36. Doppia direzione (2)

Ci risiamo: il "confronto"

[Questa lettera, che è lunghissima e da cui eliminiamo le auree credenziali del mittente, è scritta da organizzazione a organizzazione. È l'unica che abbiamo ricevuto, anche se non è l'unico tentativo di avances di cui siamo stati oggetto quando si pensava che fossimo rimasti orfani di partito. La risposta è stata indirizzata personalmente all'estensore].

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Abbiamo solo di recente scoperto la vostra esistenza attraverso una Lettera ai compagni passataci da un lettore. Fortunatamente era una lettera largamente dedicata a fare il punto sul vostro lavoro dopo l'espulsione da Programma e questo ci ha permesso un orientamento - speriamo - migliore sulla via che avete intrapresa. Veniamo subito all'oggetto di questa lettera, che è l'interesse per il vostro modo di riprendere il "filo interrotto". Questo modo è abbastanza singolare rispetto a quanto abbiamo potuto constatare in questi anni fra i gruppi sopravvissuti (a volte giusto il tempo di qualche ripubblicazione) all'esplosione di Programma. Tanto per cominciare voi non siete il partito mondiale, non nel senso banale che non lo siete, ma nel senso che sapete anche di non esserlo. E questo è già quasi un miracolo rispetto a tutti quelli che si sono messi a cantare con Dario Fo: "E noi faremo un nuovo partito, non importa se il vecchio ha tradito, questo è nuovo e non tradirà". Tuttavia non mancano, specie in Francia, piccole conventicole che pur sostenendo che il partito non può esistere per il momento, aggiungono poi che loro (uno, due o tre) sono gli unici al mondo a possedere in esclusiva il filo storico da cui non mancherà di sorgere il partito di domani, chi vivrà vedrà. E qui viene il miracolo vero, e cioè che voi non vi riteniate gli unici a cercare di difendere le posizioni della Sinistra, accettando almeno l'idea che altri, provenienti da Programma stiano quanto meno facendo il tentativo.

Voi fate una meritoria distinzione fra la discussione tra compagni e la polemica con l'avversario di classe, ma poi restringete la discussione ai compagni di una stessa organizzazione, che sono già d'accordo su tutto l'essenziale. Ora è certo che esiste una differenza [fra i compagni di diverse organizzazioni ma] essi non sono nemici di classe, così come non lo siete voi. Voi parlate di un'area "internazionalista" che si suppone diversa dal punto di vista di classe del nemico. È certo vero che il partito non uscirà automaticamente dall'icollaggio dei disomogenei pezzi di quest'area "dopo apposita agitazione, trattamento ed omogeneizzazione", tanto più che molti di questi pezzi sono semplicemente residuali. Ed è ancora più vero che non ci si deve rivolgere solo a quest'area, ma all'area più vasta di compagni che vanno orientandosi con grande fatica e confusione verso le posizioni di classe. Ma, per l'appunto, si deve comunque ammettere che esista un'area ben definita con cui la polemica, per dura che sia, non ha lo stesso segno di quella con il nemico di classe. Nella vostra Lettera non è ben chiaro se siete d'accordo o no, anche se probabilmente l'insieme del materiale da voi prodotto ci avrebbe permesso di orientarci meglio.

Vi richiamate integralmente alle posizioni classiche del vecchio partito, pur non considerandole un lavoro finito una volta per tutte (in linea con Amadeo d'altronde: teoria dei semilavorati). Di conseguenza rigettate ogni possibilità di discuterle con chi non le condivida perché questo "sarebbe un dibattito". Ora, noi non abbiamo la minima voglia di "titillare Santa Democrazia", secondo la vostra gustosa espressione, ma la storia del movimento operaio non ci ha ancora insegnato un metodo di affermare delle tesi che non passi per la loro discussione e difesa pubblica, tesi contro tesi.

Per quanto ci riguarda, siamo prontissimi a sottomettere la nostra Piattaforma alla critica degli altri gruppi rivoluzionari, perché siamo convinti della sua validità e della nostra convinzione nel difenderla. Affermare che essere pronti a difendere le proprie posizioni in un dibattito politico aperto con altri compagni equivale a essere pronti a gettare a mare le proprie posizioni o a mescolarle democraticamente in un cocktail fifty-fifty con quelle dell'antagonista, significa mettere la storia del movimento operaio sulla propria testa. Sia Marx che Lenin hanno sempre sfidato i compagni al contraddittorio, altro che rifiutarlo! E non ci pare che fossero proprio esempi di elementi pronti a fare "commercio con i principii".

Ancora qualche parola sulla proposta a suo tempo da voi avanzata di un giornale che permettesse il processo di confronto fra quanti si richiamavano alle Tesi fondamentali di Programma in vista della loro omogeneizzazione e ricostituzione in organismo politico (4). La tesi in sé non era assurda. Per fare un giornale che si proponga di essere "l'elemento catalizzatore dell'attività, della discussione" (Lenin) bisogna accettare l'idea che fra militanti, almeno dello stesso partito, si possa discutere, senza titillare Santa Democrazia. Bisognava cioè accettare ciò che in Programma si era sempre negato con la massima violenza. L'appello al dibattito resta valido ancora oggi. Raccogliere questo appello significa rompere con tutta una parte reale della continuità di Programma, questo è un fatto che non si può negare.

