36. Doppia direzione (1)

Questa Lettera è un po' diversa dal solito ed è stata decisa facendo riferimento al concetto di "doppia direzione" contenuto nelle Tesi di Milano là dove affermano: "La trasmissione tra le molecole che compongono l'organo partito ha sempre contemporaneamente una doppia direzione, e la dinamica di ogni unità si integra nella dinamica storica del tutto". Il lettore troverà qui di seguito una serie di corrispondenze su varie questioni: esse non sono da leggere con lo spirito di chi scorre una rubrica del tipo "Lettere al direttore" perché, in effetti, non facciamo altro che mettere a disposizione di tutti argomenti che consideriamo parte integrante del lavoro svolto normalmente.

La prima parte contiene alcune corrispondenze scelte soltanto fra quelle scambiate con compagni che non sono organizzati con noi, perché il resto dello scambio di informazione è già utilizzato per il lavoro che pubblichiamo.

La maggior parte delle lettere che riceviamo sono semplicemente richieste di libri, Lettere, cataloghi, informazioni o materiale d'archivio in genere. Molte contengono qualche riga di commento. Meno frequente è la corrispondenza solo di commento e in genere non supera, anche in questo caso, le poche righe in cui vi sono domande od osservazioni su diversi problemi o anche solo incoraggiamenti a continuare il lavoro. Meno numerosa di tutta, infine, la corrispondenza che contiene lunghe argomentazioni. Abbiamo sempre risposto a tutti, indistintamente. Chi ci scrive qualche volta parla liberamente della propria esperienza personale nei confronti di gruppi e partiti, recriminando o facendo confronti, citando nomi, organizzazioni e organi di stampa. Sono esperienze significative, ma non le pubblichiamo, non tanto per una stupida censura, quanto per rispetto a chi ce ne ha scritto senza pensare che la sua lettera sarebbe stata un giorno letta da altri.

La seconda parte contiene alcune lettere che invece provengono dall'interno del lavoro comune e sono scelte con il criterio di dare un'idea su come si forma alla fine il risultato riverberato nei testi e nelle Lettere ai compagni.

In ogni caso, la quasi totale mancanza di critiche potrebbe far pensare ad una particolare selezione tesa ad eliminarle per farci belli di fronte al "pubblico", ma non è così. Non pensiamo affatto che manchino i critici nei nostri confronti, tutt'altro; solo che, evidentemente, non ci scrivono. È vero che sono comparsi, sui giornali di gruppi "internazionalisti", alcuni articoli contro di noi, ma non ci sentiamo spinti a rispondere, in quanto tale critica non fa parte del lavoro comune. Del resto sappiamo benissimo che quello che stiamo facendo non può, per sua natura, essere approvato facilmente: se così non fosse, saremmo allineati all'esistente e non abbiamo certo intrapreso la nostra strada per dire quel che normalmente ognuno vuol sentirsi dire. Come scritto dalla Sinistra nel Tracciato d'impostazione (1946), in ogni fase di smarrimento teorico, che è nello stesso tempo "disorganamento pratico", il lavoro di rimessa a punto dei marxisti "produce come primo risultato l'allontanamento e non l'avvicinamento di aderenti", fenomeno per il quale non ci si deve stupire. È normale dunque che vi sia chi risente troppo delle suggestioni di questa società con tutte le sue categorie ben radicate di democrazia e lotta politica. Recentemente ci hanno inviato un plico che conteneva quasi ottanta pagine di critica di un gruppetto nei confronti di un altro; per converso l'altro gruppetto da mesi s'impegna in una campagna denigratoria in senso inverso e ci spedisce i risultati: è un esempio tremendo di ciò che vogliamo evitare di fare.

Ci auguriamo che tutti i compagni abbiano ormai compreso che non ci siamo prefissi di fare una rassegna di "buoni e cattivi" ma di militare nell'ambito del processo rivoluzionario in quanto marxisti. In quest'ottica non serve a nulla il "confronto" delle "posizioni" (quelle giudicate buone e quelle no), serve piuttosto un'analisi materialistica del perché esistono. Se per assurdo qualcuno sostenesse ancora la tesi che il partito dovrà essere modellato sul modello piramidale e democratico terzinternazionalista (congressi che votano tesi, maggioranze e minoranze, segreterie e direzioni eleggibili, magistrature interne ecc.), il nostro compito non sarebbe quello di dargli del cretino e nemmeno quello di entrare in polemica, ma di capire perché tale residuo della storia passata sopravvive. In questo non facciamo che copiare da Marx ed Engels, i quali non entrarono in polemica con l'utopismo dei Saint-Simon, dei Fourier e degli Owen, anzi lo compresero come fatto necessario nel corso storico. Ma quando fu ormai dimostrato il passaggio "dall'utopia alla scienza", si scagliarono contro chi, come Proudhon, pretendeva di essere nella scienza e invece rimaneva nell'utopia. Mettersi oggi a criticare chi sostenesse il centralismo democratico e funzionasse in quel modo, sarebbe stato come per Marx criticare le sopravvivenze di utopismo dichiarato. Portando agli estremi il ragionamento, diciamo che noi non possiamo fare una critica specifica per esempio contro i rigurgiti di magia, astrologia, ecc. Anche se magia e astrologia rappresentarono la scienza dei primordi, oggi possiamo solo ricercare i motivi sociali, materialisticamente determinati, di tale rigurgito. All'interno di un lavoro che abbia però già superato il proudhonismo o il centralismo democratico, la discussione, intesa come ricerca a partire da risultati acquisiti, è invece benvenuta.

Come si vede, non si tratta di snobbare un problema, bensì di farne oggetto di studio in modo che i risultati diventino patrimonio dei militanti e di tutti coloro che siano spinti ad interessaresene. La difficoltà consiste nello stabilire i limiti di tale discussione e, soprattutto, convenire su ciò che è acquisito oppure no. Marx ed Engels insistettero molto sul fatto che il loro giornale, la Neue Reinische Zeitung, era nato per prendere di mira, oltre che la classe avversaria, non tanto la democrazia del vecchio socialismo, ma tutte le sue più radicali forme che man mano sarebbero maturate contro il comunismo.

