Wargame (3)
Non solo un gioco

TERZA PARTE
EVOLUZIONE SIMULATA

Il wargaming secondo chi lo usa

Wargame è il gioco, wargaming è il giocare. Lo Stato Maggiore delle forze armate inglesi è convinto che giocare con i wargame sia utile alla Nazione perché abitua i cittadini a pensare in termini di conflitto e competizione anche per campi diversi da quello della guerra. Non è un modello qualsiasi, dice, ma un programma per pensare. Questo, con qualche modifica, sarebbe in linea con quanto diciamo anche noi: nel wargame l'uomo vive una situazione, il programma la calcola. Il programma non deve essere confuso con la simulazione costruttivista, la realizzazione di modelli artificiali di realtà. E nemmeno con un insieme di funzioni parziali semplici che, assemblate, conducono a risultati complessi. Una simulazione, per quanto perfetta, non è un wargame ma solo il suo motore, mentre i dati che l'informano sono il carburante.

Proviamo a sintetizzare la descrizione che il citato organismo militare ha pubblicato in un Handbook (manuale) per il wargaming:

- Un wargame è composto da vari elementi, che di solito sono tutti implementati. Nessun singolo elemento, però, costituisce un wargame.

- Una simulazione potrebbe fornire il motore che determina i risultati, e anche il carburante, ma non è il wargame.

- Anche la strumentazione, per quanto complessa e completa non è il wargame.

- Gli elementi più caratteristici di un wargame sono quelli qualitativi, i meno digeribili da un computer. Perciò obbligano gli umani a destreggiarsi per renderli commensurabili.

- Il traguardo è strettamente connesso con il percorso per raggiungerlo.

- Impostazione e scenario rappresentano l'ambiente entro il quale è immerso il gioco (un po' come nel vecchio concetto di etere), ma l'ambiente non è il wargame.

- Tutti i wargame sono guidati dalle decisioni dei giocatori in base ai dati che questi rilevano e non in base a opinioni personali.

- L'aggiudicazione dei compiti è un risultato del processo di determinazione; perciò, chi aggiudica ha un grande potere che va controllato.

- La simulazione può essere manuale, assistita da computer o totalmente automatizzata, perciò, computerizzata. È l'esecuzione, in un tempo dato, dei modelli contenuti nel gioco.

- All'interno del wargame la modellizzazione, l'azione e la simulazione sono ulteriormente discusse con le regole, le procedure e l'aggiudicazione.

- Il wargame richiede robustezza nel tempo, perciò dev'essere meticolosamente collaudato e duplicato.

- L'ambientazione, che può essere reale, romanzata o sintetica, è il quadro su cui può essere costruito lo scenario sviluppato, una situazione geografica e strategica concepita al fine di fornire tutte le condizioni richieste per sostenere il raggiungimento di scopi e obiettivi di esercizio di alto livello.

- La trama di fondo che descrive la storia politica, militare, economica, eventi e circostanze culturali, umanitarie e giuridiche che hanno portato allo specifico conflitto di esercizi attuali. Lo scenario è progettato per supportare l'esercizio fisico e l'allenamento e, come l'ambientazione, essere reali, romanzati o sintetici.

Tutto questo è patrocinato dal Ministero della Difesa, come dire che non si sta scherzando col giuoco. La caratteristica principale del wargaming è la differenza rispetto ai metodi per ordinare le informazioni nei campi gestionale, progettuale o produttivo che abbiamo visto di sfuggita (ad esempio il PERT). Il gioco prevede un avversario, quindi è interattivo, rende l'uso del wargame diverso da quello del confronto per giungere a un consenso o a un supplemento di discussione. Tantomeno è un anarchico brainstorming in cui si scontrano a ruota libera idee o proposte o qualsiasi cosa che faccia parte di un processo da cui si attendono risultati. Il gioco non è "semplicemente" argomento per la psicologia, l'antropologia o la sociologia, ma non lo è neppure per qualcos'altro come ad esempio la matematica, che pure è ampiamente utilizzata. Forse è più legato alle teorie dell'evoluzione, dato che affina i sensi messi in funzione quando gli uomini entrano in relazione fra loro, individualmente o in gruppo. È apprendimento, esperienza, allenamento, adattamento, recita, partecipazione, influenzamento, interazione, appunto. I bambini giocano alla guerra prima di sapere che cosa essa sia realmente.

Per questo non ci sembra tempo perso dedicare qualche ora a confrontare il wargaming con lo sviluppo di una rivoluzione, specialmente quella prossima. O in corso, secondo la definizione che ne danno Marx ed Engels.

Variazione delle grandezze misurabili

Rimaniamo al momento sul generale e passiamo in rassegna le forze in campo: vediamo la solita dozzina di elementi di cui tener conto per progettare la nostra simulazione:

La popolazione – Il capitale – I capitalisti – Gli operai – Lo stato – Le fabbriche – Le banche – L'esercito – La polizia – I mezzi d'informazione – La piccola borghesia – I fruitori di rendita.

