Interrogatorio Bordiga

Udienza del 18 ottobre 1923

Presidente - Contesta all'Ing. Amadeo Bordiga le sue imputazioni e lo invita a rendere il suo interrogatorio, avvertendolo che deve mantenersi nei limiti di una difesa, perché egli reprimerà qualsiasi manifestazione che esorbiti da una pura difesa.

Bordiga - Io e i miei coimputati neghiamo l'accusa perché neghiamo l'esistenza di questa presunta associazione a delinquere, la quale non esisteva e non aveva la possibilità di esistere.

Quando noi comunisti neghiamo una imputazione che ci venga fatta in via giudiziaria, come nel caso attuale, possiamo trovarci in situazioni alquanto differenti. Mi sia consentito spiegarle per poter meglio definire la portata - che è la più categorica possibile - della nostra negazione dell'accusa presente.

Noi non disconosciamo che nell'esplicazione dell'attività politica del nostro partito si possa venire colla nostra azione in contrasto con le disposizioni di questa o quella legislazione di un determinato Stato. La origine della nostra dottrina e della nostra tattica, la natura storica, internazionale del nostro partito che si estende al di là dei confini di questo o quello Stato, al di là dei limiti storici di questo o quel regime, deve far prevedere che in molte circostanze, come conseguenza del nostro programma, la nostra azione possa venire in contrasto con le sanzioni di determinate legislazioni. Ad esempio, non per l'accusa attuale, ma di fronte all'accusa di cospirazione da cui già siamo stati prosciolti, noi non escludiamo che il nostro partito possa in determinate situazioni, concertare forme di azione che potrebbero, sia pure non esattamente, dirsi di complotto; ma nella effettiva contingenza, nello Stato italiano in cui siamo, nel periodo storico che attraversiamo, noi neghiamo che questo si sia verificato e quindi neghiamo il fatto che ci veniva addebitato. E questo diciamo senza perciò venire a negare il carattere rivoluzionario del nostro programma, carattere in cui è anzi la ragion d'essere del nostro partito, il quale si differenzia dagli altri partiti in quanto ammonisce la classe lavoratrice che per giungere alla sua emancipazione è necessario attraversare una situazione di conflitto armato, che deve assumere forma violenta, fra l'organizzazione della classe operaia e la classe dominante. Noi ammettiamo dunque che in un dato momento, consumeremo questo reato dell'urto contro le forze dello Stato; abbiamo però dimostrato che in modo assoluto questo non era il caso del partito comunista italiano nel periodo di cui parla l'atto di accusa. Perché quella fase culminante dell'attività del nostro partito si renda possibile, occorre il realizzarsi di condizioni storiche che mancavano assolutamente nel caso nostro. Trattasi di condizioni obiettive e subiettive circa la situazione sociale e il grado di preparazione della classe operaia. Nel 1921 e nel 1922 eravamo in condizioni tali che al proletariato italiano non era possibile l'offensiva: esso doveva anzi tenersi sulla difensiva. Le forze avversarie si organizzavano sempre meglio e incalzavano contro il proletariato, e il nostro partito, che rappresenta nel movimento proletario l'avanguardia estremista, era in condizioni da non poter pensare di essere alla vigilia della realizzazione del nostro programma finale rivoluzionario.

Ho potuto così specificare che cosa significhi la negazione di un primo tipo di accuse con l'esempio di quella di cosiddetta cospirazione. Noi non neghiamo l'intenzione, l'opinione teorica, la disposizione generale, ma neghiamo il fatto specifico di avere concertato, predisposto un movimento insurrezionale diretto a travolgere i poteri dello Stato. Lo abbiamo potuto dimostrare in modo assolutamente certo: la assoluzione ci è stata data per insufficienza di prove anziché per la constatazione che il fatto non era avvenuto, ma noi abbiamo esaurientemente dimostrato che l'assunto dell'accusa era affatto assurdo. Non mancava la nostra volontà, anzi noi avremmo augurato di poter compiere il movimento, ma effettivamente mancavano le condizioni, perché l'insurrezione fosse possibile e, direi quasi, pensabile.

Veniamo ad un secondo tipo di accusa e di atteggiamento difensivo dei militanti comunisti di fronte ad esso.