Un'altra difficoltà è quella di stabilire il confine tra la batracomiomachia (lotta tra rane e topi) e la battaglia politica. Ci sembra di aver individuato bene tale confine: la fisica necessità in rapporto al reale sviluppo della lotta di classe o anche solo di fronte a fatti che richiedono la critica. Sempre con un esempio estremo, diciamo che non abbiamo mai evitato di criticare l'opportunismo sindacale in una assemblea operaia quando era necessario, ma ci sembra ormai superfluo dimostrare con scritti teorici rivolti ai comunisti, che l'opportunismo esiste ed è quello; ci serve invece sapere da dove arriva e quali effetti comporta sullo stato di cose presente e futuro.

È certamente vero che ci serve anche una verifica: per questo è necessario sondare se ci sono potenziali aderenti alla linea storica del marxismo di cui la Sinistra Comunista "italiana" fa indissolubilmente parte, per discutere con loro senza bizantini distinguo. Se ci sono, ci aiuteranno nel lavoro intrapreso, ne faranno parte come quei compagni che già ci hanno fornito preziosi contributi o si sono fermati a lavorare con noi. Se per ora non ci sono... il mondo è grande, c'è posto per tutti, come ribadito nelle parole finali delle Tesi di Napoli.

Fortunatamente il materiale qui raccolto dimostra che la nostra sonda non ha incontrato un generalizzato muro di indifferenza e neppure ha provocato un rigetto pregiudiziale da parte dei compagni che si fanno ancora qualche domanda sulla strada che deve percorrere il futuro partito del proletariato. Ci auguriamo che la "doppia direzione" si rafforzi e diventi sempre più partecipazione attiva al lavoro.

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Primi contatti col demone comunista

Sono una studentessa di Economia e Commercio che si è avvicinata da poco alle idee marxiste. Trovo appassionante la macroeconomia e, parlando con dei compagni, ho avuto le copie di alcune vostre Lettere.

In realtà mi hanno detto poco sul vostro conto, quindi mi farebbe piacere avere da voi stessi informazioni sulla vostra attività, sulle vostre idee, sulle vostre pubblicazioni. In particolare sarei interessata ai lavori sull'economia e a ricevere le vostre Lettere che trovo interessanti soprattutto per l'analisi dei fenomeni, trattati per me in modo nuovo e, se così posso dire, stimolante.

Vi invierò una sottoscrizione per la stampa, ma vi prego di dirmi quale può essere la cifra tenendo conto delle mie magre finanze.

 

A parte ti abbiamo inviato del materiale che può servire a comprendere la nostra storia e il nostro attuale lavoro. Ti ringraziamo per l'apprezzamento nei confronti della nostra attività e soprattutto per l'aggettivo "stimolante", che inquadra bene quello che è il nostro obiettivo principale: mettere a disposizione di tutti un grande patrimonio teorico che non è mai freddo e distaccato, ma vivo, in quanto scaturisce da una battaglia reale durata sessant'anni. Noi cerchiamo di continuare quella battaglia, anche se, ovviamente ci sono preclusi, per ora, sia il grande scenario internazionale in cui essa ebbe luogo tra il 1912 e il 1926, sia lo sfondo di lotte sociali e politiche del secondo dopoguerra.

Quando diciamo che vogliamo mettere la pulce nell'orecchio ai compagni (vedi in special modo la Lettera n. 31), in fondo vogliamo sottolineare la necessità di non imbalsamare una teoria scientifica che, proprio nel momento in cui è bistrattata e decretata morta, trova invece la sua verifica sperimentale nei fatti più a portata di mano. Dì quindi pure, se vuoi, "stimolare", nel senso di far uscire allo scoperto i fatti previsti dalla teoria, le dimostrazioni del comunismo come movimento inarrestabile verso un tipo nuovo di società. O anche nel senso di scuotere la quiete in cui questa società getta gli individui, oggi restii a farsi conquistare dal demone rivoluzionario, come dice Marx, in quanto incapaci di vedere il futuro possibile. In altre parole di fare un confronto con ciò che potrebbe essere invece di farlo, in maniera più comoda ma priva di senso, con ciò che è stato.

Ci auguriamo che la lettura dei testi ti sia di aiuto per uscire dai (o non entrare nei) cliché pseudomarxisti che si trovano a disposizione sul mercato della politica corrente e collegarti, invece, con il filo continuo che parte da Marx e giunge fino ai nostri giorni attraverso la Sinistra "italiana".

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Sono un ragazzo di 13 anni e mi accingo ad affrontare gli esami di III media. Nel mio percorso d'esame l'argomento da portare è il marxismo, che dovrei presentare in un dossier. Dopo aver discusso con piacere con un vostro funzionario (sic!) ed aver consultato il vostro catalogo allo scorso Salone del Libro di Torino, desidererei, se possibile, ricevere tutte le vostre Lettere ai compagni.

 

Le prime Lettere ai compagni ben difficilmente ti serviranno a fini scolastici o anche per l'introduzione al marxismo. Si tratta infatti di documenti che registrano una polemica politica avvenuta nel corso della crisi del Partito Comunista Internazionale e quindi molto particolari. Le Lettere che trattano di temi generali, quindi destinate ad una più vasta area di lettori, sono quelle dalla n. 21 in poi. Ti inviamo quelle. Naturalmente non abbiamo "funzionari" e comunque ricordiamo la conversazione e ti ringraziamo per l'apprezzamento che hai dimostrato al Salone per il nostro lavoro.

Oltre alle lettere ricordate, e all'opuscolo sui giovani che ci sembra tu abbia già preso, ti consiglieremmo quello intitolato Riconoscere il comunismo, che è un po' difficile ma riteniamo particolarmente adatto per i giovani, soprattutto perché aiuta a compiere il salto di qualità necessario a superare le incrostazioni, i luoghi comuni e le falsificazioni apportate dallo stalinismo.

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"Analisi concreta della situazione concreta"

Da tempo ho letto la vostra ultima Lettera (quella sul Muro di Berlino) e mi sembra che sia un'ottima "analisi concreta della situazione concreta", tanto per utilizzare una formuletta sintetica e chiara. Trovo che tale rigore non traspaia dalle altre pubblicazioni della corrente.

La Lettera mi ha suscitato alcune riflessioni che mi permetto di esporvi. Il problema di fondo è questo: la verità di una teoria sta nella sua capacità di dirigere l'attività pratica oppure quest'ultima deriva dalla verità della teoria?