Da nessuna parte è nata qualche categoria nuova. Non la burocrazia, non la tecnocrazia, non la retecrazia, non la nullocrazia. Da cento anni si rimescola la stessa solfa. La borghesia opera indisturbata senza neppur fingere di aver voglia di migliorare sé stessa come una volta. Salta infatti agli occhi uno schema classico nel quale potrebbero trovar posto parole d'ordine del tipo "trasformare la guerra imperialista in guerra civile" o "conquistare la maggioranza del proletariato". Negli archivi del Naval War College americano ci sono 300 wargame diversi di grande formato elaborati nel periodo tra le due guerre: se non fosse stato inventato il computer ne sarebbero stati elaborati altri, sempre con le stesse caratteristiche. I militari sono conservatori, tranne quando sono vicini alla fine di una guerra (quando hanno sfruttato al massimo le conoscenze dell'epoca sulle armi e sul warfare, cioè sul modo di fare la guerra, producendo armi nuove ed elaborando nuove dottrine militari).

Oggi lo schema è infatti contingentemente sempre sé stesso nonostante sia storicamente superato. Se come specie (e non come inventori dell'economia politica) vogliamo informazione e non problemi, se dobbiamo guardare al futuro tenendo conto dell'invarianza secondo trasformazione e non semplicemente invarianza o trasformazione, va radicalmente cambiato l'approccio, altrimenti rischiamo davvero altri cento anni senza futuro.

Però questa volta all'orizzonte c'è l'Apocalisse: superata una certa soglia tutto ciò che oggi incute più o meno disagio, incuterà terrore. Marx, scientificamente, aveva preso in considerazione teorica anche lo sbocco rivoluzionario pacifico, ma l'aveva relegato al margine del suo impianto generale, che era quello della lotta.

Oggi questa remota possibilità va rapportata a zero.

Perché oggi, dopo due guerre mondiali e la conseguente boccata di ossigeno all'economia politica, la scienza non ci dice più che non bisogna trascurare ogni piccolo dettaglio se rientra anche solo in remote possibilità. Oggi siamo nella condizione di escludere anche le remote possibilità.

Diventa dunque indispensabile tener conto non tanto dei fattori politici o comunque sovrastrutturali ma dei fattori reali di cambiamento, come ad esempio la smaterializzazione delle merci, la robotica nella produzione e nella logistica, la conseguente ripercussione sul warfare, l'indebolimento dello stato che è obbligato a corazzarsi contro avverse e continue manifestazioni. L'attualità non è più una fonte di informazione per il controllo sociale perché quest'ultimo non è più contingente, relativo a disordini sociali o tempi di guerra, ma permanente, inserito nella vita quotidiana della popolazione attraverso mezzi tecnici fino a poco fa inimmaginabili. Pensiamo agli 800 milioni di telecamere che in Cina controllano 24 ore su 24 tutto ciò che succede in luoghi considerati strategici per il rilevamento di "informazione sociale". E questo fatto lo annotiamo ancora solo perché è relativamente recente e basato su di una tecnologia curiosa cui non siamo ancora assuefatti: ricavare da masse di molecole sociali informazione utile a un'azione preventiva nei loro confronti; elaborare i dati delle espressioni facciali utili a reprimere una manifestazione che sta diventando difficile da controllare; limitare il futuro tasso di microcriminalità previsto in presenza di dati statistici raccolti dalle telecamere. Abbiamo tutti un indirizzo e-mail e soprattutto un telefonino che ci segue a tempo pieno e che spedisce dati su tutto ciò che facciamo, ma a questo tipo di controllo abbiamo fatto l'abitudine.

Si fa un grande uso, recentemente, della parola "libertà". Della nostra libertà individuale nessuno al di fuori di noi stessi sa che farsene e, paradossalmente, a meno che qualcuno non sia interessato proprio a noi individualmente, siamo più garantiti dalla raccolta universale di informazione che da qualsiasi tecnica di protezione della cosiddetta privacy. Nel mondo siamo 7,8 miliardi; fra abitazioni private e uffici, sono in funzione almeno 10 miliardi di computer e smartphone che raccolgono dati con criteri statistici, la miglior garanzia che, data la quantità, la sacra persona venga ignorata in quanto tale. Ciò ha ripercussioni sul warfare, campo in cui l'informazione è a tutti gli effetti un'arma, anzi, forse l'arma più micidiale, decisiva nella valutazione delle forze che si fronteggiano (ecco l'influenza della realtà sul lessico o viceversa: le forze militari non si fronteggiano più almeno da un secolo).

Vediamo uno scenario letto con gli occhi del wargamer:

  • - ogni elemento ha il suo "valore" prestabilito, ad esempio in "Punti".
  • - scopo: accumulare nuovi punti o erodere quelli dell'avversario.
  • - intorno ai dodici elementi elencati a inizio capitolo avviene lo scontro.

Caratteristiche:

I punti si guadagnano sul campo e/o si prendono in cassa in base alla potenza di ogni giocatore (più questi è potente, più ha modo di accumulare potenza aggiuntiva, come nella realtà).

Campo delle derivazioni 1 (wargame meccanici):
Scacchi - Gioco dell'Oca - Monopoli - Risiko

Campo delle derivazioni 2 (wargame fuzzy):
Lotta di classe - Twilight Struggle - Dual Powers 1917.

Funzione di Gettoni e Pedine, per esempio: coefficienti di correzione.

