Wargame (2)
Non solo un gioco

SECONDA PARTE
TESI E SIMULAZIONI

Modelli riduzionisti evolutivi

Ogni wargame ha generalmente uno scenario, due o più giocatori e si svolge in un'epoca storica che mette a disposizione risorse, tecnologie e leggi tipiche del suo tempo. Potrebbe anche essere ambientato in un contesto del tutto fantastico, ma deve avere comunque una sorgente di risorse, un processo di produzione e riproduzione e uno scarico di scorie. Potrebbe non avere questi caratteri sociali ed essere basato sull'informazione tratta da simboli come nel gioco delle carte. Potrebbe essere a somma zero come nel poker oppure dividere in altro modo la posta della vittoria. Essendo sempre accompagnato da un regolamento, il gioco è o dovrebbe essere "polarizzato" intorno a un certo stato di equilibrio, almeno finché uno dei giocatori non vince. Una definizione del gioco potrebbe essere: "sistema formale per l'aumento dell'informazione su sé stesso." Infatti, il regolamento smussa gli spigoli, ordina il disordine, conserva invece di distruggere e ricostruire. La quantità di informazione dovrebbe essere costante. Invece no. Poniamo che una unità d'informazione si paghi, ad esempio un dollaro. I due giocatori acquisiscono informazione "nuova" l'uno dall'altro semplicemente osservandosi a vicenda mentre operano (giocano). Se avviene uno scambio di informazione per un dollaro, il sistema ha acquisito due informazioni mentre i dollari nello scambio hanno semplicemente cambiato di tasca, la quantità di partenza è rimasta invariata. Le due informazioni supplementari, invece, per chi le riceve sono veramente diverse da quelle possedute in partenza, quindi, si sommano (a meno che non si consideri l'informazione come bene condiviso, nel qual caso non ci sarebbe neppure lo scambio).

Può darsi che il gioco dell'oca sia davvero l'antenato di tutti i giochi da tavolo. Volendo esagerare, potremmo dire che è a uno stadio evolutivo più basso di quello raggiunto dalla macchina di Turing, cioè dal computer ma gli assomiglia: "Se nella casella trovi x, allora vai a y, oppure lancia i dadi z." Il gioco degli scacchi è più complesso, ma non ha questo simulacro di capacità computazionale. È senz'altro un classico modello di realtà portata a un grado di astrazione difficilmente superabile: con pochi elementi vagamente riferibili a una scena di guerra si ottiene un numero di mosse apparentemente infinito su di un "campo di battaglia" di sole 64 caselle. Gli egizi avevano un gioco, il senet, basato su tavola e "pezzi" come gli scacchi; i romani conoscevano scacchi dello stesso tipo di quelli moderni (ne parla Ovidio sottolineando il contenuto militare del regolamento).

Nulla ci impedisce di costruire uno scenario diverso da quello che è diventato lo standard universale. Alcuni elaborati modelli di gioco degli scacchi sono stati effettivamente provati, come ad esempio quello a "scacchiera infinita", nel quale i pezzi classici si muovono con mosse classiche sulla scacchiera classica che continua sul retro della faccia tradizionale.

Oppure quello escogitato da militari che volevano rendere il gioco degli scacchi più realistico, quindi a un inferiore livello di astrazione. Quei primi modelli, risalenti al XVII secolo, avevano lo scopo opposto rispetto al gioco degli scacchi che oggi conosciamo, cioè tendevano a introdurre elementi di realtà via via più plausibili, in modo da poter riprodurre addirittura le grandi battaglie storiche e cambiarne gli esiti. È probabile che già nell'antichità classica si studiassero su mappa le tattiche di una battaglia prima o dopo il combattimento.

Qualunque risultato si voglia ottenere dalla progettazione di un wargame, il modello astratto migliore cui riferirsi è sempre quello degli scacchi: in esso si parte da uno scenario stabilito per giungere a un numero altissimo di variazioni che permettono di ottenere una vittoria o di subire una sconfitta. Non esiste infatti alcun meccanismo che affida al caso anche solo una piccola parte del gioco. Ma, a differenza degli scacchi, in tutti i wargame lo scenario evolve attraverso una più o meno alta presenza di condizioni casuali, ottenute con dadi, carte, caselle o combinazioni di tutti questi fattori.

Dai "presepi armati", cioè dai plastici sette-ottocenteschi che si trovano ad esempio al Museo degli Invalidi di Parigi, ai wargame computerizzati progettati per la guerra moderna, gli scenari sono ottenuti con grande approssimazione alla realtà. Ciò comporta, nello svolgimento del gioco, una pesantezza non accettabile se lo scopo è il divertimento ottenuto con simulacri di cartone stampato, per cui si sopperisce con espedienti inseriti nel regolamento. Il realismo invece non incide o quasi sui grandi scenari progettati dagli stati non solo per la guerra. Oggi i grandi giochi degli Stati Maggiori e dei Paesi sono tutti computerizzati.

