Nell'antichità gli uomini si affidavano al fato, gli Dei intervenivano direttamente nelle vicende umane per mettere ordine. In Occidente nel Medioevo si impone un Dio unico che regola dall'alto l'insieme del vivere sociale. Poi, con la meccanica newtoniana, viene assestato un duro colpo al ricorso a forze soprannaturali per spiegare il funzionamento della natura e il comportamento degli uomini. A dire il vero Newton attribuisce l'origine e l'ordine dell'universo al disegno intelligente di Dio, ma le sue equazioni funzionano bene anche senza appellarsi al divino. La stessa rivoluzione borghese che sventolerà la bandiera dell'ateismo spazzando via le vecchie forze sociali conservatrici, quando stabilizza il proprio dominio di classe fa un passo indietro riconciliandosi con la religione, riconoscendo in essa un importante puntello in difesa dell'ordine costituito. Il termine "determinismo" viene introdotto ai primi dell'800 e diventa comune in senso filosofico verso il 1830. Nell'ambito della teoria della conoscenza, nel corso del '900 tale concezione del mondo viene attaccata dalle teorie esistenziali del dubbio. Il futuro non si può conoscere, pertanto descrivere i caratteri della società di domani sarebbe un'operazione utopica. Ora, è vero che esistono previsioni impossibili, specie nei sistemi complessi, ma non esistono fenomeni fortuiti nel senso di a-causali.

Le varie correnti politiche della classe borghese, che vanno dalla destra storica alla socialdemocrazia passando per il liberalismo, hanno tutte dei capisaldi in comune, come i diritti e i doveri dell'individuo. Che la società del Capitale mette sul piedistallo e blandisce, mentre lo massifica e lo schiaccia per mezzo dell'ideologia del lavoro e delle mille mode consumistiche oggi in circolazione.

La corrente cui facciamo riferimento, e non solo essa, come vedremo nelle conclusioni, si scaglia a più riprese contro l'abuso del pronome personale io, il quale si infiltra anche all'interno di ambienti comunisti, inquinandoli e conformandoli al pensiero dominante. Ma dalla società borghese, basata sul denaro e sulla merce, emergono anche studi che vanno ad attaccare alla radice i fondamenti della stessa ideologia borghese. Lo scienziato Francis Crick, ad esempio, uno degli scopritori del DNA, scrive:

"Le tue gioie, i tuoi dolori, i tuoi ricordi e le tue ambizioni, il tuo senso di identità personale e di libero arbitrio in effetti non sono niente più che il comportamento di un'ampia organizzazione di cellule nervose e delle molecole loro associate." (La scienza e l'anima. Un'ipotesi sulla coscienza, 1994)

Il collasso dell'idea di libero arbitrio, alla lunga, può compromettere il paradigma politico vigente, che in esso trova un puntello fondamentale. Lo storico e filosofo della scienza Thomas Kuhn, nella sua opera più celebre, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, sostiene che il nuovo paradigma scientifico si fa strada prima all'interno di minoranze, presentandosi come un'anomalia che viene avversata dalla scienza normale, ma che se non viene sconfitto teoricamente, tende a diffondersi: e allora si compie una rivoluzione scientifica.

I comunisti sono dei mutanti, anticipano un cambiamento generale della società, sia epistemologico che materiale. Il fatto che da più parti si cominci a criticare il concetto di libero arbitrio è quindi di grande interesse per chi si richiama al futuro, visto che è un sintomo di profondi rivolgimenti, che spianano il terreno alla rivoluzione.

Gli esperimenti "temporali" di Libet

Scandagliamo dunque questi studi borghesi che si muovono sulle "terre di confine", quelle in cui matura la nuova conoscenza. Nell'opera Mind Time, il fattore temporale nella coscienza , il neurofisiologo statunitense Benjamin Libet affronta la questione del libero arbitrio dalla visuale delle neuroscienze, indagando per mezzo di esperimenti il rapporto tra il mentale e il fisico. Fu uno dei primi ad analizzare con gli strumenti della neurofisiologia la relazione che intercorre tra l'attività cerebrale dell'uomo e l'azione cosciente nell'eseguire un movimento volontario. Lo fece partendo dalla scoperta dei fisiologi tedeschi Hans Helmut Kornhuber e Lüder Deecke sul potenziale di prontezza motoria o Bereitschaftspotential (un segnale che appare all'elettroencefalogramma prima di un movimento volontario).

Nei suoi esperimenti in laboratorio, compiuti negli anni '60, egli invitava dei volontari a muovere liberamente, ovvero quando lo avessero voluto, il polso della mano destra e a riferire il momento preciso in cui avevano avuto l'impressione di avere deciso di farlo. L'obbiettivo dell'esperimento era quello di indagare il rapporto tra la coscienza dell'inizio di un atto e la dinamica neurofisiologica sottostante.

Libet utilizzò un orologio speciale che aveva lo scopo di permettere una precisa collocazione temporale del momento in cui i soggetti sperimentali avevano deciso di piegare il polso. Tramite un elettromiogramma (metodica diagnostica elettrofisiologica) registrò la contrazione muscolare per capire quando cominciava il movimento. Durante l'esperimento veniva anche misurata l'attività cerebrale dei soggetti tramite elettrodi applicati sulla testa al fine di determinare i potenziali temporali associati al movimento.

Cosa scoprì Libet con questi esperimenti? Che il potenziale di prontezza motoria (l'incremento graduale dell'attività elettrica) che culmina nell'esecuzione del movimento comincia nelle aree motorie prefrontali del cervello prima del momento in cui il soggetto pensa di aver preso la decisione. Stiamo parlando di frazioni di secondo, un tempo per noi impercettibile, ma che comunque solleva degli interrogativi di non poco conto per chi si occupa di tale problema. Il neurofisiologo statunitense ne trae la conclusione che in queste aree del cervello ci sarebbe un'attività preconscia (in psicoanalisi il sistema preconscio è a metà strada tra l'inconscio e la coscienza) che precede di alcune frazioni di secondo la vera presa di coscienza: praticamente, noi percepiamo di volere qualcosa che è già accaduto, viviamo eventi del passato.

L'esperimento è plausibile come principio ma un po' primitivo; con gli strumenti di oggi, tra neurochimica e strumentazione tecnica è misurabile con più precisione ciò che negli anni '60 non lo era. Vi è chi lo critica, come il neuroscienziato Aaron Schurger, il quale sostiene che il potenziale di prontezza di cui parla Libet non ha uno scopo preciso, ma è il risultato di fluttuazioni cerebrali spontanee e in parte casuali, che, quando superano una determinata soglia, fanno scattare l'azione. È chiaro, comunque, che su questo tipo di fluttuazioni inerenti all'attività neuronale, non abbiamo alcun potere: sono esse a sollecitare il raggiungimento di un valore di soglia necessario a determinare la "scelta" di agire. L'esistenza del libero arbitrio, in un caso (Schurger) come nell'altro (Libet), non sta in piedi.

Secondo Libet, quella che noi chiamiamo coscienza avrebbe un effetto ritardato rispetto al momento in cui il cervello predispone una serie di attività che porteranno il corpo all'azione. La coscienza, invece di essere la causa agente, come la maggior parte delle persone pensa, è un epifenomeno dell'azione.

Figura 1. Libet, potenziale di prontezza motoriaFigura 1. Il potenziale di prontezza motoria comincia circa 1 secondo prima dell'avvio del movimento, registrato tramite elettromiografia. Per Libet i soggetti divengono consapevoli della loro intenzione di effettuare il movimento circa 200 millisecondi prima dell'inizio del movimento, quindi 800 millisecondi dopo l'inizio dell'attività preparatoria al movimento (www.scienzainrete.it).

Libet sostiene che l'azione è inizialmente preconscia e la coscienza entra in scena solo in un secondo momento: c'è un lasso di tempo misurabile in millesimi di secondo in cui l'individuo può decidere se muovere il polso oppure no. Il libero arbitrio viene dunque salvato in extremis, introducendo il concetto di "libero veto".

Vediamo ora come il filosofo della mente, Daniel Dennett, che del problema della libertà umana si è occupato in molti suoi libri, descrive il processo volitivo:

"L'azione in origine viene avviata in qualche parte del cervello, e da lì partono i segnali per i muscoli, che sulla strada si fermano per dire a te, l'agente cosciente, che cosa sta succedendo (ma, come tutti i buoni sottoposti, facendo credere a te, il presidente, che tu abbia fatto partire il tutto)".

Dennett più che sulle tempistiche cerebrali studiate da Libet, si sofferma sulla distribuzione dell'informazione nelle varie aree del cervello. I tempi registrati dal neurofisiologo non lo convincono, perché i volontari potrebbero non essere veramente coscienti del momento in cui hanno deciso che avevano la coscienza di agire. La differenza di tempi, ad esempio, potrebbe essere dovuta alla luce che arriva alla retina dal quadrante dell'orologio o da fattori non tenuti in considerazione nell'esperimento.

Dennett si chiede allora: visto che nel cervello si svolgono processi estremamente complessi, in che area dell'organo dobbiamo collocare il cosiddetto agente cosciente? In che punto preciso del cervello viene presa la decisione di agire? Solo nelle aree cerebrali deputate al movimento oppure sono coinvolte anche altri parti del corpo? Secondo recenti ricerche si ipotizza che sia il claustrum, una lamina cellulare che si collega tramite fibre nervose a quasi tutte le regioni corticali, l'area del nostro cervello dove nasce la coscienza. Aristotele, più di un paio di millenni fa, concepiva invece la sede della coscienza e dei sentimenti non nel cervello, per lui semplice organo di raffreddamento, ma nel cuore. Tale tesi è stata smentita dai fatti, ma la scienza sta dimostrando che non è il cervello il solo centro di comando del corpo. Il neuro-gastroenterologo Michael D. Gershon, per esempio, sostiene che l'intestino è il secondo cervello dato che lì sono presenti oltre cento milioni di neuroni. Oramai è scientificamente accettato che il microbioma, l'insieme del patrimonio genetico dei microrganismi ospitati nel nostro corpo, può essere paragonato ad un organo supplementare. E il microbiota intestinale può comunicare con il cervello per mezzo del sistema nervoso, influenzando sia la psiche che le nostre funzioni cognitive.

Per Libet, vi sarebbero delle azioni "positive", determinate da processi neuronali del tutto inconsci, su cui agirebbe in un secondo momento la coscienza, con le azioni definitive "negative". Ma perché dovremmo ritenere le azioni "negative" qualitativamente diverse da quelle "positive"? Anche le azioni cosiddette consce potrebbero essere determinate da meccanismi di cui il soggetto non ha pienamente consapevolezza. Tanto più che secondo molte ricerche buona parte delle attività cerebrali che avvengono durante il nostro vissuto quotidiano riguardano la sfera dell'inconscio (questo aspetto è stato intuito da Sigmund Freud, ben prima dell'avvento delle neuroscienze moderne), che sarebbe molto più vasta di quella che viene definita conscia.

Lo sostiene il neurochirurgo Giulio Maria nel saggio Il cervello è più grande del cielo :

"Si calcola che ben il 95 per cento delle attività cerebrali quotidiane si svolga nell'inconscio. Dei quasi 100 miliardi di neuroni, dei 100mila miliardi di connessioni, la nostra coscienza controlla solo il 5 per cento; la maggior parte del lavoro è occulto, celato a noi stessi. Momento dopo momento, le tante strutture che costituiscono il nostro cervello si scambiano milioni di miliardi di segnali. Molti di questi attivano funzioni che sono essenziali per la nostra sopravvivenza, quali il controllo del respiro o del battito del cuore, il controllo della diuresi e la concentrazione degli elettroliti nel sangue, oppure quelle che regolano l'alternarsi del sonno e della veglia, la temperatura del nostro corpo eccetera. Eppure, solo una piccola parte della vasta e complessa quantità di queste informazioni raggiunge un livello di consapevolezza, interessa cioè la corteccia prefrontale. Anche molto lavoro mentale che produce impressioni, intuizioni e molte decisioni avviene nel silenzio del cervello."

Sarebbe interessante capire come si sia riusciti a stabilire delle percentuali così precise sul totale delle attività cerebrali (95% inconsce, 5% consce). In questo caso sembra che il termine inconscio venga utilizzato come sinonimo di sconosciuto. Il linguaggio mostra tutti i limiti dell'attuale stato della conoscenza del cervello.

Il neuroscienziato Vilayanur Subramanian Ramachandran, in Che cosa sappiamo della mente , ha elaborato una teoria del cervello simile a quella di Libet: dato che abbiamo circa 30 miliardi di neuroni nella neocorteccia, dice, in quell'area succedono tante cose, e noi siamo consapevoli di una parte piccolissima di queste. La neocorteccia, considerata sede delle funzioni cognitive superiori (memoria, linguaggio, apprendimento), elabora costantemente decisioni, grandi e piccole, e le soluzioni proposte emergono poi alla nostra consapevolezza cosciente. Più che di libero arbitrio, Ramachandran suggerisce che dovremmo parlare di "libero veto", cioè della facoltà di respingere o approvare le soluzioni proposte dalle parti non coscienti del nostro cervello.

Un altro neuroscienziato, Antonio Damasio, nel saggio L'errore di Cartesio definisce la coscienza come un "marcatore somatico", quella sensazione piacevole o sgradevole avvertita dall'individuo quando viene alla mente l'esito positivo o negativo collegato a una opzione di risposta. Damasio dà molta importanza alle emozioni (gioia, tristezza, rabbia, paura, disgusto e sorpresa) nella formazione delle idee, e nel far questo scivola verso la psicologia: la volontà cosciente sarebbe nient'altro che un'emozione di paternità che serve a identificare nel sé il proprietario dell'azione, serve ad avere memoria delle proprie attività. È utile, dunque, per capire chi siamo e chi… non siamo.

Più semplicemente, possiamo definire le emozioni come "una serie di meccanismi di sopravvivenza evoluti per permetterci di evitare il pericolo", come scrive la giornalista Rita Carter nel saggio Mapping the Mind.

Superamento del diritto

La società borghese è ideologicamente fondata sulla categoria del libero arbitrio, soprattutto dal punto di vista giuridico: la mente decide e il corpo esegue; la mente è responsabile di quanto fa il corpo. Ma la genetica e le neuroscienze, come stiamo vedendo, cominciano a mettere in discussione questa concezione. La mente è strettamente determinata dal cervello, e quest'ultimo è tutt'uno con il corpo, il quale è inserito in un ambiente fisico, biologico e sociale. Il dibattito comunque è aperto: secondo molti neuroscienziati la mente non esiste, altri sostengono che il cervello è l'organo e la mente la funzione. Secondo il neuroscienziato Giorgio Vallortigara, è possibile spiegare qualsiasi segmento del comportamento senza alcun riferimento all'intenzionalità, il che priva di significato anche la distinzione tra segnali informativi e comunicativi.