Nella simulazione dinamica dei fattori di un eventuale scontro di classe, non si potrà fare a meno di schierare le forze tradizionalmente incaricate di svolgere la loro funzione: borghesi, proletari, partiti, sindacati, ecc. In un gioco "scacchistico" queste funzioni sono assai limitate e soprattutto non possono evolvere.

Prendiamo i sindacati: noi abbiamo affermato che chiunque conquisti o costituisca oggi un sindacato senza che siano variate le condizioni sociali esistenti non potrà fare altro che mettere in pratica la prassi sindacale corporativista, perché l'esigenza di ottenere risultati entro il quadro corporativo blocca l'azione sindacale sul piano storico.

Un sistema di soviet potrebbe teoricamente introdurre variazioni nei rapporti di forza, cioè acquisire autorità riconosciuta, ma i soviet, in quanto organismi strutturalmente interclassisti non sarebbero che dei parlamentini impossibilitati a svolgere la funzione che svolsero nel 1917. Ricordiamo che Lenin considerava inconseguente la borghesia russa, quindi incapace di dirigere la propria rivoluzione, quindi incapace di conquistare i soviet. Se questi oggi avessero un peso nel corso della rivoluzione sarebbe meglio neutralizzarli, anche se fossero conquistati dal proletariato (con un sistema elettorale? Abbiamo visto alla prova il consigliarismo nostrano negli anni '20, le propaggini attuali sarebbero quanto di più inadatto per l'evoluzione dei rapporti di forza).

Ormai non esistono più organismi tradizionali in grado di cambiare pelle per cambiare la storia: qualsiasi organismo legato ai vecchi modelli politici dovrà scomparire e lasciare il posto a nuove forme di associazione immediata. Questa non è una questione contingente e va risolta sintonizzandola con tutto l'intorno. Quando diciamo che non sarà mai possibile trasformare i sindacati in pure e semplici appendici dello Stato perché raccolgono per loro natura solo salariati, non vogliamo dire che bisognerà sempre partecipare alla vita sindacale. Le condizioni di invarianza devono essere effettive. Se fossimo dei progettisti di wargame non potremmo porre sullo stesso piano, per l'equilibrio, un organismo proletario e uno borghese solo perché i loro seguaci hanno entrambi – poniamo – le scarpe da tennis. È possibile trattare un organismo proletario come assolutamente diverso da uno borghese solo quando non sia in mano ai borghesi. L'appartenenza di classe dei membri di un gruppo sociale non è garanzia di un comportamento razionale e conseguente. D'altra parte, abbiamo un buon esempio di eccezione alla regola: durante la Repubblica di Salò, la politica di socializzazione progettata da Mussolini e proposta anche alla Germania, prevedeva la costituzione di sindacati governativi; la nostra corrente chiarì che in quel caso non era possibile un qualsiasi lavoro sindacale.

Ci siamo trovati nella condizione di costituire dei consigli di fabbrica dove non c'erano; di sostituirli dove c'erano ma avevano disertato la lotta; di scioperare insieme a sindacalisti di base quando ci siamo trovati a denunciare uno sciopero in difesa della democrazia; di fare a botte con sindacalisti che volevano impedire dei picchetti spontanei, eccetera. Quando gli operai sono in lotta, siamo in lotta con loro. Purché sia chiaro che non facciamo del sindacalismo corporativo. In Partito rivoluzionario e azione economica si dice chiaramente che l'accento va messo sulla natura dell'organismo e sull'unità dei lavoratori. Le condizioni di partecipazione vanno quindi associate a un qualcosa di più importante che non la rivendicazione contingente, la quale non richiede certo la fondazione di un nuovo sindacato per essere sostenuta. Ad esempio, non costituiremo mai piccoli sindacati che sono la fotocopia in formato ridotto di quelli grossi.

La disattesa importanza virtuale dei sindacati

Da un dibattito sulla "questione sindacale" può scaturire di tutto, indifferentemente: si può ritenere corretta una "soluzione" o il suo contrario, le motivazioni "profonde" per una scelta si trovano sempre. Non vale la pena elencarle, le abbiamo subìte per decenni in dialoghi fra sordi tenacemente abbarbicati alla "Tradizione". Ma vediamola un po' questa tradizione.

Notare che nel testo appena citato i Soviet non compaiono se non nella funzione di generici organismi "a contenuto economico". Comunque, in ogni movimento rivoluzionario generalizzato devono essere presenti:

  • 1) un ampio e numeroso proletariato di puri salariati;
  • 2) un grande movimento di organismi a contenuto immediato che comprenda una imponente parte del proletariato;
  • 3) un forte partito di classe, rivoluzionario.

I vecchi sistemi complessi che dobbiamo sconfiggere per liberare quelli nuovi vanno affrontati con le teorie della complessità. Questi sistemi non richiedono tanto manuali di istruzioni quanto strategie dettate dalla loro dinamica. È la storia che fa gli organismi, non il contrario. Abbiamo quindi che lo scenario della rivoluzione è il risultato della corretta impostazione della teoria del materialismo storico che collega il primitivo bisogno economico del singolo alla dinamica delle grandi rivoluzioni sociali; della giusta prospettiva della rivoluzione proletaria in rapporto ai problemi dell'economia, della politica e dello Stato; degli insegnamenti della storia di tutti i movimenti associativi della classe operaia così nel loro grandeggiare e nelle loro vittorie che nella corruzione e nelle disfatte.