Abbiamo visto, con il wargame della NATO sulla Terza Guerra Mondiale, che la borghesia quando è davvero sotto pressione non attende, per la propria preparazione a eventi futuri, che l'attualità diventi storia. Per quanto incapace di prevedere e di progettare per non lasciarsi trascinare dal flusso degli eventi, ha sempre il vantaggio della posizione in difesa, come diceva von Clausewitz: essendo il capitalismo un sistema del rimedio (buco-rattoppo), la sospensione della capacità evolutiva potrebbe essere il suo tratto caratteristico derivante da una crescente passività rispetto alla freccia del tempo altrimenti chiamata storia. Come vedremo, anche la constatazione-lamento sull'"attacco della borghesia al proletariato", avanzata reiteratamente dato che la classe dominante è sempre intenta al suo naturale lavoro che è quello di sfruttare i proletari, deriva da grandi premesse: la borghesia è la classe che detiene il potere, deve difenderlo; il proletariato è la classe "oppressa", non si può difendere che pretendendo di più rispetto a quello che ha, cioè può solo attaccare. Anche quando le venga tolto qualcosa, per riprenderselo deve attaccare. Se i proletari sono sulla difensiva è perché qualcosa hanno già perso. Oggi i proletari non sono neanche più sulla difensiva, semplicemente non sono.

Prendere il treno giusto

Già. Se il governo operaio non è il potere operaio, il fronte unico non è un sindacato che iscrive solo operai. Ma attenzione: la mappa ci consente di prendere il treno giusto e di scendere alla fermata prescelta, mentre il governo operaio e il fronte unico non forniscono informazione. Il fronte unito c'è già ed è quello che ci farà perdere se partecipiamo: una parte degli operai è già unita con la socialdemocrazia per ragioni storiche, non dobbiamo rincorrerla ma andare per la nostra strada, solo così daremo un senso all'abusata parola "avanguardia". La storia della Terza Internazionale è fatta di non-sensi logici, e alla lunga il linguaggio ne risente, fino a che compie un salto dal subire la negativa influenza della realtà sociale, all'imporre una negativa influenza sulla realtà sociale. È l'effetto langue de bois, la lingua di legno mummificata dall'omologazione.

Abbiamo parlato spesso di modelli "riduzionistici" della realtà, modelli che ci permettono di conoscere la struttura profonda dei fenomeni che vogliamo analizzare, siano essi parte del ciclo naturale, siano il frutto del lavoro umano applicato alla natura.

E abbiamo visto che maggiore è il grado di astrazione di questi modelli, maggiore è la loro capacità di descrivere realtà diverse a partire da invarianze formali.

L'ingegnere, filosofo e matematico Alfred Korzybski è l'autore del celebre enunciato: "La mappa non è il territorio". Esso ha implicazioni che vanno ben oltre al significato "popolare" normalmente attribuitogli. Un classico modello di alta astrazione rispetto alla realtà è lo schema di tutte le metropolitane del mondo: per quanto ognuna di esse sia diversa dall'altra, tutte offrono la totalità dell'informazione richiesta. Arriveremo a destinazione senza fallo attraverso la consultazione di pochissimi segni: cerchietti, bande colorate, numeri e nomi. Considerazione collaterale: siccome l'informazione da trasmettere ("prendi il tal treno") è sempre la stessa, la grafica necessaria risulta semplificata e praticamente identica per tutte le metropolitane del mondo: barrette colorate, pallini e nomi delle stazioni.

Il metodo esemplificato con la piantina della metro è lo stesso che sta alla base di tutti i modelli d'invarianza sotto trasformazioni: secondo il ponderoso lemma dell'Enciclopedia Einaudi, senza il concetto esteso di invarianza sarebbe impossibile ogni scienza. Marx afferma che

"Ogni scienza sarebbe superflua, se la forma fenomenica e l'essenza delle cose coincidessero immediatamente".

Cioè se la costituzione materiale delle cose corrispondesse immediatamente al modello teorico che ne ricaviamo (sempre che si riesca a sfruttare le leggi che finora abbiamo trovato per ciò che possono dare e non per uno scontro di opinioni filosofiche).

