Perché c'è stata l'invasione del Kuwait?
Perché si è risposto con l'invasione dell'Arabia Saudita?
Perché vale solo adesso la difesa dei "sacri diritti" contro un'invasione simile ad altre?
Perché, a differenza del solito, ci vuole tanto a fare questa guerra (la 126a dal 1945)?
Perché c'è il pericolo di una guerra mondiale?
13 gennaio 1991
L'Iraq aveva conquistato senza difficoltà i territori iraniani che gli avrebbero garantito uno sbocco sicuro lungo lo Shatt el Arab approfittando del caos organizzativo seguito alla cacciata dello Scià e prendendosi una rivincita su precedenti imposizioni. Lungo la fascia conquistata aveva posto un sistema difensivo trincerato fisso difficilmente attaccabile, dimostrando nei fatti che l'obiettivo era limitato nel tempo e nello spazio.
Mentre la guerra era in corso l'obiettivo cambiò inspiegabilmente e la guerra durò otto anni. Divenne chiaro che l'Iraq combatteva anche per "conto terzi", con le loro armi e i loro soldi, al fine di contenere la "rivoluzione" komeinista che minacciava di sconvolgere socialmente l'area petrolifera. Ci fu un milione di morti.
Lo scorso agosto l'Iraq accusò il Kuwait minacciando l'uso della forza sia per i danni materiali provocati dalla sua politica spregiudicata sul petrolio, sia per annose rivendicazioni territoriali. Gli Stati Uniti, preavvertiti, non si opposero accettando implicitamente la tesi irachena secondo la quale il precedente sforzo bellico e il "fiume di sangue" versato meritavano una contropartita.
Ad invasione militare avvenuta gli Stati Uniti avviarono una delle maggiori operazioni militari della loro storia controinvadendo in pochi giorni l'Arabia Saudita e di fatto occupandola con un piano troppo efficiente per non essere già pronto (ben altre prestazioni militari si ebbero in Iran al tempo degli ostaggi!).
Il deserto arabo non è il Vietnam e dietro all'Iraq non ci sono né la Russia né la Cina come allora: la guerra che si profila, al di là della propaganda delle due parti, è una guerra senza alcuna logica militare perché non ci sono veti incrociati dell'ONU, non c'è alcun tutore a fare da deterrente, e contro l'Iraq si è schierata una forza internazionale tale da rendere impossibile il solo pensiero di uno scontro.
Insomma, dal punto di vista puramente militare e "ufficiale" questa guerra non troverebbe spiegazione se non nella pazzia clinica di tutta la dirigenza civile e militare irachena. Scartando questa ipotesi, il comportamento iracheno ha spiegazione solo partendo dal presupposto che comunque Baghdad non abbia nessuna altra alternativa. Cioè che la guerra gli sia imposta in ogni caso.
Occorre osservare la situazione mediorientale in un contesto più ampio.
Gli Stati Uniti soffrono ormai di una crisi gravissima. Hanno un debito complessivo di tredici milioni di miliardi di lire, un sistema economico e produttivo che dipende in gran de misura dai capitali che arrivano dall'estero, cioè dai maggiori paesi concorrenti. Se non vogliono soccombere nella corsa ai mercati mondiali devono assolutamente prevenire l'ulteriore rafforzamento di Europa (soprattutto Germania) e Giappone.
Da quarant'anni gli Stati Uniti cercano con tutti i mezzi di controllare direttamente l'area del petrolio, ma oggi non ne possono più fare a meno. Il petrolio rappresenta per essi l'unica possibilità di frenare l'esuberanza economica, dei maggiori concorrenti che ne sono privi, mentre gli Stati Uniti ne posseggono l'85% del fabbisogno interno (ne acquistano anche molto da Messico e Venezuela, vicino a casa).
L'invasione dell'Arabia Saudita garantisce una presenza militare permanente in grado di controllare il prezzo e il flusso del greggio in modo da:
1) valorizzare con il sostegno del prezzo i giacimenti americani;
2) frenare lo sviluppo dei maggiori e più pericolosi concorrenti (ogni dollaro al barile di aumento significa un taglio nell'eccedenza commerciale giapponese di 1,3 miliardi di dollari);
3) rivalorizzare l'apparato militare americano dopo la fine della guerra fredda e riportare gli Stati Uniti in posizione di predominio fra gli imperialismi in lotta fra loro.
Se le azioni dell'Iraq non sono state direttamente coordinate con gli Stati Uniti è certo che sono servite a dare copertura a questo tipo di politica. In questo caso l'Iraq subirà la guerra e ben poco potrà fare da solo per evitare la distruzione se la potenza militare schierata lo ritenesse opportuno.
Ma lo schieramento militare è assolutamente disomogeneo. E' chiaro che l'Europa e il Giappone, che non hanno petrolio, partecipano alla crisi militare con interessi che non sono assolutamente in linea con quelli degli Stati Uniti. Che ci sia o non ci sia la guerra, le potenze imperialistiche con interessi opposti avranno per sempre delineato uno schieramento diverso da quello uscito da Yalta e sempre più simile a quello delle precedenti guerre mondiali.
La guerra mondiale è un reale pericolo non per via dell'invasione del Kuwait, del quale importa poco a tutti, ma perché, per la prima volta dal 1945, l'America ricorre alle armi non per aggiudicarsi zone di influenza politica e militare nella logica dei blocchi, bensì allo scopo di abbattere la potenza economica rivale dei suoi stessi alleati.
Su 200 milioni di arabi, 190 milioni non beneficiano per nulla del petrolio. La maggior parte delle entrate da petrolio ritornano nelle banche americane e la stragrande maggioranza della popolazione araba è assolutamente dipendente dall'estero nel campo alimentare. Altri milioni di proletari e sottoproletari "stranieri" trovano lavoro attorno alle attività petrolifere. Si tratta di una massa con un enorme potenziale esplosivo di tensioni sociali e noi ci auguriamo che faccia saltare i fragili equilibri che le borghesie imperialistiche stanno cercando di stabilire, coinvolgendo il proletariato occidentale e quindi dando il via alla ripresa di classe.
Mentre gli Stati parlano di pace si preparano alla guerra per la difesa dei loro interessi nazionali o per l'imposizione degli stessi. Solo l'avanzata rivoluzionaria potrà impedire la guerra mondiale e tutte le guerre.