Le teorie della complessità non ci permettono di dire a cuor leggero che un dato fenomeno è spiegato una volta per tutte dalle conoscenze acquisite e basta. Ogni fenomeno ha una storia e quindi è cangiante nel tempo. È obbligo nostro farlo rientrare nella sua corretta dimensione riducendolo a forme di invarianza. Una cattiva interpretazione del riduzionismo scientifico può mostraci analogie e differenze dove non ve ne sono. In un sistema complesso, oltre al carattere dominante di uno scenario, vi sono sempre condizioni al contorno che contribuiscono alla sua storia:

"Le linee generali della svolta prospettiva non escludono che si possano avere le congiunture più svariate nel modificarsi, dissolversi, ricostituirsi di associazioni a tipo sindacale."

Così nel 1951. Ci sono queste condizioni nel 2021? E se no, quali nuove condizioni si potranno presentare? Intanto si capisce che le determinazioni secondarie rientrano nello scenario solo se passibili di neutralizzazione rispetto al cambiamento. E poi i portatori di "indirizzi sociali anche conservatori" possono rientrare nello schema solo come elementi che, pur di non perdere i vantaggi acquisiti, si ribellano allo status quo.

Il wargame, da tavolo o realizzato con il computer, non subisce influenze ideologiche diverse da quelle presenti nel regolamento o nel programma implementato. L'interfaccia con il computer impedisce l'esaltazione degli elementi soggettivi perché non provoca dibattiti. La macchina fa solo ciò che le si chiede di fare. D'altra parte, essa sconvolge il rapporto uomo-gioco-ambiente perché rende formalizzabili scenari (modelli) che precedentemente venivano trattati esclusivamente in quanto soggettivi/qualitativi. È vero che s'è vista gente prendere a pugni un computer, ma questo non dev'essere scambiato per una effettiva umanizzazione: siamo noi a vedere questo effetto quando siamo esasperati da un "comportamento" che assomiglia a quello umano anche se è soltanto un riflesso creato dalla nostra mente. Arrabbiarsi con un computer che "sbaglia" non è un indice di buona attenzione a ciò che realmente è una macchina.

La macchina, in altre parole, introduce, con la sua sola presenza, un elemento "galileiano" nel gioco. Essendo capace di sbrogliare situazioni logiche complesse, permette di implementare nel wargame potenzialità che superano quelle dello "schema scacchistico".

Nulla ci impedisce, ad esempio, di costruire un wargame nel quale la mission sia la conquista della metropolitana di Londra. A partire dalla stringatissima mappa si possono aggiungere quanti livelli di precisione ci possano servire. E siccome per giocare seriamente bisogna essere almeno in due, occorre affibbiare alla metropolitana un comportamento umano simulato, una opposizione alla conquista.

Tipico è l'uso della teoria dei giochi quando si voglia ammantare di rigorosa scientificità il wargame a partire da minime condizioni. Proprio John Nash ha paragonato la Teoria dei giochi a un Machiavelli che procede su terreno accidentato prendendo appunti.

A proposito di teoria dei giochi, vediamo che essa è spesso citata quando si intravedono scogli "dialettici". Ma la dialettica non è una ricetta ammendante per ricette riuscite male: non c'è niente nelle tre famose leggi della dialettica che non sia spiegato meglio da proposizioni scientifiche. Persino Engels nell'Antidühring dimostra un certo imbarazzo nel proprio tentativo di spiegare la negazione della negazione del seme.

Il campo di gioco

Un wargame social progettato oggi deve rispondere ovviamente allo scenario di oggi. Ciò è meno banale di quanto possa sembrare, perché è facile constatare che se immaginiamo un laboratorio per costruire questo wargame, esso conterrà tutti gli strumenti che non erano adatti nemmeno per la rivoluzione passata (infatti è fallita) conservati in naftalina per la rivoluzione attuale. Che così non perde neppure tempo a provare, tanto è chiaro che con quella ferraglia non si va da nessuna parte. E non ci riferiamo soltanto alle famigerate parole d'ordine dell'indeterminatezza tattica, ma a qualcosa di più: per esempio all'immane furto di futuro che la loro adozione ha comportato.

Proviamo ad analizzare uno di quei "progetti sociali" che vanno tanto di moda oggi, quel misto di demagogia, energia dissipata, inefficienza e truffa che molte università elencano nel loro programma parallelamente alla crescita della produttività, della disoccupazione e della miseria. Come abbiamo visto, la popolazione mondiale ha raggiunto i 7,8 miliardi (crescita 80 milioni all'anno), tra i quali 4 miliardi sono urbanizzati, 2 miliardi sono salariati, 3 miliardi sono disoccupati, precari o schiavizzati o comunque considerati poveri (la somma supera il 100% perché i dati si sovrappongono: possono benissimo esserci disoccupati urbanizzati).