Ora, se intendessimo affermare che la verità teorica è una guida per l'azione, ne conseguirebbe che la prassi diventerebbe una filosofia della prassi - ma il marxismo non è una filosofia della prassi, poiché ha uno statuto scientifico obiettivo.

Allora dobbiamo dire che una teoria è vera perché riesce ad afferrare (in modo più o meno approssimato) una realtà che è certamente sottoponibile alla nostra azione ma non dipende da essa. In questo modo - che mi sembra quello sostenuto da Lenin in Materialismo ed empiriocriticismo - la verità consiste nella corrispondenza tra ciò che si è asserito nella teoria e ciò che esiste nella realtà. E quindi, leggendovi, appare proprio che la critica dell'economia politica e il materialismo dialettico godano di buona salute.

Però un altro problema sorge: è possibile concepire la teoria indipendentemente dal suo rapporto con la prassi? È il problema del Partito, oggi, dentro la radicalizzazione della crisi. No al volontarismo e all'attivismo, certo. Però come ponete qui il problema del partito? Mi farebbe piacere una risposta in tal senso.

Scusatemi se tutto ciò vi appare ingenuo - una parte di ingenuità può anche derivare dalla mancata conoscenza dei materiali da voi elaborati sull'argomento.

 

Vecchio quesito, quello che tu poni, ma anche vecchia risposta ormai per il marxismo. Amadeo dà una bella definizione di conoscenza: essa è prima di tutto memoria. Non c'è bisogno dell'uomo perché esista memoria dato che la natura conosce sé stessa registrando gli avvenimenti biologici (codice genetico), geologici (strati), cosmici (determinismo del divenire) ecc. Quindi non c'è questione di prima uovo o prima gallina (tentiamo sempre di "andare per cose semplici"), nessuna dualità fra teoria e prassi. Mentre si svolge la prassi già si forma con ciò stesso il materiale per la teoria. Introducendo l'uomo nella faccenda bisogna parlare di gruppi, classi, partito. Nel nostro Rovesciamento della prassi, l'azione precede la teoria perché riconosciamo al partito la possibilità di rappresentare la volontà rivoluzionaria, quindi l'unico strumento per mettere in pratica l'esperienza, ma con l'esistenza del partito la teoria precede l'azione (1). Per quanto riguarda la teoria che "non è un dogma ma una guida per l'azione", come dicono gli immediatisti citando malamente Lenin, c'è un bellissimo passo in Struttura, dove si distrugge il preteso dualismo tra dogma e scienza (pag. 208, La pretesa filosofia della prassi). Altro materiale lo trovi in appendice al testo n. 3, Elementi dell'economia marxista (Il Rovesciamento della prassi lo trovi nel n. 4). Scusaci i rimandi, ma è inutile ripetere con parole nostre ciò che è benissimo spiegato una volta per tutte nei testi della Sinistra.

Per quanto riguarda il partito noi sosteniamo le stesse cose che sono contenute nei testi appena citati e anche in questo caso non vale la pena di riscriverli. Se invece ti riferisci alla nostra situazione attuale, ti rimandiamo alla premessa del Quaderno n. 1 (2), che ormai avrai già letto, e alle nostre lettere, specialmente la n. 20, che riassume qualche anno di lavoro e, purtroppo, di discussioni a volte finite con dolorose separazioni.

Certo che siamo per il partito. Ma non pensiamo che ogni militante rivoluzionario che si trovi con qualche compagno debba per forza fondare un partito. Si perde ormai il conto dei sedicenti "partiti comunisti internazionali". Non è certo un rimprovero il nostro: chi ha militato sotto alcune delle sigle che circolano non poteva fare a meno di rivendicarle fino in fondo e con molti di questi compagni siamo in amichevoli rapporti. Noi, come ricorda sempre Amadeo nel '25, non potevamo fondare un altro partito "ad uso e consumo di quattro militanti a spasso" a causa della comunicazione amministrativa emessa da un partito in fase di distruzione. Nel 1925 erano in ballo nientemeno che il PCd'I e l'Internazionale, figuriamoci con che razza di commenti ci avrebbe bombardato il grande capo nella situazione odierna.

Ti ringraziamo per gli auguri di buon lavoro, il nostro augurio è di andare avanti e trovarci un giorno a farlo insieme, non solo con te, ma con tutti coloro che ritengono valide le posizioni della Sinistra senza trovare vincolanti come muri insuperabili le sigle che ognuno, nella sua attività, si è dovuto contingentemente dare. Il partito non è una sigla e non è un club che nasca per volontà dei suoi fondatori.

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Se Saddam facesse sul serio...

Colgo l'occasione del ricevimento della vostra Lettera n. 23 per richiedervi una ulteriore copia della precedente sulla crisi dell'Est, dato che quella ricevuta l'ho passata ad un compagno.

Ho letto in velocità l'importante documento sulla crisi del Golfo: occorrerà naturalmente soffermarcisi con calma; tonificanti ho trovato alcune pagine del capitolo Che vada a catafascio...; la bellissima citazione di quel passante arabo e ottima mi è apparsa la vostra descrizione sullo scontro latente all'interno del campo imperialista occidentale.

Tutto ciò è appunto tonificante nel momento in cui anche la stampa della cosiddetta sinistra comunista sta scrivendo a proposito di questa importantissima crisi cose francamente avvilenti se non oscene. Mi permetto tuttavia di fare un'osservazione sul vostro lavoro, quella che mi è balzata subito addosso: mi sembra che un protagonista fondamentale della faccenda non risalti a dovere nel documento. Esso appare soltanto in una pagina, ed è la massa oppressa, sono i diseredati, il proletariato arabo.

Lo scontro in atto chi vede contrapposti? Bush contro Saddam? Bush contro Khol? Non lo credo. O meglio, credo che il contrasto decisivo, di fondo, sia fra imperialismo occidentale da una parte e masse oppresse dall'altra. Questa è la linea di scontro a mio avviso profonda, decisiva, sulla quale dobbiamo schierarci.

Certo che il campo imperialista è meno che mai unitario, tutti i signori però essendo concordi nel dover tenere a bada, in una maniera o nell'altra, i "barbari", i "fanatici". Dall'altro lato certo Saddam è un illusorio e falso liberatore di quelle masse, nelle sue mani è purtroppo è mal riposta la fede nella guerra santa di liberazione. Naturalmente questo va detto chiaro e tondo ma occorrerebbe anche francamente dire, soprattutto da parte delle cosiddette avanguardie, che se quelle masse diseredate dovessero aspettare dallo "sviluppato Occidente" una voce, una guida, una forza in soccorso alla loro lotta anti-imperialista, beh! starebbero fresche! E noi qui in Occidente staremmo tranquilli!