In date circostanze è ammissibile che per necessità del nostro partito noi veniamo a commettere un dato fatto che possa poi esserci contestato come una figura di reato, e che quindi neghiamo questo fatto per scopi di carattere difensivo, pur sapendo che il fatto in realtà è vero. Noi nella nostra azione di partito abbiamo dovuto tenerci in una difensiva perché contro il nostro partito le forze politiche avversarie, e specialmente quelle che ora si sono insediate al potere in Italia, si sono valse non solo dei mezzi ammessi dalla nostra legislazione, di cui constato l'esistenza, ma anche di mezzi arbitrari, di abusi di potere, di lesioni della legge stessa, contro di che non è mai intervenuta l'autorità statale che ha dimostrato di non essere tutelatrice imparziale di tutte le parti politiche; come assumono i nostri avversari, mentre noi neghiamo nettamente questa assunzione. Durante il procedimento giudiziario in cui ci si contestavano quei fatti, noi sapevamo di aver di fronte sempre la parte avversaria, personificata oggi dal Governo e dalla Polizia che non si preoccupava di applicare il codice alle nostre responsabilità, ma cercava certi nomi e certi elementi per consumare a nostro danno altri atti di sopraffazione e per compiere altri arresti. Di qui il nostro dovere di negare tutto quanto si prestasse a tale gioco.

Presidente - Ma tutto questo è indipendente dall'accusa la quale si riporta allo statuto del Partito Comunista. Il Partito Comunista aveva redatto uno statuto sovversivo, antistatale, antimilitarista. L'Accusa segna i passi più caratteristici di questo statuto.

Bordiga - Se lei crede che io debba trattenermi con maggiore ampiezza...

Presidente - No, è sufficiente questo che lei dice: ma questo non ha a che fare con lo statuto del Partito Comunista. In esso sono segnate le linee del programma che doveva espletare questo partito, che era antistatale per eccellenza, e non combatteva solo una data parte politica governante.

Bordiga - Lei vuole condurmi ad affermazioni che io posso fare senza riserve. Qualunque altro partito borghese che fosse stato al potere in Italia e che non fosse stato il Partito Fascista, avrebbe egualmente determinata la nostra opposizione: noi avremmo egualmente avversato le forze politiche, qualunque esse fossero, che detenevano il potere dello Stato, perché questo per definizione è secondo noi avversario della classe operaia; sia esso democratico, liberale, popolare o fascista. Noi abbiamo negato sempre la tesi del governo migliore, ma in certo senso possiamo accettare invece la tesi del governo peggiore. E pensiamo che il governo peggiore possa essere proprio questo che è ora al potere in Italia.

Presidente - Questo non forma oggetto della causa.

Bordiga - Infatti io per seguirla ho in certo modo deviato.

Presidente - Ed io ho voluto rimetterla sulla via ricordandole lo statuto del Partito Comunista Italiano quale fu redatto dopo che si scisse il Partito Socialista al Congresso di Livorno.

Bordiga - E su questa via ho voluto seguirla. Non dipende dalla permanenza del Partito Fascista al potere la nostra azione, che si sarebbe svolta egualmente con qualsiasi governo.

Presidente - La loro attitudine è sempre antistatale.

Bordiga - Ma indipendentemente dalla critica alla politica del partito che detiene attualmente il potere in Italia, noi possiamo dimostrare che nell'intraprendere il procedimento contro di noi non si intendeva compiere una obiettiva constatazione di responsabilità penale, ma solo un'azione politica.

Presidente - Lasci andare, lei parla con magistrati italiani.

Bordiga - Né io ho alluso alla magistratura.

Presidente - Per noi questa causa è eguale a qualsiasi altra. Lo sappia: non ci fa nessuna impressione. Se merita di essere assoluto, sarà assoluto; se merita di essere condannato, sarà condannato indipendentemente da qualsiasi governo.

Bordiga - Non ho inteso alludere ad atteggiamenti della magistratura. In questa causa non entro a parlare di questo argomento e mi propongo di non entrarvi mai. Ho detto che questa accusa per cui debbo essere giudicato, e che presumo sarà giudicata come qualunque altra, è stata preparata con l'intervento del governo. E questa non è più una presunzione, questo è un fatto perché il punto di partenza dell'attuale procedimento è un atto che non appartiene alla magistratura ma un comunicato pubblico con cui il governo fascista ci ha, oltre che denunciato al magistrato, attaccati dinanzi all'opinione pubblica. Io non posso difendermi dinanzi ai magistrati se non sono autorizzato a confutare l'assunto del governo.

Presidente - Lei si deve difendere dall'imputazione che le è fatta.

