Per l'intransigenza di pensiero

I giovani, e in generale tutti quei compagni che lavorano per la propaganda socialista, dovrebbero aggiungere al proprio spirito di sacrificio un senso più esatto della propria responsabilità di fronte al movimento. Troppo spesso avviene di sentire degli oratori, dei conferenzieri che si dicono socialisti e parlano a nome del socialismo, impostare le loro dimostrazioni su basi equivoche e che nulla hanno a fare coll'idea socialista, cercando di arrivare a questa per vie più o meno contorte, o tentare degli effetti coi motivi più accetti all'ambiente a cui parlano, anche se questi motivi sono al di fuori del pensiero socialista, facendo quasi sempre delle concessioni nella paura di urtare la folla con affermazioni troppo recise.

La causa di questo comune errore non è in generale la mancanza di cultura, ma piuttosto il disordine di essa e l'influenza che esercitano sulla mentalità del propagandista teorie ed idee del pensiero borghese non bene confutate dalla stessa critica socialista. Ma il più delle volte la causa è, come abbiamo accennato, il timore di urtare il sentimento della massa, il desiderio di insinuarsi nell'animo degli ascoltatori, di vincerne le diffidenze; insomma, tutto un opportunismo che trasforma ciò che dovrebbe essere un apostolato in qualche cosa che ricorda troppo il mestiere del ciarlatano.

Noi crediamo che il socialista non debba nascondere parte alcuna del suo pensiero, visto che egli sostiene che le sue teorie sono il riflesso delle condizioni reali di esistenza del proletariato. Se le cose che il propagandista dice non trovano simpatia nella massa, vuol dire o che egli non ha la nozione esatta degli interessi di questa o che la massa è stata impressionata e imbevuta di idee antisocialiste dai partiti politici borghesi.

Ebbene, noi diciamo che è un grave errore pratico rimediare alla propria inesperienza o all'ostilità dell'ambiente adattandosi a toccare tasti simpatici a questo, attenuando la fisionomia del pensiero socialista. Il risultato immediato che così si ottiene dal facile consentimento dell'ambiente è sempre vano e passeggero, mentre un risultato duraturo non può aversi che affermando schiettamente i principi del socialismo e cercando di dimostrare ai lavoratori il tranello in cui cadono ascoltando chi li spinge a diffidarne.

Riconosciamo però che gli interessi di un determinato ambiente operaio – interessi locali o di categoria – possono divergere un poco, o anche molto, dalle tendenze socialiste, ossia dagli interessi collettivi di tutto il proletariato. Ma anche in questo caso il propagandista non deve cedere. Se il socialismo è nato dalla somma delle tendenze isolate dei gruppi operai, delle organizzazioni di resistenza, uniti in un intento comune – che solo può risolvere definitivamente tutti i problemi particolari del proletariato, e solo con l'accordo di tutti i lavoratori potrà realizzarsi – la missione del partito socialista è appunto di combattere l'egoismo che esiste nelle tendenze particolari dei gruppi e delle categorie operaie, e contro questi egoismi bisogna essere spietati, perché il rispettarli e accarezzarli può essere causa dì grandi delusioni future. Il riformismo monarchico italiano, e lo stato delle nostre organizzazioni operaie, valgano come prove.

L'obiezione riformista è nota, ed è in fondo sempre la stessa: l'organizzazione è questione di numero, o essere molti o non essere, ogni divisione la uccide, via quindi la politica (anche i sindacalisti dicono e soprattutto fanno lo stesso). L'apoliticismo trionfa e diventa mancanza di pensiero, di coscienza, di direttiva.

E il riformismo operaio, riflettendosi sull'atteggiamento politico del partito, lo adatta alle sue necessità particolaristiche... a cui potrebbe esser rimedio quasi universale un ministro socialista. Noi che ci opponiamo siamo, al solito, dei visionari senza esperienza, nemici della pratica, ecc... Ma, perdìo, nel regno di S.M. la Pratica entra o no la possibilità di abbattere, di trasformare, se vogliamo essere più dolci, il regime borghese? Se si crede alla finalità rivoluzionaria – sia pure lontana – del movimento proletario, non si deve travisarla o rinnegarla per gli interessi di qualche cooperativa o di qualche lega; se poi non ci si crede più, allora è meglio rinunziare a etichettarsi di socialismo, e confessare che si è scoperto un nuovo comodo mestiere: quello di avvocati o curatori d'interessi del particolarismo operaio!

I riformisti diranno che essi vogliono arrivare al socialismo, ma a poco a poco. Chi va piano.... E, nella loro teoria dell'andar piano, pare sia compreso il camminare in senso opposto.

Ma, ritornando al nostro argomento della propaganda senza addentrarci in altri campi, vogliamo difendere l'intransigenza di pensiero del socialismo, condizione necessaria della intransigenza di azione, di cui è un caso specifico quella elettorale. E ci addentreremo per essere più chiari nell'analisi di alcuni casi in cui più comunemente i propagandisti travisano la nostra idea, porgendo il fianco all'equivoco e – mentre credono di sconcertare" gli avversari – offrendo a questi una sicura rivincita nell'avvenire.

Intendiamo parlare della propaganda contro il clericalismo, il nazionalismo, e il massonismo bloccardo.

Nel primo caso (dell'anticlericalismo) possiamo fare questo appunto: la maggior parte, se non tutti i propagandisti, attaccano il prete dicendo che esso ha travisato il cristianesimo e rinnegati i suoi principi; facendo una apologià implicita e talvolta esplicita del cristianesimo stesso e ammettendone la compatibilita col socialismo.