Saddam è una bestia, certo, ma se per ventura un proletario arabo (anche il proletario immigrato qui) sentisse non solo un Occhetto o un Cossutta, ma un "estremista" tipo DP che vuole rimettere tutto all'ONU per far rispettare legalità e diritto violati, o un "ultraestremista" internazionalista che gli dice "è uno scontro fra imperialismi, non stare da nessuna parte", fai la... "lotta di classe e la rivoluzione internazionale" mentre intanto i boys e i loro amici-nemici martellano, se quel proletario sentisse - ed io penso che lo percepisca, avverta questo vuoto, questa ostilità di fondo - direbbe (e come non capirlo purtroppo): meglio anche uno come Saddam rispetto a questa roba. E personalmente devo dire che, meglio di questa roba di "estrema sinistra" ben venga anche un Saddam ma che faccia sul serio, anche se non credo che farà sul serio perché nel momento che lo dovesse fare (costrettovi dall'aggressione occidentale) rischierebbe di scatenare una forza incontrollabile che gli fa più paura di Bush: le masse oppresse in rivolta, appunto.

Tutti questi sono i pensieri sollevati dalla lettura della vostra Lettera, scusate la fretta di questa mia ma credo che tutti avremo occasione di ritornare sulla materia e di farne oggetto di discussione e scontro politico.

Per andare finalmente avanti, se dio vuole.

 

Vorremmo tranquillizzarti sul fatto che non abbiamo trascurato l'importante fattore da te citato nella tua ultima lettera: cioè le masse di proletari e diseredati coinvolti nella crisi del Golfo e più generalmente affamati dalla spietata azione dei capitali nazionali in concorrenza con quello delle centrali imperialistiche o loro succubi.

Già molti anni fa, in alcuni articoli, mettemmo in rilievo come i Palestinesi fossero stati sradicati dalla terra e catapultati loro malgrado nel vortice internazionale della manodopera errante a basso prezzo. Non sempre si può fare il paragone fra i proletari che lavorano in quelle zone con i proletari di fabbrica perché i primi non lavorano in una base industriale fissa e ciò li priva della possibilità di organizzazione stabile: sono impiegati nella maggior parte dei casi in lavori di appalto e quindi soggetti a frequenti spostamenti. Questo, se da una parte li rende sempre meno legati al villaggio d'origine, ne mina la compattezza, anche perché la famiglia senza risorse è un ostaggio permanente e facile è il ricatto di espulsione di fronte a qualunque tentativo sindacale. Ciò vale non solo per i Palestinesi ma per otto milioni di proletari che migrano da un contratto all'altro per costruire case, strade, porti, raffinerie e a volte intere città nuove, come negli Emirati o nell'Arabia Saudita.

Questa situazione impedisce la formazione di un proletariato nel senso europeo del termine e infatti il concetto di "masse oppresse" da te e da noi utilizzato rende meglio l'idea. Il risvolto materiale importante è che i milioni di diseredati locali, più gli otto milioni di proletari "pendolari" del Medio Oriente non sono una massa omogenea in grado di avere connotati di classe contro un altrettanto preciso nemico di classe. Perciò la loro "pressione classista da popoli colorati" è definita solo attraverso il confronto con la terribile e arretrata "pressione razziale del contadiname", con il quale ormai si schiera il prodotto interclassista del "colcosianesimo industriale" (sono tutte definizioni di Bordiga), il cui prodotto ultimo ti fa tanto infuriare, esprimendosi alla fine in una passività persino teorizzata da alcuni gruppi.

Certo noi non possiamo lanciare parole d'ordine alle masse diseredate del mondo, ma non siamo indifferenti davanti a uno schieramento effettivo di classe, anche se esso è estremamente confuso e non giunge allo scontro che vorremmo noi, mentre in realtà le classi sono tragicamente unite da una parte e dall'altra rispetto al fronte di guerra.

L'imperialismo occidentale non pianifica in modo cosciente una oppressione e una guerra contro le masse povere del mondo: è il suo modo d'agire che genera la miseria, in questo caso non solo relativa ma assoluta. Lo scontro di classe è insito in questo dato materiale generalissimo, ma oggi come oggi, purtroppo, non è all'ordine del giorno l'attacco delle masse diseredate alla causa prima della loro miseria e disperazione.

A nostro avviso, a causa soprattutto della passività del proletariato occidentale, prevale in questa crisi la ricerca di una supremazia in campo economico, e quindi a lungo andare militare, tra gli imperialismi maggiori, USA, Germania e Giappone, come preciseremo nella prossima Lettera ai compagni con il supporto di dati significativi. Certo, "ben venga un Saddam che faccia sul serio", come dici tu, ma è altrettanto certo che egli ha molta paura di "scatenare una forza incontrollabile" in grado di sconvolgere gli equilibrii più delle azioni militari. Nessuna borghesia può spingere fino a quel punto la necessità di raccogliere energie proletarie contro un'altra borghesia, che per quanto nemica, non lo sarà mai come il proletariato.

Ne parleremo, sperando che ci sia concesso di continuare la produzione di documenti dall'effetto "tonificante", secondo la tua definizione, proprio per "andare finalmente avanti".

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L'Iraq e il mondo arabo

Ho ricevuto la Lettera n. 24 che mi sembra sviluppi un'analisi molto seria e completa degli avvenimenti e ho provveduto a inviarvi un contributo a sostegno del vostro lavoro.

Vi è una riflessione di carattere generale che si potrebbe trarre dagli sviluppi della situazione nel Golfo: data l'impossibilità da parte irachena di rivestire un ruolo di guida nel mondo arabo, per la sua storia e per la presenza di stati con interessi economici e politici diversificati presenti nell'area, viene da chiedersi come vada interpretata la capacità di resistenza militare, la fermezza dimostrata dall'Iraq, l'apparente mancanza di cedimenti di fronte all'aggressione.