More is different , ha scritto il premio Nobel Philip Anderson. Stiamo parlando di realtà o del suo riflesso sul nostro cervello? Il fatto è che i neuroni, a differenza delle rotelle, hanno un comportamento, sembra che aggiungano qualcosa alla situazione di partenza. Ma, deterministicamente, siccome non crediamo al miracolo della creazione, e siccome tutto quello che succedeva e succede non scaturiva/scaturisce dal niente, ecco che invece della bacchetta magica ci viene in soccorso la teoria dell'informazione. Korzybski, che abbiamo citato, fece uno scherzo ai suoi allievi a proposito di psicologia e di comportamento dei neuroni: arrivò in classe con una confezione di biscotti offrendone agli allievi; questi li presero d'assalto e, chiusa la scatola ormai vuota, videro sul coperchio l'immagine di un cane e la scritta "Biscotti per cani". Diversi si sentirono male e un paio vomitarono. I biscotti naturalmente non erano per cani. L'informazione non aggiunge niente di fisico a un sistema, ma può provocare effetti macroscopici. Un computer, che sia nuovo o riempito con terabyte di dati, è sempre formato dalla stessa quantità e qualità di materia. L'informazione è una disposizione della materia diversa da quella che c'era in origine. Oggi a sostenere il materialismo, anche evoluto attraverso nuove scoperte, si passa per materialisti scientisti e meccanicisti. Certo, una discussone tra filosofi è un campo di battaglia dove si scontrano agguerriti militi del pensiero, i loro neuroni sono di sicuro in fermento, ma non possono "creare" dal nulla informazione, nuova conoscenza. Una simulazione tipo wargame può aggiungere informazione al sistema solo perché questa esiste: anzi, non sarebbero possibili variazioni al sistema se la presenza di "novità" fosse nulla.

Il wargame può essere scambiato per un sistema dinamico di simulazione al computer, ma è uno strumento diverso. I sistemi dinamici producono variazioni di scenari a partire da una retrospettiva storica proiettata nel futuro. La simulazione al computer, imprescindibile, riguarda ciò che sta succedendo per prevedere in modo da prevenire.

I wargame non hanno bisogno del computer per funzionare, tanto che la maggior parte di quelli operativi sono "manuali" e ricorrono al computer per attingere informazione tecnica dai database o dai "sistemi esperti". Ciò che soprattutto distingue i wargame è l'interazione fra i giocatori, che, disponendo oggi di immense quantità di dati, possono liberare i propri neuroni e scatenarli nell'ambito di regole precise. I wargamer, a differenza dei filosofi, non riciclano idee personali in scatola chiusa ma interagiscono tra loro e con il mondo, tanto che l'effetto gioco è registrato persino dalla risonanza magnetica e da altri sistemi di rilevazione dei neuroni "accesi".

La scienza a congresso

Non sappiamo se il wargame è Scienza con la maiuscola, ma la teoria dei giochi è sicuramente un approccio scientifico al comportamento umano in situazioni di conflitto. Scientifico o no, il gioco di guerra è comunque diventato un ausilio importante in molte discipline, come fosse un grimaldello tuttofare. Da che cosa scaturisce questa potenza? I filosofi idealisti italiani consideravano la scienza come cassetta degli attrezzi per risolvere problemi pratici. Non attribuivano al mondo della ricerca scientifica la dignità di "cultura". Qualcosa di simile, in formato ridotto, succede a molti sinistri, convinti che le parole d'ordine e l'agitarsi sconnesso possano sostituire la teoria.

La scienza dell'epoca borghese va trattata con circospezione, ma l'ideologia va rifiutata, specie in tutti i casi in cui ha un nome che finisce per …ista. Dunque: stiamo perdendo tempo o c'è qualcosa che vale la pena di sviluppare in un articolo di periodico? Dobbiamo scomodare un quartetto famoso per avere termini di confronto.

Un filosofo della scienza della nostra epoca, Imre Lakatos, ha illustrato quella che secondo lui è la situazione in un libro intitolato non a caso La metodologia dei programmi di ricerca scientifici. Metodologia e programmi, dunque, due aspetti strettamente collegati che non possono nascere dal nulla: essi pretendono che l'elaborazione di cui è capace il cervello umano si applichi razionalmente all'oggetto da conoscere. Se la nostra razionalità (metodo) fallisce vuol dire che 1) non siamo riusciti a conoscere l'originale e 2) ci siamo basati sul vecchio riduzionismo per avere un modello derivato dall'originale ma invariante come la mappa rispetto al territorio, lo schema di tutte le metropolitane del mondo.

Un altro filosofo contemporaneo, Paul Feyerabend, ha risposto con un libro, Contro il metodo, nel quale cerca di mettere in guardia contro la credenza che la scienza sia infallibile e che una ricerca abbia carattere scientifico soltanto perché in essa si fa ricorso a risultati precedenti consolidati, come ad esempio i fondamenti di Galileo e Newton. Non facciamo il tifo né per l'uno né per l'altro, per adesso ci viene in mente però che, sia si tratti di metodo, intuizione o altro, la ricerca scientifica ha sempre portato a risultati nuovi, e da qualche parte questi si son pure dovuti formare e sedimentare.

Thomas Kuhn, con il testo La struttura delle rivoluzioni scientifiche, ci dice che la scienza procede a salti. Un lento accumulo continuo di conoscenze conduce al formarsi di un forte paradigma, la scienza "normale" di una certa epoca. Quando quel livello di conoscenza non basta più, interviene una rottura del paradigma, "scoppia" cioè una rivoluzione scientifica, la risposta discontinua, a cuspide, all'accumulo continuo precedente, o forse meglio, alla normalizzazione precedente della scienza.

