Mai la merce sfamerà l'uomo

312 pagine

Leggi

In tutte le dottrine sull'economia agraria incontriamo, in lotta tra loro, due posizioni. Una mette innanzi le forze naturali e quindi la terra, l'altra mette avanti il lavoro dell'agricoltore, e quindi l'uomo. Chi ci nutre di più, la natura o l'arte?, Dante avrebbe detto.

La grossa divergenza è chiarita nella storia che Marx ci ha dato, sia pure frammentaria (e ricostituita dallo stesso Kautsky), delle dottrine economiche. La polemica sorge sulle fonti della ricchezza, col che non si sa bene nei primi autori se si parla di ricchezza personale degli individui o ricchezza della nazione. La prima borghesia innovatrice audace e rivoluzionaria è tanto lanciata verso il suo postulato di libertà personale quanto verso quello di libertà nazionale e le piace di presentare come diretto al bene della patria il suo lavoro meraviglioso per il trionfo dell'individualismo. Sotto questo si cela invero il suo senso di classe, l’identificazione della classe dei capitalisti con l'umanità.

Gli ultimi feudali e i primi borghesi sono ancora per la teoria che dà ragione alla natura, alla terra come fonti sole della ricchezza. La scuola capitalista classica dichiarerà fonte di ogni ricchezza il lavoro.

E' noto e indiscutibile che il marxismo si pone dalla parte dei secondi: ed infatti la teoria di Marx ci condurrà al risultato che la rendita fondiaria non è un dono della natura al proprietario, connesso alla sua occupazione di un quantum del suolo, ma soltanto una frazione del plusvalore, ossia il lavoro reso dagli agricoli ma non pagato con la loro remunerazione in denaro, o salario.

Ma qui va chiarito il solito equivoco sulla portata della teoria del valore. Essa non è una fredda spiegazione dell'economia moderna, ma una dimostrazione della sua insostenibilità storica, della sua impossibilità di raggiungere un "regime di stabile equilibrio". Essa è la dimostrazione della necessità dell'avvento del comunismo, ma non una descrizione dell'economia comunista, se non per dialettico effetto; non già nel senso che tolto il plusvalore e lasciato il valore la nostra richiesta sarà riempita. Nell'economia degli uomini a lavoro associato non vi sono più valori e non vi sono ricchezze; e perde senso il poggiarne l'origine sulla natura o sull'umano sforzo.

Se un campo, senza essere arato e senza altre operazioni, ciclicamente producesse pane, come il famoso albero tropicale, ecco che avremmo una rendita della natura. Ma Lenin nel maltrattare Bulgakov si arrabbia contro queste favole, che sono alla base del famoso teorema di produttività decrescente. Non si è mai mangiato senza che si fosse lavorato:

"Che l'uomo primitivo ottenesse il necessario come libero dono della natura è una favola sciocca (...). Nel passato non è mai esistita nessuna età dell'oro, e l'uomo primitivo era completamente schiacciato dalle difficoltà dell'esistenza, dalle difficoltà della lotta con la natura".

Ciò non contrasta affatto col collegamento tra le ingenue tradizioni di un'età senza odi e rancori e il comunismo primitivo, senza traccia di privata proprietà: era un comunismo di lavoro, in cui tutti lavoravano per tutti e la non ancora apparsa "limitatezza della terra", rispetto al numero degli uomini, ne era la base. Ma più oltre Lenin distingue essenzialmente tra limitazione della terra come oggetto della produzione e limitazione di essa come oggetto del diritto di proprietà. Giunti al tempo capitalistico, la gestione della terra si fa per aziende private di lavoro, ma la limitazione legale, allodiale romana, ossia il monopolio non della gestione, ma del diritto di proprietà, del diritto di prelevare rendita fondiaria (notate: monopolio uguale proprietà, non solo uguale grande proprietà; monopolio terriero, base della rendita, vale confinazione, terminazione di un qualunque spazio di terra agraria), tale monopolio, senza uscire dal modo capitalistico, può essere passato allo Stato. Ancora dunque un'ennesima citazione prova che per il marxismo più genuino e coerente

"Possiamo benissimo concepire un'organizzazione puramente capitalistica dell'agricoltura nella quale la proprietà privata della terra manchi completamente, nella quale la terra appartenga allo Stato, alle comunità contadine, ecc.".

Tuttavia la discussione tra origine da lavoro o da forza naturale della ricchezza agraria, sia essa quella della classe terriera o del feticcio "nazione", si limita alla decifrazione delle economie di ripartizione privata e di sfruttamento. Ed a questi effetti è centrale la tesi che tutto viene da appropriazione da parte di una classe del lavoro di un'altra, sia nella produzione feudale che in quella capitalistica. Ciò non esclude che nella futura economia, risolta in una razionale difesa della specie contro, come Lenin vigorosamente disse, la natura, la vittoria contro questa matrigna potrà arrivare a tal punto che tutto venga da lei.

Se la faticosa coltivazione del grano fa sì che il nostro corpo sia alimentato, a caldo di vita, grazie al trasferimento in esso, dopo cicli chiusi di chimismo in bilancio pari (ai quali rifiutiamo irrazionalmente la nostra propria carcassa), di una piccola quota dell'energia che il sole irraggia nello spazio e fa pagare tanto poco per la parte che investe la sfera terrestre quanto per quella immensa che viaggia verso i gelidi vuoti interstellari senza trovare schermi; se potremo coltivare con l'aratro e sostituire il bue (che aveva passato con Febo apolline un contratto del genere nostro) con la macchina; se a questa macchina non addurremo nafta (che è poi anch'essa vecchio calore solare "donato" e messo a deposito nelle banche del sottosuolo) ma quella energia idroelettrica che ci viene annualmente da un tributo regolare pagatoci sempre dal grande astro, allora, allora... Resterà, direte, all'uomo l'opera organizzativa, direttiva, il girare le chiavette interruttrici. Ma hanno detto ultimamente che una macchina della macchina sostituirà l'uomo alle manopole di questa, dopo aver registrato con processi elettronici il comportarsi effettivo dell'uomo, il trucco che lo distingue, per ritrasmetterlo identico. Allora sarà invero la natura che ci darà tutto, cominciando dal vassoio della prima colazione che arriverà senza che lo porti nessuno.

Quando nessuno lavorerà sarà raggiunto lo scopo di godere tutti di rendita. Allora vivremo non lavorando, ma rubando a madre natura. Oggi non esiste rendita per un solo individuo che non sia rubata al lavoro dell'uomo. Neghiamo ai ladri l'alibi di scienza economica: il corpo del reato non l'ho sottratto a nessuno, è dono divino della natura, raggio partito col mio indirizzo dalla Stella di fuoco, roteante e rutilante nel Cielo.

Qui la teoria sulla rendita fondiaria.

(Dal "Prospetto introduttivo")

Quaderni di n+1 dall'Archivio storico