Sembra quasi che l'Iraq sia stato "costretto" a rivestire un ruolo che non gli competeva dalla stessa aggressione subìta. Gli stessi appelli, peraltro carichi di toni religiosi, alle masse arabe per la loro sollevazione contro gli interessi occidentali, forse per condizionare i governi di alcuni paesi arabi a prendere una posizione di sostegno alla causa irachena, potrebbero produrre nel mondo arabo effetti ben al di là delle intenzioni o delle velleità di coloro che li hanno lanciati.

Se Saddam, come esponente degli interessi borghesi, non può "andare fino in fondo" c'è da augurarsi che le condizioni oggettive di sfruttamento e oppressione, rese ancor più evidenti dalla crisi in atto, spingano le masse del mondo arabo a sollevarsi contro ogni genere di sfruttamento interno e internazionale.

 

Innanzitutto ti ringraziamo per il contributo materiale al nostro lavoro ricordando anche l'importanza di quello "immateriale", cioè il sostegno che ci viene dal giudizio positivo dei compagni e dei lettori.

Indubbiamente la borghesia irachena è stata costretta ad assumere un ruolo radicale per via dell'aggressione subìta. Le tinte religiose che ha dato alla sua propaganda non le erano proprie, essendo la borghesia più laica di tutti i paesi islamici. Rimane il fatto che la sua politica non è e non è mai stata coerentemente antiimperialista né poteva esserlo. Non poteva neppure diventarlo, non solo perché risulta impossibile a chiunque cambiare così radicalmente in pochi mesi il fronte su cui dice di combattere la sua guerra santa, ma perché, come dicevi nella precedente lettera, per essere antiimperialisti bisogna prima di tutto basarsi sulle masse umane che l'imperialismo schiaccia e costringe a livelli subumani. Come può una borghesia far ciò quando è finita l'epoca delle rivoluzioni nazionali? La politica irachena non era quella di sollevare le masse internazionali e la borghesia di Bagdad pagherà con la distruzione del suo territorio e della sua economia senza aver saputo intravedere che la sua sola via di salvezza sarebbe stata la sollevazione araba, non tanto sotto l'aspetto islamico quanto sotto l'aspetto di classi diseredate e oppresse in movimento. Ma chiedere questo alla borghesia di qualunque paese è decisamente troppo, perché ogni sollevamento popolare avrebbe assunto connotazioni antiborghesi e antistato.

Perciò gli appelli alle masse arabe sono stati tardivi e semplicemente strumentali. Se hai notato, gli interlocutori privilegiati del governo iracheno sono stati gli altri governi, l'ONU, le televisioni eccetera. L'appello alle masse non si improvvisa, deve essere il pane quotidiano per chi volesse farne uno strumento di battaglia. E non si può gassare un popolo (i Curdi) chiedendo nello stesso tempo alle masse arabe l'aiuto in una "rivoluzione" il cui programma non è altro che quello di una piccola potenza locale in borghese concorrenza con le altre.

Nonostante tutto questo la resistenza militare dell'Iraq ha avuto l'incredibile forza che deriva dalla contrapposizione di masse sfruttate inquadrate militarmente, contro i corpi armati degli assassini di professione, coccolati dall'America decadente, forti della loro tracotante superiorità tecnologica e produttiva, con troppo da perdere per combattere in una guerra che non sia virtuale. Questa forza, che potrebbe essere invincibile in un altro contesto, è stata sprecata in un inutile bagno di sangue e bene hanno fatto i soldati che si sono rifiutati di combattere salvandosi. Come dicemmo nella lettera 24 nessuno combatte per il solo paradiso.

Noi ovviamente speriamo lo stesso che gli Stati Uniti non riescano a mettere in pratica i loro piani fino in fondo, ma non vediamo proprio come questo possa succedere dal momento che ogni rovesciamento della situazione è altamente improbabile: primo perché le masse arabe non si stanno sollevando; secondo, perché Europa e Giappone hanno, per viltà e convenienza immediata, rinunciato alla loro libertà capitalistica futura lasciando le fonti di energia in mano agli USA.

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Ossigeno gratificante

Ho ricevuto il mese scorso la vostra ultima Lettera n. 33 [Militanti delle rivoluzioni]. Fortissima! Letta e riletta come e più di ogni altra precedente.

 

Quando il nostro lavoro trova consensi riceviamo un impulso per continuare e, se possibile, fare meglio; quando ci si scrive che addirittura è "fortissimo" (punto esclamativo), ci viene da pensare che siamo sulla strada buona. Con i tempi che corrono un po' di sana gratificazione ossigena il compagno depresso ed energizza quello normale, figurati l'effetto che fa su quello ben conquistato dal demone comunista.

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Non è l'anagrafe che fa il giovane

Ho ricevuto la vostra Lettera n. 34 [Astratti, schematici, rigidi e pure settari]: degna della precedente, grazie. Non sono più giovane, né ottimista riguardo al futuro, ma quel po' di entusiasmo voleva dare coraggio a chi lavora sodo e bene, per quel che intendo. Da sempre ho dubbi simili a quelli che tormentavano compagni di ben altro calibro come Salvador o Vercesi.

Appartengo per anagrafe sociale al proletariato e sinceramente sono convinto che la classe operaia mondiale dopo la discesa agli inferi del '14 non si sia mai più ripresa e che anzi le successive batoste l'abbiano "tritolata" nell'istinto (3). La teoria, l'analisi, non sono in discussione. Non chiedo nessun "ticket" per il Paradiso Comunista, solo che non è facile... Bisognerebbe estendere l'analisi sul che cosa impedisce ai proletari di cercare autonomamente una via d'uscita alla loro totale soggezione al sistema. La paura di altre batoste? La non fiducia in sé stessi? In effetti i proletari sembrano aver adottato la teoria del "Carpe diem" e fanno pure pochi figli, cosa ottima in sé, ma che denuncia una netta sfiducia nel futuro, [un calo d'importanza per via demografica].

Sono argomenti buttati lì a casaccio, ma senza lotta non c'è presa di coscienza e senza presa di coscienza non c'è incontro col programma del futuro e senza questo, giorno per giorno è la distruzione, la morte, la degenerazione. La stessa classe borghese tende a sparire. Trionfano i grandi gruppi finanziari, spesso fatti da gangsters e avventurieri, feccia dell'umanità in ermellino.