Quattro dati che da soli fanno capire che cosa significhi elaborare un modello funzionante per il futuro prossimo. Bisognerebbe gestire un sistema di questa ampiezza con molti dati plausibili e oggettivi, ma non appena si passa alla realizzazione di un modello classico usando quei dati ci si accorge che è inutile continuare, il modello non può rispondere. Fra tre anni saremo 8 miliardi, 3 Germanie in più. Fra cinque anni ci saranno 4 miliardi di poveri e forse un mezzo miliardo di urbanizzati supplementari. Se anche queste cifre fossero sbagliate per eccesso il risultato sarebbe analogo: il pianeta non resisterebbe comunque a un impatto del genere. Anche tenendo per buona la base dell'economia politica, l'intervenire come si è fatto finora, con tagli alle inefficienze, denaro a costo zero, nuovi investimenti, ecc. non funziona più, il mondo sta già scoppiando adesso.

Un modello capitalistico efficiente dovrebbe infatti smetterla con quel misto di manovre restrittive e assistenziali e passare a un modello incrementale. Ma che cosa si incrementa in un mondo che scoppia di merci e di capitali? Ad esempio, con una serie di coefficienti che tenga conto dei diversi gradi di influenza si potrebbero abitare le aree urbane che si sono estese a causa della rendita e sono rimaste disabitate. Negli anni '80 la rendita attenuò la crisi attraendo capitali in cerca di allocazione e negli ultimi vent'anni si è ancora costruito nelle grandi metropoli, ma la cosiddetta gentrification, cioè la nobilitazione delle aree per mezzo di investimenti, è stata accompagnata, a partire dalla crisi del 2008, da un drastico ridimensionamento del mercato edilizio, per cui le semi-periferie non hanno svolto il loro compito e in certi casi sono addirittura regredite a livelli precedenti al recupero.

Bisognerebbe sapere che cosa succede ai flussi di valore fra aree del mondo assolutamente incomparabili, mentre oggi ci si basa esclusivamente su prezzi corretti in base al potere d'acquisto in dollari. Tra la Germania e la Nigeria non è sicuramente il tasso di cambio che fa la differenza.

Bisognerebbe sapere quanti sono coloro che usufruiscono di effettivi redditi "sociali" (inclusi i salari per lavori inventati, cioè inutili).

Nel nostro Quaderno n. 1 "La crisi storica del capitalismo senile", tratto da una riunione generale del 1983, avevamo visto che rapportando la cifra in dollari del PIL mondiale al reddito nazionale al netto dell'agricoltura (rendita) avremmo ottenuto le cifre del saggio di profitto (un'approssimazione della produzione industriale), dalle quali avevamo infine ricavato un grande diagramma.

La continuazione di quel lavoro potrebbe essere interessante, basterebbe trovare le cifre aggiornate per gli anni successivi. Ma quello che ci interessa sottolineare è che la borghesia stessa ad un certo punto è costretta a venire sul nostro terreno (capitolazioni) e a utilizzare unità di misura commensurabili. La storia di una competizione dinamica fra più paesi è una fonte di conoscenza maggiore che non il resoconto economico su di un solo paese alla volta, per quanto meticoloso sia l'autore.

Un classico modello utilizzato negli ultimi 50 anni è il picco di Hubbert: una curva di produzione del petrolio rilevata empiricamente alla quale si sovrappone la curva-modello matematica (logistica). Tale curva, oltre a dare indicazioni precise sui prezzi che si formeranno in ritardo rispetto alla produzione, oltre a dimostrare la validità della legge della rendita, obbliga gli economisti a tener conto del fatto che il modello di Hubbert si rivela utilizzabile non solo con il petrolio ma con tutte le altre fonti di energia. E, aggiungiamo noi, con tutte le materie prime (hanno in comune la teoria della rendita). Perciò gli economisti sono stati obbligati a stabilire una unità di misura basata sull'energia, la TEP, la tonnellata equivalente di petrolio.

Hubbert proponeva una società basata sul calcolo dell'energia scambiata. Questo modello nel modello permetterebbe al nostro wargame di funzionare anche per i calcoli inerenti ai rapporti sociali: l'energia è un fatto fisico, il denaro un riflesso mentale, la forma fenomenica del valore. L'economia politica sottoposta alle regole del wargaming denuncerebbe tutta la sua debolezza in quanto basata su paradigmi qualitativi, non calcolabili. Ed è fin troppo evidente che un tale sistema sfugge a qualsiasi forma di controllo perché si suppone che la sua governabilità sia garantita dall'azione degli economisti, azione che si applica a concetti invece che a fatti.

Il wargaming funziona meglio con le cose che con il loro nome. Marx dice che il capitale non è una cosa ma un rapporto. Ed è problematico dare un nome, cioè un modo per lasciarsi misurare, ad un rapporto.

Abbiamo detto che per salvare il capitalismo (fino alla prossima catastrofe sistemica) sarebbe necessario ristabilire un ciclo incrementale. Ciò in linguaggio marxista significa contrasto della legge della caduta tendenziale del saggio di profitto. In estrema sintesi: siccome il plusvalore si produce esclusivamente sfruttando operai, occorrerebbe un ritorno alla condizione del capitalismo che sfruttava la forza lavoro al massimo. Un nostro modellino facile facile, già utilizzato su queste pagine, mostra l'andamento storico del plusvalore. La massima efficienza dello sfruttamento si ha quando la giornata lavorativa è divisa esattamente in due: metà lavoro per l'operaio, metà lavoro per il capitalista o, il che è lo stesso, metà salario, metà plusvalore, saggio di sfruttamento 100%.