Bordiga - Conto di farlo e riprendo senz'altro il filo della mia esposizione. Dicevo che in certe situazioni, per necessità tecnica di ordine difensivo, noi siamo costretti a negare anche fatti veri per impedire che altri nostri compagni possano essere arrestati o anche soltanto conosciuti dalla parte avversa e fatti comunque segno ad atti offensivi da parte del governo. Per conseguenza noi ed alcuni nostri compagni di fronte a determinate contestazioni abbiamo dovuto rispondere mantenendoci sulla negativa. È per considerazioni di questo genere che non appena sono stato interrogato dopo il mio arresto io ho detto di aver ricevuto un mandato dal Congresso del Partito Comunista di cui avrei risposto soltanto al Congresso medesimo e che non ero disposto a fornire ad altri elementi sull'organizzazione del Partito Comunista, mentre mi riservavo man mano che mi si fossero contestate le prove e le presunzioni di accuse specifiche di rispondere nel modo che avrei creduto migliore; cosa che effettivamente ho fatto fornendo schiarimenti sulle imputazioni che mi venivano fatte. Può darsi adunque che i comunisti neghino le accuse che vengono loro mosse, in questo senso: che essi sono costretti a negare fatti veri non per sottrarsi a responsabilità, non per sottrarsi a sanzioni, ma per non fornire altri mezzi ai nostri avversari che tendono ad impedire la vita del nostro Partito.

Non è però questa l'attitudine che si conviene al caso presente, che rientra in un terzo tipo. Se nel caso dell'accusa di cospirazione (prendiamo questa parola senza discutere se essa renda o no l'idea dell'azione rivoluzionaria a cui pensiamo noi) dicevamo: noi neghiamo l'accusa perché questo fatto oggi noi non l'abbiamo commesso, non escludiamo che domani lo commetteremo, ma ora non lo abbiamo commesso; se in altri casi noi possiamo dire all'Accusa: io mi limito a negare e vi sfido a provare, dimostrare che io ho fatto quello che voi dite; nel caso attuale invece la nostra attitudine è un'altra. Noi diciamo che l'associazione a delinquere di cui parla l'Accusa non solo non esiste ma non esisterà mai perché in nessun caso sarà necessaria questa forma di azione che non sono riusciti a configurare nemmeno, attraverso gli atti processuali, i nostri accusatori. Noi la neghiamo, non solo come fatto presente ma anche come fatto possibile in tutta la sfera dell'attività del Partito Comunista. La mia è la negativa di chi assume di poter dimostrare a chi deve giudicare che la accusa non sussiste, che questa associazione non ha fondamento di esistenza e di realtà e per di più che non si presenta affatto necessaria per l'ulteriore sviluppo delle funzioni specifiche del nostro Partito.

Cercherò ora di addentrarmi nel caso particolare.

Se bene ho compreso l'accusa che mi è contestata, si tratterebbe di manifestazioni del partito che si svolgono in pubblico, in quanto che gli elementi di cui parla l'art. 247 consistono nella eccitazione pubblica alla rivolta.

Presidente - Nella disobbedienza alla legge e nella apologia di fatti che la legge considera reati.

Bordiga - Pubblica apologia, fatta in modo pericoloso alla pubblica tranquillità. Quindi siamo sempre nel campo dell'attività pubblica, ostensiva del partito, non di una attività segreta, clandestina, di cui si è parlato per altre imputazioni, ma di cui si parla ampiamente anche nel presente atto di accusa. Ora io debbo dire qualche cosa su questo.

Noi siamo stati messi dalla situazione attuale, nella necessità di dare una attrezzatura segreta al nostro lavoro per non esporci ad essere facilmente dispersi dall'offensiva dei nostri molteplici avversari. Siamo stati costretti ad adoperare degli pseudonimi, ad usare degli indirizzi convenzionali. Voi sapete perché: manomissioni di corrispondenza, giornali lanciati giù dalle scarpate ferroviarie invece di essere distribuiti, offese alle persone: tutto questo ci ha obbligato a rendere non evidente agli occhi del pubblico il nostro lavoro. Quindi l'illegalità - perché il termine è questo - la illegalità non stava nel fine - perché i nostri fini contingenti non erano illegali - l'illegalità era il mezzo per necessità meccanica del lavoro. Vi è qualche cosa di segreto nel partito comunista; vi è qualche cosa che solo una parte dei nostri compagni conosce, ma ciò solo per quanto riguarda la meccanica del lavoro; ma per quanto riguarda le finalità politiche generali e soprattutto per quanto riguarda la propaganda pubblica non può invocarsi elemento alcuno acquisito dal processo o tratto da altre fonti da cui possa risultare che vi sia una parte di principii e di norme che non siano pubblici, che non siano noti a tutti.