Nel libro Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del libero arbitrio, a cura di De Caro, Lavazza e Sartori, vi è un capitolo intitolato "Se non siamo liberi, possiamo essere puniti?", in cui si sostiene che le scoperte delle neuroscienze vanno contro il senso comune e il diritto, perché la coscienza influenzerebbe poco o nulla il nostro comportamento. D'altronde, per essere ritenuto responsabile di un'azione un individuo dovrebbe esserne la causa prima e unica.

Eppure, nel diritto penale si è rimasti fermi ad una fase prescientifica, filosofica, potremmo dire. Niente di cui stupirsi visto che il concetto di "diritto" riguarda la scorsa rivoluzione, quella borghese (che sulla propria bandiera aveva scritto eguaglianza, libertà e proprietà), e non riguarderà certo quella futura.

Nel Codice penale italiano, il legislatore assume una posizione di tipo assiomaticoriguardo all'esistenza del libero arbitrio. L'individuo è responsabile delle azioni che compie, e questa evidenza non può essere messa in discussione. E la Corte Suprema degli Stati Uniti ha sentenziato:

"Una pietra miliare 'universale e costante' del nostro sistema giuridico, e particolarmente nel nostro approccio alla sanzione, al giudizio, alla carcerazione, è la credenza nella libertà della volontà umana e nella capacità e nel dovere conseguenti delle persone normali di scegliere tra il bene e il male." (United States v. Grayson, 1978)

Sono affermazioni lapidarie, contestate però dai risultati cui sta pervenendo la ricerca neuroscientifica. Lavazza e Sammicheli, nel libro Il delitto del cervello. La mente tra scienza e diritto, prospettano l'esigenza di un superamento dell'assioma della volontà libera e non determinata, assioma fondato sul presupposto che ogni azione è frutto di un'intenzione consapevole del soggetto.

Ricordiamo che già nell'8oo il medico Cesare Lombroso, fondatore dell'antropologia criminale ed esponente del positivismo, influenzato dalla fisiognomica e dalla frenologia, aveva cercato di dare una lettura materialistica del crimine basandosi non sul libero arbitrio, ma sulla fisiologia. Egli voleva rifondare l'esperienza penale su basi scientifiche. Non ci riuscì, ma i suoi studi, criticabili fin che si vuole, sono migliori di quelli di tanti filosofi e idealisti d'oggi. La famosa fossetta occipitale mediana, secondo Lombroso, è un'anomalia della struttura cranica, ed è la fonte di comportamenti devianti, di qui la teoria del delinquente nato. Ovviamente, se un atto criminale non è un atto libero, ma è biologicamente determinato, non ha senso la punizione. Ha senso semmai, per Lombroso, mettere il criminale nella condizione di non nuocere.

Negli USA, durante i processi vengono sovente presentate dalla difesa risonanze magnetiche funzionali o tomografie a emissione di positroni (PET) in base alle quali valutare la funzionalità di specifiche aree cerebrali degli imputati. L'obiettivo degli avvocati è quello di evidenziare lesioni o difetti neurologici tali da annullare il controllo volontario dell'imputato. È il suo cervello, non il suo io, il responsabile di quell'azione, sostiene la difesa per discolpare l'imputato.

Abbiamo visto alcuni degli strumenti e dei codici che adopera la borghesia per contenere i comportamenti che essa reputa devianti, ma come risolverà il problema della "pena" la dittatura rivoluzionaria nella transizione di fase da n a n+1? I problemi che si troveranno davanti i comunisti saranno enormi, e sappiamo che la società futura dovrà difendersi dai comportamenti antisociali, retaggio di quella vecchia, ma lo farà senza ricorrere a principii che non hanno alcuna base scientifica:

"Il materialismo marxista toglie di mezzo i concetti di colpa e anche di pena. La dittatura rossa abolirà la pena di morte, nel senso che per storica determinazione resterà la morte, ma non vi sarà la pena. Anche con ciò farà cadere due figure romantiche: il boja e Cesare Beccaria." ("Fiorite primavere del Capitale", 1953)

Tra neuroscienze, filosofia e logica

Il filosofo analitico Peter van Inwagen è un assertore della tesi che nessun essere umano, in ragione dei nostri limiti cognitivi, può risolvere il mistero della libertà umana:

"Mi pare così evidente che trovare una soluzione a questo problema sia impossibile che trovo molto interessante un suggerimento recentemente formulato da Noam Chomsky [...]. Secondo Chomsky, nella nostra biologia, nelle modalità con cui il pensiero è 'installato' nei nostri cervelli c'è qualcosa che fa sì che per noi esseri umani sia impossibile risolvere il mistero della libertà metafisica. Comunque stiano le cose, io sono certo di non poter risolvere il mistero e sono altrettanto certo che nessun altro lo abbia fatto".

Van Inwagen vede la questione del libero arbitrio come un mistero insondabile: sembra impossibile che esista ma allo stesso tempo risulta impossibile che non esista, perciò l'impossibile sembra esistere. Un bel grattacapo per i filosofi, e non solo per loro. Anche il fisico Max Plank ha affrontato l'argomento con un saggio intitolato Legge di causalità e libero arbitrio . Nella sua attività scientifica, si è occupato anche di epistemologia e si è imbattuto nel problema della libertà umana:

"L'impossibilità di sottoporre il proprio attuale io alla legge causale ha radici assai profonde, è di origine logica come il principio… che una parte non può mai essere più grande del tutto. È un'impossibilità a cui non potrebbe sottrarsi nemmeno la più alta intelligenza, nemmeno una mente laplaciana. Quand'anche questa potesse spiegare in modo perfettamente causale le più geniali attività di un cervello umano, la sua arte fallirebbe immediatamente se volesse applicare la legge causale al suo proprio cervello."

Ci troviamo dunque di fronte ad un loop logico: una parte non può comprendere il tutto, come sostiene Kurt Gödel con il suo famoso paradosso. Il "problema della decisione", ovvero se un enunciato sia o meno deducibile all'interno del sistema di riferimento, era stato posto dal matematico David Hilbert nel 1928, e poi ripreso alcuni anni dopo da Alonzo Church ("An Unsolvable Problem of Elementary Number Theor", 1936) e da Alan Turing ("On Computable Numbers, with an Application to the Entscheidungsproblem", 1937), che diedero una risposta negativa. I lavori di Church e Turing sul "problema" sollevato da Hilbert gettarono le fondamenta della teoria della computabilità.

Al pari di van Inwagen, che ritiene impossibile venire a capo del problema del libero arbitrio, il filosofo Colin McGinn è un assertore della tesi per cui la mente è fatta in modo da non riuscire a capire sé stessa: l'esperienza vissuta in prima persona non può essere descritta in termini scientifici. Nell'articolo "Possiamo risolvere il problema mente-corpo?" , scrive:

"Abbiamo cercato per molto tempo di risolvere il problema mente-corpo, ma esso ha resistito testardamente ai nostri sforzi migliori. Il mistero persiste. Penso dunque che sia giunto il momento di ammettere francamente che non possiamo risolverlo."

Secondo McGinn siamo costitutivamente privi di capacità di formare concetti che comprendano tutti i tipi possibili di stati consci, abbiamo cioè dei limiti cognitivi insormontabili. Il cervello umano, d'altronde, si è sviluppato per far sopravvivere l'organismo, e cioè per anticipare scenari futuri, è passato per varie fasi evolutive (cervello rettiliano, sistema limbico, corteccia cerebrale) e solo in un secondo tempo ha cominciato ad interrogarsi sul funzionamento di sé stesso, adottando diversi strumenti conoscitivi: prima la religione, poi la filosofia e, infine, la scienza. Quest'ultima forma di conoscenza, liberata dalle catene materiali e ideologiche poste dalla presente forma sociale, è quella che permetterà all'umanità di fare un passo in avanti nella comprensione di come fa a comprendere.

Possiamo arrivare scientificamente a negare l'esistenza del libero arbitrio, ma resta per molti inconcepibile l'idea che ne siamo sprovvisti. Il fatto che la conoscenza attuale abbia dei limiti non vuol dire che a livello di specie esistano dei problemi con radici nel mondo fisico che siano riconosciuti insolubili per sempre. La ricerca scientifica, in quanto tale, è sempre aperta a nuove indagini, a nuovi modi di spiegare e definire il mondo. Si è scoperto, ad esempio, che la capacità di superare le contraddizioni di un sistema formale si acquisisce solo uscendo dal sistema e ponendosi oltre, in un sistema di livello superiore. Si può concepire un sistema diverso dal capitalismo solo proiettandosi in un sistema post-capitalista, adottandone in anticipo il modo di pensare.

Plank, pur essendo un uomo di scienza era credente, e dice che si può uscire da questa impasse solo grazie alla fede. Essendo l'uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio, la sua anima non è soggetta al determinismo che governa la natura. Dio e l'uomo hanno la possibilità di scegliere, la natura invece no.

In verità, astraendoci da noi stessi, dalle nostre individualità, dobbiamo ammettere che non siamo fatti di una materia differente da quella di cui è composto il resto della natura, come d'altronde sostiene Einstein:

"Un Essere, dotato di superiore capacità di comprensione e di più perfetta intelligenza, che guardasse all'uomo e al suo agire, sorriderebbe dell'illusione umana di agire secondo libertà [...]. Questa è la mia opinione, sebbene io sappia bene che essa non è pienamente dimostrabile [...]. L'uomo rifiuta di essere considerato un oggetto impotente rispetto al corso dell'Universo. Ma la legalità degli eventi – come essa si svela più o meno chiaramente nella natura inorganica – dovrebbe forse interrompersi di fronte alle attività del nostro cervello?".

Einstein ha una visione monistica dell'universo, sostiene che l'uomo e la sua mente devono rispondere alle stesse leggi causali che governano il tutto. Naturalmente, siamo d'accordo con lui, e spiegheremo il perché rileggendo e commentando un classico di Marx ed Engels, a dimostrazione che le risposte che cerchiamo, a ben vedere, sono già presenti nei nostri testi.

Manifesto del determinismo sociale

Chiariamo fin da subito che per i comunisti la questione del libero arbitrio è risolta almeno dal 1848, anno dei grandi sconvolgimenti rivoluzionari in Europa e dell'esposizione di grandi visioni sul futuro. Vi è infatti un nesso stretto tra rivoluzione e conoscenza. Per inquadrare il problema della libertà umana ci rifacciamo dunque alla tesi concernenti il determinismo contenute nel Manifesto del partito comunista , dove si afferma che la storia non la fanno i singoli, e nemmeno generici gruppi umani, ma la fanno le classi. Esse sono formate da molecole sociali che hanno interessi comuni e sono orientate da forze che vanno al di là della loro capacità di controllo.

Nel primo capitolo del Manifesto, "Borghesi e proletari", che citeremo ampiamente, troviamo scritto:

"La storia della società sinora esistita è la storia di una lotta di classi."

Ci preme dimostrare che le classi non sono qualcosa di statico, che resta immutato nel tempo, ma sono delle realtà dinamiche, e si sono formate al pari di altre strutture presenti in natura, come, ad esempio, le placche tettoniche le quali, cozzando tra di loro, hanno prodotto degli immensi urti che hanno trasformato la materia producendo la nascita di nuove forme.

"La moderna società borghese, nata sulle rovine della feudale, non tolse gli attriti di classe; creò soltanto nuove classi, nuove condizioni di oppressione e nuove forme di lotta in luogo delle antiche." ("Borghesi e proletari")

Vi è dunque un'invarianza tra le varie società di classe: nel succedersi dei modi di produzione rimangono l'oppressione e la lotta. Abbiamo però delle trasformazioni: vi sono cioè nuove forme di oppressione e quindi nuove forme di lotta. E gli organismi politici che in questo divenire non si mettono al passo coi tempi sono destinati a soccombere. Le primitive forme di organizzazione del movimento operaio, come le sette segrete, lasciano il passo a forme più evolute, come sindacati e partiti politici.

Individuando invarianze e trasformazioni possiamo fare scienza della lotta di classe, elaborare una dottrina dei modi di produzione, cosa che è stata fatta dalla "nostra" corrente e su cui naturalmente ci basiamo.

"L'epoca nostra, l'epoca della borghesia, si distingue tuttavia per una semplificazione nella lotta di classe. Tutta la società si scinde sempre meglio in due vasti campi nemici, in due classi che si fanno fronte: la Borghesia e il Proletariato." ("Borghesi e proletari")

Dalla lotta plurisecolare tra queste due classi, una ne uscirà vincitrice e l'altra sconfitta, non ci possono essere vie di mezzo. Secondo la teoria comunista l'esito di questo scontro epocale è già scritto, come affermato da Amadeo Bordiga in "Relatività e determinismo. In morte di Albert Einstein" (1955):

"Le sicure coordinate della rivoluzione comunista sono scritte, come soluzioni valide delle leggi dimostrate, nello spazio-tempo della Storia."

Vi sono delle cause storiche che hanno determinato l'avvento del modo di produzione capitalistico e il suo consolidamento nel tempo e queste sono elencate con precisione nel Manifesto: la scoperta dell'America, lo sviluppo del commercio, della navigazione, dei traffici, ecc.

La borghesia diventa la classe che rappresenta il nuovo modo di produzione, il quale ha come scopo la valorizzazione del capitale e tende ad infrangere ogni barriera che si frappone al suo movimento, autonomizzandosi dalla stessa società umana e facendo ballare tutti alla sua musica. Di qui lo sviluppo dell'imperialismo, fase suprema del capitalismo, per la quale è stato coniato il termine globalizzazione.

"La borghesia sopprime sempre più i piccoli mezzi di produzione, la proprietà e la popolazione frazionata. Agglomerò la popolazione, e accentrò in poche mani i mezzi di produzione. Conseguenza necessaria fu l'accentramento politico." ("Borghesi e proletari")

E in questo passo, in cui si spiega la genesi della democrazia blindata, abbiamo la chiave di lettura per comprendere quel fenomeno storico che è il fascismo, che non è tanto una forma di governo, ma il moderno modo di essere della società capitalistica (democrazia-fascismo-comunismo).

"Noi vedemmo dunque come i mezzi di produzione e di traffico, sui cui fondamenti si eresse la borghesia, si generarono in seno alla società feudale. A un certo grado del loro sviluppo non corrisposero più i metodi di produzione e di commercio della società feudale, l'organizzazione feudale dell'agricoltura e della manifattura; in una parola i rapporti feudali della proprietà furono disadatti alle forze produttive già sviluppate, impacciarono la produzione anziché agevolarla, divennero altrettanti ostacoli. Dovevano essere abbattuti e lo furono." ("Borghesi e proletari")

Il capitalismo si è formato all'interno della società feudale (manifatture: mutazione dell'artigiano in operaio), e sotto i nostri occhi si sta formando oggi un moto analogo a quello dell'ascesa della borghesia (fabbriche automatiche: operaio sostituito dai robot). Studiando il passaggio dal feudalesimo alla società borghese possiamo comprendere come sarà il passaggio dal modo di produzione capitalistico al comunismo. È importante però tenere presente il binomio invarianza-trasformazione, perché oggi non si tratta di sostituire una classe con un'altra, un'oppressione con un'altra: la classe che traghetterà la società dal sistema n verso n+1 ha come fine negare sé stessa e con ciò tutte le classi. E il partito rivoluzionario di domani, da organismo in lotta contro gli altri partiti, perderà il suo involucro politico e si trasformerà in un organismo di specie (Tesi di Napoli, 1965).