Mentre tutto si semplifica (niente più rivoluzioni doppie ecc.), tutto si complica, con il protagonista [del futuro storico] che sembra dare forfait. La verità è che siamo nell'attesa di qualche cosa che può accadere, ma potrebbe non succedere più e portare la "razza" umana a sparire prima di aver superato l'esame di maturità tramutandosi in "specie" umana.

 

Leggiamo nella tua ultima che non saresti "più giovane", ma l'avessimo dovuto dedurre dal contenuto di quelle precedenti non l'avremmo capito. Che importa l'anagrafe quando c'è l'entusiasmo? Non puoi essere "pessimista verso il futuro" se nello stesso tempo "cerchi di dar coraggio a chi lavora sodo e bene" (grazie per l'ulteriore incitamento).

I giovani fortunatamente non ricadono tutti nella descrizione pessimistica che fai della situazione. Sia la "soggezione al sistema" che la "paura di altre batoste" sono fenomeni purtroppo generalizzati, ma non comprendono la totalità della specie, ci vorrebbe.

Un aspetto che tocchi di sfuggita nella tua lettera è, secondo noi, di grande importanza. Quando dici: "Tutto si semplifica, niente rivoluzioni doppie", e aggiungi nello stesso tempo che "tutto si complica", constatiamo che vi sono almeno tre motivi per rallegrarsi: 1) perché l'argomento è stato oggetto di riflessione anche da parte nostra in ultime riunioni e il fatto che insieme lo evidenziamo dimostra l'esistenza di quella rete di fili invisibili tesa a collegare la realtà fisica sociale (Diderot, ricordi?); 2) perché la radice materiale del lavoro organico è in quella rete di collegamenti invisibili; solo essa può provocare l'omogeneità di intenti tra individui che non sono per nulla uguali ma che ad un certo punto agiscono in vista di un unico fine (fase preliminare al rovesciamento della prassi); 3) perché Marx dice che l'umanità non può porsi se non quei problemi la cui soluzione è già nei fatti (come nelle rivoluzioni scientifiche, quando si dice che le soluzioni sono "nell'aria") e per questa ragione la maturità rivoluzionaria semplifica tutto.

In fondo il Capitale moderno anticipa dialetticamente forme comunistiche e ciò è tanto più evidente quanto più il Capitale stesso invecchia, si eleva a forme sempre più impersonali. Dal punto di vista politico l'interessante è che la semplificazione dei rapporti elimina l'antica e gravida di discussioni "rosa di eventualità tattiche". Se infatti non ci sono più rivoluzioni borghesi da compiere, rivoluzioni doppie da dirigere, alleanze possibili del proletariato con altre componenti sociali, in una situazione semplificata, la tattica è una sola per tutto il mondo, chiara, inequivocabile: rivoluzione proletaria. La sua messa in discussione definisce immediatamente il traditore e la carogna.

Certamente è anche vero che "tutto si complica". Per ora la fulminante chiarezza di una realtà che ci toglie dai piedi l'antico problema della tattica non può essere così diffusa come vorremmo. La situazione è complicata per il fatto che si sono create infinite sfumature, quelle che Amadeo chiamò elementi integratori della tattica e che rappresentano un'attrazione irresistibile per tutti i pasticcioni immediatisti che vi vedono altrettanto infiniti cavalli di battaglia (almeno uno per cervello individuale). Ma questi ostacoli saranno demoliti, ci sta pensando il Capitale stesso. Nell'epoca in cui la borghesia è una classe ormai inutile, come sottolinei, il Capitale non può fare a meno di sviluppare le forze produttive, e applica la scienza alla produzione ad un grado infinitamente superiore a quello analizzato da Marx nei Grundrisse. La lezione delle controrivoluzioni è che la rivoluzione non si ferma mai, qualunque strumento adoperi. Siamo convinti che ne vedremo delle belle nei prossimi anni.

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Scenari futuri per i giovani

Ho ricevuto la vostra ultima Lettera e vi mando qualche osservazione: 1)Bene per i continui riferimenti alla nostra storia; 2) Benissimo per la grande mole di lavoro riferita al presente; 3) D'accordo sull'appello a serrare le file abbandonando atteggiamenti traumatici del passato. Io stesso dovrò darmi una mossa e certamente questa ultima Lettera è servita molto a scuotermi; occorre però un maggiore sforzo (anche di fantasia, perché no) nel proiettarsi in avanti, a rischiare nel fare previsioni, a immaginarsi possibili scenari futuri.

Per esempio, perché nel capitolo "Un concentrato esplosivo" si accenna semplicemente all'eliminazione già in atto dei biglietti di banca e non ci si dilunga di più su come sarebbe oggi molto semplice l'introduzione dei buoni-lavoro anche per la soluzione del grave problema della disoccupazione? Questa nostra capacità d'immaginare scenari futuri sarebbe di grande impatto per i giovani. Occorre, soprattutto per questi, superare le cupe e drammatiche situazioni passate ed attuali e prospettare scenari più sereni e felici (il nostro "paradiso") sempre rimanendo fedeli alle nostre basi teoriche e programmatiche.

Che ne è della nostra "questione militare"? Dobbiamo riprenderla e studiarla insieme alla sviluppo dell'economia. E dei risultati delinquenziali assunti ormai dalle forze che rappresentano lo Stato? Come consideriamo tutto ciò? Negli scenari futuri esiste la possibilità, giunti a questo punto, di un sovvertimento totale e non cruento del sistema? E in questo caso, non esiste la possibilità di utilizzare forze pacifiste o ambientaliste ecc. per scardinare il sistema? Sono queste soltanto eresie?

 

Siamo particolarmente contenti che, come dici, la nostra ultima lettera sia servita a "scuoterti". Siamo senz'altro d'accordo con te sulla necessità di fare uno sforzo per prevedere possibili scenari futuri, a patto però che esso si basi su certezze scientifiche e non semplicemente sulla fantasia.

La questione dei buoni-lavoro da te ricordata è già una realtà per i proletari. La carta di pagamento magnetica che corrisponde all'ammontare del salario viene "scaricata" con gli acquisti o con transazioni varie a senso unico, viene cioè usata per il consumo e non per l'accumulazione. Il lavoro di presentazione della prospettiva di una società senza le categorie capitalistiche è di grande importanza e ne stiamo discutendo proprio per quanto riguarda la propaganda verso i giovani che hanno bisogno di fare confronti non tanto con il passato (operazione molto comoda per la borghesia, cioè con quanto è stato, bensì con il futuro, cioè con quanto potrebbe essere. Questi temi sono sfiorati sia nella nostra Lettera n. 20 che nella parte finale del nostro opuscolo Che cos'è la Sinistra comunista.

