Numero 94, 5 giugno 2006

Il finto agonismo, fase suprema del capitalismo "sportivo"

Il sistema-calcio offre un significativo spaccato della realtà sociale, in quanto a dettarne le regole è la legge generale della concentrazione e centralizzazione del capitale. Perciò il neo-caimano Moggi, dato in pasto alle masse di tifosi infuriati come causa di tutti i mali, non è che lo strumento di un sistema basato inevitabilmente sul Capitale divenuto autonomo rispetto agli uomini. Moggi sta al calcio italiano Prodi sta all'economia o, se vogliamo vedere in grande, come gli Stati Uniti stanno al capitalismo mondiale: tutti sono l'espressione di un sistema già morto, che funziona per sé e non per gli uomini che lo compongono. L'assenza della vera competizione è un problema fasullo, in quanto il "libero mercato" esiste solo nella fantasia dei liberisti. In effetti il capitalismo nasce "regolato" e monopolistico e semmai lo Stato deve intervenire per obbligarlo a rispettare un minimo di concorrenza. Ecco perché c'è bisogno di meccanismi di autoregolamentazione e istituzioni di vigilanza. Luciano Moggi non è che un'espressione del mercato moderno, che non può permettere la libertà individuale di concorrenza, cioè il caos. Egli è un degno rappresentante della decrepita borghesia italica che già s'inventò il fascismo, adesso riciclato in democrazia fascista. La rete di potere di Moggi riduceva al minimo i rischi derivanti dai risultati sul campo, grazie alla gestione dell'intero panorama degli arbitri e di una discreta parte dei calciatori, degli allenatori e degli amministratori societari. La società di procuratori Gea World, diretta emanazione dei vertici del Capitale italiano e presieduta tra gli altri dal figlio dello stesso Moggi, portava ad anteporre la fedeltà al Sistema anche rispetto alla propria squadra d'appartenenza. La variabile dei risultati lasciava il posto alle certezze del raggiungimento del massimo profitto economico, e il tifoso assisteva ad uno spettacolo pre-confezionato alla stregua del wrestling americano. Nell'epoca in cui anche l'industria è solo uno strumento del capitale finanziario, figuriamoci se lo "sport" poteva essere altro. Infatti è un semplice pretesto per drenare capitali e dar vita a vere e proprie piramidi finanziarie. La miopia arbitrale ricorda molto quella delle aziende di certificazione e delle banche nei casi Parmalat, Enron, Worldcom, ecc. La bufera recente rischia ora di mettere in discussione il coinvolgimento di milioni di tifosi, che si trovano davanti al re nudo. Dato che il "panem" è scarso, se mancano i "circenses" succede però un putiferio, come ricorda lo stesso SISDE, che tiene d'occhio il fenomeno sociale delle tifoserie. Per mantenere un minimo di credibilità saranno quindi probabilmente retrocesse le società maggiormente coinvolte dalle intercettazioni telefoniche, e revocati i loro ultimi titoli, ma il "sistema-calcio" rinascerà velocemente, come impone il Dio-denaro e il Ministero degli Interni. Il "moggismo" non potrà che riproporsi sotto le vesti di qualche altro battilocchio.

2005: L'autonomizzarsi del Capitale e le sue conseguenze pratiche

Dottrina Monroe

La Bolivia nazionalizza le compagnie del petrolio straniere, Morales lancia roboanti slogan antimperialisti e invoca l'appoggio del popolo per la difesa dei pozzi di gas e petrolio. Chi protesta? Bruxelles, ovviamente. Il portavoce della Commissione Europea si dice stupito che non siano state fatte delle consultazioni prima di avviare il procedimento di nazionalizzazione. Fatto sta che ventisei aziende straniere operanti nel paese - il colosso brasiliano Petrobras (che conta per il 20% del PIL boliviano), la Repsol, spagnola, e varie imprese francesi (la Total) e inglesi (Bp e British Gas) avrebbero avuto 180 giorni di tempo per negoziare nuovi accordi operativi. Alla luce della nuova normativa, nelle casse semivuote della Bolivia entreranno all'anno circa 780 milioni di dollari, 320 milioni di dollari supplementari. L'82% dei proventi del petrolio e del gas boliviani andranno allo Stato, attraverso la compagnia rinazionalizzata YPFB (Yacimientos Petroliferos Fiscales Bolivianos), e il 18% resteranno alle imprese transnazionali. A fronte dei propagandistici proclami di piazza del leader boliviano, utili a indirizzare la rabbia di una popolazione sempre più misera verso un antimperialismo di facciata, la realtà dice che il petrolio latino-americano (che vuol dire soprattutto Venezuela e Messico) è nel complesso ancora saldamente a disposizione degli USA e che per gli europei sarà sempre più difficile approvvigionarsi nell'area. La dottrina Monroe non è mai passata veramente di moda.