Certamente i compagni che a xy hanno ricostituito un Partito Comunista Internazionale a partire da una frazione di sezione dell'ex partito, sono molto più fedeli di voi alla lettera di esso. Le loro disperate invettive contro quelli che rigettano l'idea di riploclamarsi partito (e voi siete chiaramente nel mirino) sono in perfetta linea con la "tradizione bordighista" e nessuno può contestare la sequela di sacri testi che non mancano di citare. Analogamente, la decisione dei compagni di yz di costituirsi in partito è in totale accordo con tutta la tradizione programmista. È vero che questo è in contraddizione con le Tesi di Roma del '22, col lavoro della Frazione e, banalmente, col marxismo, ma questo è quello che Programma ha affermato.

 

Abbiamo letto con interesse la tua lettera, anche se abbiamo notato che, nonostante i propositi, essa non è molto diversa da altre che abbiamo ricevuto in questi anni da singoli compagni e che trattano il tema "discussione fra comunisti". In fondo tu, a nome di una organizzazione, fai quello che chiedi agli altri di non fare, cioè vai a fare le pulci alle nostre "posizioni". Metti l'interlocutore di fronte al tuo insindacabile giudizio. Vuoi il "dialogo" ma lo impedisci con le tue pregiudiziali. Ammetti di non saperne molto sul nostro conto (e infatti interpreti assai male la nostra Lettera), ma ti rivolgi a noi come se sapessi tutto. È un metodo che non va.

Sei talmente convinto della correttezza di questo metodo che spendi ben cinque pagine fitte fitte per dimostrarci che "hai ragione" tu e non ti sfiora neppure il pensiero di spendere una, diciamo una, parola sul contenuto del lavoro che facciamo e che vogliamo continuare. Che interesse può avere per noi discutere su dei "giudizi" che ci vengono da una parte o dall'altra?

La Sinistra ha avuto una storia tormentata e continua ad averla. Nonostante ciò, noi crediamo che sia possibile seguire un filo coerente in questa storia, soprattutto se ci basiamo sull'enorme lascito "teorico" messoci a disposizione. Mettiamo le virgolette perché. non è possibile disgiungere un risultato teorico, ormai acquisito, dalla vita fisica degli uomini e dalle loro opere, cioè dalla loro "prassi".

Questi risultati sono a disposizione di tutti. Possiamo attingervi senza distinzione di etichette, sia per quanto riguarda la formazione del partito, sia per quanto riguarda l'atteggiamento dei singoli o dei gruppi. Ci sono state vittorie e sconfitte, queste ultime più numerose, certo, ma ben più gravide di insegnamenti delle prime. È tutto gratis, non c'è il Copyright. Nessuno è escluso a priori da ogni possibile ricerca o lavoro né siamo noi o voi o altri che possiamo escludere qualcuno. Ci vorrebbe!

D'altra parte, noi non abbiamo mai avuto l'abitudine di considerare "spazzatura" il resto del mondo, anzi, se leggi bene la nostra lettera critichiamo proprio chi ha questo atteggiamento. La Sinistra ha una lunga tradizione di lotta contro l'indifferentismo. Il lavoro che ci interessa fare è quello di dare il nostro contributo alla continuità della corrente. Ma siamo convinti che questo lavoro non passa attraverso una diatriba fra gruppi o persone, bensì attraverso la possibilità di questi elementi (formalizzati o no, per ora non importa) di elaborare su quel lascito di cui parlavamo prima.

In altre occasioni la nostra corrente li ha chiamati "semilavorati". Bene. Chiediamo: è possibile tentare l'approccio ai semilavorati e portarli ad altro stadio di finitura senza uscire di carreggiata? Noi crediamo dì sì. Con tutte le conseguenze teoriche e organizzative che ciò comporta, indipendentemente dai confini delle "conventicole" attuali, come le chiami tu. Ma c'è una condizione che non inventiamo noi e che tu sembri ignorare. Puoi mettere al posto di "diatriba" la parola "dialogo", ingentilisci la frase ma non cambi il succo. La strada giusta non è il frutto di una ricerca ed elaborazione soggettive, bensì la risultante di forze che concorrono oggettivamente a quel traguardo.

Noi tutti, atomi dispersi di una rivoluzione temporaneamente sconfitta, non siamo altro che i veicoli di quelle forze; i battilocchi grossi e piccoli non ci fanno più nessuna impressione. Dare del "buffone" a Trotzky è un esercizio sterile quanto quello di chi dà del satrapo asiatico a Stalin o di chi tesse le lodi dell'attualissimo Gorby. L'importante è capire perché i personaggi sono finiti sui loro piedistalli. Più importante ancora è capire come stia scavando la Vecchia Talpa e quali siano i presupposti che essa farà maturare per l'eruzione catastrofica rivoluzionaria.

Ti invitiamo a riprendere la nostra lettera dove si parla delle cose da fare: crisi dell'imperialismo, organizzazioni immediate dei proletari, rivoluzione nelle aree ex coloniali, guerra, compiti immediati della rivoluzione nelle aree di "vecchio" capitalismo, rivoluzione e ambiente... Questi gli argomenti. che intendiamo affrontare. Su che cosa si basa il lavoro che proponiamo? Studio del materiale esistente, riunioni, incontri, corrispondenze, un minimo di organizzazione e di metodo, propaganda, proselitismo, partecipazione alle vicende sindacali quando sia possibile, indagine e studio sull'attività della borghesia, del proletariato e degli altri strati sociali... Ovvero, quel che abbiamo sempre fatto nel partito e fuori.