È noto che Karl Popper, in Logica della scoperta scientifica, giunge a una conclusione difficilmente collegabile a quanto detto dai suoi colleghi filosofi: la scienza non procede, afferma, per programmi, metodo o rivoluzioni ma si impone falsificando sé stessa:

"L'inconfutabilità di una teoria non è (come spesso si crede) un pregio, bensì un difetto. Ogni controllo genuino di una teoria è un tentativo di falsificarla, o di confutarla. La controllabilità coincide con la falsificabilità; alcune teorie sono controllabili, o esposte alla confutazione, più di altre; esse per così dire, corrono rischi maggiori."

Se una teoria scientifica si può definire tale solo nel caso in cui sia confutabile con metodo scientifico, abbiamo un caso curioso di proposizione dialettica fatta propria da un liberale arcinemico dell'assolutista Hegel, del pericoloso Platone e del terrorista Marx, già da Popper presi di mira. Si sente sullo sfondo un po' di negazione della negazione (la teoria falsifica sé stessa), di unione degli opposti (la controllabilità coincide con la falsificabilità) e di trasformazione della quantità in qualità e viceversa (si ha scienza quando si riesce a ridurre un aspetto qualitativo della realtà in elementi quantitativi misurabili). La scienza ha già qualche problema con la borghesia come classe dominante, figuriamoci con i filosofi liberali borghesi in contraddizione con la lucidità rivoluzionaria dei loro bisnonni illuministi.

Accettiamo per un momento quanto ci dice il filosofo: la scienza è corretta solo se criticata dalla scienza. Aggiungiamo: con una valida sperimentazione. Possiamo, ad ogni modo, raccogliere i "pensatori" citati in un quartetto omogeneo che ci mostra il panorama scientifico del '900.

Qual è l'origine dei loro cavalli di battaglia, così famosi e così accettati da tutti (anche da noi in questo momento)?

Lakatos isola il particolare "programma" che, insieme con "metodo", ci sembra un altro modo per dire "progetto".

Feyerabend gli risponde: niente metodo, ogni cosa va bene, la scienza è anarchica e sa arrangiarsi anche nella confusione che produce.

Kuhn controbatte: la scienza è una cosa seria, e la cosa più seria che ci sia è la rivoluzione del paradigma.

Popper, riassumendo: dovete tutti quanti passare l'esame di scientificità. Allora, come stabilite la verità di una proposizione?

Lakatos chiude il cerchio: Popper ha appena usato la parola verità e la sua falsificabilità sa di dialettica, due termini che in scienza sono ormai sostituiti da proposizioni più potenti.

In ogni caso, la vecchia conoscenza andrebbe a far parte dei casi particolari di quella nuova. Una teoria scientifica non muore mai: se ha rispettato le condizioni iniziali per essere definita tale, va a far parte delle teorie scientifiche ritenute "vere" (virgolette) nell'ambito delle conoscenze generali della loro epoca.

Ma il quartetto, lo arruoliamo o no? Per adesso gli diamo la gavetta e lo passiamo ai servizi ausiliari, però solo se lo prendiamo in blocco, perché le critiche reciproche dei suoi membri sono più interessanti di ciò che essi sostengono in positivo.

La tazzina e la ciambella

Nonostante la teoria geocentrica fosse sbagliata, fu a lungo ritenuta esatta perché i calcoli delle posizioni degli astri, delle eclissi, delle costellazioni trovavano una conferma oggettiva. Oltre a ciò, e fu il freno più importante alla concezione eliocentrica, il sistema geocentrico era difeso non tanto dalle teorie filosofiche o dalle credenze religiose quanto, soprattutto, da ragioni intuitive (esempio: la velocità della Terra avrebbe prodotto un vento fortissimo; la caduta di un grave da una torre avrebbe prodotto una variazione del punto d'impatto, idem per la traiettoria di una freccia).

Era cioè difeso proprio con gli argomenti che Galileo rifiuta perché non dimostrati attraverso un modello misurabile e calcolabile.

Abbiamo parlato spesso di modelli "riduzionistici" della realtà, modelli che ci permettono di conoscere la struttura profonda dei fenomeni naturali che vogliamo o dobbiamo analizzare. Abbiamo visto che maggiore è il grado di astrazione di questi modelli, maggiore è la loro capacità di descrivere realtà diverse a partire da invarianze formali. Questa capacità si è rafforzata con l'impiego dei computer, che ci permettono di simulare situazioni un tempo non riproducibili.

I primi wargame erano statici. Usati probabilmente per la prima volta nelle scuole militari per studiare le battaglie del passato, erano l'equivalente di un presepe, una scenografia tridimensionale con elementi mobili (i soldatini di piombo). Servivano da supporto alla spiegazione di ciò che era accaduto e solo in un secondo momento furono usati per studiare esiti alternativi disponendo i pezzi mobili in modo diverso rispetto all'originale simulato. Nei plastici immobili venne introdotto il tempo. La cronologia degli eventi può essere decisiva per l'esito della battaglia, perciò ogni mossa dev'essere scandita nell'unità temporale.