Terremoto energetico in America Latina

Il terremoto energetico dell'America Latina sta allarmando, oltre ai paesi europei, anche Brasile, Argentina e Cile. La nazionalizzazione degli idrocarburi boliviani porterà alle stelle i costi della compagnia leader brasiliana Petrobras che comprava il 50% del gas boliviano per poi rivenderlo all'Argentina, che a sua volta lo vendeva al Cile. Quest'ultimo in reazione è già ricorso alla Gran Bretagna per soddisfare diversamente il proprio fabbisogno energetico, e il Brasile già esplora nuovi territori per poter rinunciare al gas boliviano. Lo scontro d'interessi vede da una parte il Venezuela e la Bolivia, che intendono utilizzare le risorse energetiche come arma d'influenza sub-continentale, e dall'altra un fronte più indefinito che fa riferimento al Brasile come potenza locale. Anche il Venezuela è ricorso nel 2001 alla nazionalizzazione del petrolio, imponendo la costituzione di aziende miste, con lo Stato controllore, a tutte le compagnie che operavano nel paese. E per quest'anno è stata annunciata una nuova tassa per le compagnie miste da investire nel progetto "bolivariano" di Chavez, che prevede il finanziamento di un gasdotto fino a Buenos Aires e di un nuovo impianto per la lavorazione del gas nella regione boliviana dei cocaleros. La geopolitica "transamazzonica" di Venezuela e Bolivia ha assolutamente bisogno di espandersi se vuole sopravvivere; un po' perché le economie dei due paesi non sono complementari (esportano gli stessi prodotti), un po' perché il Brasile tende a rappresentare il centro di gravitazione del sistema sudamericano concorrente. Per adesso solo Perù ed Ecuador danno segnali di avvicinamento alle nuove forze "neo-nazionaliste".

2004: Petrolio

Islamic Banking, terra bruciata

Gli Stati Uniti hanno inquadrato nel mirino alcune grandi banche europee per far sì che applichino sanzioni economiche contro l'Iran. Già quattro grandi istituti finanziari europei, messi sotto pressione con minacce di multe e annullamento di affari da parte degli USA, hanno cominciato a interrompere le proprie attività in Iran: l'UBS, il Banco di Credito della Svizzera, l'ABN Amro dei Paesi Bassi e l'HSBC, con sede a Londra. Il rischio di perdere il controllo diretto dei flussi di valore "islamici" è troppo grande e va prontamente scongiurato: per questo gli americani hanno già cominciato a fare terra bruciata attorno al fenomeno ormai vasto dell' islamic banking (il sistema bancario internazionale basato sugli enormi flussi dei petrodollari e sulla religione seguita da un miliardo e trecento milioni di persone). La separazione della potenza economico-finanziaria islamica da quella anglosassone e la saldatura con quella europea sarebbero un incubo per Stati Uniti e Inghilterra, che oggi assorbono la maggior parte degli investimenti derivanti dalla rendita petrolifera (e quindi assorbono molto del plusvalore prodotto nel resto del mondo). Salterebbero tutti i delicati equilibri che tengono in piedi l'instabile castello di carte dell'economia americana.

2002: Leggi di simmetria e scenari da incubo
2005: Rumori di guerra intorno all'Iran?

United Jail of America

I detenuti americani aumentano a un ritmo di circa mille a settimana: oggi sono in carcere quasi 2,2 milioni di persone, una ogni 136 abitanti, un numero 10 volte superiore alla media europea. Non c'è da stupirsene in un paese supercapitalistico in cui l'indice del divario fra i redditi più alti e quelli più bassi è superiore a quello del Bangla Desh, in cui gli indigenti ufficiali sono 75 milioni su 280 milioni di abitanti. Più che di "criminalità" sarebbe corretto parlare di "reazione sistemica al sopravvivere di una società storicamente morta". Il sistema carcerario assorbe ormai una parte talmente alta del bilancio pubblico che si è ricorso massicciamente alla privatizzazione. Un problema che non sussisteva nel 1970 con 200.000 carcerati, mentre ora il sistema punitivo, coi suoi appalti, è divenuto un business di prim'ordine. Intanto dal 1960 ad oggi, solo nel settore della cosiddetta criminalità, sono morti ammazzati 1.000.000 di americani. E si utilizza lo spauracchio del terrorismo. E si blatera sulla violenza della rivoluzione…

2000: New economy, il futuro del capitalismo globale

Newsletter