A volte la parola "partito" provoca delle strane reazioni. Nelle nostre tesi è scritto che dobbiamo essere consapevoli di "preparare il vero partito di domani". Dobbiamo dedurne che quello esistente fosse falso? O non significa invece che dobbiamo essere consapevoli dei limiti imposti dalla situazione e che nostro dovere è quello di lavorare con metodo di partito rifiutando l'andazzo anarcoide o democratico? Allora: sia sul piano del lavoro che su quello dell'organizzazione, ancora una volta non c'è niente da inventare. Il mosaico è già impostato, non abbiamo che da aggiungervi altre tessere affinché il quadro sia sempre meglio definito. Saremo in grado? Prima di rispondere sì o no occorre precisare: a chi si riferisce quel "saremo in grado"? Noi non abbiamo la presunzione di essere i depositari delle Sacre Scritture; nella nostra militanza abbiamo almeno imparato il senso della misura. Chi vuol veramente lavorare per la Sinistra e per la rivoluzione, ha un campo molto vasto di fronte a sé. Solo il partito futuro potrà coprirne tutta l'estensione. Oggi le nostre "conventicole" possono fare abbastanza poco, ma in compenso rappresentano il terreno di scontro dialettico per la selezione dei nuovi militanti. Vedi, noi troviamo altamente sospetto il vizio di elaborare sempre nuove "Piattaforme" da "sottoporre alla critica degli altri gruppi rivoluzionari". La nostra piattaforma non potrebbe che essere il catalogo degli elaborati della Sinistra su cui basiamo il nostro lavoro. Invece di studiare piattaforme da presentare ad altri noi preferiamo continuare il lavoro incominciato dalla nostra corrente.

Ma questo, leggendo la tua lettera, sembra non ti interessi molto. "La rivoluzione verrà e saprà darsi i suoi strumenti", dice Amadeo in una lettera. Alti strilli di indignazione: ecco gli attendisti, i millenaristi ecc. Sta di fatto che non avverrà il contrario, cioè non inventeremo con la nostra povera volontà gli strumenti che sapranno fare, costruire la rivoluzione, perché "le rivoluzioni, come i partiti, non si fanno, si dirigono". E possiamo aggiungere, visto che siamo in vena di citazioni: "le rivoluzioni non sono una questione di forme organizzative". Forse a te non va tanto che noi si citi il Grande Amadeo, visto che a tuo avviso ha sbagliato sulla questione del Partito e non solo su quella. Dici nella tua lettera che bisogna rompere (sottolineato) con la tradizione di Programma.

Se possiamo risponderti con tutta tranquillità che il culto delle persone non fa parte del nostro modo di pensare e di agire, dobbiamo però precisarti con tutta fermezza che non rompiamo un bel niente, né con la tradizione della Sinistra, né con la storia dell'organismo che più di ogni altro l'ha rappresentata. Conosciamo molto bene sia il tuo gruppo che gli altri che si richiamano alla Sinistra. Vi conosciamo direttamente, e non per sentito dire, sia attraverso i vostri testi che per aver partecipato a discussioni con l'uno o con l'altro. Rimaniamo fermi nella nostra convinzione proprio per questo.

Tu attribuisci alla tradizione di Programma cose che noi abbiamo rifiutato e contro le quali abbiamo combattuto una lunga battaglia che si è conclusa con la nostra sconfitta formale. Siamo stati buttati fuori da partito. Però ora esso non esiste più. Con quale tradizione dovremmo rompere? Quella non era tradizione. Erano tentativi neppure originali per accantonarla. È stata la tradizione della Sinistra che ha impedito all'organizzazione dì sopravvivere diversa dal suo programma originario. La tradizione non è intaccata, è il suo involucro fisico che invece è rimasto sconvolto dalla contraddizione fino ad autodistruggersi. Gli espulsori sono stati espulsi. Può succedere, è previsto, ogni buon marxista dovrebbe saperlo.

Torniamo al tuo appello al dibattito. Sappiamo come rispose la Sinistra nel 1926 alle sollecitazioni di Korsch per la costituzione di una opposizione internazionale di sinistra. Rispose di no ben consapevole del fatto che l'unità era generata soltanto dalla reazione alla strada che stava prendendo l'Internazionale. "Noi miriamo alla costruzione di una linea di sinistra veramente generale e non occasionale, che si ricollega a se stessa (Bolscevismo pianta di ogni clima) attraverso fasi e sviluppi di situazioni distanti nel tempo e diverse, fronteggiandole tutte sul buon terreno rivoluzionario, non certo ignorandone i caratteri distintivi soggettivi". C'erano dunque dei caratteri distintivi che non dipendevano dai capi o dai gruppi e che non potevano essere amalgamati con dei semplici accordi. Già un anno prima Amadeo avvertiva rispetto a un orientamento di sinistra nei vari partiti: "lo riterrei cosa utile e forse nell'avvenire necessaria, ma la sua realizzazione non dipende affatto dalla decisione mia o di chicchessia di intavolare rapporti epistolari, bensì da cause più profonde di cui lo scambio eventuale di lettere non potrebbe essere che uno dei tanti effetti esteriori" (sottolineature nostre).

