Prefazione

Una delle mistificazioni che più o meno coscientemente sono state fatte circolare sulla Sinistra è il presunto carattere innovativo della teoria del battilocchio.

Le questioni che riguardano la "funzione della personalità nella storia", come giustamente l'ha chiamata Plechanov, non sono affatto assimilabili ad una "teoria" particolare, ma rientrano nella generale concezione materialistica marxista; è dunque piuttosto curioso attribuire la cosiddetta teoria del battilocchio ad un "personaggio", Amadeo Bordiga, che ha passato buon tempo della sua vita proprio a combattere la credenza mistica che le teorie scaturiscano dai cervelli. Teorie e politiche sono risultati dovuti al lavoro di generazioni e a scontri di classe ad un livello un po' più alto che non i fremiti di visceri e glandole personali.

Nonostante ciò ci è capitato di sentire, in un'affollata assemblea, un oratore che, autopresentatosi come "studioso marxista", si lanciava in una verbosa dissertazione su questa pretesa novità del marxismo bordighiano.

Sgombriamo subito il campo da questi saltimbanchi dell'intellighenzia politica: la farina non era del suo sacco, egli stava ripetendo a memoria la lezioncina appena letta sulla "biografia" pubblicata dalla casa editrice dell'allora partitone di Botteghe Oscure a cura di Livorsi. E pensare che lo "studioso marxista" si dichiarava "antistalinista".

La tesi è questa: dicendo che del battilocchio, cioè del personaggio, del capo, del presunto motore geniale della storia il partito potrà fare a meno anche "prima della caduta del capitalismo", come si dice in Superuomo, ammòsciati!, la Sinistra, "naturalmente, non può non trasformare il partito in setta... non potendo portare il minimo esempio o precedente storico in positivo".

Riportando l'evocazione del Cristo che dice agli Apostoli (in Fantasime carlailiane): dovrete fare a meno di me, Livorsi ne conclude che, nonostante il tutto sembri di "un indubbio determinismo scientista,... in realtà una componente messianica, al tempo stesso eticistica e apocalittica, fa parte dell'atmosfera, del quadro in cui Bordiga opera... Non c'è più nessuna differenza tra organizzazione comunista e setta religiosa... Del resto non c'è nessuna miglior dimostrazione dell'identità a-dialettica, politicamente assurda, tra piano della tattica e quello dei princìpi, della citata giustificazione dell'impersonalismo vigente nel partito bordighiano, non dedotto da un'analisi scientifica delle esperienze rivoluzionarie... Il partito diventa ormai una sorta di Chiesa".

Immaginiamo che "l'analisi scientifica delle esperienze rivoluzionarie" dovrebbe consistere in una specie di statistica su quanto si sia realizzata "l'utopia bordighista" di partito, mentre rimane sottinteso che l'esperienza concreta stalinista è quanto di più aderente al marxismo si possa pretendere.

E' proprio vero che, come dice Bordiga, questi intellettuali "parlano fingendo di aver sentito e scrivono fingendo di aver letto". Giusto nei testi citati nel corso della biografia il biografo dovrebbe aver letto e il conferenziere ripetitore dovrebbe aver sentito ogni riferimento possibile a Marx, a Engels e al maturare nello svolgimento della lotta di classe (nelle vittorie e più spesso nelle sconfitte da cui trarre preziosi bilanci), della forma partito con il suo funzionamento organico. Dovrebbero entrambi aver sentito parlare, in quanto "esperti in marxismo" della necessità di spezzare la personalizzazione delle funzioni e della direzione del movimento, la necessità di realizzare l'organizzazione secondo dettami che derivano da una storia secolare.

Marx già nel 1842, quindi ben prima dei Manoscritti che tutti tendono a porre come prima pietra di tutta la sua costruzione teorica, contrappone l'individuo alla totalità dello Stato. Come giovane pubblicista tedesco riecheggia ancora Hegel, ma appena un anno dopo (nella Critica alla filosofia hegeliana del diritto), si scontra con l'ideologia del filosofo e contrappone alla separazione metafisica fra Stato e Individuo, la fisicità sia degli individui che delle funzioni che essi svolgono per lo Stato, cioè per la collettività: gli individui vanno quindi considerati "secondo la loro qualità sociale e non secondo quella privata".