L'Accusa dice: noi non assumiamo che tutto il vostro partito sia un'associazione a delinquere; non assumiamo che non possa esistere un Partito Comunista; ma diciamo che nel seno di questo partito voi imputati avete fatto qualche cosa di più di quello che facevano gli altri gregari; voi avete costituita una associazione a scopo di propaganda criminosa. Noi rispondiamo: tutto il partito è un organo che fa della propaganda. La propaganda noi dobbiamo ritenerla come il minimo del lecito per un partito. Se vogliamo fare una scala di leciti, certo la cosa più lecita per un partito è la propaganda, perché se non si ammette la propaganda, si distrugge l'affermazione che un partito possa esistere. Il minimo dell'attività per un partito è la partecipazione alle elezioni, che noi, pur non attendendo da questo mezzo risultati fondamentali per la realizzazione del nostro programma, ammettiamo come attività del partito. Ed è evidente che se noi possiamo partecipare alle elezioni, questo possiamo fare solo facendo della propaganda, e se una propaganda dobbiamo fare certo questa è quella dei nostri principii, del nostro statuto e del nostro programma; se si vuole andare al di fuori di questo bisogna uscire dalla presente legislazione, ciò che finora non è. Bisogna promulgare leggi eccezionali in base a cui il principio fondamentale finora vigente che possa esistere qualunque partito, debba essere modificato per quanto riguarda il Partito Comunista ritenendosi che il suo programma contenga elementi che equivalgono a una attività criminosa.

Questo è stato fatto in molti Stati in quanto si è dichiarato che il Partito Comunista si pone fuori legge perché si prefigge di giungere al potere non costituzionalmente ma con mezzi violenti. Dato questo si può mettere il Partito Comunista fuori legge e non ammettere che esso possa presentare una lista propria alle elezioni, non ammettere che esso possa fare conferenze di propaganda, non ammettere che si possano pubblicare giornali comunisti in quanto si pensa che il Partito Comunista vuole compiere, sia pure in un avvenire non immediato, un'azione sovvertitrice. Sennonché questo non è stato fatto in Italia: non esiste qui una disposizione di questo genere; non si contende l'esistenza del Partito e nemmeno la possibilità della propaganda lecita. Ora io non so scorgere dove sia il limite fra la propaganda lecita e quella illecita: dove finisce la propaganda lecita e dove comincia la propaganda illecita. La propaganda che noi facciamo deve essere quella contenuta nei termini del nostro statuto, del nostro programma. Questo statuto e questo programma dicono chiaramente quello che dicono. Noi non abbiamo fatto alcun mistero che intendiamo preparare la classe operaia ad un avvenire storicamente necessario, inevitabile, in cui dovrà assumere il potere attraverso una lotta diretta contro le classi che lo detengono ora. È soltanto su questa base che noi possiamo esercitare un'azione di propaganda. Dirci che noi possiamo fare della propaganda, ma che la propaganda nostra non può essere questa sarebbe eliminare il nostro partito. E sarebbe forse meglio: sarebbe una lotta leale, invece di quella che ci si fa ora dicendoci che abbiamo il diritto di esistere, ma mettendoci in pratica con misure di polizia in condizioni di. quasi impossibilità di funzionare. E dico di quasi impossibilità, perché la impossibilità assoluta non si verificherà mai, in quanto il nostro Partito ha in Italia tradizioni di pensiero politico che non possono essere cancellate, e in quanto, se è possibile colpire localmente la nostra organizzazione, vi sono sempre i nostri compagni dell'estero disposti ad aiutarci in tutti i modi, a darci tutta la loro solidarietà morale e materiale per tener fronte alle forze che ora conculcano il nostro Partito.

Presidente - Ma questo partito deve osservare le leggi dello Stato; altrimenti si mette fuori della legge.

Bordiga - Vediamo se abbiamo effettivamente oltrepassata di fatto questa barriera del Codice. Io dico che attendo di conoscere la distinzione fra la propaganda che è permessa e la propaganda che sarebbe illecita. Se ci si dice che la propaganda dei principii del nostro statuto e del nostro programma è una propaganda illecita, noi rispondiamo che questa dichiarazione equivale alla soppressione del Partito, soppressione che non è scritta nella legge.