Noi crediamo che oggi la situazione, per quanto riguarda lo sviluppo di una vera e propria corrente che abbracci la tradizione della Sinistra sia più difficile di allora, dato che le "cause più profonde" non si sono ancora verificate. I nostri gruppi (così li chiamava Amadeo), lavorando con metodo di partito e adottandone il nome, si sono attenuti fedelmente a una consegna storica invariata da allora, finché hanno potuto. Sono stati commessi degli errori, alcuni superati, l'ultimo fatale. Ma l'ultimo non era semplicemente un errore: era un tentativo di cambiare la fisionomia alla corrente, farla apparire quale non era. Ora la corrente tende a sopravvivere annullando quel tentativo. Dialetticamente ci sembra un buon risultato anche se la milizia si è terribilmente assottigliata. Un insegnamento in più da iscrivere nel nostro bilancio.

Tutto questo non ha nulla a che fare con la teoria dei gruppi "proletari" o meno. Tu sai benissimo che fra noi proletari ne circolano ben pochi; la natura proletaria (sottolineatura tua) dei gruppi cui ti riferisci è un'astrazione. Anche quando si tratti di un riferimento al programma classista e non della composizione sociale. Alla nostra corrente non può bastare un atteggiamento genuinamente classista quando si parla di azione politica e di organizzazione. Né può bastare una serie di "piattaforme" a confronto. Non siamo nella Russia del 1903.

Il passato della Sinistra si condensa in un Programma preciso che in pari tempo rappresenta il cammino futuro da percorrere, già definito, già tracciato con le sue delimitazioni tattiche derivanti dalla maturità del capitalismo e, per le aree diverse da quella in cui viviamo, dalla fine del ciclo delle rivoluzioni democratiche. Ora, per noi, discussione è un termine che va almeno precisato. Capisci bene che non possiamo mettere in discussione i risultati raggiunti dalla Corrente della Sinistra, il suo Programma. Possiamo discutere, sulla base di quel programma e con chi lo accetta, sul lavoro da fare, sulle iniziative da prendere e cose del genere. Che diavolo c'entra il primo capitolo del Che fare? Lenin attacca la "libertà di critica" proprio perché non vuole pastette con gli opportunisti. Ammette un primo periodo di unione fra elementi eterogenei, ma solo per la "particolarità originale della Russia". Del resto ne parla come di un periodo tramontato per sempre. Critica i pasticci dei francesi con il bersteinismo, ma critica anche i tedeschi per la loro diplomazia. Proprio non c'entra: Lenin ribadisce l'importanza della coerenza teorica: "il nostro partito è ancora in via di formazione, sta ancora definendo la sua fisionomia ed è ben lungi dall'aver saldato i conti con le altre correnti del pensiero rivoluzionario che minacciano di far deviare il movimento dalla giusta via". Per questo ritiene che siano utili discussioni di frazione, per "la rigorosa definizione delle varie tendenze".

Ma questa strada la Sinistra l'ha già percorsa, i conti con l'opportunismo sono già saldati. Quando vi sono state tendenze in grado di influenzare il "movimento" abbiamo preso posizione. Lo faremo ancora se succederà di nuovo.

Se tu che ci scrivi fai tuo il programma della Sinistra, che "dibattito" vuoi aprire con noi? Mettiamoci al lavoro, ci sembra più proficuo. Sulla base di quello vedremo, in presenza di "cause più profonde", se è vero che facciamo parte della stessa corrente.

Far parte della stessa corrente o del Partito (con la maiuscola) non è una questione di tessera in tasca, di etichette o di volontà. Tutti i gruppi che si richiamano alla Sinistra sono perfettamente convinti di essere sulla strada giusta e di rappresentare in qualche modo la correttezza programmatica di coloro che hanno scelto per antenati. Il senso di questa situazione lo si capisce bene: ognuno è costretto a far quel che può e non quel che vuole. E chi non vorrebbe una maggiore omogeneità, una maggiore comprensione reciproca, magari una unità di studio e di azione? Fantasie, purtroppo non è l'ora. E allora, che senso ha il dibattito se non quello di rappresentare la volontà di forzare le cose? Forse che oggi come oggi un'etichetta (proletaria) per un gruppo di dieci persone ha un valore qualitativamente diverso da due etichette di due gruppi di cinque?

Se, ammesso e non concesso, si realizzasse il "miracolo vero" della crisi di alcune conventicole (mettici pure anche la "nostra"), si realizzasse la caduta nel ridicolo della loro prosopopea, si scoprisse senza dolori e senza strilli che nel partito organico sono possibili convivenze fra compagni che la pensano diversamente su alcuni problemi, maturasse la consapevolezza sui temi della formazione e dello sviluppo del partito (o della non formazione e del non sviluppo) in diverse situazioni ecc. ecc., non staremmo qui a scambiare tentativi di spiegazioni impossibili, ma saremmo già naturalmente proiettati in quella rivoluzione che sa darsi i suoi strumenti, fantaccini e marescialli, pattuglie e armate che siano. Ma nervi a posto, miracoli intorno non se ne vedono neppure col cannocchiale.