Nella Questione ebraica, del 1843, il problema dell'individuo è completamente risolto: nell'idealismo e nell'illuminismo l'uomo reale è visto come individuo egoista e l'uomo vero come "citoyen astratto" mentre l'emancipazione viene intesa (e Marx cita Rousseau) come cambiamento della natura umana, come trasformazione di ciascun individuo.

Al contrario, per Marx l'individuo diventa uomo soltanto quando è "divenuto membro della specie umana, soltanto quando l'uomo ha riconosciuto e organizzato le sue 'forces propres' come forze sociali, e perciò non separa più da sé la forza sociale nella figura della forza politica".

Ma la forza di "rendere umano l'uomo" non risiede negli individui, bensì nel corso materiale della produzione e riproduzione della specie, nel proletariato "e nella sua capacità di concepirsi come forza storica" (ecco il partito), come è affermato nell'Ideologia tedesca: "la 'liberazione' dell'uomo non è ancora avanzata di un passo quando essi abbiano risolto la filosofia, la teologia, la sostanza e tutta l'immondizia nell' 'autocoscienza', quando abbiano liberato l' 'uomo' dal dominio di queste frasi, dalle quali non è mai stato asservito".

"Tutta l'immondizia" ci buttano fra i piedi quando vogliono dimostrarci che il partito è fatto di uomini individui che confrontano le loro idee in congressi, applicando quelle che raggiungono la maggioranza dei voti, guidati da "capi" che queste idee hanno elaborato per la volontà di cambiare magari il mondo.

Potremmo passare ad Engels che dimostra, nell' Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, quanto sia legato l'egoismo dell'individuo che vive nella società divisa in classi a questo preciso modo di produzione, mentre l'organizzazione umana "primitiva" conosceva solo l'essere sociale.

Potremmo passare a Lenin, prima pagina subito dietro il frontespizio di Materialismo ed empiriocriticismo (dieci domande al relatore, domanda 7): "riconosce il relatore che l'idea della causalità, della necessità, della esistenza di leggi, ecc. è il riflesso nella testa dell'uomo delle leggi della natura, del mondo reale? O Engels aveva torto affermandolo"?

Abbiamo raccolto i testi incominciando con un articolo del 1949, Gli intellettuali e il marxismo, e chiudendo con Plaidoyer pour Staline, del 1956.

Il primo per ricordare come sia facile per i maneggiatori delle "idee" cadere nell'idealismo, quanto sia facile inciampare nella tagliola castigatrice del settimo punto di Lenin appena citato, quanto sia facile giungere a credere nelle fesserie che si dicono, come per esempio mobilitare la "forza del pensiero" intellettuale intorno alle "idee" rivoluzionarie. Idee propugnate da tanti piccoli individui intorno a un grande individuo-capo.

L'ultimo per ricordare, con l'esempio maggiore di battilocchismo del secolo, che il settimo punto di Lenin non rivela solo la natura dei traditori quando il culto della persona è in crescendo, ma anche e soprattutto quando tale culto viene stroncato da avvenimenti storici di portata superiore alle possibilità di elaborazione dei personali cervelli.

Non si trova più uno stalinista in giro neppure a pagarlo oro e questo è un dato di fatto. Tutti democratici, tutti ad arrampicarsi sui vetri per dimostrare che erano antistalinisti anche quando inneggiavano a Baffone. Non vogliamo fare del moralismo, certamente: constatiamo che funziona benissimo la tesi marxista del riflesso dei fatti reali sul cosiddetto pensiero. Il Pensiero con la maiuscola di milioni di illusi antimarxisti di ieri è stato cancellato e ricodificato in breve volgere di tempo non da idee ma dalle artiglierie della crisi capitalistica mondiale che ha fatto saltare per primi i suoi classici anelli deboli.

"Non fu la natura che creò una mostruosa creatura, ma la storia che si fermò su un difficile tipo della macchina-Stato a cavallo tra troppe forze in contrasto, cui venne meno la forza decisiva: il proletariato d'Europa. Questa forma storica si arrestò in un mostruoso incontro tra due forme ormai alternative: democrazia e dittatura".

Così in Plaidoyer pour Staline. Ecco la politica russa e il suo riflesso nel cervello del battilocchio da cui prese il nome, ecco clamorosamente confermate le posizioni di Marx, Engels, Lenin e di tutti quegli oscuri militanti che per decenni non hanno ceduto e hanno cercato di rappresentarne la continuità.