La società borghese è sempre più out of control, non riesce a controllare le forze gigantesche che ha evocato, e data la moltiplicazione e l'amplificazione delle crisi (economiche, climatiche, politiche, ecc.) i borghesi hanno coniato il termine "policrisi". All'orizzonte però non vi è solo caos e disordine ma sono visibili marcati sintomi di società futura: dallo scambio di file senza corrispettivo di valore (P2P) all'automazione dei processi produttivi, tutto ci sta a dimostrare che il presente modo di produzione ha fatto il suo tempo.

La borghesia è il prodotto di uno sviluppo storico, e ad un certo punto ne diventa anche fattore, quando si fa strumento del nuovo modo di produzione in lotta contro il vecchio (Rivoluzione francese). Ma con il consolidarsi del capitalismo, la sua forza viene ridimensionata e i capitalisti vengono espropriati del loro ruolo diventando dei funzionari stipendiati. Il Capitale divenuto anonimo e impersonale dimostra che il suo potere è basato esclusivamente sul lavoro sociale, ovvero sulla cooperazione di milioni e milioni di salariati. D'altronde, come nota Marx nel Capitale, l'operaio parziale non può produrre nessuna merce (nemmeno un bullone o una vite), solo il lavoro collettivo degli operai parziali risulta realmente produttivo.

Il proletariato fa la sua apparizione con la nascita del capitalismo e, al pari di quest'ultimo, percorre vari gradi di sviluppo. La sua lotta contro la borghesia comincia con la sua esistenza. Inizialmente esso fa proprie le parole d'ordine della borghesia (libertà, uguaglianza, fraternità), in certi casi si richiama ai concetti fondamentali del cristianesimo (tutti gli uomini sono uguali di fronte a Dio). Insomma, all'inizio fatica a differenziarsi politicamente ed organizzativamente dalla classe nemica, ma dopo una lunga e sanguinosa serie di lotte, vittorie contingenti e grandi sconfitte, procedendo per tentativi ed errori (come un meccanismo cibernetico: "se succede questo, allora faccio quest'altro"), sviluppa una sua visione del mondo, una sua teoria, un suo programma politico.

Il Manifesto dei Comunisti è il prodotto di rivoluzioni e controrivoluzioni e della riflessione collettiva su di esse; testimonia la raggiunta autonomia programmatica del proletariato rispetto all'ideologia della classe dominante ed è il grido di battaglia dei moderni schiavi contro la moderna società schiavistica. È un giro di boa nella storia dell'umanità, una svolta decisiva.

Ma la vecchia forma sociale non rimane passiva di fronte ad un proletariato che si fa sempre più minaccioso. Comprende che la repressione brutale non basta, e allora blandisce e corrompe i capi delle organizzazioni proletarie al fine di ammansire la classe nemica. Il riformismo, che è il contrario della rivoluzione, è una forza sociale che ha come scopo quello di tenere avvinto il proletariato alla forma sociale capitalistica: è un fatto fisico che deriva dalla vitalità e dalla forza del sistema del lavoro salariato. Il riformismo è un anticorpo sviluppato dal capitalismo contro un virus molto pericoloso, il comunismo. Oggi, dato lo stato comatoso in cui versa il capitalismo, il moto riformista ha perso molta della sua forza (vedi scomparsa dei partiti stalinisti e dissoluzione di quelli socialdemocratici) ma non si può affermare che esso sia scomparso. Ha la capacità di ricomparire sotto mentite spoglie.

Se le altre classi tendono a dissolversi con lo sviluppo della grande industria, il proletariato è l'unica classe a crescere numericamente e ad irrobustirsi, essendone il prodotto specifico. Secondo l'Organizzazione internazionale del lavoro, i salariati nel mondo sono 2,8 miliardi. Le diverse fonti prese in esame per il presente lavoro valutano l'entità numerica della classe dei salariati tra i 2 e i 3 miliardi di unità, una forza invincibile qualora fosse organizzata. Ci teniamo però a specificare, a scanso di equivoci, che l'organizzazione è un processo determinato, non nasce semplicemente per volontà di qualcuno; anche perché, prima viene la lotta e poi l'organizzazione, come dimostra la storia delle tre Internazionali comuniste.

A lungo andare, la borghesia non riesce più a controllare la classe dominata perché è incapace di garantirne l'esistenza, perché invece di essere da questa nutrita è costretta a nutrirla. Non riesce più a far vivere la società al suo modo, non riesce più a garantire la riproduzione dei rapporti sociali capitalistici. Ad un certo punto, la società borghese diventa un involucro che non corrisponde più al suo contenuto (Lenin).

Il primo capitolo del Manifesto, "Borghesi e proletari", si sviluppa seguendo cronologicamente le tappe di sviluppo del capitalismo, e si conclude così:

"Con lo sviluppo della grande industria sfugge così sotto i piedi stessi della borghesia il terreno sul quale essa produce e si appropria i prodotti. La borghesia produce soprattutto il proprio becchino. Il suo tramonto e il trionfo del proletariato sono ugualmente inevitabili."

Nelle ultime due righe della citazione sono condensati aspetti dottrinali fondamentali, che molti cosiddetti comunisti non prendono nella dovuta considerazione o fanno fatica a digerire fino in fondo. Qualcuno, infastidito da troppo determinismo, tira in ballo il passaggio del Manifesto in cui si parla della "comune rovina delle classi in lotta" per mettere in discussione l'inevitabilità del comunismo. Un grossolano errore: non è che la comune rovina delle classi impedisca la trasformazione rivoluzionaria della società, semmai la ritarda (in un modo che può essere anche tragico per l'umanità, con milioni o addirittura miliardi di morti): essa è una regressione termodinamica del sistema, un ritorno a bassi livelli di ordine, una involuzione di tipo n-1, una perdita d'informazione del sistema stesso. Ma, secondo lo schema della Sinistra Comunista, dopo n-1, c'è n e dopo ancora n+1.

La società borghese non produce tanto il suo assassino, quanto il suo becchino. D'altronde, il capitale è già morto, è un cadavere che ancora cammina, non si tratta di ucciderlo ma di seppellirlo. L'inevitabile fine del dominio borghese non è una semplice speranza, ma è decretata da leggi di natura, quelle descritte da Marx e studiate dalla nostra corrente nel secondo dopoguerra (Proprietà e capitale e Scienza economica marxista come programma rivoluzionario, dove si affronta la teoria dello sciupio capitalistico).

Il Manifesto oltre ad essere il programma di una classe, che con la sua azione si fa rappresentate della specie, è il manifesto del determinismo sociale: le classi sono descritte come strutture fisiche, che si sono formate in seguito a processi storici, e le sovrastrutture seguono un movimento analogo, nascono, maturano e muoiono, per lasciare spazio a nuove visioni del mondo, a paradigmi più avanzati.

Il programma comunista viene dal futuro, anticipa la conoscenza dell'uomo sociale di domani, e il materialismo scientifico non è altro che l'utilizzo della scienza in ambito sociale. Il marxismo fa scienza dei fatti sociali e quindi dei modi di produzione, e per fare questo servono numeri, quantità, misure, come hanno insegnato Galileo e Newton che poterono fare scienza della gravità misurando masse, accelerazioni e forze.

In tutte le citazioni riportate dal Manifesto non c'è spazio per le scelte degli uomini, per il libero arbitrio, non si parla nemmeno di particolari individui che fanno la storia. Viene descritto un "movimento reale", oggettivo, che gli scienziati Marx ed Engels analizzano scientificamente: il loro laboratorio è la società borghese, la quale non è altro che un sottosistema della natura. Tema, questo, che abbiamo sviluppato in "Orazione in morte della trinità Religione, Filosofia e Scienza" (n+1 n. 15-16):

"La 'lotta' fra elementi naturali, cioè terremoti, uragani, eruzioni, maree, derive continentali ecc. è parte della formazione del mondo. Durante questa lotta la natura conosce sé stessa, scrive la propria storia negli strati geologici, nella formazione di composti del carbonio, i quali possono essere sia petrolio che protocellule anticipatrici del vivente, con il loro bagaglio memorizzato in sequenze molecolari che anticipano il DNA."

Il DNA, in effetti, può essere spiegato con la teoria dell'informazione, dato che si tratta di una codificazione delle informazioni genetiche, necessarie alla formazione e allo sviluppo degli esseri viventi.

La formazione del mondo così com'è, è avvenuta a causa di strutture che si sono scontrate, cioè attraverso la "lotta". Queste rotture naturali, provocate da differenze, provocano a loro volta altre differenze, aumentando la complessità e l'organizzazione della materia, e l'informazione su di essa. La dottrina dei modi di produzione è quindi da inserire nel più generale processo di evoluzione naturale (non è un caso che Marx abbia inviato una copia de Il Capitale a Charles Darwin). Nella storia delle strutture sociali non c'è spazio per il volontarismo, ma solo per l'azione impersonale delle grandi collettività umane, e con ciò intendiamo il movimento di milioni di uomini, come ben tratteggiato nello schema di rovesciamento della prassi della Sinistra.

Ma se tutto è determinato, se la rivoluzione è un fatto inevitabile, che senso ha riunirsi e scrivere articoli o volantini? La risposta che diamo a questa domanda è molto semplice: non siamo noi ad aver scelto di fare quello che facciamo, non siamo noi ad aver scelto di essere comunisti (eh sì: siamo sprovvisti anche di questa libertà!), non abbiamo scelto di collegarci ad una particolare corrente politica, ma una serie di concatenazioni causali di natura storica, ambientale, ecc., ci ha spinto ad essere quello che siamo, ad arrivare a determinate conclusioni e non ad altre. I comunisti sono coloro che sono stati catturati dal demone del comunismo, come scritto nella Lettera ai compagni, n. 31."Demoni pericolosi"(1995):

"L'abbandono di una via per aderire all'altra è prodotto determinato che varia da individuo a individuo, come varia la comprensione e il coinvolgimento nei confronti del programma rivoluzionario, ma sempre ci si trova di fronte ad una situazione che esclude la 'scelta'. Si può dire che al programma rivoluzionario non si 'aderisce' neppure, ci si trova oggettivamente 'dentro', nel senso descritto da Marx."

Il partito comunista non è aperto solo agli operai, esso trova gli strumenti adatti in tutte le classi, al suo interno non devono esserci per forza solo proletari, dato che "è compagno militante comunista e rivoluzionario chi ha saputo dimenticare, rinnegare, strapparsi dalla mente e dal cuore la classificazione in cui lo iscrisse l'anagrafe di questa società in putrefazione". Il militante rivoluzionario, che sia un operaio in sciopero, oppure uno scienziato che si muove sulle terre di confine tra vecchia e nuova conoscenza, pur lavorando per la rivoluzione può benissimo non esserne consapevole.

Il comunista non aderisce al programma ma ne viene agguantato, la conoscenza della teoria avviene in un secondo momento. Il proletariato tende a scontrarsi con la forma sociale esistente prima di avere coscienza di ciò che storicamente vuole ottenere con la sua lotta, ma lo fa perché spinto da una forza fisica, che poi nelle prime fasi è l'appetito economico. Questa pressione di carattere biologico, particolarmente forte in un modo di produzione irrazionale come quello capitalistico, ci rende tutto fuorché liberi. Come scrive di Douglas Hofstadter, non ha senso sostenere"che le nostre esigenze siano in qualche modo 'libere', o che lo siano le nostre decisioni. Esigenze e decisioni sono il risultato di eventi fisici dentro le nostre teste! Come fanno a essere libere?". È molto più marxista uno scienziato come Hofstadter, che non si definisce tale, che molti che si definiscono marxisti e sono intrisi fino al midollo di idealismo volontarista, tema su cui ritorneremo più avanti.

Determinismo e indeterminismo

Quando si parla di libero arbitrio è d'obbligo affrontare due questioni ad esso correlate: la tesi concernente il determinismo, ed è quello che abbiamo fatto poc'anzi; e quella concernente l'indeterminismo. Se è vera l'una, l'altra è falsa, non possono esserci vie di mezzo.

Perché esista il libero arbitrio ci devono essere almeno due condizioni, dice chi si occupa dell'argomento: 1) l'individuo ha davanti a sé vari corsi d'azione, e quindi ha la possibilità di prendere una strada oppure un'altra; 2) la scelta deve essere determinata dall'agente o almeno questo vi deve partecipare (chi abbia una pistola puntata alla tempia non può scegliere liberamenteche cosa fare).

Nella voce "libero arbitrio" della Treccani, nel primo rigo, troviamo scritto: "capacità di scegliere liberamente, nell'operare e nel giudicare." La definizione che ne dà l'Oxford English Dictionaryè la seguente: "La facoltà di un individuo di compiere scelte libere, non determinate dalla predestinazione divina, dalle leggi della causalità fisica, dal fato, ecc."

Per il determinismo ogni evento è frutto di altri eventi, di relazioni tra gli stessi, vi è quindi una catena causale e ogni fatto può essere indagato in accordo con le leggi di natura. Il determinismo, in ultima analisi, è l'unica concezione della realtà e della storia che permette di fare scienza, cioè di individuare invarianti e trasformazioni, e quindi di poter fare delle
previsioni.

Per l'indeterminismo, invece, ci sono eventi non causati o causati solo in modo probabilistico. Ma sul tema della probabilità è bene fare chiarezza: essa è usata per la descrizione dei sistemi deterministici caotici. Per il matematico Bruno de Finetti, ad esempio, "non ha senso parlare della probabilità di un evento se non in relazione all'insieme di conoscenze di cui una persona dispone". In meccanica quantistica la distribuzione delle probabilità è determinata, quello che si fatica a misurare è l'evento singolo perché chi compie la misurazione lo modifica. La statistica è una disciplina deterministica: se nella dinamica dei fatti sociali, si riscontrano delle regolarità statistiche, è chiaro che vi è un substrato deterministico.

Ci sono poi le vie di mezzo, ovvero le posizioni di chi vuole tenere insieme capra e cavoli, determinismo e libero arbitrio, e ci riferiamo alla corrente che sia in campo filosofico che scientifico viene definita compatibilista, e che vede uno dei suoi più conosciuti rappresentanti in Thomas Hobbes, il quale nel Leviatano, nel 1651, scrive:

" Libertà e necessità non si contraddicono: come nell'acqua, che ha non solo libertà, ma una necessità di discendere per un condotto. Allo stesso modo le azioni volontarie degli uomini, in quanto derivano dalla loro volontà, derivano dalla libertà; e tuttavia, in quanto ogni atto della volontà umana, e ogni desiderio ed inclinazione, deriva da una causa, e questa da un'altra causa, in una catena ininterrotta il cui primo anello è nelle mani di Dio, causa prima, esse derivano dalla necessità."