Sappiamo bene che questa lettera finirà per essere intercettata a quei livelli che ameremmo definire "al di sotto del miracolo". Aspettiamo con trepidazione l'infuocata missiva di qualche Strenuo Difensore della Verginità dei Principii che ci accuserà di aver sollecitato con insane "posizioni devianti" l'attenzione del Nemico. Trenta pagine di citazioni DOC. Il miracolo, cari miei, è non morire di noia.

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Chi siete?

Spettabile Casa Editrice, ho avuto il vostro indirizzo, dopo tante ricerche, da xy, il quale mi ha detto che avete pubblicato tutto o quasi di Amadeo Bordiga. Essendo interessatissimo vi prego di spedirmi con la massima sollecitudine il catalogo generale delle vostre pubblicazioni (anche su altri eventuali argomenti). Desidero sapere, inoltre, se i Quaderni Internazionalisti sono una rivista e, nel caso, vogliate spedirmene una copia. Oppure/anche un vero e proprio gruppo politico. Su quali posizioni?

 

Xy, che ti ha dato il nostro indirizzo, è un po' ottimista sul fatto che dovremmo aver pubblicato "quasi tutto" di Amadeo Bordiga. Pubblicare tutto il materiale rientra nel nostro programma di lavoro, ma ci vorrà del tempo. Tra l'altro noi pubblichiamo tutto il materiale che è utile al lavoro dei militanti, quindi non solo quello di Bordiga, anche se in fondo possiamo fare affidamento rigoroso quasi solo sui suoi lavori.

Quaderni Internazionalisti non è una rivista. Avevamo deciso di chiamare così le pubblicazioni che raccoglievano il nostro lavoro quando abbiamo incominciato a pubblicarne i risultati, nel 1985. I titoli dei Quaderni li troverai sul "catalogo". Quasi tutti ci individuano col nome delle pubblicazioni: anche se a rigor di logica sarebbe sbagliato, non ci possiamo fare niente. Il nome Editing designava la ragione sociale della casa editrice con la quale avevamo iniziato le pubblicazioni, ma essa non esiste più.

Siamo un "vero e proprio gruppo politico"? Se con ciò si intende un gruppo politico come per esempio uno dei partiti comunisti internazionalisti esistenti la risposta è no. La risposta rimane no anche se tu intendessi un gruppo che, pur non definendosi partito, agisse esattamente come se lo fosse, credesse di avere una relazione con le "masse" lanciando appelli e parole d'ordine ecc. La definizione della "forma" attraverso la quale si esprime il nostro lavoro per ora non ha importanza.

Certamente siamo per il partito come l'ha sempre inteso la Sinistra e alle sue Tesi ci atteniamo rigorosamente, infatti tendiamo a lavorare con metodo di partito, non certo di club culturale. Non abbiamo "posizioni", termine che ricorda più le acrobazie del Kamasutra che l'attività rivoluzionaria (Bordiga: schema di circolare, febbraio 1953). Abbiamo un patrimonio cui riferirci e a quello ci atteniamo. Saremmo "bordighisti" se ciò non significasse prima di tutto tradire proprio Bordiga e, secondariamente, non ci facesse confondere con troppa gente che dice di essere tale. La struttura del nostro lavoro oggi è ricalcata su quella che potrai trovare nelle Tesi di Napoli ai punti 8 e 9, ai quali non è possibile aggiungere nulla. Tali punti sono integrati da considerazioni sul domani al punto 8 delle successive Tesi di Milano.

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Che cosa fate?

Ho ricevuto il pacco con i libri e non appena avrò i soldi vi farò un vaglia perché attendo di essere pagato. Complimenti per il testo sul Comitato d'Intesa e per l'utile ed interessante lavoro di ricerca che avete svolto. Spero che i riscontri politici ed anche economici non tardino ad arrivare!!!

Volevo chiedervi alcune cose:

1) Ho acquistato in libreria il volume edito da Graphos delle opere complete di Bordiga. Che ne pensate di tale iniziativa e se potete dirmi qualcosa (di politico, non di pettegolezzi, non perché voi usate tali categorie ma per essere chiari) su questa casa editrice di cui non so nulla.

2) A Napoli mi capitò tra le mani, alla manifestazione degli operai metalmeccanici, un vostro volantino. Ne avete prodotti altri? E che tipo di attività "pratica" svolgete a Torino e/o altrove oltre, naturalmente, al lavoro di pubblicazione, alle periodiche Lettere e riunioni?

3) Se avete prodotto altri volantini vi sarei grato se poteste spedirmeli.

4) Avete mai pensato di pubblicare una "manchette" pubblicitaria dei testi della Sinistra, magari sul Manifesto o su Liberazione, per tentare di propagandare ad un pubblico più largo i testi del comunismo rivoluzionario?

5) Potete spedire per un altro compagno i seguenti testi?