Non ci sono grandi capi in giro per il momento e speriamo che sia la volta buona. Da una parte i capi mondiali della borghesia razzolano nella farsa politica ormai predominante nei maggiori paesi e sono, tanto per rifarci al clima letterario del nostro primo Filo del tempo, al livello non degli uomini o dei mezz'uomini e nemmeno degli omminicchi, ma di tanti quaquaraquà (i cornuti li lasciamo perdere per non fare concorrenza ai media durante le eterne elezioni americane); "Umanità, bella parola piena di vento", dice don Mariano al carabiniere.

Dall'altra parte, quella del proletariato, fortunatamente non si profilano all'orizzonte personaggi carismatici in grado di "far fessa" una rivoluzione che preme grandiosa come l'eruzione di mille vulcani in confronto alla quale l'odierna scomposta violenza non è nulla.

Il partito non è una setta e non è una chiesa, come affermano intellettuali di corte e interessate vedute, se con le sue tesi vuole salvaguardarsi a mezzo di ferree indicazioni intorno alla funzione dei suoi organi e dei suoi capi. Non sono statutini. Sono indicazioni che scaturiscono, come altre, direttamente da tutto il resto della teoria e nessuno, com'è nei princìpi marxisti, può disgiungere il tutto senza rinnegarlo.

Quando Bordiga fu sollecitato da molti, nel 1950, a prendere le redini del partito, egli, che da buon materialista valutava bene quale potesse essere il clima, rifiutò di dar luogo ad una tenzone "democratica", ritenendo più utile per il partito stesso continuare ad impostare il gigantesco lavoro di sistemazione della teoria distrutta dallo stalinismo. Ad un compagno che lo pregava di intervenire con la sua autorità ed il suo carisma rispose con questa lettera che pubblichiamo integralmente:

"Napoli, 24 febbraio 1950

"Caro Gilodi,

"qualche tua notizia mi è sempre pervenuta da quando non ci vediamo. Certo è poco piacevole che nel piccolo giro della nostra vecchia corrente avvengano fratture ulteriori in gruppetti o persone... Ciò deriva dalla difficoltà di rispondere al problema di cui ti duoli, il recedere del proletariato dalla efficienza rivoluzionaria. Problema per cui non ci sono ricette ma che occorre guardare a nervi immobili.

"Non ho nessuna difficoltà a 'militare', ciò che non voglio fare è 'generalare'. Ogni soldato ha nello zaino il bastone da maresciallo, pare, ma il maresciallo non ha zaini ove poter portare la gavetta. 'Ufficialmente nella vita politica', come dici, non sono mai entrato e mi fa schifo. Sono un lavoratore e non voglio mangiare i soldi dei lavoratori. Per il resto sono sempre stato lo stesso. Gli avvenimenti sono andati in modo che non mi hanno dato quelle scosse per il cravattino o spinte nel sedere che simpaticamente mi augurava Trotsky. Ovvero, ho entrambe quelle parti a prova di bomba.

"La rivoluzione non dà brevetti a nessuno e camminerà lo stesso, si troverà e lancerà nel fuoco i suoi strumenti, militi o, se vuoi, caporali, appena passerà ai proletari la manìa dei padreterni. Dico sempre scherzando che, essendo già sicuro di questo, non mi considero come uno che ha pagato il biglietto e pretende di assistere al match, ovvero considera cosa di nessun conto se non fa parte proprio lui di una delle squadre sul terreno. Marx scoprì l'antagonismo di classe o, meglio, i suoi sbocchi storici: non ci ordinò l'antagonismo o il tifo, cose alquanto di bassa lega.

"Militiamo dunque, se questo in primo luogo significa far tacere i pruriti individuali e le bizze di ognuno.

"Marionette per la grande scena politica ce ne sono tante a disposizione, cui negherei la stessa gavetta! Tanti cari abbracci

Amadeo

Non c'è nulla da aggiungere se non il finale di Fantasime carlailiane che tanto ha turbato gli intellettuali portati ad esempio in questa prefazione:

"Gli operai vinceranno se capiranno che nessuno deve venire. L'attesa del Messia ed il culto del genio, spiegabili per Pietro e per Carlyle, sono per un marxista del 1953 solo misere coperture di impotenza. La Rivoluzione si rialzerà tremenda, ma anonima".

Torino, maggio 1992.

Prima di copertina
Il battilocchio nella storia

Quaderni di n+1 dall'archivio storico.

Contro la concezione della storia come opera della volontà di individui e di capi geniali o criminali.

Indice del volume

Il battilocchio nella storia