Vediamo, a questo punto, cosa dice uno dei compatibilisti a noi contemporanei, Daniel Dennett, il quale oscilla tra determinismo e indeterminismo. Egli sostiene che il determinismo potrebbe essere compatibile con alcune tipologie di libero arbitrio. Nel libro L'evoluzione della libertà descrive l'evoluzione della vita come un progredire delle forme viventi, dalla scelta binaria degli organismi unicellulari ("cibo sì, cibo no; lasciar perdere il no e andare verso il sì") fino ad arrivare ad un ventaglio più vasto di scelte che è caratteristica peculiare della classe dei mammiferi, tra cui vi è la nostra specie.

I compatibilisti sono dei dualisti: ammettono l'esistenza di cause e determinazioni materiali, ma alla fine non negano l'esistenza del libero arbitrio, e quindi della creazione. Il filosofo John Searle, per esempio, pur criticando alcuni aspetti del compatibilismo, ne adotta in pieno i principi: sostiene l'esistenza di un determinismo neurobiologico ma nega che basti per spiegare l'evento psicologico dell'azione intenzionale. Arriva alla conclusione che la mente umana possiede intenzionalità e il computer no, e quindi il computer non può avere una mente. Di qui anche la negazione di qualsiasi ipotesi di intelligenza artificiale "forte", in grado di replicare completamente l'intelligenza umana.

Questa tesi è datata, adesso il sorpasso sembra veramente vicino, si pensi all'appello lanciato da Elon Musk e firmato da mille tra accademici, luminari ed esperti di tecnologia per chiedere una moratoria di sei mesi all'addestramento di AI generative come ChatGPT, perché "potrebbe sfuggire dal controllo dei suoi creatori". Tali tecnologie si basano sul machine learning, quel settore dell'intelligenza artificiale che rende possibile l'apprendimento o il miglioramento dei sistemi e delle macchine in base ai dati che esse utilizzano. Si divide in due branche: il machine learning supervisionato, dove il ruolo del programmatore è ancora fondamentale, e quello non supervisionato, in cui gli algoritmi riconoscono processi e schemi complessi senza la guida degli uomini. I sistemi di intelligenza artificiale generativa, come ChatGPT, stanno sostituendo gli umani in molti compiti, e ciò, secondo uno studio della banca Goldman Sachs, potrebbe rendere superflui a breve fino a 300 milioni di posti di lavoro a livello globale. I ricercatori che lavorano nel settore sono preoccupati dalla crescente autonomia acquisita delle macchine: temono che le IA generative possano determinare situazioni che non sono in linea con gli obiettivi per cui sono state progettate. Alcuni di loro chiedono la costituzione di un'agenzia internazionale per l'intelligenza artificiale, convinti che un ennesimo carrozzone burocratico, senza poteri esecutivi, possa regolare lo sviluppo delle forze produttive. Ma in ambito tecnologico sta accadendo qualcosa di simile a quanto successo con l'evoluzione biologica, quando componenti elementari cominciarono ad assemblarsi nel brodo primordiale producendo componenti più complesse. La vita si è sviluppata da molecole non viventi, e non è detto che un domani dal silicio non possa emergere un'intelligenza più potente di quella a base di carbonio. La macchina potrebbe anche arrivare ad elaborare nuovi schemi per conoscere, diversi da quelli biologici.

Ritornando a Daniel Dennett, della sua opera ci siamo occupati in un paio di articoli: "Un mondo d'infinite relazioni" (n. 33) e "Fare, dire, pensare, sapere" (n. 38). Nella rivista abbiamo recensito anche due suoi libri, poiché riteniamo interessante quello che ha scritto e sicuramente di stimolo al nostro approfondimento sul tema.

In L'evoluzione della libertà, viene detto che l'uomo non risponde solo al determinismo, egli avrebbe smesso di farsi determinare dall'ambiente naturale cominciando anzi a modificarlo. Per Dennett, questa capacità umana di trasformare la materia fa sì che l'uomo si emancipi dalla necessità bruta che invece vincola il resto delle specie animali. Potrebbe anche sembrare ragionevole questa tesi, ma porre l'accento sulla raggiunta libertà umana è motivo di sospetto. E infatti nel finale del libro, si accettano in pieno le categorie filosofiche e politiche correnti, dove per "libertà" si intendono "i tesori della moderna educazione, la parità di diritti per le donne, le abitudini sanitarie migliori, i diritti dei lavoratori, gli ideali democratici e l'apertura alle culture degli altri".

In Coscienza che cos'è, Dennet osserva invece che qualsiasi programma relativamente semplice, come un programma di tipo informatico che esegue i compiti assegnati, è completamente privo di coscienza, si limita a trasformare stringhe di simboli in altre stringhe di simboli. Questo processo meccanico rende possibile l'estrema potenza dei calcolatori moderni, i quali sono arrivati ad un buon livello di simulazione del cervello. In questo, il filosofo statunitense, sembra fare proprie le teorie meccanicistiche dell'illuminista Julien Offray de La Mettrie esposte nel saggio L'uomo macchina (1747), dove mondo del nato e mondo del prodotto sono affrontati materialisticamente per mezzo di un principio unitario di organizzazione.

Per capire come funzionano i computer è dunque necessario capire come funziona il cervello. In La mente e le menti, altro libro di Dennett, si afferma che le macromolecole, come gli esseri unicellulari, funzionano come dei piccoli robot, ovvero in modo automatico e inconsapevole. Vi sono delle mutazioni meccaniche, e le cellule del nostro organismo sono come automi autoreplicanti capaci di svolgere un insieme ristretto di compiti. La loro cooperazione porta però ad un risultato complesso, che è quello che chiamiamo vita.

Il nostro cervello non ha una sala comando in cui lavora un solo "omuncolo", ma è composto da una serie di sale e di "omuncoli" con capacità limitate che cooperano tra di loro per raggiungere degli obiettivi, e il risultato di questa cooperazione è superiore alla semplice somma delle parti. Come sostiene il fisico Michio Kaku nel saggio Il futuro della mente :

"Il concetto di 'io', inteso come singola unità che prende tutte le decisioni, è un'illusione creata dal nostro stesso inconscio. Siamo convinti che la nostra mente sia un'entità singola che elabora le informazioni continuamente e senza intoppi, incaricata di tutte le nostre decisioni. Tuttavia, l'immagine che emerge dalle scansioni cerebrali è abbastanza diversa."

Anche l'informatico Marvin Minsky, nel libro La società della mente, sostiene che nella mente non c'è un vigile che dirige il traffico, ma vi sono tutta una serie di moduli e sotto-moduli che cooperano tra di loro, e da questo lavorio incessante di parti piccole e non intelligenti emerge quella cosa complessa che chiamiamo mente. La credenza del libero arbitrio è falsa, il mondo fisico non la contempla, anche se nella vita di tutti i giorni diamo per scontato che esista.

Competenza senza comprensione

La maggior parte degli organismi viventi hanno delle competenze senza avere comprensione. Sanno cosa fare senza che nessuno glielo abbia spiegato prima, perché sono biologicamente programmati.

A questo proposito Dennet nel libro Dai Batteri a Bach. Come evolve la mente, fa l'esempio dell'ascensore automatico, che ha delle competenze senza essere consapevole del proprio funzionamento; competenze che consistono nel fermarsi al piano richiesto dal passeggero. Anche il nostro organismo è composto di sistemi esperti che sono programmati per risolvere problemi senza che sia necessario capirli, senza avere coscienza, si pensi ad esempio al sistema immunitario.

Il neuroscienziato Giulio Tononi, padre della "teoria dell'informazione integrata", sostiene che un sistema fisico è cosciente nella misura in cui è in grado di integrare informazione da parti differenziate. Nel caso del cervello, la coscienza sarebbe il risultato dell'integrazione delle informazioni che arrivano da molte sue aree, ed è in qualche modo misurabile. Quindi, maggiore integrazione di informazione = più coscienza.

In natura sono presenti degli stimoli che modificano il comportamento dell'essere vivente. Facciamo un esempio: se c'è troppo caldo l'uomo cerca un luogo dove faccia più fresco, si comporta come un termostato, un sistema capace di cedere o assorbire calore senza mutare la propria temperatura. In natura l'organismo vivente si adatta all'ambiente oppure soccombe. Se l'adattamento biologico, ovvero la capacità di risoluzione di un problema, è proficuo, allora tende a diffondersi.

Se/allora (if/then): così funzionano la logica del vivente e anche quella dei computer.

Per capire la struttura della mente occorre usare il metodo dell'ingegneria inversa, ovvero operare una retroingegnerizzazione, indagare come siamo arrivati ad essere quello che siamo, ovvero dedurre da un risultato raggiunto i passi compiuti per giungervi. Il computer è una esteriorizzazione di noi stessi; studiare il suo funzionamento, la sua storia, serve a capire la nostra. D'altronde, la storia dell'industria è parte integrante della nostra evoluzione biologica, e adesso grazie ai risultati raggiunti dal sistema industriale cominciamo a capire qualcosa di più su noi stessi. Pensiamo all'ambizioso Human Brain Project, diretto dal neuroscienziato Henry Markram, che vede la collaborazione di decine di università e centri di ricerca: il progetto ha come obiettivo la decriptazione del cervello umano, ovvero la comprensione di come le sue parti interagiscano fra loro (a livello di micro, meso e macroscala), mettendo insieme saperi che provengono dalle neuroscienze, dalle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni.

Dennett sembra in linea con la "nostra" concezione materialistica quando parla di teoria computazionale della mente, poi però fa entrare in gioco la complessità, per cui piccole variazioni nei parametri possono avere effetti enormi. Il che è vero, la complessità esiste in natura, piccole variazioni iniziali producono grandi cambiamenti finali, ma questo non giustifica l'indeterminismo. Secondo Dennett non è vero che per ogni istante ci sia solo un futuro fisicamente possibile; tuttavia, egli ribadisce che siamo quello che siamo solo per un ferreo determinismo basato su regole semplici.

Una evidente contraddizione, come sostenere che non siamo più soggetti a vincoli naturali. Per un materialista questo è un non senso: dato lo stato dell'universo, in un dato momento esiste solo un futuro deterministicamente possibile. Che poi non si abbiano gli strumenti necessari per dimostrarlo al livello della meccanica quantistica è un altro discorso, che riguarda gli attuali limiti della conoscenza. Comunque, come detto prima, se esiste una branca della fisica che va sotto il nome di meccanica statistica, e che utilizza la teoria della probabilità per lo studio del comportamento di sistemi composti da un grande numero di particelle, vuol dire che delle regolarità nel micromondo ci sono.

Non solo siamo soggetti a vincoli naturali ma anche a vincoli sociali, i quali sono altrettanto forti, sono come delle catene. Per di più, giusta Marx, viviamo ancora nella preistoria umana, siamo delle scimmie nude (Desmond Morris), e nemmeno nella società futura saremo completamente liberi - gli assoluti in natura non esistono -, in quanto rimarremo comunque vincolati dalla legge universale di gravitazione. Ma poi, quelli sociali non sono forse anch'essi dei vincoli naturali? E il comunismo non è forse il traguardo di un lungo e travagliato processo evolutivo? Di un'evoluzione che non è graduale ma procede a salti come nel diagramma a "dente di sega" della Sinistra Comunista?

Gli incompatibilisti sostengono, e noi siamo d'accordo con tale tesi, che se esiste il libero arbitrio non esiste il determinismo, e viceversa. Nel mondo dell'incompatibilismo vi sono due correnti antitetiche: i deterministi e i libertari.

I libertari affermano, per difendere la tesi indeterministica, l'incompatibilità tra le leggi del mondo micro (meccanica quantistica) e le leggi del mondo macro (meccanica classica), e vogliono dimostrare che l'universo non è trattabile come fosse una totalità. Vi sarebbero diversi livelli di mondo e diverse leggi, applicabili agli uni e non agli altri. La mente, ad esempio, secondo alcuni di essi, esisterebbe grazie all'amplificazione del caos quantistico.

Il fisico Federico Faggin, padre del microprocessore, scivolando completamente nell'indeterminismo arriva a sostenere che il libero arbitrio esiste ed è di natura quantistica. Nel libro Irriducibile. La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura, che più che di fisica tratta di filosofia, scrive:

"Ritengo che sia impossibile spiegare la vita senza i concetti di coscienza e libero arbitrio, perché i due sono indissolubilmente legati agli aspetti quantistici-classici della realtà fisica in modi che dobbiamo ancora investigare e comprendere. Un organismo vivente può agire come un'unità dotata di libero arbitrio, intenzione, scopo e significato, proprietà che non possono derivare da un sacchetto di atomi e molecole inconsci che interagiscono probabilisticamente tra di loro. La coscienza è ciò che dà percezione e comprensione all'organismo, mentre il libero arbitrio è ciò che gli permette di agire come entità unificata con un'intenzione propria e basandosi sulla comprensione della coscienza."

L'indeterminismo fisico però, a ben vedere, non garantisce la libertà dell'individuo, tanto difesa dai libertari, anzi, la renderebbe impossibile. Se il mondo fosse davvero indeterminato le stesse azioni umane, al pari degli eventi fisici, non potrebbero essere determinate nemmeno da chi le compie. Nemmeno chi inizia un'azione potrebbe avere la sicurezza di determinarla perché a decidere è il caso. E allora come si possono fare progetti a breve, medio e lungo termine se non si ha il controllo su di essi?

I difensori della libertà umana, i libertari (che siano di destra o sinistra, poco importa), si trovano perciò a negare proprio la loro ragion d'essere: la libertà.

Pertanto: per rendere possibile l'esistenza del libero arbitrio, l'io singolo (o quello collettivo) dovrebbe avere il potere di iniziare nuove catene causali senza esserne determinato. Gli agenti dotati di questi poteri sono paragonabili ai motori primi di aristotelica memoria: nel pensiero di Aristotele, infatti, il motore primo rappresenta la causa prima del divenire dell'Universo.

I creazionisti trovano posto anche in ambito "rivoluzionario", sono quelli che sostengono che è ora di creare le condizioni per la ripresa della lotta di classe, che bisogna rimboccarsi le maniche, darsi da fare, creare rapporti di forza favorevoli al proletariato, creare il partito comunista, come se questo fosse un qualcosa che si può costruire a tavolino. L'atteggiamento antiscientifico è dunque presente anche in ambienti che dovrebbero adottare un approccio scientifico, quindi deterministico, allo studio dei fatti sociali. Sentiamo come affronta l'argomento la nostra corrente in "Raddrizzare le gambe ai cani" (1952):

"La storia la fanno gli uomini, soltanto che sanno assai poco perché la fanno e come la fanno. Ma in genere tutti i 'patiti' dell'azione umana, e i dileggiatori di un preteso automatismo fatalista, da una parte sono quelli che accarezzano - nel proprio foro interiore - l'idea di avere nel corpicciuolo quel tale Uomo predestinato, dall'altra sono proprio quelli che nulla hanno capito e nulla possono; nemmeno intendere che la storia non guadagna o perde un decimo di secondo, sia che essi dormano come ghiri, sia che realizzino il sogno generoso di dimenarsi come ossessi."