Non diciamo che sia possibile, diciamo che sarebbe l'unica strada.

Un gigantesco reloading a livello planetario. Un ritorno alle trenta annate gloriose, dal 1945 al 1975. Gloriose per il capitalismo, si capisce.

Abbiamo affrontato in tutti i modi il tema della transizione a partire dal grande arco storico (struttura frattale delle rivoluzioni) per finire allo studio dettagliato di eventi come il Biennio Rosso, il II Congresso dell'IC, il Sessantotto od Occupy Wall Street.

Per il nostro approccio abbiamo utilizzato metodologie "galileiane", suggerite anche dalla nostra corrente (come gli schemi astratti che permettono di ridurre la realtà complessa a modelli semplici), le quali, con l'uso di formalizzazioni matematiche diventano vere e proprie "macchine per conoscere". Un buon supporto teorico a quanto andiamo affermando è offerto dagli schemi rappresentativi delle varie condizioni sociali, come le curve sinusoidali dell'opportunismo, le cuspidi dei modi di produzione, il complesso diagramma del rovesciamento della prassi, la polarizzazione sociale nell'imbuto della selezione verso il partito, nonché l'estensione della struttura frattale implicita nel modello sociale delle transizioni di fase. Sarebbe inoltre utile conoscere anche i temi inerenti al processo di cui abbiamo fatto cenno in uno dei capitoli precedenti citando uno studio americano: il wargame che, da strumento che usa la matematica per simulare eventi o processi (non solo militari) passati, in corso o futuri, diventa strumento che suggerisce nuove strade alla matematica per risolvere problemi inerenti all'uso dei wargame (cioè, in ultima analisi, della dinamica dei sistemi). Una bibliografia ragionata potrebbe essere la seguente:

  • Teoria dei sistemi – Ludwig von Bertalanffy;
  • Teoria dei giochi – John von Neumann, Oskar Morgenstern, John Nash;
  • Teoria delle reti – Làszlò Barabàsi, Mark Buchanan;
  • Teoria dell'informazione – Claude Shannon;
  • Teoria del caos – James Gleik;
  • Teoria della complessità – Morris Mitchell Waldrop;
  • Teoria delle catastrofi – René Thom, Christopher Zeeman;
  • Teoria sintropica – Luigi Fantappié, Olivier Costa de Beauregard;
  • Teoria dell'autocatalisi – Stuart Kauffman.

Con le idee ben chiare su quanto precede, per avere la valutazione della maturità oggettiva di un eventuale movimento occorre conoscere la dinamica di quest'ultimo nel tempo. Se attribuiamo un quoziente di anti-forma al movimento in esame (rispetto al contesto e non all'ordine cronologico) quelli che abbiamo visto negli ultimi anni vanno ordinati grosso modo così:

1) Banlieusard, Sardine, Forconi (livello elementare di manifestazione del disagio).

2) Grillini (struttura e programma da partito politico eco-populista; attento alle tecnologie usate in campo sociale ma tutto sommato sterili perché volte a rimestare nell'esistente).

3) Nuit débout (spinte contraddittorie ma tendenzialmente ultrademocratiche proudhoniane; notevole sforzo dedicato alle tecnologie, ma anche in questo caso per gestire una rete di parlamentini).

4) Primavera Araba (maturità elevata, ma solo in relazione al contesto. In Egitto è stata realizzata la prima rete mesh per sopperire al blocco governativo di Internet).

5) Indignados (irrimediabilmente democratici e pacifisti, ma hanno fatto da detonatore).

6) I ribelli contro le misure governative antivirus (arrabbiati per motivi universali, hanno sviluppato la loro protesta al di fuori di ogni schema politico, per cui l'aspetto esteriore del loro populismo assomiglia più alle manifestazioni da stadio che all'affermazione di un programma. Non sono da sottovalutare in quanto movimento sotterraneo alla ricerca di un surrogato alla mancanza di umanità. Cfr. Una vita senza senso).

7) Movimento greco (base anarco-studentesca, democratica. Debole tentativo di superare i propri limiti).

8) Gilets Jaunes (forse il primo movimento interclassista guidato dalle frange estreme delle non-classi, quelle nominate da Marx nella lettera ad Annenkov. Con qualche sparso tentativo di espressione classista da parte dei proletari).

9) Occupy Wall Street. Collegamenti non sporadici con i lavoratori in sciopero, con i portuali e con la base dei sindacati. Cartelli e parole d'ordine marxisteggianti (La Comune, lo sfruttamento intensivo, la presentazione "proletaria" delle migliaia di ritratti con cartello e motivazione di appartenenza al movimento. Quest'ultimo ben più maturo di quanto mostrasse di credere pensando a sé stesso. Piena maturità per quanto riguarda le tecnologie, comunicazione capillare a rete; tre ponti mesh attivi).

