L'irredentismo

Non val la pena di occuparsi della vigliacca e balorda campagna nazionalista contro il compagno Todeschini. Ma questa ha reso di attualità un argomento veramente importante, quello del movimento socialista nei paesi italiani dell'Austria, ed in genere nelle regioni così dette irredente. Il compagno A. Storchi in un lucido articolo sull'Avanti! ha mostrato la necessità che il partito socialista esprima la sua opinione al riguardo, e fiancheggi del suo consentimento l'opera dei socialisti della Venezia Giulia, continuamente insidiata, e con quale bassezza di metodi si è visto in questa occasione, dalla borghesia nazionalista locale e regnicola.

Lo Storchi molto opportunamente lamenta che alcuni compagni siano involuti nelle proprie opinioni sull'argomento, e mostrino qualche esitazione dinanzi alle recriminazioni patriottiche degli irredentisti che affermano che il movimento socialista in quelle regioni si compie a detrimento della lotta per l'autonomia nazionale e della "italianità".

Questo è infatti un punto debole della nostra propaganda, come tutte le questioni che investono la negazione assoluta e sovvertitrice dei principii, delle idee, dei dogmi più cari alla attuale società e fondamentali per le presenti istituzioni. L'accusa di nemici della patria, di anti-italiani, spaventa anche i più convinti socialisti, e molti arretrano quando la canea patriottica ricorre a quel frasario roboante.

La borghesia nel suo intellettualismo smidollato si mostra più che mai attaccata a queste forme di sentimentalismo nazionale. Le intime fibre del buon borghese di oggi possono sopportare ormai le bestemmie contro il padre eterno e la religione, possono anche non fremere se odono minare il santo principio della proprietà privata o ledere la maestà del re, ma si sconvolgono e vibrano come fili agitati dall'uragano quando vedono scrollare senza riguardo gli altari del Patriottismo.

La grandezza, l'estensione, l'avvenire della Patria (P grande) dovrebbero essere il dogma da tutti accettato, il principio a cui tutti si inchinano, e dovrebbero esser messi – secondo la più imbecille frase che circoli sulle bocche dei bipedi umani – al di sopra di tutte le opinioni e di tutti i partiti.

Quando si scalfisce alcun poco l'altare di tale divinità, il sacro foco dell'indignazione incendia l'animo dei borghesi; essi si sentono – per dirla con frase più volgare – bollati a fuoco sul deretano.

Ebbene, i socialisti devono invece proclamare altamente che le loro discussioni si svolgono libere da tutti i dogmi, e che le loro idee negatrici e demolitrici del mondo presente non tollerano restrizioni e non si impegnano a osservare limiti di sorta. Ciò invece non si fa sempre, e la critica socialista agli istituti borghesi è spesso "indiretta", e campeggia sullo sfondo delle idee sacre ed inviolabili care alla società di oggi, di cui pone in vista sì le contradizioni e le manchevolezze parziali, ma senza attaccarne a fondo l'intima ossatura. Così in Parlamento anche i deputati del partito socialista, che hanno il mandato di parlare e di agire in nome e per l'interesse della "classe" proletaria, si fanno invece eco quasi sempre del bene del "Paese", della "Nazione" (quando non del "collegio"!), riconoscendo in fondo che l'interesse del proletariato e quello dell'intera nazione possono esser paralleli – a un di presso come ha detto Giolitti col suo sofisma: il proletariato di un paese vinto non può essere felice.

Di quei piccoli atti di riconoscimento la borghesia è felice, perché vede in essi tutt'altro spirito informatore che quello che pervaderà le masse quando si tratterà di infrangere tutti gli idoli e sbattere tutte le divinità giù dagli altari.

Mettiamoci dunque al di fuori della irritabilità irredentistica dei borghesi – schiaffeggiandola anzi a sangue – e consideriamo, da socialisti, da internazionalisti sul serio, il problema della "lotta di classe nei paesi ove esiste lotta di nazionalità"".

Neghiamo noi forse che le lotte di nazionalità e di razza abbiano anche oggidì importanza notevole?

No certo. Non si può chiudere gli occhi dinanzi a questi fenomeni. In molti paesi la borghesia si è formata attraverso le lotte per l'indipendenza nazionale, e, conquistata questa, si è sviluppato il capitalismo industriale tipico, manifestandosi quindi la lotta di classe e le tendenze socialiste del proletariato.