Alcuni critici del determinismo (anche "comunisti"), sostengono che solo parlando di azioni, e quindi di volontà, possiamo descrivere i comportamenti umani, altrimenti entriamo nel campo della fisica, e al posto del vocabolario agenziale (mentale) usiamo quello delle scienze della natura trattando l'uomo al pari di un ammasso di atomi e molecole (come fa, per esempio, il fisico Mark Buchanan con la sua "fisica della storia"). Utilizzando le scienze della natura per spiegare il funzionamento della società umana, dicono i difensori del sapere umanistico o presunti tali, arriveremo a negare l'apporto della cultura umana, a cominciare dal sapere letterario, artistico, ecc.

Ma siamo proprio sicuri di ciò? Per il marxismo non si tratta di negare la cultura umana, ma di spiegarne l'origine materiale. La storia la fanno gli uomini, certo, ma non è detto che sappiano in ogni momento quello che stanno facendo o che faranno. Si tratta allora di poggiare la storia sui piedi (materia) e non sulla testa (idee), di ribaltare la prassi corrente. Gli umanisti temono che con l'imporsi di una concezione materialista della storia venga ridimensionato il sapere umanistico rispetto a quello scientifico; ma la specie, raggiunto questo stadio di sviluppo delle forze produttive, non può fare a meno di ricorrere all'unificazione della conoscenza.

Come detto prima, non esiste una terza via tra determinismo e indeterminismo, e il compatibilismo, in campo scientifico, è una specie di riformismo, che vuole tenere insieme gli opposti. Tutti quelli che cadono nell'indeterminismo non riescono a trovare una soluzione al problema del libero arbitrio e sono costretti a rivolgersi all'esterno della fisica, e si inventano Dio o qualche altra forma di Creazione.

La mente estesa

Steven Pinker, scienziato cognitivo statunitense, in un suo famoso libro, Come funziona la mente, in poche righe nega la nozione di libero arbitrio, mostrandone tutte le falle:

"Che la scienza, indipendentemente da quanto scopre, sembri corrodere il libero arbitrio è indubbio, perché le spiegazioni di tipo scientifico non sono compatibili con la misteriosa nozione di causa incausata che sottende la volontà. Se gli scienziati volessero dimostrare che il libero arbitrio esiste, che cosa dovrebbero cercare? Qualche evento neurale casuale che il resto del cervello amplifica in un segnale che innesca il comportamento? Ma un evento casuale non s'accorda con il concetto di libero arbitrio più di uno regolare, e non può essere la tanto ricercata sede della responsabilità morale."

Il tema sollevato da Pinker rimanda a un altro autore, il neuroscienziato Michael S. Gazzaniga. Anche questi, avendo ben presenti i risultati degli esperimenti di Libet, si domanda come si possa considerare il concetto di libero arbitrio:

"Libet ha determinato che i potenziali del cervello stanno funzionando trecentocinquanta millisecondi prima che voi abbiate l'intenzione cosciente di agire. Quindi, prima che siate consapevoli di pensare di voler muovere un braccio, il vostro cervello si sta già preparando per realizzare quel movimento!" (Gazzaniga, The Mind's Past, 1998)

Solo alcune frazioni di secondo dopo che è partita l'azione, vi è la presa di coscienza, e in quel momento, dice Libet, si illumina il disco verde o quello rosso: continuare l'azione o bloccarla:

"Dagli esperimenti iniziali di Libet, come prevedevano i primi psicologi, i test sono diventati più sofisticati. Grazie alla fMRI (functional magnetic resonance imaging, risonanza magnetica funzionale) oggi non pensiamo più al cervello come a un sistema statico, ma come a un sistema dinamico costantemente attivo. Utilizzando queste tecniche, nel 2008 John-Dylan Haynes e colleghi hanno approfondito gli esperimenti di Libet mostrando che i risultati dell'impulso a fare qualcosa possono essere codificati nell'attività cerebrale fino a dieci secondi prima che entrino nel flusso di coscienza." (Gazzaniga, Chi comanda? Scienza, mente e libero arbitrio, 2013)

Dunque, non è solo la freccia del tempo da prendere in considerazione, ma anche la complementarità dei processi cerebrali. Per Libet, la coscienza è un qualcosa di meccanico, che scatta in un certo momento, per Gazzaniga si tratta invece di un fenomeno emergente dalla complessità dell'attività cerebrale. L'azione è il prodotto di componenti che hanno origine sia all'esterno che all'interno del cervello. Tale visione rimanda più o meno direttamente al filone d'indagine cibernetico applicato al funzionamento della mente: l'emergentismo. Per questa corrente, rientrante nell'ambito della "filosofia della mente", la mente è un fenomeno emergente dall'interazione fra varie componenti fisiche, organiche ed inorganiche. I fenomeni mentali sarebbero dunque proprietà emergenti del cervello.

Gregory Bateson in Verso un'ecologia della mente, sostiene che una parte non può controllare il tutto, e si chiede: un calcolatore può pensare? La mente è solo all'interno del cervello?

Un computer è programmato per attivare il ventilatore quando i suoi meccanismi si riscaldano, e quindi adotta un comportamento di tipo mentale. Bateson dice che la mente è immanente ai circuiti cerebrali del cervello, i quali sono collegati al resto del corpo, che a sua volta è inserito nel più vasto sistema uomo-ambiente. Possiamo dunque allargare di molto i limiti dell'io, introducendo la categoria di "io esteso" o, meglio, di "io spazialmente esteso".

Per spiegare questo concetto Bateson fa un esempio: quando un boscaiolo è intento ad abbattere un albero, avvia un processo autocorrettivo; ogni colpo dell'accetta modifica l'albero, e ciò modifica il comportamento successivo del boscaiolo, ovvero il modo in cui impugnerà l'accetta e la forza che imprimerà al colpo successivo. Il complesso di tali azioni rappresenta un sistema mentale che retroagisce su sé stesso.

Un sistema che trasforma differenze produce altre differenze, le quali producono nuove unità di informazione. In questo percorso circolare è difficile capire dove inizia e dove finisce l'io. Possiamo applicare il ragionamento fatto per il boscaiolo al rapporto uomo-computer e al più esteso rapporto uomo-computer più Internet:

"L'unità autocorrettiva totale che elabora l'informazione, o che, come dico io, 'pensa' e 'agisce' e 'decide', è un 'sistema' i cui confini non coincidono affatto coi confini del corpo o di ciò che volgarmente si chiama l''io' o la 'coscienza'; ed è importante osservare che vi sono 'molteplici' differenze tra il sistema pensante e l''io' come viene volgarmente concepito." (Bateson, Verso un'ecologia della mente)

Kurzweil, che è un esponente di punta del transumanesimo, corrente che vede il futuro come una fusione sempre più stretta dell'uomo con la macchina, la quale porterà l'uomo all'immortalità, nel suo libro Come creare una mente si pone la seguente domanda: visto che vi sono apparecchiature tecnologiche che vengono impiantate stabilmente all'interno e all'esterno del corpo umano, le quali ne amplificano i sensi e le capacità, dove va a finire l'identità personale?

Kurzweil è convinto che tra qualche decennio vi saranno dispositivi tecnologici microscopici, dei nanorobot, che verranno immessi stabilmente nel corpo e avranno il compito di riparare ciò che è danneggiato o segnalare le disfunzioni a computer predisposti in modo che si possa intervenire tempestivamente.

Secondo la legge dei ritorni acceleranti, ogni nuovo progresso tecnologico rende possibili diversi progressi di livello più elevato. Le tecnologie si miniaturizzano e lo fanno in modo sempre più veloce. Saremmo ancora "noi" tra qualche decennio, quando fossimo pieni di apparecchiature e dispositivi tecnologici impiantati o circolanti all'interno del nostro corpo? Qual è il punto in cui ci saremo trasformati in qualcos'altro?

Biologicamente parlando, il corpo si rinnova quasi totalmente con la morte cellulare (apoptosi), ma adesso si sta facendo avanti un ulteriore processo di rinnovamento, questa volta "artificiale", attraverso protesi di vario tipo. Neuralink, l'azienda di neurotecnologie di Elon Musk, punta a collegare direttamente il cervello umano ai computer per mezzo di un dispositivo impiantato all'interno della nostra testa (Brain Computer Interface). Esistono già oggi protesi robotiche che possono operare collegandosi direttamente al cervello, dando così la possibilità a chi è paralizzato di comunicare e di compiere azioni altrimenti impossibili.

Possiamo modificarci intervenendo sulla biologia attraverso la tecnica. L'artificiale ormai domina il biologico nella produzione come in tanti altri ambiti della vita. Ciò solleva un sacco di interrogativi di natura etica, pensiamo all'eugenetica, tema che abbiamo affrontato in alcuni articoli rivista.

È degli ultimi anni l'avvento del digital twin personale, un gemello digitale di noi stessi, che accumula dati su di noi, dai gusti, alle abitudini, allo stato di salute, tramite sensori come il telefonino, il tablet e lo smartwatch, li elabora in tempo reale e predice scenari futuri, guidandoci nelle scelte di ogni giorno. Con questo assistente "virtuale" che ci controlla, pianifica, progetta e sceglie per noi, cosa resterà, si chiedono in molti, del libero arbitrio, dell'autonomia individuale?

Oggi dai sociologi vengono presentate varie concezioni di io (ecologico, somatico, narrativo, esteso, sociale, ecc.), e ciò vuol dire che si tratta di concetto difficile da inquadrare, e che anche gli addetti ai lavori faticano a definirlo. C'è da chiedersi, alla luce delle ultime innovazioni tecnologiche, se il nostro io comprenda anche il nostro digital twin o il nostro avatar nel Metaverso.

Per i comunisti l'io non è qualcosa di sacro, e nemmeno di definibile una volta per tutte, esiste solo come "io-sociale", entità dinamica, non come realtà isolata e indipendente, se non a livello ideologico. Per Marx, "l'essere umano non è un'astrazione immanente all'individuo singolo. Nella sua realtà, esso è l'insieme dei rapporti sociali." (Tesi su Feuerbach, VI)

Natural Born Cyborgs

Nel 1998 Andy Clark e David Chalmers, il primo docente di Logica e Metafisica a Edimburgo, il secondo di filosofia della mente presso l'Australian National University e l'Università di New York, hanno pubblicato il saggio The Extended Mind. I due ricercatori sono dei sostenitori del modello della mente estesa, negano cioè l'interesse per i confini tra mente, corpo e ambiente, rifiutando il dualismo in ogni sua forma, e pongono l'accento sull'importanza dei fattori esterni al sistema nervoso nella formazione della mente cosciente: vi è sempre un insieme dinamico che comprende il cervello-corpo e l'ambiente in cui esso è inserito.

Per certi versi, anche Marx parlava di mente estesa nei Grundrisse, introducendo la definizione di General Intellect. Un biologo molecolare come Joël De Rosnay ha coniato il neologismo "cibionte" per definire il rapporto simbiotico tra l'uomo e il mondo da esso prodotto. Si sta in effetti formando un superorganismo per metà biologico e per metà artificiale. De Rosnay nota come numerose funzioni biologiche siano oggi duplicabili su macchine, e queste ultime stiano acquisendo caratteristiche quasi biologiche.

La nostra evoluzione extra-corporea (reti, computer, ecc.) è un fatto ormai assodato, ed è nata una corrente di pensiero che tenta di coglierne le implicazioni epistemologiche. Si tratta dell'esternalismo, posizione inerente alla filosofia della mente, in contrasto con l'internalismo, secondo la quale la mente emerge esclusivamente dall'attività neuronale. Per l'esternalismo i processi cognitivi sono un prodotto anche di materiale extra-organico, come dimostra il nostro rapporto sempre più stretto con la tecnologia. E allora non bisogna fissarsi sulla materia della mente ma studiare come si trasmette l'informazione da un luogo all'altro, qual è l'organizzazione che ne rende possibile la trasmissione. Il mezzo, da questo punto di vista, come sostengono i cibernetici, è del tutto neutrale.

I teorici della "mente estesa" si domandano: dove finisce la mente e dove comincia il resto del mondo? E si danno la seguente risposta: non c'è nulla di sacro nel cranio e nella pelle. L'elaborazione dell'informazione può venire svolta anche all'esterno del corpo umano, per mezzo di estensioni di varia natura.

Viviamo in un sistema integrato mente-cervello-corpo-ambiente. Artefatto è anche il linguaggio. O meglio, l'alfabeto è un insieme di artefatti che rendono possibile il linguaggio. La nostra specie in realtà è sempre stata un cyborg;adesso il confine tra organico e inorganico è sempre più labile, tanto che negli ultimi decenni è fiorita una letteratura che va sotto il nome di cyberpunk (i cui interpreti più famosi sono William Gibson, Neal Stephenson e Bruce Sterling).

Oltre agli organi di senso "naturali", ne abbiamo costruiti di "artificiali", i quali potenziano le nostre capacità. La natura trasforma sé stessa giungendo all'industria tramite l'uomo, perciò "la vera natura antropologica" è il complesso natura-uomo-industria. Scienza dell'uomo e della natura un giorno si integreranno e allora "non ci sarà che una sola scienza". Il Marx dei Manoscritti del 1844 era un cibernetico ante litteram!

Oggi che tale processo è giunto a maturazione, chi si occupa delle nuove tecnologie in relazione alle trasformazioni sociali, anche se non si richiama esplicitamente al marxismo, è costretto a capitolare ideologicamente di fronte ad esso:

"Quando le nostre tecnologie si adattano a noi in modo attivo, automatico e continuo così come noi ci adattiamo a loro - allora la linea che separa lo strumento dal suo utilizzatore diviene incerta. Queste tecnologie saranno sempre meno degli strumenti e sempre più parte dell'apparato mentale delle persone. Rimarranno strumenti solo nel senso paradossale in cui lo sono le mie strutture neurali che operano inconsciamente." (Natural-Born Cyborgs, Andy Clark, 2003)

Clark e Chalmers fanno una differenza tra artefatti trasparenti (chip nel cervello o pacemaker nel torace) e opachi (visibili ed esterni, come gli occhiali o un impianto cocleare). Ma su che base uno strumento è classificabile in un campo oppure nell'altro? La differenza non è sempre netta: pensiamo all'uso compulsivo che facciamo degli smartphone e di altri dispositivi tecnologici, i quali tracciano ogni nostra preferenza, abitudine o gusto, depositando il tutto in giganteschi archivi digitali, da cui le aziende pescano dati per la pubblicità mirata. I telefonini sono esterni a noi, al nostro corpo, ma senza di loro nella vita di tutti i giorni saremmo perduti.

Chi lavora nei settori di punta della tecnologia definisce come Symbiotic Autonomous Systems (Sistemi Simbiotici Autonomi), gli ambienti collaborativi che si generano dall'interazione sempre più stretta tra l'essere umano e le macchine. L'io, a questo punto, diventa un insieme di elementi biologici e artificiali mescolati insieme. E così si deflaziona, sfuma, svanisce. Sentiamo come affronta l'argomento la nostra corrente in "Superuomo ammosciati" (1953):

"Marx annunziò allo Stato moderno la sorte di essere fracassato e ridotto in frantumi. Engels e lui stesso definirono la sorte dello Stato rivoluzionario, che gli seguirà, come una lenta sparizione. All'Io di eccezione spetta la stessa sorte; deperire, svuotarsi, sgonfiarsi, dissolversi (sich auflosen), estinguersi, spegnersi (sich aufloeschen) come in Engels. Lenin ebbe un altro termine espressivo: assopirsi… Assopimento dei grandi uomini!"