Le simulazioni con il metodo dei giochi di guerra uscirono dal campo puramente militare solo nel '900, ma è con l'avvento del computer che divennero un condensato di metodologie derivate da ogni ramo scientifico. Il tempo rende dinamiche le ricostruzioni o comunque le simulazioni. Con le odierne conoscenze (teorie dei giochi, delle catastrofi, delle reti, dell'informazione, dei sistemi, ecc.), spazio e tempo sono posti in stretta relazione, non più soltanto nella formuletta della velocità (v = s/t), che già ci dava l'idea dello svolgersi dei fatti come in un film invece che come in una fotografia, ma nello spazio delle fasi, un'astrazione che rende conto dell'evoluzione di un sistema sottoposto a fattori deterministici.

La lotta di classe è perfettamente assimilabile alla guerra, perciò non c'è da stupirsi se riconduciamo situazioni e parole d'ordine alla teoria dei giochi e ai wargame. E non deve stupire o comunque essere rigettata per principio la scansione temporale che porta il modo di produzione (il sistema) a evolvere secondo invarianti sotto trasformazione. I matematici a questo punto hanno pronto l'esempio della ciambella e della tazzina da caffè, unite dall'invarianza topologica a dispetto della trasformazione morfologica. Se si pensa che il "generale" Engels raccomandava lo studio della "questione militare", ci accorgiamo che non c'è motivo per ignorare il suo appello. Le simulazioni odierne possono fornire anzi una base per l'indagine sulle tattiche in tempi di rivoluzione. Non è detto che si tratti di questioni tecniche, per le quali basta la conoscenza degli strumenti. Il wargame come lo si intende oggi può suggerire studi inediti rispetto a quelli che, da buoni ripetenti, ancora ribadiamo da cento anni esatti.

Anticipiamo: noi sosteniamo che le Tesi di Roma sulla tattica sono un sofisticato wargame giocato senza scacchiera o computer. Risalgono al 1922, sono riprese in vari testi successivi che ne riassumono dei particolari, specie Partito rivoluzionario e azione economica, del 1951, e Attivismo, del 1952, e sono state alla base di tutte le discussioni avvenute in questi 99 anni. Il nostro studio non serve tanto a spiegare quanto a evitare di incamminarci verso il secondo secolo di catastrofici errori.

Perché è vero che gli errori non hanno padri, ma qualcuno li commette, anche se inconsciamente, collettivamente, ripetutamente. Le tesi sono chiare, cristalline, inequivocabili: il perno attorno al quale ruota l'azione è il partito. Non ci sono altri protagonisti, solo comparse. Ecco la risposta dell'Internazionale a quanto in esse si sostiene:

"Queste argomentazioni non hanno che un solo scopo: esse diminuiscono, rendono meno importante la necessità della lotta per la conquista della maggioranza della classe operaia, cioè celano il compito più importante che si impone ad un partito così giovane come il PCd'I. Invece di dire al partito: lotta per ognuno degli operai, cerca di conquistarlo, cerca di conquistare la maggioranza della classe operaia, le tesi avanzano obiezioni dottrinarie che mirano a dimostrare che non si tratta di un affare molto urgente. Vi è in ciò un pericolo così grave che l'Esecutivo non rinuncerà a nessun mezzo per mettere in guardia il partito contro questo pericolo."

L'insulsa risposta è costruita su di un paradosso logico: il PCd'I è accusato di non volere la conquista di quella parte del proletariato che al momento è schierato in maggioranza (elettorale) con la socialdemocrazia. Il Partito dovrebbe quindi allearsi con quest'ultima per strapparle i proletari eccetera. Deve perciò mettersi in concorrenza con la socialdemocrazia.

Per l'IC la tattica era un programma d'azione politico, finalizzato al controllo della maggioranza del proletariato; per il PCd'I la tattica era il risultato della genesi del partito, la premessa indispensabile per proiettarsi al di fuori della società capitalista per controllare il processo materiale della presa del potere.

Ma che bisogno avrebbe allora un operaio socialdemocratico di passare da un partito socialdemocratico ad un altro con lo stesso programma?

Prendiamo la situazione europea al 1921, traduciamola in elementi quantitativi misurabili e immettiamola in un computer all'applicazione Wargame-Comunismo, realizzata sulla base dei dati originali di Marx ed Engels. Immettiamo fronte unico, governo operaio, conquista della maggioranza, parlamentarismo e compromesso.

Premiamo Enter. Compare sullo schermo la scritta: "Errore. Dati incompatibili con quelli originari richiesti dall'applicazione." Il computer è una macchina, non sa mentire.