Ma, come qualche altra volta sostenuto su queste colonne, questo succedersi storico dei due fenomeni: lotta della nazione per l'indipendenza e lotta della classe operaia per il socialismo, non toglie che, anche volendo riconoscere nel primo una causa o una delle cause del secondo, le idee e le tendenze dell'uno siano antagonistiche con quelle dell'altro, e che, dal giorno in cui appare la lotta sociale tra le classi, l'idea nazionale divenga un'arma di difesa della classe dominante contro la propaganda rivoluzionaria.

Le rivoluzioni nazionali sono avvenute in epoche storiche fra loro assai lontane per i diversi paesi, hanno avuto caratteri e fasi diversissime, non rappresentano un fatto universale e comune a quasi tutti i popoli civili (come, per esempio, la scomparsa del feudalesimo e delle monarchie assolute...) poiché in molte regioni l'autonomia nazionale non potrà mai realizzarsi per un complesso di ragioni storiche ed etnografiche. Il movimento operaio e socialista ha invece una grande uniformità di caratteri, una comunanza di finalità innegabile, e la più spiccata tendenza ad internazionalizzarsi. Esso, con il suo avanzare, compensa le lacune lasciate dalla rivoluzione borghese, e tende a sorpassare le lotte fra le nazionalità conviventi, ad indirizzare le aspirazioni delle grandi masse su una via ben diversa da quella della liberazione nazionale. Accelerare questa sostituzione di finalità è un dovere, è la missione dei socialisti in ogni paese.

La propaganda inversa, nazionalista, è infatti contrapposta dalla borghesia al dilagare delle idee socialiste. Dopo la scomunica del prete che invoca i fulmini di Dio, l'ultima ratio della società borghese è l'invocazione alla solidarietà nazionale delle classi per ottenere il disarmo del proletariato dalla guerra sociale.

E così a Trieste, dove esiste e fiorisce l'organizzazione di classe, ove svolge una fortunata propaganda il partito socialista, la borghesia vorrebbe invocare il diversivo dell'irredentismo per arrestare quel movimento che la danneggia nel campo economico. Si grida a quei socialisti: Alto là: "prima" e' è un altro problema che noi tutti italiani dell'Austria, padroni od operai, dobbiamo risolvere: la conquista dell'autonomia nazionale; dopo potrà aver luogo la vostra lotta di classe (dopo, s'intende, la solidarietà invocata per l'indipendenza nazionale sarebbe sempre richiesta per le follie imperialistiche e il brigantaggio coloniale). Ma la lotta di classe è uno stadio storico così enormemente avanzato rispetto alle aspirazioni di nazionalità, che il cedere a quell'invito significherebbe tornare indietro, e fare opera non rivoluzionaria, ma reazionaria.

Che cosa è il ridicolo irredentismo borghese di fronte al nostro postulato mondiale: la redenzione dei lavoratori? Che importa all'operaio, reietto della società, se il sangue gli venga succhiato sotto gli auspici dello stemma dell'una o dell'altra dinastia che divide l'Isonzo, e che unisce... l'impiccagione? Questa, o filistei borghesi, non è propaganda di basso utilitarismo. Non è esortazione a posporre le aspirazioni ideali al benessere economico personale. Noi ben vorremmo che ogni operaio fosse così pieno di santo "idealismo" da arrischiare per una causa di redenzione comune il proprio benessere e la stessa sua vita. Ma per scuotersi dalle spalle macerate sul lavoro ben altro peso che non sia quello che punge la sentimentalità dei vostri precordi, quando augurate, pieno il ventre e lucidi gli occhi, alla "più grande Italia".

Dire, come il Giornale d'Italia, che il partito socialista dell'Istria è animato da scarso sentimento d'italianità, non è un'accusa, ma soltanto una sciocchezza. Che cosa importa ai socialisti dell' italianità o dell'austriacantismo? E, se i nostri compagni di lassù hanno ancora qualche scrupolo del genere, noi li esortiamo a metterlo da parte, e diciamo loro: Avanti, per il socialismo!

Da "L' Avanguardia" dell'11 gennaio 1914. Firmato: Amadeo Bordiga.

Archivio storico 1911-1920