Dove non è arrivata la rivoluzione, schiacciata da decenni di demo-fascio-stalinistico superomismo, è arrivato lo sviluppo tecnologico. E questo ha determinato la produzione di nuove teorie, "cibernetiche", come quelle di Clark, Charmers, Bateson e altri, che possono essere annoverate tra le "capitolazioni ideologiche", e meritano dunque di essere studiate. L'importante è non cadere nel trabocchetto della mente intesa come processo esteso all'infinito e quindi indefinibile, il che porterebbe alla famosa notte delle vacche nere.

Indagine sulle leggi del pensiero

Ricorriamo al neuroscienziato Vilaynur Ramachandran per fornire un po' di dati in merito alle strutture e alle componenti del nostro cervello, tanto per dire quanto quest'organo sia denso di hub e link, e pertanto quanto sia difficile capirne il funzionamento:

"Il cervello umano, si dice, è la struttura più complessa dell'universo. Per rendersene conto, basta considerare alcune cifre: è composto da cento miliardi di neuroni, le cellule nervose che sono le fondamentali unità strutturali e funzionali del sistema nervoso, e ciascun neurone ha con gli altri dai mille ai diecimila punti di contatto o sinapsi. È nelle sinapsi che avviene lo scambio di informazioni. In base a questi dati, si è calcolato che il numero di possibili permutazioni e combinazioni dell'attività cerebrale, cioè il numero di stati mentali, superi il numero di particelle elementari dell'universo conosciuto." (Che cosa sappiamo della mente)

Il cervello, pur essendo così complesso, è paragonabile a un super-computer, non può essere diversamente, altrimenti dovremmo credere che risponda a leggi diverse da quelle che spiegano il funzionamento del resto del mondo. Anche se non lo conosciamo a fondo, è chiaro che il suo funzionamento è spiegabile ricorrendo ad elementi digitali, quantificabili, cioè a bit, senza il bisogno di ricadere nei concetti antistorici di anima o di spirito.

Gli elementi di base che fanno funzionare il cervello sono i neuroni e le sinapsi. Le connessioni sinaptiche si attivano per mezzo della trasmissione di un impulso nervoso (al pari dei neuroni nel cervello, i miliardi di individui-neuroni che compongono la specie umana scambiandosi informazioni e interagendo tra di loro formano un cervello sociale planetario).

Su una base analoga il matematico John von Neumann aveva ideato nella metà degli anni '40 del secolo scorso un modello di computer che prevede l'esistenza di un processore o unità centrale di elaborazione, in cui vengono eseguite le operazioni aritmetiche e logiche; una memoria in cui sono immagazzinati il programma e i dati; e i canali di ingresso/uscita. Il collegamento tra questi sottosistemi è realizzato da un particolare dispositivo detto Bus.

Nel 1956 von Neumann inizia ad accumulare materiale che tratterà in varie conferenze utilizzate poi per la pubblicazione postuma del libro The Computer and the Brain nel 1958 nel quale si spiega in che modo il cervello possa essere inteso come una specie di computer, composto da schemi in parallelo e in serie.

Quello di von Neumann è uno dei primi studi sul cervello dal punto di vista della logica e dell'informatica. Egli nota come l'output dei neuroni sia digitale: un assone (prolungamento della cellula nervosa che trasmette gli impulsi nervosi dal corpo cellulare verso la periferia), o si attiva o non si attiva, genera o non genera l'impulso nervoso. Ci sono quindi delle regole che governano il funzionamento del cervello al pari di quelle che regolano il computer. Nel costruire i computer gli uomini hanno preso spunto da qualcosa che già esisteva: per i materialisti la categoria "creazione" non esiste.

Il cervello è un sistema misto, digitale e analogico insieme, e perciò non ancora simulabile completamente dalla macchina, in quanto difficile da riprodurre nella sua complessità. Potrebbe anche non essere utile arrivare alla sua completa riproducibilità tecnica, ciò che interessa è il potenziamento dell'intelligenza umana per mezzo del computer-protesi. Comunque, sta emergendo una concezione della coscienza come capacità bio-computazionale, che è diversa da quella computazionale della macchina. Qualcuno sostiene inorridito che il funzionamento di base del cervello non può essere ridotto al funzionamento binario dei computer (0 e 1, acceso e spento), però, come sostiene Dennett: "Qualsiasi alfabeto finito di segnali con classi di equivalenza rappresenta un tipo di digitalizzazione".

Il cervello-formicaio comunista

Il divulgatore scientifico Douglas Hofstadter ha indagato a lungo le somiglianze tra mondo umano e animale dedicando uno dei dialoghi più interessanti del suo libro Gödel, Escher, Bach: un'eterna ghirlanda brillante, al paragone tra la vita del formicaio animata dal lavorio incessante delle formiche e quella del cervello resa possibile dalla cooperazione di miliardi di neuroni.

Egli vede una forte similitudine tra le formiche nel formicaio e i neuroni nel cervello: la collaborazione tra le singole unità, basata su istruzioni relativamente semplici, produce un qualcosa di molto complesso. Nessuna formica, come nessun neurone, possono funzionare da soli.

Nel testo citato Hofstadter fa delle osservazioni molto interessanti: sostiene che "un formicaio all'interno è organizzato secondo principi comunistici… Il comunismo domina al livello delle formiche. In un formicaio tutte le formiche lavorano per il bene comune, e qualche volta perfino contro i loro stessi interessi individuali"; ma è molto probabile che il formicaio non abbia coscienza di essere comunista. "Di solito gli esseri umani non sanno nulla dei loro neuroni; in verità essi sono addirittura contenti di non sapere nulla del loro cervello." La maggior parte dell'umanità non sa "alcunché di questa organizzazione comunistica inerente alla sua stessa struttura."

Come abbiamo detto, nel piano di produzione interno alla fabbrica vi è la negazione della legge del valore, visto che gli operai parziali non si scambiano merci ma si passano semilavorati, collaborano, e lo fanno senza essere coscienti dell'organizzazione comunistica (lavoro associato) inerente alla stessa struttura capitalistica. Di questo movimento contradditorio interno al modo di produzione capitalistico sono consapevoli i comunisti che proprio in questo "funzionamento" vedono come il comunismo non sia un'utopia o un'ideologia, ma è movimento materiale che nega l'esistente.

Gli studi sulle reti neurali sono fondamentali per capire come funziona il cervello e poterlo simulare. A quanto pare, "siamo l'unico organismo della Terra così complesso da essersi cimentato nell'ardua impresa di decifrare il proprio linguaggio di programmazione". Da qualche anno le ricerche neuroscientifiche si sono indirizzate sul connettoma, ovvero la mappatura comprensiva di tutte le connessioni neurali nel cervello (le quali cambiano costantemente nel tempo) al fine di capire come questo organo processa le informazioni. Sull'onda del Progetto Genoma Umano, nel 2009 è nato il Progetto Connettoma Umano: l'intento è quello di accedere alle basi biologiche della nostra identità. Con lo sviluppo di questa branca, forse un domani sarà possibile fare un mind uploading, il trasferimento della mente umana in un computer o in un robot. La realtà, in questo caso, supererebbe la fantascienza.

Il biofisico Stuart Kauffman dimostra come il funzionamento del genoma somigli a quello del funzionamento di un computer, che lavora in parallelo, eseguendo le istruzioni secondo una logica binaria. Stesso discorso si può fare per i neuroni, che ricevono le informazioni tramite i dendriti (loro prolungamenti che veicolano l'impulso nervoso dalla periferia verso il corpo cellulare), e le trasmettono agli altri neuroni tramite l'assone.

Ogni cervello sviluppa delle peculiari reti neurali, dei collegamenti tra aree cerebrali che si modellano e rimodellano secondo gli stimoli ricevuti. Oltre ai nostri geni, sono le esperienze che facciamo del mondo circostante grazie agli organi di senso (occhi, orecchie, bocca, naso e pelle), a determinare la nostra identità, che è appunto qualcosa di mutevole nel tempo.

Nel 1943 il neurofisiologo Warren McCulloch e il matematico Walter Pitts, indagando insieme la relazione che intercorre tra logica e reti nervose arrivarono a progettare un modello di sistema nervoso centrale. McCulloch e Pitts considerarono il neurone l'hub (corpo) di una rete di link (assoni), dotato di un certo numero di input e di un certo numero di output, e dimostrarono che la complessità del cervello poteva essere ridotta ad una serie di meccanismi semplici, come aveva fatto Alan Turing con la sua macchina universale.

L'uomo non può creare nulla, può però trasformare la materia e così trasformare sé stesso. Adesso che siamo riusciti a riprodurre parte di quello che siamo in un supporto inanimato, cioè ad ingegnerizzazione parte del nostro modo di ragionare, stiamo lavorando sia sull'intelligenza artificiale debole (razionalità) che su quella forte (ragionevolezza). E scopriamo che sul cervello ci dice di più una risonanza magnetica che tanti trattati filosofici sul funzionamento della mente. Quando "pensa", questo particolare organo produce calore e quindi consuma energia, e il consumo è quantificabile. Sappiamo che il cervello è una macchina efficiente, che richiede poca energia per funzionare, molta meno di quella che impiegano mediamente i moderni calcolatori.

Alcuni fisici sostengono che la nozione di tempo, cioè di freccia unidirezionale, trova la sua origine proprio dalla dissipazione di calore che ha luogo nel cervello. Carlo Rovelli, nel libro L'ordine del tempo , nota che ogni volta che si manifesta una differenza fra passato e futuro, c'è di mezzo il secondo principio della termodinamica.

Il cervello, per i materialisti, non è altro che una macchina computazionale perfezionata, provvista di una notevole capacità di auto-organizzazione. Pensiamo al saggio Indagine sulle leggi del pensiero su cui sono fondate le teorie matematiche della logica e delle probabilità, del matematico George Boole: egli identificava tutte le affermazioni con lo 0 e con l'1, e pensava il suo sistema come una matematica senza numeri. O meglio, gli unici numeri consentiti erano zero (nulla) e uno (universo). Boole sosteneva che le leggi matematiche connesse all'uso dei simboli logici, altro non sono che leggi del pensiero. Un'affermazione rivoluzionaria per essere stata fatta a metà '800.

In genere, molti dei raggruppamenti che pur si dichiarano comunisti non sono neppure giunti al livello di questi risultati della borghesia, che hanno gettato le basi dell'informatica. Anzi, molti "rivoluzionari" dicono apertamente che non sono interessati alla produzione scientifica odierna. C'è una tragica mancanza di teoria e persino di curiosità verso la conoscenza (borghese o di specie?), e questo ha delle ricadute anche sull'attuale stato della lotta di classe, come abbiamo scritto nell'articolo "Dov'è finito il Futuro?" (n+1 n. 46).

Il prigioniero libero

È il titolo del saggio di Giuseppe Trautteur, un evidente ossimoro, su cui ruota tutto il ragionamento ivi contenuto, che analizzeremo.

Cogliamo l'occasione per ribadire che la borghesia è consapevole che in fisica opera il determinismo, ma nega che ciò sia valido nello studio della società, a differenza del marxismo che individua delle leggi che regolano il funzionamento delle società umane. Ciononostante, i borghesi che lavorano in certi ambiti scientifici sono costretti a porsi degli interrogativi e ad arrivare deterministicamente a certe conclusioni. Sono casi isolati, ma ultimamente le voci controcorrente aumentano. Trautteur è una di queste: fisico e informatico, interessato ai temi della cibernetica e della calcolabilità (algoritmi evolutivi, reti neurali, teoria della complessità di calcolo, modellistica computazionale, ecc.).

Si è occupato anche di libero arbitrio e nel libro preso in esame, nelle prime pagine, si chiede: c'è qualcuno dentro di me, dentro a questo corpo? Quando compiamo un'azione sentiamo un senso di appartenenza, pensiamo del tutto naturalmente che la scelta sia nostra, ma se ciò fosse vero vorrebbe dire che abbiamo la capacità di modificare il corso degli eventi che altrimenti avrebbe potuto essere diverso. Siamo così potenti? È la mente che agisce sul cervello o viceversa? E poi, chi ha stabilito che io scrivessi le cose che sto scrivendo?

"Se non sono stato io a decidere la scelta, che pure è stata compiuta dal mio corpo, chi ha deciso? Nessuno. È accaduto che il cervello nel suo normale funzionamento ha compiuto quella che dall'esterno chiamiamo decisione. Ma non c'è alcuna decisione. Il cervello è un pezzo normale, ancorché complesso, dell'universo. È connesso con l'esterno, ha memoria, ed è perfettamente plausibile che gestisca la condotta sua e del corpo di cui fa parte. In questa condotta vi saranno certo scelte: anzi la gestione di un corpo e di un cervello è un'ininterrotta successione di scelte più o meno importanti. Ma a differenza della mente che decide le scelte, qui le scelte sono accadimenti naturali perfettamente giustificati dalla situazione materiale del momento. In realtà non sono scelte, ma conseguenze del precedente stato del cervello e dell'Universo." (Il prigioniero libero)

Trautteur sostiene che l'uomo al pari del computer opera delle scelte, o meglio, prende delle decisioni, in base ad una procedura, ad un algoritmo, ragionando in questo modo da materialista.

In linea di massima, la visione corrente dell'uomo si basa sul dualismo cartesiano (res cogitans, res extensa): la mente è un qualcosa di immateriale e spirituale, il corpo un qualcosa di materiale e meccanico. L'immateriale agisce sul materiale. La libertà mentale e la necessità fisica sono due cose differenti, anche se vi è un rapporto dialettico tra le due. Per Cartesio, il collegamento tra i due mondi è reso possibile dalla ghiandola pineale, anello di congiunzione tra anima e corpo.

Prima di Cartesio e del suo dualismo meccanicistico, gli uomini si erano dati degli strumenti che li aiutassero a prendere delle decisioni. Attraverso gli sciamani e seguendo dei riti particolari (lettura dei visceri degli animali, dei fondi di caffè, ecc.) facevano delle profezie per mettere in contatto i due mondi, quello materiale del corpo e quello immateriale dell'anima. Chi oggi si rivolge all'astrologia pensa che vi sia un piano preordinato indipendente dalla volontà individuale che attraverso determinati procedimenti si può decifrare.

Con l'avvento della società borghese nasce l'individuo, artefice del proprio destino e della propria fortuna, intraprendente, laborioso. Interessante, a tal proposito, il dibattito tra Martin Lutero ed Erasmo da Rotterdam sul libero arbitrio: Lutero nega la libertà dell'uomo di scegliere tra il bene e il male, mentre il cattolico Erasmo (vero borghese!) la afferma con forza.

Che l'individuo sia nato recentemente lo sostiene lo storico russoAron Ja. Gurevicnel libroLa nascita dell'individuo nell'Europa medievale, che individua la sua apparizione nella storia con i grandi imperi e le grandi conquiste.