Scacchi, invarianza e… macchine euristiche

Con il termine "invariante" si intende descrivere una particolarità condivisa da tutte le scienze della natura fisica, specie quando si tratta dei loro modelli matematici. La nozione di invarianza era particolarmente cara ad Amadeo Bordiga perché in essa si esprime aprioristicamente la possibilità di trattare problemi qualitativi per trarre da essi la possibilità di renderli quantitativi e misurabili, perciò trattabili con i metodi della scienza, cioè ricavandone formalismi astratti con i quali fare calcoli, come se fossero "vere e proprie macchine per conoscere."

Il classico modello di realtà rappresentato dagli scacchi permette qualche considerazione sull'invarianza. Con pochi elementi vagamente riferibili a una scena di guerra si ottiene un numero di mosse apparentemente infinito su di un "campo di battaglia" di sole 64 caselle.

Nulla impedisce di costruire uno scenario diverso con le stesse regole, e lo stesso vale per l'inverso: è possibile uno stesso scenario con regole diverse. I modelli di wargame da tavolo portano alle estreme conseguenze questo aspetto del gioco: si fa una mossa, si osservano le reazioni che essa provoca nell'avversario, si fa un'altra mossa, dove per mossa se ne intende una qualsiasi prevista dal regolamento.

Questa capacità di plasmare un gioco secondo le esigenze, si è rafforzata con l'impiego dei computer, che ci permettono di simulare situazioni un tempo non riproducibili perché derivanti da aspetti qualitativi non implementabili. Anche le probabilità del verificarsi di un certo evento erano difficilmente calcolabili e in genere si ricorreva all'aleatorio risultato di un lancio di dadi.

Quando i compagni che abbiamo citato all'inizio decisero di realizzare un wargame, incominciarono a produrre scenari, ipotesi, raccolte di dati, arrivando ad avere una buona traccia da cui partire per la realizzazione. La traccia era originale, ma tecnicamente dedotta dai wargame allora disponibili e che non erano gran che rispetto a ciò che si sarebbe voluto realizzare. Il gioco di guerra pubblicato su Eserciti ed Armi sembrava ben strutturato, ma si era subito rivelato piuttosto impegnativo e tutto sommato inutile: anche se si trattava di un gioco, l'uso militare classico era di freno all'utilizzo delle proprietà invarianti. Una rivoluzione non è semplicemente una guerra, anche se molti eventi hanno la stessa natura e si possono assimilare facilmente per via della storia ben studiata e dell'effetto realistico ben calibrato. La guerra sarà la continuazione della politica con altri mezzi, come dice von Clausewitz, ma alcuni aspetti sono superflui nel contesto odierno di una rivoluzione.

Avendo progettato il "wargame proletario" come un'applicazione acritica dell'assunto "trasformare la guerra imperialista in guerra civile", esso prevedeva una fase transitoria con la presenza di fanteria, marina e aviazione. Alcuni aspetti richiedevano l'intervento dell'intelligence per attribuire i necessari coefficienti di riuscita dell'azione, e l'insieme rispondeva bene in teoria ma era difficile farlo funzionare. Che cosa se ne fa il proletariato della marina? La risposta era semplice ma sbagliata: serviva la marina perché in Russia, nel 1917, c'era.

Comunque, questa presenza della "specializzazione" delle varie armi non intralciava la possibilità di utilizzare le stesse regole con scenari diversi o gli stessi scenari con regole diverse. Vale a dire che sembrava abbastanza agevole utilizzare la struttura interna per ricavare un wargame caratterizzato dall'ipotesi "trasformare la guerra imperialista in guerra civile" poi sottoposta a critica. In Russia la rivoluzione fu davvero un salto dalla guerra imperialista a quella civile, ma, e lo spiega bene Lenin, le sue caratteristiche non erano il frutto di una teoria invariante bensì di una situazione del tutto speciale. È vero che durante una guerra il proletariato è in armi, ma è tutt'altro che sicuro l'uso che ne può fare una volta che la borghesia gliele ha messe in mano. Ciò non vale solo per il caso specifico; anche un wargame moderno, già realizzato per computer, può rivelare un errore come questo: per cui invece di essere un vero simulatore di guerra elettronica può limitarsi a essere un simulatore elettronico di guerra.

A noi non serve un simulatore comunista di rivoluzione, serve un simulatore di rivoluzione comunista. Non è la stessa cosa. Dobbiamo strappare il comunismo dalle grinfie dell'ideologia borghese e riconoscere il comunismo delle origini come terreno di coltura del comunismo sviluppato: il quale non è una nuova forma di governo ma il modo di essere di un'altra forma sociale. Non progetteremo questa forma sociale in veste di wargame, ma leggeremo l'informazione che ci serve per identificarla già oggi. In fondo è quello che facciamo da quarant'anni contro le residue scorie dello stalinismo.