La "Questione militare" è anche oggetto di discussione. Purtroppo abbiamo interrotto a più riprese il Quaderno su tale argomento per via dei progetti più urgenti, ma la discussione non si è mai fermata. In rapporto all'economia ne stiamo parlando a proposito della guerra come sfogo endemico alle difficoltà di accumulazione. Questo nell'ambito della preparazione del secondo Quaderno sulla "Dinamica dei processi storici" (il primo è quello sulla teoria dell'accumulazione).

Il sovvertimento "non cruento" del sistema, come dici tu, non è un'eresia ma un'ipotesi contenuta nei sacri testi. Ciò non va scambiato con la concezione pacifica della rivoluzione. Amadeo parlando di forza, violenza e dittatura, fa la distinzione fra la violenza immediata, attuale (quella che comporta ossa rotte, cannonate e crolli) e quella potenziale (cioè quella, in genere di valenza infinitamente superiore, che obbliga l'avversario a cedere). Più è grande la violenza potenziale, meno è necessario il ricorso alla violenza attuale. Questo concetto lo troviamo anche in Lenin. Pacifisti, ambientalisti ecc. per ora sono solo dei pasticcioni e non rappresentano per nulla "uno dei proiettili che la rivoluzione lancerà contro lo stato di cose esistente" come dice Amadeo a proposito dei residui "barbari" del capitalismo (contadiname ecc.).

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Forze disperse e lavoro comune

Leggendovi, mi sono finalmente riappassionato alla lettura dei nostri testi. Dopo tante ripetizioni stanche e rituali della stampa periodica di "sinistra", con la vostra Lettera ai compagni n. 31 ho potuto ritrovare l'entusiasmo e la passione degli anni passati. Ho trovato conferma a tante mie osservazioni e intuizioni e, se ce ne fosse ancora bisogno, contemporaneamente, con le vostre ricerche, i vostri studi, i vostri approfondimenti, anche la conferma dell'esattezza delle previsioni della nostra corrente. Rimane il problema del "giornale come organizzatore collettivo" (e non solo organizzatore) da voi sollevato nell'ultima parte della Lettera. Esso sarebbe indispensabile per inserire tutte le forze disperse, come chi vi scrive, in un autentico e più efficace lavoro comune. Tenetemi informato di tutto.

 

Il problema del "giornale" l’abbiamo sempre avuto presente, e in questo ultimo periodo vi sono stati compagni che, come te, sentono il bisogno non soltanto di parlarne; ci dicono in pratica di incominciare a pensarci dal punto di vista operativo, di "farlo". Raccogliamo l’invito, ma dobbiamo prima di tutto affrontare il problema in modo professionale, come diceva Lenin. Pensiamo di intensificare le Lettere e di aggiungere ad esse degli articoli brevi che servano da integrazione al testo principale. Se riusciremo ad avere una regolarità nel lavoro, si potrà formare un nucleo redazionale che nel giro - diciamo - di un anno potrà garantire la continuità degli articoli per una rivista. Naturalmente la redazione è solo una metà del problema. L’altra metà è rappresentata dai lettori. Deve esserci la doppia direzione, come diceva Amadeo, tra chi scrive e chi legge, altrimenti va a farsi benedire l’organicità del cosiddetto organizzatore collettivo. Non ci interessa scrivere magari una bella pubblicazione da consegnare ad un distributore e poi chi s’è visto s’è visto.

La pubblicazione deve essere veicolo di lavoro, di studio e di attività intorno ai compiti che oggi si possono svolgere compatibilmente ai rapporti di forza esistenti. Se e quando riceveremo un numero significativo di risposte che ci confermino la possibilità non episodica di "ritrovare l’entusiasmo e la passione degli anni passati", il problema sarà risolto nei fatti. Qualcosa sta già succedendo. Piccoli passi, ma indicativi, come l’interessamento di qualche giovane e giovanissimo, maggiori riscontri che nel passato, una maggiore circolazione delle nostre Lettere fotocopiate, attraverso canali non raggiunti da noi direttamente ecc., ci fanno pensare che si stia manifestando una maggiore attività del demone del comunismo negli individui.

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La vittoria dell'IO

Con piacere ho ricevuto la vostra lettera insieme con il materiale richiesto. Ne deduco che non disdegnate i contatti con altri compagni anche se appartengono ad altra parrocchia, come fanno certi presunti comunisti che invece di dedicarsi allo scontro di classe cercano lo scontro entro le file del movimento rivoluzionario e ciò mi sembra veramente degno della situazione attuale.

Il vostro lavoro? Date le circostanze va benissimo, anche se, come succede a tutti, a volte si è accusati di errori o non si è compresi nel verso giusto. Vi sono un po' dovunque "primi della classe" che ripetono, scimmiottando Marx nelle sue lettere ad Engels, "il partito siamo io e te". Nulla urge, diceva il nostro Vecchio, ma intanto di generazione in generazione, pur rimanendo aggrappati con le unghie e con i denti ai nostri ideali, ci sentiamo sfuggire di sotto i piedi il basamento e non sentiamo le nostre radici estendersi come vorremmo.

È già passato più di mezzo secolo da quando appresi l'abbiccì del comunismo, eppure mi sembra ieri. Ho visto passare moltitudini di compagni, e i vecchi non ci sono più; quelli che sono venuti dopo li ho visti svanire, smarrire, mollare la mano di quelli che restano quasi che, assurdamente, fossero più nemici dei nemici, e nessuno capisce perché. Si direbbe che il morbo borghese non perdoni neanche i migliori, sconfitti dal proprio IO, a meno che non accettino un isolamento assurdo.

Sia ben chiaro, oggi è impensabile veder rinascere il partito "compatto e potente", per cui non ci resta altro da fare che lasciare questo compito alle future generazioni e non perderci nei meandri delle polemiche da primi della classe. A volte mi chiedo se non sia io lo "sfasato", il "fuori-tempo", lo "psicopatico" che, malgrado le esperienze passate e recenti, insiste ancora nel voler credere nelle stesse cose di un tempo che fu.