Ribadiamo: l'elenco da 1 a 9 non è in ordine cronologico ma di attinenza a probabili sviluppi. L'ordine cronologico, comunque, si intravede ed è interessante. Sembra che nell'insieme ci sia una generale maturazione nel tempo. Se aggiungiamo all'elenco le manifestazioni americane con la proclamazione di "Zone liberate", più quelle di Hong Kong e le innumerevoli di cui abbiamo avuto solo notizia senza sapere che cosa le provocavano e che cosa volessero i manifestanti, abbiamo un quadro abbastanza preciso dello stato in cui si trovano le masse che ufficialmente non fanno storia ma che rappresentano la tensione sociale.

Si incomincia a percepire la complessità del compito che si dovrà affrontare e l'importanza differenziata delle singole parti che concorrono al tutto.

Nello scenario in cui ci muoviamo sarebbe auspicabile la formazione di un raggruppamento deciso e orientato con le caratteristiche emergenti nel corso di questo lavoro. L'esperienza empirica del PCd'I è illuminante ma, essendo stata interrotta brutalmente, non c'è stata l'occasione per collaudare l'efficienza della sua critica. Non è il numero che conta, non una fantomatica maggioranza, ma la consapevolezza che conoscenza e determinazione di chi è sulla scena. La consistenza in numeri viene dopo, come dimostra l'attaccamento degli iscritti agli organi dirigenti fino al 1926, attraverso il processo del 1923, il Convegno di Como del 1924, il Comitato d'Intesa del 1925, la bolscevizzazione e infine il Terzo Congresso truccato (proprio la necessità del trucco democratico dimostra la forza della Sinistra nonostante l'inaudita persecuzione). Il numero è un derivato, non fa parte della struttura.

Ogni movimento politico ha bisogno di organizzazione. Questo vuol dire anche dirigenti capaci e preparati, strutture di lavoro, competenze. La migliore qualità dei capi è quella di non comparire come battilocchi. Da Occupy Wall Street in poi un movimento politico che conti non sarà mai più riconosciuto attraverso personaggi rappresentativi. Le nostre Tesi di Milano sistemano questa controversa questione. Per noi vale il principio di autorità, da non confondere con l'autorità personale. La linea di comando ha doppia direzione, non occorre che sia attribuita a gerarchie interne al movimento/partito (non che il partito sia movimento, ma senza il partito il movimento rivoluzionario non c'è).

L'importanza di essere leaderless, come mostravano di essere i movimenti effimeri nominati, risiede nella pratica della direzione: una funzione puramente tecnica che finisce quasi sempre in mano a una guida demagogica e politicante. L'eliminazione di funzioni rende più facile l'eliminazione dei funzionari inutili, i quali prima o poi finiscono con il confrontare le loro vedute reintroducendo la democrazia. Perciò è indispensabile che l'intero partito assimili, coerentemente con la sua qualità di "avanguardia", che nessun fine umano è mai stato raggiunto per merito della democrazia, ma con il lavoro, il progetto, la trasformazione della natura secondo processi ottimizzati, materialmente funzionali e non idealmente rappresentativi.

Diciamo che il "capo", non solo rivoluzionario ma in genere, è colui che organizza così bene ciò che deve capeggiare che la sua figura diventa inutile perché tutti sanno che cosa fare, quando e come.

Oggi è impensabile che possa avere influenza decisiva un movimento caratterizzato dalle categorie politiche degli anni '20. Si può dire, giustamente, che non è ancora stata sperimentata la nuova forma sociale, quella senza le categorie di quella vecchia e che quindi si dovrà per forza passare attraverso qualche forma di transizione graduale. È evidente: anche se la rivoluzione è un fatto repentino per quanto riguarda il passaggio del potere, è previsto anche da Marx che ci sia una fase transitoria. Ma l'esperienza insegna che l'emergenza – nel senso di situazione provvisoria di tensione verso un risultato – è facilmente individuabile sia quando vengono alla luce al "momento giusto" gli elementi prima nascosti, sia quando si constata che argomenti ostici fino al giorno prima diventano perfettamente assimilabili.

Il potenziale si renderà visibile attraverso la coerenza fra la spinta materiale e la richiesta di "cose da fare" senza tante chiacchiere. L'importanza della sincronia fra teoria e azione (fra programma e tattica) deve portare i "capi" a pretendere che non vengano dissipate le energie. In tempo di transizione di fase è facile muoversi in sintonia con l'antiforma. Se però non viene assimilato l'insegnamento della storia vincerà di nuovo la politica becera del "confronto", e invece di lasciarci governare dalle leggi di natura ci faremo ingabbiare dalle leggi degli uomini. La natura non ha avuto bisogno di poteri legislativi, esecutivi e giudiziari. Non ha avuto bisogno di parlamenti per sapere che g = 9,81 m/s2, cioè che la gravità terrestre imprime quell'accelerazione a un sasso in caduta libera al livello del mare. La natura ha predisposto il sasso e il mare, noi abbiamo dato loro un nome e li abbiamo misurati. È la buona misura quella che ci serve per un buon wargame. Le cose ci sono già.