La rivoluzione borghese produce i suoi strumenti umani, i suoi potenti megafoni. Uno di questi è Pierre-Simon Laplace, matematico, fisico e astronomo francese, un rappresentante della nuova rivoluzione in campo scientifico, per il quale una volta comprese tutte le posizioni e i moti delle particelle di materia in un dato istante, noi saremo in grado di calcolare matematicamente posizioni e movimenti di esse in qualunque futuro istante della vita del cosmo.

Grazie agli strumenti della matematica si possono scoprire le leggi che regolano l'universo. Per Galileo, con la scienza ci si può avvicinare alla conoscenza divina. Il libro della natura è scritto infatti nella lingua della matematica, i cui caratteri sono triangoli, cerchi e figure.

Tornando a Il prigioniero libero di Trautteur, egli vi elenca le varie possibili definizioni di libertà:

- Libertà fisica: quella dell'individuo che può alterare il mondo fisico.

- Libertà mentale: quella dell'individuo di pensare a piacimento.

- Libertà epistemica: non si può prevedere quello che si farà prima che la scelta non sia avvenuta.

- Libertà sociale e politica: è quella della Rivoluzione francese (ideologia).

- Libertà psicoanalitica: l'auto-terapia permette di acquisire un controllo sulla propria mente.

- Libertà quantistica: non è vero che il mondo è determinato perché esiste un dualismo tra micro e macromondo.

Noi esseri umani pensiamo di essere la causa prima delle nostre azioni, e ciò è normale, perché così ci percepiamo nel mondo, ci sono delle cause biologiche, storiche e sociali che ci spingono a pensare in questo modo. Come scrive il neuroscienziato David Eagleman: "La mente conscia è bravissima a raccontarsi la favola di essere al comando". Ma il libero arbitrio è una mera illusione, paragonabile all'illusione di lunghezza di Müller-Lyer, che consiste nella percezione, nelle due figure a confronto, di una linea più lunga dell'altra, oppure all'illusione di Ebbinghaus in cui un cerchio centrale sembra più grande dell'altro.

Figura 2. Illusione di Müller-LyerFigura 2. Illusione di Müller-Lyer: benché le due linee siano in realtà della medesima lunghezza, l'effetto percettivo fa apparire una di una lunghezza maggiore o minore rispetto all'altra.
Figura 3. Illusione di EbbinghausFigura 3.Illusione di Ebbinghaus: i cerchi centrali sono esattamente della stessa grandezza, ma uno viene percepito più piccolo dell'altro.

Le neuroscienze hanno dimostrato che reagiamo istintivamente a certi stimoli visivi, mettendo in atto date azioni, e siamo coscienti di quello che facciamo solo in un secondo momento. Ci siamo evoluti così perché quando si presentano situazioni di pericolo non c'è tempo per pensare e devono scattare immediatamente degli automatismi volti ad attivare dei comportamenti che ci mettano in salvo.

Come abbiamo visto, quella "cosa" che chiamiamo coscienza non sembra pervadere tutta l'attività mentale, ma solo una piccola parte di essa (e anche su questa ci sarebbe da fare chiarezza). La maggior parte delle azioni che compiamo avvengono sotto il comando di un "pilota automatico":

"Alcuni test hanno evidenziato che nel rapporto naturale fra predatore e preda quest'ultima non può mai perdere troppo tempo per pensare. Quindi in presenza di una figura potenzialmente pericolosa sviluppa una percezione rapida, elementare: quando nel suo campo visivo entra una figura asimmetrica significa che è in prossimità di un animale visto di fianco, per cui assume un atteggiamento del tipo 'stiamo a vedere cosa succede'. Se nel suo campo visivo entra invece una figura a simmetria assiale significa: 'animale visto di fronte, possibile attacco, fuggire o difendersi'". ("Fare, dire, pensare, sapere", n+1 n. 38)

Ogni esperienza diretta che abbiamo del mondo è filtrata dagli organi di senso e poi viene elaborata dal cervello. Quel che vediamo è perciò una nostra ricostruzione della realtà. Vi è una differenza tra la percezione (sensi) e la realtà (misura), come dimostra, ad esempio, la foto della matita immersa in un bicchiere trasparente riempito di acqua, che ai nostri occhi sembra piegata, ma che in realtà non lo è affatto: la vediamo incurvata a causa della rifrazione dell'acqua.

Figura 4. Illusione otticaFigura 4. Una matita parzialmente immersa in un bicchiere d'acqua offre un semplice esempio di illusione ottica.

La percezione è la molla per iniziare a conoscere, ma non possiamo più basarci su di essa dopo l'avvento della scienza, ovvero del sapere intersoggettivo fondato su di un ben preciso metodo d'indagine. Abbiamo cronologicamente tre fasi che ci portano alla comprensione scientifica della realtà:

1) Esperienza primaria illusoria.

2) Esperienza secondaria di carattere analitico e constatazione del "tradimento" dei sensi.

3) Chiarificazione e spiegazione del contrasto tra le due esperienze.

Figura 5. TabellaFigura 5. Tabella tratta dal libro Il prigioniero libero.

Dice lo psicologo Daniel Wegner nel saggio L'illusione della volontà cosciente che la coscienza è una mera illusione del nostro cervello: il libero arbitrio "non è che una sensazione provata da un individuo. Sta all'azione come l'esperienza del dolore sta ai cambiamenti corporei provocati dallo stimolo doloroso". Gli fa eco il docente di neurochirurgia e neurologia Arnaldo Benini che nel saggio Neurobiologia della volontà, afferma:

"Le neuroscienze cognitive, con gli studi su coscienza e autocoscienza, hanno dimostrato con una miriade di esperimenti che prima di ogni azione, meccanica o mentale, le aree cerebrali specifiche di quella attività sono attive prima che si sia coscienti di quel che succederà. Nel momento in cui le aree dell'autocoscienza nei lobi prefrontali ricevono l'informazione di ciò che le aree specifiche hanno deciso di fare, si diventa non solo consapevoli di quel che il cervello ha disposto, ma anche sicuri che la nostra volontà abbia compiuto quella scelta in modo totalmente libero dai meccanismi fisico-chimici delle aree del cervello. E ciò è un'illusione, perché noi siamo ciò che il cervello ci fa essere e niente di più."

Il filosofo John Searle, come abbiamo visto, critica tali posizioni, essendo un assertore dell'esistenza dei qualia, fenomeni non quantificabili oggettivamente e non riducibili ai processi neurofisiologici del cervello. I nostri stati coscienti sarebbero - a detta sua -, caratteristiche sistemiche del cervello, qualità superiori agli elementi fisici (neuroni, sinapsi, microtuboli, ecc.) e non spiegabili partendo da essi. Searle sostiene che se accettassimo fino in fondo l'idea che non esiste il libero arbitrio, che il sé cosciente sia una mera illusione del cervello, ci troveremmo di fronte ad una rivoluzione epistemologica ben più vasta di quella copernicana ed einsteiniana. Sarebbe un cambiamento di paradigma che sconvolgerebbe (negativamente, per Searle) le basi della società.

Per Trautteur il problema del dualismo cervello-mente persiste ed è problematico per l'uomo d'oggi, perché allo stato attuale non abbiamo ancora risolto il problema di che cosa sia la materia, e di come da una sua particolare organizzazione, il cervello-corpo, emani la mente. Tuttavia è chiaro che l'esistenza del libero arbitrio si scontra con le stesse leggi di natura:

"Se la mente, tramite il cervello, ha la libera facoltà di indirizzare il corso dell'Universo in una specifica direzione tra due o più direzioni ipoteticamente possibili, ciò significa che occorre rivedere cos'è una legge di natura. Ci sarebbe una fondamentale e ancora sconosciuta connessione tra coscienza, volontà e natura ultima della materia." (Il prigioniero libero)

Durante un'intervista su YouTube, l'intervistatore chiede a Trautteur quali potrebbero essere le conseguenze sociali della negazione del libero arbitrio, e lui risponde che in effetti è bene che queste problematiche restino all'interno di ambienti ristretti: se si diffondesse questa nuova concezione del mondo, basata su una diffusa certezza dell'operare nelle società del determinismo, ne potrebbero conseguire problemi sociali provocati da un turbamento drammatico dell'uomo. Queste considerazioni non hanno alcun interesse scientifico, è invece chiaro che solo attraverso la negazione del concetto di libero arbitrio possiamo comprendere meglio il comportamento umano.

Ci dev'essere una spiegazione di tipo biologico-evolutivo del perché gli uomini provino la sensazione di essere le fonti uniche ed esclusive delle proprie azioni. Forse tramite il libero arbitrio (sostituto del fato) hanno acquisito maggiore sicurezza in sé stessi, in un mondo in cui sono spinti a credere di poter sopravvivere da soli, tramite le proprie scelte e azioni individuali.

Arnaldo Benini sviluppa una curiosa teoria, secondo la quale, anche se il libero arbitrio è solamente un epifenomeno, la credenza che esso esista è benefica perché salva l'umanità da sé stessa. Infatti, "per superare il senso opprimente del vincolo assoluto ai meccanismi nervosi della volontà, l'evoluzione ha selezionato il meccanismo nervoso dell'illusione della sua libertà" .

Ora, siccome viviamo nella preistoria della società umana, non riusciamo ancora a superare i meccanismi di auto-inganno che abbiamo messo in atto come specie per trovare un senso alle grandi domande riguardanti il significato della vita e della morte. Serve una rivoluzione sociale, un enorme fatto fisico, per potere iniziare a fare chiarezza sul nostro modo di conoscere, non basta la sola ricerca scientifica.

Che ne sarà del libero arbitrio?

La società di domani vedrà riproporsi, ad un livello superiore, il metabolismo sociale caratteristico del comunismo delle origini. Lasciatasi alle spalle una forma sociale animale, l'umanità potrà finalmente iniziare a conoscere sé stessa, le proprie origini, i propri limiti e le proprie potenzialità. Vi sarà così il passaggio dalla preistoria alla storia, attraverso un divenire rivoluzionario che romperà gli equilibri precedenti, mettendo finalmente in soffitta filosofia, religione e ideologia.

Non vi sarà più l'individuo-atomizzato-alienato ma un individuo-comunità-natura inteso come cellula di un organismo sociale, che si sente parte integrante dello stesso, e che si completa in esso. Nel comunismo originario non esisteva la nozione di libero arbitrio, così come quella di individuo, almeno come lo intendiamo oggi. Lo stesso discorso vale per l'idea di coscienza.

Scrive lo psicologo Julian Jaynes nel saggio Il crollo della mente bicamerale e l'origine della coscienza, analizzando il poema epico greco per eccellenza:

"Gli uomini dell'Iliade non hanno una propria volontà e certamente non hanno alcuna nozione di libero arbitrio. In effetti l'intero problema della volizione, un problema così difficile, secondo me, per la moderna teoria psicologica, è forse tanto difficile proprio per il fatto che le parole per designare tali fenomeni furono inventate solo così tardi."

Per Jaynes in altri tempi esistevano uomini che parlavano, ragionavano e risolvevano problemi, che facevano quasi tutto quello che facciamo noi oggi, ma che non erano affatto coscienti. Questi uomini non percepivano le proprie azioni come provenienti esclusivamente dall'interno del loro corpo, della loro mente. Erano degli "esternalisti" senza sapere di esserlo.

In effetti, è difficile pensare che l'uomo del comunismo originario si sentisse separato e indipendente dalla comunità di appartenenza, che pensasse di avere una "sua" coscienza, come invece pensa l'individuo d'oggi, che conduce una "vita senza senso". La caratteristica dell'uomo comunista di domani sarà quella di vivere in simbiosi con la comunità umana e con l'ambiente che lo circonda, non sarà più proprietario di sé stesso, ovvero del suo corpo, delle sue scelte, delle sue azioni, delle sue cose, perché sarà stata superata la proprietà:

"Nessuno di noi può vantare diritto di proprietà sulla sua carcassa valida o meno, che appartiene all'uomo sociale." ("Bordiga ai negri", 24 novembre 1957)

Giustamente, la nostra corrente ribadisce che il progetto, il rovesciamento della prassi, è un prodotto dell'uomo sociale, non dell'individuo (Marx, Manoscritti del 1844: l'individuo conosce grazie alla specie; oltre agli organi immediati si formano degli organi sociali), ma questo "rovesciamento" in realtà non è un prodotto esclusivo della specie umana, a meno che non si pensi che essa sia esterna e al di sopra del resto della natura. Tutto al contrario: è la natura che si organizza tramite i suoi vari organi di senso, tra cui vi è l'uomo-industria, evolvendo verso stati superiori di ordine.

La teoria olonica elaborata dallo scrittore-filosofo Arthur Koestler, che la formulò alla fine degli anni '70, descrive la natura come una specie di matrioska. La parola "olone" deriva dal greco e significa "porzione del tutto". Un individuo è un olone in quanto è parte della società con la quale interagisce. Anche un gruppo di individui che è in relazione con un tutto fatto di gruppi interagenti è un olone. Oggi, che viviamo in una società in rete, è più facile cogliere il senso profondo di tale teoria.

Esistono processi di auto-organizzazione della materia a tutti i livelli. La teoria degli insiemi autocatalitici di Kauffman descrive l'organizzazione umana come una forma di sistema naturale che si auto-organizza: tale processo è il risultato di un effetto di catalizzazione, cioè della capacità organizzativa della natura, che consiste nella possibilità di elaborare schemi coerenti, ripetuti e complessi fra gli elementi che costituiscono un sistema.

Il fenomeno "vita" è per principio un tutto con il fenomeno "non vita", benché ancora oggi siano ritenuti separati. Da un punto di vista teorico esiste la possibilità di far pensare la materia, anche perché noi stessi siamo materia pensante. Per l'enciclopedista Dénis Diderot il pensiero è solo una questione di sufficiente complessità della materia. Secondo Giacomo Leopardi tutto è materia, quindi tutto pensa. Per Einstein materia, energia, pensiero si equivalgono.

Tale visione materialistica del pensiero e della vita, ci porta del tutto conseguentemente ad introdurre il tema della neghentropia (che approfondiremo in successivi lavori), parola che è sinonimo di organizzazione, informazione e progetto. L'uomo non è diverso dalla natura, egli può solo trasformare grazie al "suo" lavoro quello che trova intorno. E il "suo" lavoro è finalizzato: ha come obiettivo la conservazione e il miglioramento delle condizioni di vita, oggi dell'individuo e della sua cerchia (famiglia, tribù, clan, nazione), domani della specie tutta. Quando un modo di produzione non risponde più ai bisogni della maggioranza della società è destinato ad essere superato, si tratta di una legge di natura. Sottolineato ciò, ribadiamo un aspetto fondamentale: il lavoro dell'uomo non è "suo", (come al solito c'è una difficoltà ad esprime questi contenuti con il linguaggio corrente), è lavoro della natura, reso possibile dall'energia che arriva sulla Terra dal Sole:

"Per la scienza marxista, anche se non esiste rendita fondiaria che non sia sfruttamento dell'uomo, appropriazione di valore, pagamento della società al contadino, il prodotto agricolo è frutto della natura, dato che lo sono anche l'uomo e il suo lavoro. Essi, infatti, sono il prodotto di una infinitesima parte dell'energia che il Sole diffonde nello spazio e che, incontrando la Terra, dà luogo al chimismo della vita. Nella società senza classi nessuno 'si approprierà', nessuno 'pagherà'; in essa, risolto razionalmente il rapporto uomo-natura, la specie non avrà bisogno di scindere il lavoro dell'uomo da quello del Sole." ("Prospetto introduttivo alla questione agraria", 1953)

Vi sono negli organismi viventi processi di crescita dell'organizzazione che negano l'entropia (caos), non in termini assoluti, ma in qualche posto e per qualche tempo, riversando il disordine altrove. Nella Teoria Generale dei Sistemi , di Ludwig von Bertalanffy, il mondo vivente è descritto come una transizione verso ordini di complessità più elevati, verso l'eterogeneità e l'organizzazione. La crescita di informazione porta ad una diminuzione del disordine.