È un po' come tracciare il grafico di un sistema complesso utilizzando le modalità più comprensibili, anche di primo acchito, per capirne il funzionamento. Il più semplice e generalizzabile è quello delle coordinate cartesiane. Esso ci mostra l'andamento nel tempo di determinate quantità espresse in unità di misura. È universale, ci permette di rappresentare quasi tutte le dinamiche nel tempo, l'importante è sapere quale conoscenza utile trasmette. Ed è sufficiente una semplice occhiata per apprendere se la quantità di "cose" rappresentate sale o scende. Se avessimo scelto una tabella, avremmo dovuto interpretare i numeri, confrontarli entro la tabella e fra tabelle, eccetera. E non per ultimo: l'impatto visivo immediato in guerra è essenziale, non solo per quanto riguarda i grafici.

Se invece di quantità nel tempo avessimo un insieme con dei sottoinsiemi useremmo un grafico a "torta", che visualizza la composizione percentuale di qualsiasi insieme coerente con i suoi sottoinsiemi. Per quanto riguarda l'immediatezza vale il discorso fatto per il diagramma cartesiano.

Volendo invece rappresentare una serie ordinata di operazioni entro un sistema dinamico potremmo utilizzare un diagramma di flusso, nel quale sono raffigurate ed evidenziate le funzioni da un punto di partenza a uno di arrivo. I bussolotti rappresentano delle funzioni collegate alle forze o alle idoneità degli apparati esecutivi. È uno degli schemi più delicati: di solito al posto dei bussolotti finiscono persone o partiti, mentre l'uso corretto è quello delle funzioni. La quantità d'informazione che si ricava di primo acchito da un elenco di persone o partiti è vicina allo zero, da un diagramma di flusso possiamo ricavare un programma completo.

Il confronto fra sistemi quantitativi misurabili e sistemi qualitativi aleatori mette a dura prova il riduzionismo classico. Ma è proprio per questo che siamo condannati a ricercare elementi di validità nel percorso della conoscenza, percorso che non dobbiamo trascurare.

Rassegna delle forze in campo: genesi di una mossa

All'inizio di ogni battaglia vi sono forze disomogenee che si affrontano schierando in campo più differenze che analogie. In ogni guerra, queste forze si influenzano a vicenda e variano a seconda delle rispettive possibilità economiche e sociali, per cui si viene a formare una certa simmetria di forze e di mezzi.

Nella fase di crescita dello scontro in una situazione rivoluzionaria, è possibile, anzi certo, che una incolmabile differenza di simmetria sia neutralizzata da una componente contraria in grado di sovvertire le consuetudini e rivelarsi idonea all'obbiettivo. Il gioco fra queste potenzialità rappresenta il campo insostituibile su cui si sviluppa il wargame.

In genere per "mossa" si intende una serie più o meno importante di azioni che servono sia a conquistare posizioni, sia a obbligare l'avversario in posizioni poco difendibili.

L'esito di una guerra in genere non è stabilito dalla ricerca di posizioni valide ma dal loro insieme nel tempo. È noto che vi sono stati condottieri che hanno vinto tutte le battaglie ma hanno perso la guerra (e viceversa).

Questo è un dato di fatto che ha una sua logica: chi persegue un obiettivo intermedio può al massimo aspettarsi di ottenere un risultato intermedio. Nel campo delle "situazioni" (degli scenari) se non esiste una polarizzazione sociale di intensità sufficiente è inutile e dannoso fingere che ci sia.

Sembra una banalità, ma succede più spesso di quanto non si creda, e ci si mette in questo caso nell'impossibilità di dar vita a qualsiasi movimento più grande. Eppure, se partecipiamo a un wargame, ci comportiamo in modo diverso.

Mentre nella vita di tutti i giorni siamo convinti di prendere posizione in base alla nostra volontà e razionalità personali (coloro che hanno responsabilità su altri sono una minoranza), nel wargame sappiamo che volontà e razionalità sono fattori collettivi che maturano con l'interazione dei giocatori (i duelli fra individui non sono un buon soggetto per un wargame).

Mentre nella vita di tutti i giorni, soli o insieme con altri, siamo convinti di capire una realtà complessa che ci viene presentata da capi o partiti che non hanno idea di cosa sia la complessità, nel wargame siamo costretti a distillare conoscenza dalle fonti più disparate.

Emblematico il caso della rivoluzione europea fallita dopo la Prima Guerra Mondiale: tutti i partiti socialisti e comunisti si dichiaravano per la presa del potere dato che il proletariato lo esigeva; ma come partiti si guardavano bene dal potenziare la tendenza, anzi, la sabotavano. Questo poteva accadere grazie a una tradizione di doppiezza politica (dire una cosa e farne un'altra opposta) alla quale gli operai erano assuefatti.

Nel wargame non si va allo sbaraglio, ci sono delle regole che chiameremo "programma". La prima mossa la fanno gli operai. Non perché sia stabilito dal programma o dalla consuetudine o dal lancio della monetina, ma perché i capitalisti sono nel loro elemento, nel loro modo di produzione, sono loro che hanno la facoltà di "dare", ma lo fanno solo se qualcuno "chiede". E di solito neanche in questo caso. Di qui la lotta.