 

Grazie per l'augurio di avere riscontri politici ed "economici" per un lavoro che giudichi "utile ed interessante". I riscontri politici dipendono per un millesimo da noi, per dieci millesimi da coloro che ci leggono e per il resto dall'interazione di questi undici millesimi con un mondo che in questo momento è affaccendato su altri problemi. Questa interazione ci sarà quando ragioni materiali porteranno forza a discorsi e azioni che oggi, come dice il Tracciato d'impostazione del 1946, sono controcorrente e per loro natura allontanano più che non avvicinino ogni lettore attuale, non solo potenziale ma anche già acquisito.

Detto questo, sappiamo che fortunatamente non sarà sempre così e, se proprio dobbiamo rallentare le cautele con cui soppesiamo i dati disponibili, ci possiamo considerare soddisfatti, perché vediamo che le nostre "difficili" Lettere non sono considerate, tutto sommato, roba dell'altro mondo. E con i tempi che corrono è già un miracolo che qualcuno riconosca che trattiamo gli argomenti secondo i crismi della continuità pur uscendo dalla ripetizione pappagallesca del "marxismo-leninismo" di maniera.

I riscontri economici per ora sono importanti perché ci permettono di non far pesare troppo le esigenze della diffusione su pochi compagni. Ovviamente ogni contributo ci aiuta a mantenere in vita l'attività di stampa, permettendo anche di tenere i prezzi a livello quasi "politico". Amadeo era assolutamente contrario a spremere quattrini dalle tasche dei proletari quando non fosse assolutamente indispensabile e ci atteniamo a questo precetto.

Abbiamo visto, naturalmente, il volume della Graphos. Molti ci chiedono un parere e francamente non abbiamo molto da dire. Essendo una iniziativa prettamente editoriale e con le prevedibili basse tirature, è normale che il prezzo sia quello che hai visto. Sulla questione delle opere complete di Bordiga avremmo da ridire come militanti, perché proprio Bordiga l'ha trattata in maniera piuttosto energica, ma nemmeno lui se la prenderebbe con un editore. Lavorando con criteri editoriali e non militanti, è ovvio che si scatena il problema dell'attribuzione per il materiale non firmato, ma non è un problema che abbiamo, dato che guardiamo al contenuto e non alla firma.

La nostra attività "pratica" è dello stesso tipo di quella che facevamo cinque, dieci, venti, o... mezzo secolo fa. Con la differenza che oggi è alquanto più raro avere occasioni di andare davanti ad una fabbrica, partecipare alla vita sindacale, tenere conferenze ecc. Intendiamoci, volendo si può andare ovunque anche tutti i giorni, solo che un tempo si andava per fare qualcosa con compagni che si conoscevano, operai che lottavano ecc., mentre oggi non è più così.

Se abbiamo mai pensato di pubblicizzare i testi sul Manifesto o Liberazione? No, siamo contrari a simili espedienti. Se avessimo i soldi, al limite metteremmo più volentieri la classica pubblicità sui giornali borghesi. Non è una questione di principio ma pratica: oggi alla rivoluzione servono giovani cervelli in fermento per il futuro, non vecchi cervelli in fermentazione a causa del passato; e in quegli ambienti si trova solo roba decomposta (se ci sono eccezioni, e ne abbiamo avuto riprova, non fanno che confermare la regola).

Qui allegati troverai alcuni volantini significativi come hai richiesto.

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Domande a raffica

A proposito delle vostre due ultime Lettere, vorrei chiedervi quanto segue.

Sono d'accordo con voi che con il Secondo Congresso dell'IC si sia raggiunto il punto più alto dell'elaborazione teorica rivoluzionaria. Devo tuttavia ammettere che mi è oscuro perché il lavoro del secondo dopoguerra [della Sinistra comunista] raggiunga la massima concentrazione.

Mi sono ancora più oscure le vostre argomentazioni polemiche contro i "bordighisti"; non capisco se vi è polemica con Amadeo e la sua politica o con i suoi seguaci, su questioni di principio o di tattica ecc.

Anche in qualità di semplice lettore mi sento autorizzato a chiedervi una piccola risposta su quanto sopra. Vi sarei enormemente grato se mi rispondeste con una breve lettera senza rinviarmi a una vera e propria "letteratura" sull'argomento - anche se sarebbe di mio giovamento!

Apprendo che in preparazione c'è la trascrizione della premessa alla relazione sulla seconda parte de "La dinamica dei processi storici", dove si tratta della metamorfosi del valore in prezzi. Non mi è chiaro precisamente che cosa significhi. Tuttavia, vorrei fare alcune richieste che potrebbero essere di interesse generale e, magari, trovare risposta nella prossima Lettera.

Premesso che la "Teoria dell'accumulazione capitalistica" è un lavoro di estremo interesse, bisogna subito aggiungere che non è affatto "digesto" e la sua comprensione - da parte mia - è assai compromessa. Mi chiedo se al linguaggio matematico, necessario per una formalizzazione scientifica, non possa far seguito una esposizione "piana" che non sia una volgarizzazione. In tal caso si avrebbe la possibilità di cogliere fino in fondo la portata scientifica e la novità metodologica, le premesse teoriche, i risultati e le differenze con altre impostazioni. La difficoltà del linguaggio matematico rende pressoché impossibile un riferimento comparativo con altre impostazioni: Grossmann ecc.