Per quanto riguarda l'esistenza dell'associazione sediziosa, io osservo: come facciamo la propaganda? In un modo semplicissimo. Per il lavoro organizzativo, come ho accennato, abbiamo dovuto ricorrere ad un insieme di espedienti diretti a renderlo clandestino. Ad esempio, per convocare una riunione non si poteva darne pubblico avviso o mandare una circolare postale, se si voleva evitare che la riunione fosse sciolta dalla polizia e dalle forze avversarie. Per ciò noi adoperiamo il segreto e per questo scegliamo dei compagni che sono come i vari nodi della rete organizzativa e trasmettiamo gli ordini in modo clandestino. Ma per la propaganda sarebbe inutile creare una specializzazione di cariche e una rete nascosta, ed informare di questo meccanismo solamente alcuni compagni, quando la materia che si deve comunicare è destinata al gran pubblico; non solo ai nostri gregari, ma a tutta la massa proletaria; non solo alla massa proletaria, ma anche a tutti gli avversari, perché in principio noi non rinunziamo a fare la propaganda a nessuno e ci rivolgiamo a tutti i cittadini, anche non proletari. Quindi, a quale scopo questa distinzione, questa associazione dissimulata nell'interno del Partito? A quale scopo questo meccanismo segreto che si vorrebbe colpire? Sarebbe un assurdo perché si tratta di esplicare un'attività pubblica. Qualunque nostro gregario sa come deve fare la nostra propaganda: non ha che leggere il programma, leggere lo statuto, leggere i giornali del Partito che recano i manifesti, i comunicati, gli articoli e inquadrano il pensiero di ciascun gregario del Partito senza bisogno di ricorrere ad una particolare attrezzatura interna e segreta. Il singolo gregario comunista non deve che andare a diffondere ovunque, sia nelle grandi riunioni pubbliche, che nelle piccole assemblee dei compagni, o nella vita quotidiana, attraverso una propaganda spicciola, i nostri principii fissati nello statuto e nel programma. Quindi il nostro meccanismo di propaganda è ostensivo: noi non abbiamo distinzioni fra le attività degl'iscritti al Partito in ordine alla propaganda. Mentre ad esempio la preparazione del complotto quando vi si fosse addivenuto avrebbe dovuto farsi avvertendo solo i compagni che coprivano certe cariche e nel più grande segreto, nulla di simile avviene per l'indirizzo della propaganda e la esplicazione di essa. Il contenuto della nostra propaganda è palese e notorio ed è per questo che noi siamo un partito rivoluzionario ma non siamo una setta: se è segreta la tecnica del nostro lavoro per la necessità di sottrarci alle offensive avversarie, non può essere segreto il contenuto e il lavoro della nostra propaganda. Questo segreto contrasterebbe con lo spirito dei nostri principii, con la dottrina marxista, con la storia del Partito Comunista in tutti i paesi.

La propaganda è il mezzo con cui noi diffondiamo in seno al proletariato non solo la nostra ideologia ma anche le speciali parole d'ordine che rispondono alla situazione politica che si attraversa e alle quali si cerca di ottenere il massimo della pubblicità. Noi cerchiamo sempre ansiosamente di passare anche i limiti di diffusione della nostra stampa. Così quando con un comunicato il Ministero dell'Interno ha diffuso il manifesto antifascista venuto da Mosca, esso ci ha reso un servizio perché ha permesso la maggiore diffusione al nostro pensiero portandolo a cognizione di un immenso numero di persone: alcuni lo avranno considerato come qualche cosa di abominevole così come il comunicato stesso lo presentava, ma molti altri avranno potuto constatare che si trattava di verità che molti pensano e che pochi si attentano a pronunciare.

Quindi la propaganda si fa alla luce del sole: noi cerchiamo dì nascondere l'organizzazione del partito per garantirne l'esistenza, ma in quanto si tratta di propaganda noi cerchiamo al contrario la massima notorietà. Tutte quante le comunicazioni che potete aver trovato nel nostro ufficio che si riferiscono alla propaganda non differiscono di una virgola da analoghe dichiarazioni fatte in forma di manifesti o articoli pubblicati e in forma di discorsi pronunciati da noi nelle piazze, nel Parlamento, e in ogni altra occasione di pubblicità. La propaganda è la stessa: il meccanismo della propaganda non è un nucleo ristretto del partito, ma è tutto il partito. Noi, elementi direttivi che non siamo qui per eludere responsabilità, ma che anzi domanderemo se si vogliono fissare queste responsabilità che si fissino in un organismo effettivamente esistente come il Comitato Esecutivo, e non in una associazione fittizia in cui a caso sono stati posti alcuni nostri compagni, con un criterio che non è quello di scegliere gli uomini più responsabili; noi, come organo direttivo del Partito, non possiamo dire cose nuove in merito alla propaganda generale, perché le sue direttive sono date dal Congresso e quindi dalla volontà di tutti i gregari. La propaganda pubblica che fa il partito, sia o no capace di eccitare alla rivolta e alla rivoluzione, è la estrinsecazione di una volontà che promana da tutti gli elementi aderenti al partito, i quali in questo senso hanno dato mandato ai dirigenti che hanno eletti: questi cercano i mezzi migliori per raggiungere il successo ma non si sognano di inventare nuovi indirizzi segreti di propaganda e di iniziarvi alcuni compagni - iniziazione che sarebbe assurda perché questi compagni, istigati da noi a fare una propaganda nuova e diversa, constaterebbero che si va contro i deliberati dei Congressi, e non avrebbero alcun dovere di seguirci.