Ma le cose e soprattutto il rapporto con i compagni mi ha dato prova che dopo tutto il mondo e la società umana cambieranno comunque perciò posso trascorrere la mia vecchiaia in santissima tranquillità. Per il momento non me la sento di desistere dalla mia opera quotidiana, quasi fosse un "demone" che, per così dire, avvinghia la mia coscienza. Vivo la mia quotidiana esperienza senza esaltarmi ma tenendo d'occhio gli eventi senza tuffarmi negli aspetti epocali per non perdermi nel marasma di fatti e fatterelli contraddittori.

Questo è un consiglio che vorrei dare a molti compagni, cioè vivere e lavorare in estensione, diffondere il Programma del Partito, portare la critica oltre i confini dei limiti in cui viviamo e anche oltre il "nostro" tempo, verso le generazioni future, anche con le nostre forze limitate. Sarebbe utile anche renderci conto che, oltre ai miliardi di individui che non conoscono la nostra dottrina (e i nostri sogni?) ce ne possono essere di quelli che ci sono vicini pur non conoscendoci. Cerchiamo di lavorare in quella direzione con le nostre ricerche, senza pretendere di essere dei "super", accontentandoci di fungere da traliccio di una rete elettrica, il quale non vede dove va a finire la corrente ma ne sostiene i cavi che la portano.

La nostra mano non stringe solo quella del compagno a noi vicino ma anche quella di coloro che verranno. Scusate ma questa mia vi giunge in tempi di meditazione.

 

Ti ringraziamo per lo sfogo scritto in "tempi di meditazione", per noi carico di significato. Da un punto di vista generale, vedendo come vanno le cose e quanta attenzione si ponga alle questioni che cerchiamo di diffondere (comunismo, rivoluzione, società futura), tutti noi, che in un modo o nell'altro non demordiamo, siamo "sfasati, fuori tempo, psicopatici", come dici di chiederti a volte. Ognuno di noi insiste caparbiamente nel continuare: è ovvio che per gli "altri" siamo perlomeno strani. Gli sfasati e gli psicopatici hanno sensibilità superiore a quella dei normali, per questo ci riteniamo seguaci del comunismo.

Non seguiamo i compagni che ci dimostrano, citazioni alla mano, quanto sia corretto fondare partiti a raffica, nella certezza di essere i fautori della rivoluzione futura. A noi per questo bastano le Tesi di Roma. Il capitalismo non è eterno, nessuna forma economica e sociale lo è. Ma le rivoluzioni possono avvicinare l'avvento delle nuove forme solo se giungono fino alla vittoria completa, e per far questo occorre un partito e il partito non si inventa. Nessuno organizza lo scoppio delle rivoluzioni, molti le fanno, i partiti rivoluzionari le dirigono verso la vittoria. Se non degenerano, se non tradiscono, se adottano la tattica storicamente data, soprattutto se sono consapevoli dei propri compiti, dei propri limiti (o della propria forza quando vi sia), della continuità che rappresentano con le rivoluzioni precedenti, tutte, non solo l'ultima.

Nella tua lettera di meditazione lanci un appello affinché si estenda la voce del partito "oltre i confini dei limiti in cui viviamo e anche oltre il nostro tempo, verso le generazioni future"; per far questo dici che occorre superare il morbo borghese, quell'IO impestato che sconfigge i militanti più delle armate nemiche. Come hai ragione, mille, mille volte ragione. Il potere della classe dominante non è fatto tanto di Stato, magistrature, polizia, esercito. Quelli si possono sconfiggere, nessun potere resiste a una rivoluzione. Ma noi siamo stati sconfitti prima di tutto dall'individuo borghese che è in ognuno dei potenziali compagni. Quando Amadeo diceva nel 1912 che bisognava adoperarsi per creare un ambiente di partito ferocemente antiborghese, sapeva quel che diceva. L'esperienza storica e individuale hanno dimostrato quanto sia necessario insistere sugli argomenti trattati a proposito del "battilocchio" e delle ubbìe intorno alla persona umana. L'astensionismo non era una questione di principio, ma derivava dalla consapevolezza che l'individuo è infettabile nel suo IO, che è il suo punto più debole, e quindi non bisogna mandarlo dove c'è l'infezione concentrata.

Non sappiamo a chi ti riferisci quando parli di "primi della classe", ma sottoscriviamo in pieno l'esigenza di smetterla con le batracomiomachie, le polemiche sul nulla che immeschiniscono il lavoro politico. Oggi c'è chi ha fondato nuovi partiti, chi pubblica riviste e giornali, chi lavora anonimamente in piccoli gruppi ecc. ecc. La battaglia politica è vitale, ma lo è solo di fronte a movimenti reali, non di fronte a qualche pincopallino che si crede il centro del mondo. Noi abbiamo smesso da molto tempo di rispondere ai pruriti bellicosi di quelli che si sentono raddrizzatori di eresie altrui: c'è un programma scritto e sviscerato in tutte le sue sfumature, chi ci sta ci sta, chi non ci sta faccia la sua strada. Tutti dovrebbero fare così, senza dimenticare che le Torri eburnee in cui isolarsi sono passate di moda, fatto sancito da tutte le Tesi della Sinistra. Si lavora senza confini di spazio e di tempo, "a orizzonte non visibile", come diceva Amadeo.

La conclusione di questo breve scambio, stimolato dalle tue meditazioni sotto l'effetto del "demone comunista", è quella cui tu stesso giungi: chi "pretende di essere super" non solo non stringe la mano a coloro che verranno, ma neppure al suo diretto vicino, si comporta come un isolatore; non solo non è traliccio sostenitore, ma si nega di poter essere un giorno cavo conduttore che trasporta la corrente in una rete di cui sarebbe impossibile stabilire l'inizio e la fine.

Note

(1) Tutte le scienze procedono secondo lo schema del rovesciamento della prassi: è l'azione (attività umana) che rende impellente la scoperta delle leggi e, una volta che queste sono formulate, esse determinano l'azione per raggiungere i risultati "voluti".

(2) Ora quella prefazione è contenuta nel libro Origine e funzione della forma partito, ed. Quad. Int.

(3) Espressione usata da Bordiga nell'articolo Esistenzialismo, comparso in Prometeo nel novembre del 1948 ("classe stritolata e tritolata", da Tritolo).

Lettere ai compagni