Nel caso venga accolta questa richiesta, che in ultima analisi è di rendere esplicito ciò che è nella formula matematica, sarebbe opportuno fare i conti esplicitamente con la cosiddetta questione della trasformazione del valore in prezzi. In tal caso, credo, sarebbe utile far riferimento esplicito a Sraffa, da cui sono partite tutte le interpretazioni degli economisti "neoricardiani" e "marxisti" per cancellare la stessa teoria del valore-lavoro, plusvalore, caduta tendenziale del saggio di profitto, ecc. Credo che questo punto fondamentale per mettere a tacere le questioni sull'erroneità del metodo di Marx nel calcolo dei prezzi di produzione e sia un'arma teorica fondamentale contro costoro. Anche in questo caso, alla rigorosa formulazione matematica, credo, dovrebbe seguire un'ampia esposizione piana del problema e delle sue implicazioni, affinché le procedure e i risultati siano facilmente acquisibili.

Nel caso quanto sopra abbia già avuto risposta, vi prego di inviarmi al più presto il materiale relativo.

 

Il II Congresso dell'IC è il punto più alto raggiunto dall'elaborazione teorica della stessa Internazionale, non nell'intero corso storico del movimento rivoluzionario. Per noi la Sinistra è andata oltre, precisando punti che all'epoca andavano bene così, ma che riguardano quel preciso momento storico. Non poteva esserci, per esempio, la precisazione successiva sul principio democratico, marcata soprattutto dalla valutazione del fascismo come fenomeno "progressivo", dato che viene dopo la democrazia nella serie storica.

Non c'è nulla di misterioso nella nostra affermazione secondo cui l'elaborazione della Sinistra nel secondo dopoguerra completa (quindi raggiunge la "massima concentrazione") la ricerca teorica iniziata da Marx e proseguita con il periodo d'oro dell'Internazionale. Volevamo semplicemente dire che il lavoro compiuto in quegli anni di ricostruzione della teoria contro il disastro dello stalinismo ha apportato elementi di chiarificazione e di verifica del marxismo alla luce del capitalismo stramaturo, spostando l'attenzione dei militanti dall'area russa di doppia rivoluzione a quella occidentale, dominata dall'imperialismo americano e dal capitale finanziario. Al tempo di Lenin, pur essendo chiare per i marxisti le argomentazioni che già aveva portato Engels, era difficile fare uno studio sui passi di Marx riguardanti il capitalismo senza capitalisti e la fine storica di ogni utilità della classe fisica dei capitalisti. Anche per quanto riguarda l'accumulazione del capitale, la scuola russa aveva avuto dei problemi, evidenziati per esempio dalla critica di Bucharin alla Luxemburg [nella quale egli evidenzia l'equazione di equilibrio di un capitalismo che dovrebbe conoscere una crescita infinita].

Per quanto riguarda la frase sul "bordighismo", essa va letta nell'ottica della famosa frase di Marx "io non sono un marxista". Personalizzare un procedimento scientifico che scaturisce dalla maturità delle condizioni storiche e non da un singolo cervello è sempre stato per noi un cattivo approccio ai problemi. Se volessimo essere rigorosi all'estremo, non dovremmo neppure chiamarci marxisti, ma semplicemente rivoluzionari senza aggettivi, dato che per rivoluzione si intende un cambiamento radicale delle condizioni presenti. Questo cambiamento non può che avvenire sulla base della negazione del capitalismo, quindi sulla base del maturare delle condizioni per la futura società comunista. Purtroppo, come fece presente Bordiga nel 1952, dire "comunismo" oggi non è sufficiente, dato che bisogna aggiungere non poche parole per spiegare quel che intendiamo contro tutte le degenerazioni succedutesi in un secolo. Come vedi non ci sono argomentazioni polemiche contro i "bordighisti", anche se dobbiamo aggiungere che troppi di coloro che si dichiarano tali hanno completamente travisato ciò che Bordiga disse veramente.

Ci siamo riproposti di stampare i lavori della Sinistra come migliore argomento di sostegno a quelle posizioni e da tutto quel materiale noi cerchiamo di ricavare una spiegazione dei fatti e soprattutto di capire in che direzione stanno muovendosi l'economia, i rapporti fra gli Stati e le classi sociali. Nel variegato panorama internazionalista o, se vuoi, "bordighista", non vediamo oggi dei buoni continuatori di quel metodo scientifico, l'unico che a nostro avviso rappresenti una continuità con Marx. Ci saranno senz'altro degli ottimi compagni, ben preparati e buoni conoscitori del materiale e della nostra storia, ma le organizzazioni così come si fanno conoscere attraverso la stampa hanno rotto con il metodo di Marx e di Bordiga. Infatti sbagliano clamorosamente nella valutazione dei fatti che preparano la storia di domani, dalla crisi dell'accumulazione, alle guerre, al significato delle forme sindacali attuali. Molti compagni aderenti alle organizzazioni più o meno formali si rivolgono a noi per avere dei testi e ciò è abbastanza significativo, se pensi che nessuno, neppure Programma quando era un'organizzazione con molte energie disponibili, ha mai pensato di realizzare una pubblicazione sistematica dei testi della tanto decantata corrente del grande Amadeo.