Il rovesciamento della prassi

A proposito di crescita dell'informazione all'interno delle transizioni di fase da un ordine all'altro, è utile riprendere i contenuti del dibattito tra il matematico Renè Thom e il chimico e fisico Ilya Prigogine sulle biforcazioni, tema da noi già affrontato nell'articolo "Il rovesciamento della prassi" (n+1 n. 19).

I sistemi complessi sono difficili da comprendere, ma non sono per loro natura indeterminabili, come sostengono gli indeterministi, i quali individuano nella fluttuazione l'elemento scatenante che causa tutto lo sviluppo successivo. Thom, nell'articolo Basta con il caso, taccia il rumore, sostiene che il caso è un concetto vuoto e dunque privo di interesse scientifico, il determinismo invece è un oggetto carico di fascino per quanti sappiano esaminarlo. Troppo sbrigativamente, a suo dire, Prigogine e Stengers nel saggio La nuova alleanza hanno liquidato il determinismo laplaceiano.

Al momento della biforcazione rivoluzionaria, andare a destra oppure a sinistra non è dovuto al caso, non è cioè un elemento irriducibilmente casuale, aleatorio, come sostiene Prigogine, ma è determinato da tutto il passato e dall'intorno (condizioni al contorno) che ha portato a quell'evento. In ultima analisi, possiamo dire che la biforcazione esiste solo per noi, soggettivamente, che non sappiamo sempre stabilire il suo esito. Topologicamente parlando, l'attuale modo di produzione si deforma fino ad arrivare ad un momento in cui si trasforma, diventa qualcos'altro. Pensiamo alla trave che sottoposta ad un certo peso si spezza. Il momento della rottura non è altro che il risultato del passato di quella particolare struttura e ne prefigura lo stato futuro. Stabilito che vi è determinazione chiara e dimostrabile dal passato al presente, si deduce che la stessa determinazione agisce dal presente al futuro, anche se non siamo in grado di prevedere per ogni sistema il suo prossimo stato. Henri Poincaré sostiene che nei sistemi caratterizzati dalla presenza di fattori di singolarità si può prevedere l'insieme dei comportamenti futuri ma non quello che sarà effettivamente adottato. Per prevedere con precisione la posizione futura di tutte le particelle ci vorrebbe una mente pari a quella di Dio. Noi poveri mortali dobbiamo accontentarci di avanzare un po' alla volta nella conoscenza, adoperando gli strumenti che abbiamo a disposizione. Oggi parliamo tranquillamente di caos deterministico perché scorgiamo anche all'interno dei sistemi complessi delle regolarità. D'altronde, se non potessimo individuarle all'interno di un sistema altamente complesso come quello capitalistico non potremmo parlare di dinamica dei modi di produzione.

Nemmeno quell'organismo collettivo che è il partito comunista dispone di libero arbitrio; esso è prodotto e fattore di una dinamica storica che porta a un risultato. Senza la formazione di questa particolare struttura la rottura rivoluzionaria è impossibile. La corrente a cui facciamo riferimento coniando nelle sue tesi la formula del "centralismo organico" ha voluto fare un parallelo tra il partito rivoluzionario e gli organismi viventi, che metabolizzano e svolgono le loro attività senza che ogni cellula debba vedere in un'altra cellula particolare un comandante o un subordinato.

Il partito è un fattore determinato e determinante del cambiamento. Non può fare ciò che vuole, quando vuole e come vuole, ed è per questo che la Sinistra Comunista, ha stabilito una "rosa delle possibilità tattiche" per conseguire gli obiettivi per cui il partito è sorto. È il fine che determina i mezzi per raggiungerlo.

Thom, criticando Prigogine, non escluse affatto che la dinamica dei sistemi complessi contenesse dei punti singolari che conducono alle biforcazioni; o, se la biforcazione è impercorribile, alla "catastrofe". Un esame sufficientemente completo della base su cui il sistema si sviluppa permetterebbe tuttavia di prevedere a priori i possibili esiti della biforcazione, che preesiste alla fluttuazione scatenante. Spetta a quest'ultima il ruolo di innescare il processo ed eventualmente di determinare, con una scelta apparentemente arbitraria, fra tutti gli esiti possibili l'ulteriore evoluzione. Ma certo non la crea.

Quello che durante l'articolo abbiamo chiamato per comodità di esposizione "marxismo", ma che sarebbe più corretto definire teoria rivoluzionaria, non si può ridurre a delle tesi di dettaglio (politiche, sindacali, ecc.), perché si tratta di una concezione generale, monistica, del mondo. Lo dice chiaramente Bordiga nella intervista al giornalista Sergio Zavoli (Storia contemporanea, n. 3 del settembre 1973) commentando il discorso da lui tenuto al III congresso del Partito Comunista d'Italia a Lione, nel 1926:

"Dichiarai, rivolto ad Antonio [Gramsci], che non si è in diritto di dichiararsi marxisti, e nemmeno materialisti storici, solo perché si accettano come bagaglio di partito certe tesi di dettaglio, che possono riferirsi vuoi all'azione sindacale, economica, vuoi alla tattica parlamentare, vuoi a questioni di razza, di religione, di cultura; ma si è giustamente sotto la stessa bandiera politica solo quando si crede in una stessa concezione dell'universo, della storia e del compito dell'Uomo in essa."

Perché Bordiga, in quel frangente storico, estremamente problematico dal punto di vista politico, tira in ballo la concezione comunista dell'Universo? Solo per criticare la pochezza politica dei gramsciani con cui si scontrò in quella e in altre sedi? Crediamo che ci fosse qualcosa di più profondo in quel discorso, ovvero l'idea che il comunismo come teoria non riguarda solo i fatti umani ma è da inserire nel più vasto processo di sviluppo dell'Universo. Esistono leggi generali che spiegano i trapassi da una forma all'altra in diversi ambiti: fisici, chimici, biologici e sociali (non a caso, negli ultimi anni, sono sorte le teorie del tutto, delle reti, della complessità, dei sistemi, ecc.).

Volendo fare un accenno alla letteratura, altra importante branca della conoscenza umana, ricordiamo che l'io, inteso come portatore di Diritti, di Coscienza e di Libertà, è ridicolizzato da uno scrittore dotato di senso dell'umorismo come Carlo Emilio Gadda, che odiava i pronomi personali al pari dei fastidiosi parassiti che vivono sul cuoio capelluto:

"I pronomi! Sono i pidocchi del pensiero. Quando il pensiero ha i pidocchi, si gratta, come tutti quelli che hanno i pidocchi... e nelle unghie, allora... ci ritrova i pronomi: i pronomi di persona." (La cognizione del dolore, 1963)

Gadda si fa beffe dell'uso eccessivo dell'io, "il più lurido di tutti i pronomi!". E lo fa a ragione, visto che quello che in questa società viene inteso come opera dell'"uno", in competizione con altri "uni", è invece il prodotto di molteplici collegamenti e intrecci nello spazio e nel tempo. I risultati raggiunti dall'individuo sono sempre un prodotto della specie, perché l'individuo non è altro che una sua cellula. Anche i comunisti, dunque, odiano quel pronome personale, ed infatti nel nostro Codice redazionale il ricorso all'io l'abbiamo cancellato, resiste malauguratamente ancora il noi anche quando potrebbe essere sostituito da forme impersonali.

Per concludere: considerando che esperienze e attività modificano la struttura della nostra corteccia cerebrale, anche la teoria deterministica negatrice dell'esistenza del libero arbitrio agisce in tal senso, modificando le sinapsi esistenti, generando nuove reti neurali, e quindi producendo degli effetti materiali.

LETTURE CONSIGLIATE

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Note

  • [1] Ad esempio: la borghesia ha ben presente che cosa significhino nel suo ambito "determinismo" e "libero arbitrio". Li tratta con disinvoltura nella progettazione, nella produzione e nella ricerca scientifica. Padroneggia il metodo materialista e, quando le è utile, riesce a tener separati i vari campi che si sovrappongono e si rivelano incompatibili. Così ricava in modo del tutto naturale, spontaneo, una realtà "modificata" (oggi si direbbe "aumentata") sulla quale calcolare, costruire e agire.
  • [2] Cfr. Le due culture, 1965.
  • [3] Cfr. "Fare, dire, pensare, sapere. Corollari alla teoria rivoluzionaria della conoscenza", 2015.
  • [4] Vedi C.S. Soon, "Unconscious determinants of free decisions in the human brain", in Nature Neuroscience, 11, 2008.
  • [5] L'evoluzione della libertà, D. Dennett, cit. in Come creare una mente. I segreti del pensiero umano, Ray Kurzweil.
  • [6] Cfr. Il secondo cervello. Gli straordinari poteri dell'intestino, 2020.
  • [7] "Per quanto riguarda il cervello, parto da una premessa fondamentale: il suo funzionamento, ciò che chiamiamo 'mente', è la conseguenza diretta della sua anatomia e della sua fisiologia, e niente altro." Carl Sagan, I draghi dell'Eden, 1979.
  • [8] Cfr. Cervello di gallina. Visite (guidate) tra etologia e neuroscienze, 2015.
  • [9] "Il diritto della proprietà e della sicurezza, che evidentemente non riguarda chi nulla possiede e in nulla può venire minacciato, sta alla base della definizione della libertà, che altro non è che la 'libertà della proprietà'" ("Sbrindellata e conculcata libertà", Battaglia Comunista n. 14 del 1952).
  • [10] Cit. in Il libero arbitrio. Una introduzione, 2004.
  • [11] Il paradosso di Gödel è ben rappresentato da un'immagine contenuta in un articolo dell'Economist ("How to keep the brain healthy", 21 settembre 2022), che mostra un cervello che ascolta sé stesso per mezzo di uno stetoscopio.
  • [12] "Possiamo risolvere il problema mente-corpo?", in Marco Salucci, La teoria dell'identità. Alle origini della filosofia della mente, Mondadori, 2005.
  • [13] Albert Einstein, cit. in The Volitional Brain: Towards a Neuroscience of Free Will, B. Libet, A. Freeman e K. Sutherland, Imprint Academic, 1999.
  • [14] Cfr. "Danza di fantocci: dalla coscienza alla cultura", 1953.
  • [15] Cfr. "Tendenze e socialismo",1947.
  • [16] Cfr. "Operaio parziale e piano di produzione", 2000.
  • [17] Cfr. "Teoria e azione nella dottrina marxista", 1951.
  • [18] Cfr. "Considerazioni sull'organica attività di partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole", 1965.
  • [19] Sul concetto di "antiforma" si rimanda il lettore al testo: "Tracciato d'impostazione", 1946.
  • [20] Cfr. Anelli nell'io. Che cosa c'è al cuore della coscienza?, 2010.
  • [21] Cfr. Filosofia della probabilità, 1995.
  • [22] Cfr. "Elezioni al tempo della statistica", 2000.
  • [23] ChatGPT (Chat Generative Pre-trained Transformer) è un prototipo di chatbot basato su intelligenza artificiale sviluppato da OpenAI, un'organizzazione "senza fini di lucro" finalizzata alla ricerca sul campo. Il programma, addestrato su un ampio insieme di dati pubblicamente disponibile e perfezionato manualmente da addestratori umani, riesce a rispondere a svariate domande, apprendendo ulteriormente dalle stesse interazioni con gli utenti.
  • [24] La lettera aperta è stata pubblicata sul portale di Future of Life Institute.
  • [25] "L'avvento della libertà" (n+1 n. 38), "Dai batteri a Bach e ritorno" (n+1 n. 44).
  • [26] Cfr. "Teoria e azione nella dottrina marxista", 1951.
  • [27] Cfr. "Il movimento universale per l'unità della conoscenza", 2013.
  • [28] Il gemello digitale è un modello virtuale progettato per riflettere in modo preciso un'entità fisica, vivente o non vivente, al fine di predirne i comportamenti o gli stati futuri.
  • [29] Il Metaverso è un progetto in corso basato su una realtà virtuale immersiva in 3D, cui si accede mediante l'uso di cuffie per la realtà aumentata.
  • [30] "I neuroni sono interconnessi in una rete talmente complessa che il linguaggio umano non è in grado di descriverla e per definirla occorrerebbero nuove matematiche. Un tipico neurone ha circa diecimila connessioni con i neuroni vicini. Poiché le cellule nervose sono miliardi, questo significa che in un solo centimetro cubo di tessuto cerebrale vi sono tante connessioni quante sono le stelle della Via Lattea." (David Eagleman, In incognito. La vita segreta della mente, 2012).
  • [31] Cfr. Dai batteri a Bach. Come evolve la mente, 2018.
  • [32] Cfr. In incognito. La vita segreta della mente, 2012.
  • [33] "Se guardo un film che mostra una palla che rotola, non so dire se il film è proiettato giusto o all'indietro. Ma se nel film la palla rallenta e si ferma, vedo che il film è giusto, perché proiettato al contrario mostrerebbe avvenimenti implausibili: una palla che si mette in moto da sola. Il rallentare e fermarsi della palla sono dovuti all'attrito, che produce calore. Solo dove c'è calore c'è distinzione fra passato e futuro. I pensieri si dipanano dal passato al futuro, non viceversa, e infatti pensare produce calore nella testa." (C. Rovelli, L'ordine del tempo).
  • [34] Cfr. Il tuo cervello, la tua storia, 2016.
  • [35] Cfr. "Contributi a una teoria della conoscenza", 2011.
  • [36] "'Esiste il libero arbitrio?' Dialogo con Giuseppe Trautteur", trasmesso in live streaming il giorno 24 maggio 2021, www.youtube.com.
  • [37] Cfr. Neurobiologia della volontà, 2022.
  • [38] Lettera presente nella sezione "Carteggi" (Archivio storico della Sinistra Comunista "italiana") del sito di n+1, www.quinterna.org.
  • [39] Per Prigogine, in sistemi complessi, lontani dall'equilibrio, sono le piccole fluttuazioni che possono determinare grandi cambiamenti.
  • [40] Cfr. Sul determinismo, 1991.
  • [41] Cfr. "Centralismo democratico e centralismo organico", 2019.

Rivista n. 53