Presidente - Ma questa propaganda aveva per fine di eccitare all'odio le classi sociali, di eccitare alla disobbedienza alla legge - specialmente con l'opuscolo Ai Coscritti - aveva lo scopo di sovvertire i poteri statali. Su questo lei deve rispondere.

Bordiga - Io credo che in questo modo mi metterei in una posizione di vantaggio, perché noi siamo imputati non dei reati di cui all'art. 247, ma del reato di cui all'art. 251. Cioè anche se avessimo soltanto costituita una associazione diretta a commettere quei fatti che il 247 colpisce, pur senza avere conseguito il nostro intento dovremmo essere condannati. Io non solo assumo che non abbiamo commesso questi singoli reati che non ci sono stati contestati, e pei quali al caso dovremmo essere chiamati in Corte di Assise, ma assumo in questo momento qualche cosa di più: che non ci siamo messi nelle condizioni dell'art. 251, cioè di creare questa ipotetica associazione.

Presidente - Lei nega l'associazione.

Bordiga - Nego l'associazione; nego la sua esistenza ed anche la possibilità della sua esistenza; nego la logica intrinseca di questa ipotesi. Lei mi domanda se la nostra propaganda aveva per iscopo di commettere quei dati reati, di cui l'articolo 247: io rispondo che violare quello o altri articoli non può essere uno scopo ma solo un accidente della nostra attività, e noi potremmo vedere in concreto se e quando in questo accidente siamo capitati: quanto ai nostri scopi, senza escludere che essi contrastino in date situazioni con le leggi, li formuliamo noi e non accettiamo formulazioni tratte dalla lettera di un codice dettato da ideologie che non sono le nostre.

Ci si chiede: voi volevate eccitare all'odio di classe? No: noi, nella realtà del conflitto di classe vogliamo assicurare la vittoria del proletariato con tutti mezzi, anche se questi mezzi portino ad infrangere la legge. Non è però nostro scopo l'infrangere la legge in sé e per sé solo per prenderci il lusso d'infrangerla o realizzare una performance sportiva. Volevamo disturbare la pubblica tranquillità? No: noi vogliamo assicurare che dal regime attuale di disordine e di ingiustizia, esca un regime migliore. Se per arrivare a questo è necessario un conflitto, noi lo accettiamo senza riserve, come i nostri avversari hanno accettato un anno fa la possibilità di sovvertire tutte le istituzioni pur di raggiungere il potere.

Quando lei mi domanda se noi facciamo l'apologia di fatti che la legge prevede come reati, nego che proprio questo sia intrinsecamente uno scopo nostro. Sarebbe infantile. Noi facciamo l'apologia di quei fatti che condurranno il proletariato a liberarsi dall'ingiustizia e dallo sfruttamento.

Presidente - E l'istigazione dei soldati alla disobbedienza ai superiori? Il vilipendio dell'esercito ?

Bordiga - Noi non possiamo vilipendere l'esercito perché vilipenderemmo le persone che lo compongono, che sono proletari.

Presidente - Ma contro i superiori ?

Bordiga - L'esercito consisterebbe allora solo nei superiori.

Presidente - Intendo parlare dell'incitamento a non obbedire ai superiori.

Bordiga - Questo incitamento non si è per ora verificato. Le conseguenze della disobbedienza militare sono talmente gravi che può darsi che in certe circostanze noi daremo ordini in tal senso, ma solo quando si sia determinata una situazione in cui il conflitto debba diventare generale. Noi non siamo così ingenui da dare oggi al povero soldato l'ordine di ribellarsi individualmente ai superiori. Abbiamo detto anzi ai compagni militari di rimanere al proprio posto e di fare i buoni soldati per accumulare quella esperienza tecnica che potrà servire domani alla classe proletaria. Non è vero in linea di fatto che noi abbiamo eccitato alla disobbedienza: è possibile che in certo momento noi potremo arrivare a questo, quando sarà giunta l'ora dell'insurrezione generale.