Vedi che c'è qualcosa che non va. Molti compagni chiedono anche le nostre lettere e le fanno circolare in fotocopia, cosa che ci fa ovviamente piacere. La cosa ci fa capire che, al di là di gratificazioni che lasciano indifferente la rivoluzione, i periodici delle organizzazioni cui tali compagni fanno riferimento non hanno dato risposte soddisfacenti. A volte non le hanno date affatto, a volte hanno ripetuto come dei pappagalli cose lette sui giornali del passato, a volte hanno detto delle vere e proprie fesserie.

Chi siamo noi per tranciare giudizi sul lavoro altrui anche se solo in una chiacchierata individuale con un "semplice lettore" come dici? Semplicemente dei militanti che si sono rimessi con santa pazienza a leggere ed applicare alla realtà gli insegnamenti tratti dalle letture. Se hai notato cerchiamo di evitare, per quanto possibile, il "confronto" e il "dibattito" con le altre organizzazioni internazionaliste. Non ci interessa. Auspichiamo la maturazione di una corrente vera, una scuola marxista che faccia propri gli insegnamenti di Amadeo e di tutti coloro che hanno detto, scritto o fatto qualcosa di interessante nell'ambito del "movimento reale che supera lo stato di cose presente". Teniamo più alla maturazione dei militanti che la rivoluzione saprà riconoscere in un futuro che alla creazione di un'etichetta internazionalista in più. Altrimenti avremmo fondato anche noi il "nostro" partito, avremmo sparato a zero sui nostri omologhi rivendicando a noi stessi la vera continuità, ci saremmo autoproclamati unici tracciatori del solco luminoso della rivoluzione e simili amenità.

Dinamica dei processi storici è il titolo generale di un lavoro che si divide in tre volumi, uno edito, gli altri due editandi: 1) Teoria dell'accumulazione capitalistica, che hai avuto e, da quanto traspare dalla tua lettera, anche letto; 2) Processo di formazione dei prezzi di mercato - Mercato mondiale - Meccanismo di riproduzione nella società comunista; 3) Dinamica dell'intera società umana dal comunismo primitivo al comunismo sviluppato (5).

Tale lavoro è incominciato più di dieci anni fa e ci ha procurato notevoli difficoltà. La ormai secolare questione della "trasformazione" dei valori in prezzi sarà affrontata nel secondo volume il cui contenuto è stato presentato alla riunione internazionale del maggio scorso, come detto nella Lettera n. 30. "Metamorfosi" è un altro modo di dire la stessa cosa, solo che la parola ha radice greca invece che latina; molte volte Marx usa i due termini indifferentemente. Il problema della trasformazione è stato affrontato, tra gli altri, da Boehm-Bawerk e da Hilferding, da Bortkiewicz e da Sweezy, lungo un periodo che l'anno prossimo compie cento anni giusti. Abbiamo in progetto alcune riunioni che affrontano il problema, però possiamo anticipare che problema non è, dato che la questione va affrontata secondo l'astrazione generale di Marx e non perdendosi nella minuzia dimostrativa particolare. Comunque Bortkiewicz ha dimostrato (sembra) che Marx ha sorvolato la dimostrazione, ma che essa si poteva raggiungere.

La digeribilità del volume sull'Accumulazione con tutta la sua matematica è stato argomento di molte disperate lettere e discussioni tra compagni, specie, ovvio, di quelli che non masticano formule. La discussione non è solo sulla difficoltà della matematica, e l'eventuale produzione di un manualetto di guida alla lettura "scorrevole" del testo non risolverebbe il problema. Alcuni compagni sostengono che non vi sono processi di pensiero descrivibili esclusivamente in linguaggio matematico e che tutto è descrivibile anche con il linguaggio "naturale".

La questione è altamente foriera di dispute, per il semplice fatto che anche la matematica è un "linguaggio" che soggiace alle stesse leggi di quello parlato. Forse molta parte del testo in questione potrebbe essere affrontata senza il ricorso alle equazioni. Ma a che pro? La descrizione delle leggi è già nel Capitale, al quale noi non abbiamo aggiunto assolutamente nulla. Il nostro testo ha il compito dichiarato di eliminare "descrizione" soggettiva e legata ai sensi, in un processo galileiano come è invocato da Bordiga nella famosa nota all'inizio degli Elementi. Comunque, la difficoltà del testo ha sollevato una tale quantità di richieste simili alla tua, che ci chiediamo se sia effettivamente utile scrivere qualcosa per rispondere a tutti in modo organico, non tanto sulla riscrittura "non matematica" del volume, quanto sulla spiegazione del suo significato. Vedremo se sarà possibile (6).

Piero Sraffa è stato letto nel corso del lavoro di cui stiamo parlando ed è stato archiviato perché non utile al lavoro stesso e neanche alla polemica. Una critica a Sraffa per mettere a tacere le presunte demolizioni della teoria del valore sarebbe interessante in sé, ma anche una gran perdita di tempo che non aggiungerebbe nulla alla critica che già Hilferding fece a Boehm Bawerk. Cambierebbe l'approccio al problema, non la sua sostanza.

Note

(4) Ovviamente non abbiamo mai sostenuto niente di simile, anzi, abbiamo combattuto certe teorie dell'omogeneizzazione, come traspare da questa stessa corrispondenza poche righe più indietro.

(5) Il secondo e il terzo volume non sono ancora usciti.

(6) Non è stato mai fatto.

Lettere ai compagni