Se nella società i parametri fondamentali dell'economia politica sono poco squilibrati nessuno chiede niente. Se sono molto squilibrati può darsi che qualcuno chieda qualcosa, oppure no, per paura di perdere il posto o altro. Se qualcuno chiede, questi non può essere che un operaio. Ciò non c'entra con una qualche "teoria dell'offensiva padronale" che si scatenerebbe tutte le volte che i padroni fanno il loro mestiere. Anche gli operai hanno la facoltà di fare il loro mestiere di classe, tra l'altro sono oggettivamente più forti; se non rivendicano nulla, il mondo capitalistico sa come adoperare quel vantaggio.

In situazioni particolari, potrebbe anche scattare la piccola borghesia, la più tartassata nel momento in cui le venisse tolta la delicata fonte di reddito cui è aggrappata: la bottega, l'ufficio, il negozio, la scuola, la burocrazia, il controllo sociale. Delicata fonte di reddito perché legata completamente ad attività che non padroneggia in quanto intrecciate a quelle di altri. Anche il salario è una variabile connessa alle decisioni di altri, ma nel caso dell'operaio una variazione di salario non comporta una sorpresa, è storicamente normale e può essere oggetto di contrattazione sostenuta da scioperi. Il reddito delle mezze classi, invece, ha le proprie radici in attività che appaiono come inattaccabili, ed è un fattore di instabilità perché non usufruisce degli storici ammortizzatori sociali di cui dispongono gli operai. Il piccolo borghese si sente avvantaggiato quando gli eventi permettono un'esaltazione delle sue funzioni, ma proprio per questo, oltre a patire il danno economico, si sente frustrato quando gli portano via o gli riducono il reddito, l'unico parametro che può permettergli una distinzione sociale con l'ostentazione di quella che percepisce come ricchezza anche se è un'infima frazione di quella vera.

Dunque: l'operaio non può che essere all'attacco. Non perché lo scelga ma perché è nella condizione materiale di non poter fare altro che questo. En passant numero uno: strombazzare contro le cosiddette offensive padronali è una sciocchezza. En passant numero due: von Clausewitz riteneva che a parità di tutte le altre condizioni la difesa fosse più forte dell'attacco; nel linguaggio terzinternazionalista trionfa un concetto piagnucoloso di "difesa dei diritti" quando invece Marx chiarisce che in questa società l'operaio non ha garanzie da difendere (Manifesto).

In alcuni wargame, a differenza che negli scacchi, il regolamento può permettere a chi muove di fare quante mosse vuole, al limite di gettare tutto il suo potenziale in una mossa/battaglia sola. Normalmente, così facendo colui che muove dimostra quel che abbiamo appena detto a proposito di difesa e attacco. Engels riteneva che proprio per questo la rivoluzione non può permettersi di giocare in difesa, sarebbe una contraddizione in termini. Essa passa in difesa solo se non risolve vantaggiosamente la questione del potere, per consolidare definitivamente la propria vittoria.

In un gioco regolare, siccome un buon progettista di wargame deve tener conto dell'aleatorio e della psicologia, può generare appositamente errori a scopo didattico, ripetere serie di mosse con varianti, provare strategie di largo respiro, insomma, fermare il tempo. Tenderà così a bilanciare le forze. Come succede nella realtà. E queste sono meglio bilanciabili mentre il gioco si svolge. Quello che ci interessa, arrivati fin qui, è che il progettista non può fare altro che attingere dal mondo reale e calibrare il gioco sul tipo di guerra che si vuole simulare, immettendone un po' nel mondo virtuale. Sempre però tenendo conto che occorre giungere a una riduzione della realtà a modello lasciando la possibilità di scrivere delle regole.

Parlarne sembra astratto, ma il realismo uscito dalla finestra rientra trionfalmente dalla porta principale. Il wargame piace un sacco al capitale. Dalle simulazioni (quella su accennata è una sintesi di quella ricordata all'inizio) ai gadget le cifre in ballo sono notevoli.

Il mondo riprodotto negli scenari dei wargame è un po' troppo astratto e, nello stesso tempo, un po' troppo realistico, collocato com'è fra Scacchi, Monopoli, Gioco dell'Oca e Trenino elettrico. Essendo una merce, ha bisogno di produrre oggetti vendibili e non solo concetti. Perciò, anche se i giocatori sono mediamente attempati, collezionano modelli in scala come i bambini. Sono pignoli, acquistano spesso compulsivamente, conoscono tutte le attività collegate che hanno dato luogo a un mercato fiorente del nuovo e dell'usato che fattura 160 miliardi di dollari all'anno. Il mondo delle merci gioca contro sé stesso, gli auguriamo una vittoria strepitosa, il becchino sta aspettando da un secolo e sta manifestando segni di impazienza.

Rivista n. 50