Presidente - Questo sarà in tempo futuro. Speriamo di non arrivarci né io né lei.

Bordiga - Essendo più giovane non so per dovere di cortesia che cosa devo augurare a lei! Ritornando sul terreno dell'accusa di associazione a delinquere, ripeto che noi non abbiamo commesso questo atto. Associazioni segrete in seno al partito non esistono e domando una prova qualunque che possa far presumere l'esistenza di una associazione segreta. E poi dimostro che non esiste col fatto stesso che noi non possiamo avere costituito un meccanismo del tutto inutile solo per darci il lusso di offrire elementi che ci mettessero in contrasto con la legge. Noi abbiamo interesse a profittare di tutte le possibilità che la legge ci offre e di sfruttarle per fare il nostro lavoro senza incorrere in sanzioni che siamo pronti ad affrontare, ove sia necessario, ma che non vogliamo provocare per principio, perché se ci facciamo mettere tutti in galera il partito se ne va.

Presidente - Cerchi di concludere.

Bordiga - Allora cerchiamo di concludere. Io ho asserito, per dimostrare che la associazione non può esistere, che non vi sono due specie di propaganda, una pubblica, notoria, che ognuno può rilevare, anche se estraneo al partito, ed una segreta che può essere nota solamente a chi abbia speciali legami con l'Esecutivo. La prova di questo sta in tutto lo spirito del nostro partito. Noi non siamo una setta che prepara congiure o si illude che il regime possa essere cambiato un bel giorno senza che i cittadini ne siano avvertiti, noi diciamo che il nostro partito deve raggiungere una determinata efficienza per poter lanciare in modo pubblico l'ultima offensiva. Posso dare l'esempio classico del partito bolscevico russo. Quando esso era alla vigilia di conquistare il potere non ha nascosto il suo pensiero ma ha dato apertamente la parola d'ordine: "Tutto il potere ai Soviet" chiamando pubblicamente il proletariato a insorgere.

Presidente - E ora sarebbe permessa in Russia una cosa simile? Sarebbero fucilati tutti.

Bordiga - In Russia si è avuta quella sincerità che io ho rimpianto non si sia avuta dal governo fascista in Italia! In Russia si è detto altamente che il regime proletario non permette la coesistenza di un partito che si prefigga di rovesciare il potere rivoluzionario e non permette alcuna propaganda ed agitazione in tal senso.

Quando ho parlato dei diritti che dà la legislazione vigente, l'ho fatto non per dire che sia questa la legislazione che desidero, ma solo per dire che questo è lo stato di fatto; ed io non posso essere così ingenuo da rinunziare ai vantaggi che esso mi offre. Sta all'avversario di mettermi in condizioni più difficili se ad esso accomoda.

La nostra propaganda è tale che deve essere nota a tutte le masse. Questa è la condizione prima del nostro successo.

Qual è dunque lo scopo della pretesa associazione a delinquere? A quale obiettivo essa si riattaccherebbe? Quali gli atti che ne farebbero presumere l'esistenza?

Io non sono un giurista e mi addentro esitante in questo campo: è la difesa nostra che discuterà, siete voi che dovete giudicare se si verificano i criteri che hanno dettato la sanzione del codice penale che ci riguarda.

Per quanto io possa intendere il reato di associazione a delinquere è un reato di carattere speciale perché, mentre per gli altri reati la legge esige che sia avvenuta una lesione degli interessi altrui e non si tratti semplicemente di preparazione o di intenzione di compiere un reato, per l'associazione a delinquere si tratta semplicemente di un fatto intenzionale. Basta avere predisposta una preparazione a dati fatti, che ciò stesso si considera reato. Ma, per essere messi dalla legge penale in una situazione così sfavorevole, è evidente che si deve esigere almeno una condizione di altro genere che non sia il verificatosi danno altrui, una condizione di coscienza, di consapevolezza, di cognizione del partecipare ad una tale associazione. Non posso essermi associato senza saperlo. E allora mi si deve convincere che io lo sapevo, mostrarmi le circostanze e i momenti della mia adesione e partecipazione alla associazione.

Presidente - Lei faceva parte dell'Esecutivo.

Bordiga - Sì, facevo parte dell'Esecutivo.

Presidente - E quindi del Comitato Centrale.