Guerra senza aggettivi

Nella metà degli anni '80 del secolo scorso i computer erano diventati abbastanza potenti da poter essere programmati non solo per rispondere alle configurazioni previste dagli ipotetici o preesistenti scenari ma per condurre una guerra simulata con sviluppi strategici nel tempo. Stati Uniti e Gran Bretagna erano avanti nella simulazione proprio mentre in URSS gli eccellenti matematici russi venivano definitivamente sconfitti, con i loro supercomputer, a causa del timore che i membri dell'apparato politico avevano maturato verso macchine che, secondo loro, li avrebbero resi inutili. La paura non era del tutto infondata: sembra che la pianificazione quinquennale sia fallita proprio perché l'apparato politico mummificato aveva boicottato i computer.

In Occidente la potenza di calcolo venne invece accolta come buon lubrificante per la riproduzione allargata del capitale, e nel campo dei wargame fecero la comparsa programmi tendenzialmente automatici, cioè in grado di partire da uno scenario prestabilito e produrre da sé la propria evoluzione. Questi programmi avevano dei pregi tecnologici e un grave difetto epistemologico: da una parte permettevano, con le loro capacità evolutive, di presentare molti cicli evolutivi diversi variando pochi parametri in poco tempo; dall'altra, ogni soluzione restava un traguardo fisso se non si fossero cambiati i parametri di partenza, e quindi le premesse all'evoluzione. Il computer è una macchina, da sola non evolve (per adesso).

Una volta assegnata la missione, il computer ottimizzava la scelta e l'uso degli uomini, delle armi e dei mezzi, ne seguiva le mosse, combatteva senza provare sentimenti fuori luogo, non conosceva fame, sete, sonno, caldo, freddo. Attribuiva punteggi, cioè onorificenze… Insomma, un soldato non ancora perfetto ma ben avanti con il lavoro per esserlo.

Il computer "vero" riceveva regolarmente la visita dei tecnici per la messa a punto e per il prelievo delle pile di tabulati che sfornava a causa dell'aggiornamento in corso d'opera, mentre teneva traccia delle forze Alleate riprodotte nelle memorie quasi al vero, controllava i rilevamenti tramite una serie di sensori e valutava i risultati degli attacchi virtuali, condotti o subiti man mano questi fluivano verso gli analisti dei dati. Il computer era stato programmato per supportare migliaia di "oggetti" separati, ognuno dei quali poteva rappresentare una o più unità di fanteria, uno o più carri armati, una o più navi, uno o più aerei da combattimento. I wargame degli Stati Uniti, sistemi simulati di fanteria, marina, aviazione o missili da crociera erano in quegli anni i più avanzati. Molti sensori di tipi diversi erano presenti in uno stesso sistema e potevano essere nello stesso tempo detector e target. Tutto aveva contribuito a sviluppare il complesso di guerra virtuale, ma le nuove possibilità tecniche, come sempre, avevano prodotto una rincorsa all'aumento della potenza; aumento che però aveva finito per penalizzare il sistema. Quest'ultimo era diventato "semplicemente" potente senza aver potuto simulare conseguentemente il rapporto con gli umani: era rimasto inesorabilmente deterministico nel senso meccanico del termine, quindi prevedibile, quindi vulnerabile. In guerra non è proprio l'attributo che occorre per stare tranquilli.

Era necessario eliminare un tale inconveniente. Il sistema messo a punto negli Stati Uniti aveva all'inizio intenti didattici. Se i suoi progettisti e giocatori interagenti fossero stati presi sul serio si sarebbe aperto uno spazio per utilizzarne il nocciolo come base di un gioco educativo. Nella sua struttura esisteva, fin dal progetto, la possibilità di aggiungere funzioni modulari. Questa possibilità, insieme a quella di produrre un report riassuntivo di ogni "partita", aveva permesso di accedere facilmente al data base per documentare e studiare le "mosse". Il programma di un gioco di guerra si era rivelato un potente strumento universale per apprendere tramite simulazioni.

Nel corso della commercializzazione, il programma fu presentato ai potenziali probabili clienti con un opuscolo che ne elencava le potenzialità, la flessibilità, la semplicità d'uso, il costo contenuto, l'adattabilità e la disponibilità in tempi brevi. Il sistema era costituito da un computer mainframe cui potevano essere collegate alcune decine di terminali. Gli operatori civili prendevano il posto dei comandanti delle unità combattenti e ognuno di essi costituiva il nodo di una rete integrata che, nell'insieme, era la stessa di quella militare, con la sua squadra di pianificazione del gioco, il controllore generale e gli arbitri. I terminali dei nodi erano computer alfanumerici elementari affiancati da stazioni grafiche per visualizzare le operazioni, così come abbiamo visto con la mappa che visualizza il territorio e i grafici che visualizzano le operazioni soggiacenti. Il modello matematico, nato all'inizio per simulare un teatro aeronavale, ora si connetteva a moduli aggiuntivi in grado di simulare ogni operazione in cui si tirasse in ballo la teoria dei giochi o qualche suo derivato, di carattere bellico oppure no. Oggi i wargame del tipo di quello appena descritto hanno raggiunto una capacità di simulazione altissima. Ciò che arriva sul mercato, anche ad uso dei professionisti, non è neppure paragonabile a ciò che viene progettato e utilizzato negli ambienti militari.

Rivista n. 50