Questo modo di salvare il sentimento religioso è un grave errore, perché lascia nella coscienza dell'operaio il substrato a cui il prete potrà fare appello per ricondurlo al suo gregge, mentre invece è evidente che noi dobbiamo distruggere il sentimento religioso che non è altro che un mezzo di cui si serve la classe dominante per giustificare il suo dominio sugli umili con l'intervento di una volontà sovrannaturale. Checché si dica sul comunismo di Cristo, è per noi certo che ogni credenza nel mondo dell'al di là è uno strumento poderoso per addormentare la lotta di classe, che mira a risolvere problemi di questo mondo. A che prò dunque combattere il prete rispettando il dogma, anzi difendendolo quando il prete se ne allontana? Quando si fa questo si mostra di subire l'influenza del settarismo massonico, che pure essendo ateo non osa annientare il dogma nel popolo perché specula sul quietismo delle masse, come ogni movimento borghese, ben comprendendo che, se l'ateismo borghese può essere conservatore, l'ateismo proletario diviene sempre rivoluzionario.

Quando diciamo di distruggere il sentimento religioso non intendiamo che si debba intraprendere la confutazione filosofica dei dogmi o mettersi a dimostrare che Dio non esiste. Discutere un dogma significa riconoscergli qualche diritto all'esistenza logica. E' metafisica che non trova posto nel socialismo. Bisogna invece affrontare il problema nei suoi valori sociali, e mostrare come nel fatto il prete e la religione servono al giuoco del capitalismo. Questo è il punto di vista, facilissimo a svolgere e ad essere inteso dagli operai, di quello "specifico anticlericalismo socialista" che l'on. Podrecca non conosce (Asino del 24 novembre). Così la massa diventa areligiosa e il prete innocuo. Se il prete è nostro nemico, gli è perché serve ai fini della borghesia. Se poi esso è anche nemico a qualche frazione politica della borghesia stessa, noi possiamo sì fregarci le mani, vedendo la discordia nel campo avversario, ma non accettare alleanze contro il comune nemico delle gonfiature asinesche!

In conclusione non si devono mendicare motivi anticlericali né al radicalismo massonico né alla democrazia cristiana, i quali sono due dei seri pericoli attuali del socialismo. Questo è per se stesso anticlericale e ateo, di fronte a Cristo come di fronte al grande Architetto!

Nel caso contrario si corre il rischio di "preparare" l'ambiente non ad un movimento socialista e di classe, ma alle scaltre manovre di qualche forcaiolo travestito da modernista, o di qualche democratico in abito di Arlecchino.

Passando alla questione antimilitarista troviamo un fatto analogo. Il clericale è un "falso cristiano", il nazionalista un "falso patriota". In linea assoluta può essere vero, ma non deve essere detto in modo da far credere che aspiriamo a essere noi i "veri" patrioti.

Noi possiamo bensì dimostrare – anzi lo dobbiamo – che ogni "idealismo" borghese soffre di qualche contraddizione profonda tra i principi filosofici e l'azione politica, valendoci per questo dei risultati della storia e della vita quotidiana; ma la critica vera di quegli idealismi dobbiamo svolgerla basandoci esclusivamente sui principi socialisti, e mostrando come tanto l'azione pratica come le tendenze teoriche di ogni partito borghese contrastano le conquiste del proletariato sfruttato.

Quella contraddizione fatale tra la teoria e l'azione serve a dimostrare il carattere artificiale della filosofia borghese, che è lo strumento politico di una difesa di classe, ma non a scovare dei pretesi casi di malafede personale negli avversari, accusandoli di "falso patriottismo" e simili cose.

Così la propaganda contro la guerra non deve mirare a dipingere gli imperialisti guerrafondai come "nemici della patria", ma basarsi sul necessario internazionalismo del movimento operaio; mostrare che il capitalismo si regge sul militarismo sfruttando il sentimento patriottico e nazionale delle masse, e che quindi la lotta di classe ha fisionomia antimilitarista e antipatriottica.

Il terzo esempio ce lo dà la lotta contro i cosidetti partiti affini, contro il blocchismo democratico. La propaganda per la intransigenza socialista è spesso impostata male. Si dice che i partiti della democrazia hanno rinnegato i loro programmi per darsi in braccio alla reazione giolittiana, ecc. Si lascia così intendere che il "vero" repubblicano, il "vero" radicale potrebbero essere d'accordo coi socialisti, mentre anche in questo caso bisogna sostenere che quegli ideali sono in profonda antitesi col nostro. Non si deve dire: rompiamo il blocco perché essi sono divenuti "falsi" democratici, ma : rompiamolo per essere noi dei "veri" socialisti. Non occorre ripetere qui le note ragioni teoriche e politiche che mostrano la discordia di tendenze tra la democrazia borghese e il socialismo.

Abbiamo citate queste questioni non per svolgerle completamente, ma come prove di ciò che abbiamo detto in principio: bisogna augurarsi che i propagandisti del nostro partito si sforzino di acquistare una maggiore intierezza e indipendenza di pensiero e non temano di comunicarla lucidamente e semplicemente alle masse operaie. Altrimenti noi cederemo la grande forza ideale del socialismo, che è la più grande leva attuale della storia perché riflette le leggi necessarie di questa, agli atteggiamenti equivoci dei politicanti che asserviscono a loro il popolo confondendo in questo la nozione reale dei suoi interessi. E vogliono confonderla perché sanno in fondo, come noi sappiamo, che quando quella nozione sarà libera da ogni pregiudizio, allora diventerà azione, e azione rivoluzionaria.

Da "L' Avanguardia" del 5 gennaio 1913. Firmato: Amadeo Bordiga.

Archivio storico 1911-1920