Bordiga - E quindi del Comitato Centrale, ed anche dell'Esecutivo della Internazionale Comunista: e se responsabilità devono discendere da queste cariche, noi le rivendichiamo: ma se si è creduto con un criterio di scelta, di selezionamento, di mettere intorno all'Esecutivo una specie di stato maggiore del partito dirò che questo non si è riusciti a fare. Non esiste nessun legame tra gli individui attualmente imputati che li distingua dagli altri soci del partito. Si potrebbe dire ad esempio che i membri del Comitato Centrale formassero un'associazione speciale, ma essi non sono tutti qui; ve ne sono alcuni per caso, altri sono stati prosciolti in altri procedimenti, perché alcuni magistrati hanno ritenuto che si dovessero fare localmente processi, altri hanno ritenuto che il processo dovesse essere unico rinviando i loro imputati a Roma. Per puro caso quindi alcuni compagni che io apprezzo e rispetto, ma che non sono niente altro se non dei semplici gregari si trovano oggi qui. E qui siamo in un gruppo di 30 persone che non costituisce in nessun modo il complesso dei membri di una reale, particolare associazione. Su 74 province di cui si compone oggi l'Italia, se non sbaglio - perché mentre io ero in carcere mi pare che se ne siano create delle nuove - non sono rappresentate qui dagli imputati se non 11. E se mi si dice che queste erano quelle in cui aveva maggior forza il nostro partito posso fare osservare che le regioni in cui il nostro partito era meno forte, sono quelle meridionali, dove fra Mezzogiorno ed Isole, non abbiamo più del 10 per cento dei nostri inscritti. Invece tra queste 11 province che noi imputati rappresentiamo, il 75 per cento è costituito proprio da province meridionali. Quindi non si ha la prova né da fatti, né da documenti o da altro, che questi individui si fossero associati con speciali obiettivi e che rappresentassero una speciale organizzazione nel seno di un partito di cui si riconosce l'esistenza legale. Ma anche se si è voluto determinare la presunta associazione con una specie di scelta, di graduatoria, prendendo una specie di stato maggiore di 30 persone, neppure questo si è riusciti a fare, risultando del tutto arbitrari i criteri con cui sono stati designati gli attuali imputati, lasciando da parte centinaia e migliaia di compagni che sono in condizioni perfettamente identiche a quelle di molti tra essi di fronte al partito. Io capisco perfettamente che per reato di associazione a delinquere non si possono condannare tre o quattro persone, ma non sta a me indicare i mezzi di cui si deve valere la legge se vuole realmente stabilire la responsabilità giuridica, specifica di ciascuno di noi. Ma è ingiusto e non perequato il sistema con cui si è costruito il presente processo circa il quale le masse ricorderanno che oggi Bordiga ed altri capi sono stati processati per un reato politico, mentre per alcuni semplici operai, che per puro caso si trovano al loro fianco, non serbandosi memoria e notorietà della partecipazione a questo processo, resterà su di essi la macchia di una accusa infamante per definizione! Noi domandiamo dunque che non si proceda attraverso questi espedienti; che se ne trovi un altro per cui si possano effettivamente ricercare i maggiori responsabili, se proprio si vuole cercare e colpire una attività criminosa. Non si può trovare il motivo per processare nella propaganda perché alla propaganda partecipano tutti gli iscritti al partito comunista e non solamente quelli che oggi sono processati.

Si potrebbe forse ritenere che questa mia affermazione sia antipatica quasi tendesse a farci sfuggire alle nostre responsabilità; ma io non posso non osservare che noi, facendo la nostra propaganda, non eravamo che dei mandatari del Congresso, che non potevamo modificare le tavole fondamentali statutarie che ci erano state affidate, mentre ad esempio nell'altro caso, del complotto e della cospirazione, avremmo potuto di nostra iniziativa scegliere noi il momento in cui dovesse iniziarsi l'azione.

Si può dire: voi siete i principali elementi del partito e siete chiamati a rispondere per questo della vostra azione: ma non si può dire questo a tutti gl'imputati attuali, perché i compagni che sono qui nel gabbione non rappresentano affatto gli esponenti più responsabili del partito. E questo, ripeto ancora, non lo dico per sfuggire responsabilità, ma perché in fatto devo contestare che l'associazione esistesse e che fosse soltanto possibile anche in condizioni diverse delle attuali.

Presidente - Pur non negando che la violazione della legge la abbiate commessa.

Bordiga - Mi riservo di dichiarare questo quando mi si contesteranno fatti specifici. Quello che non nego è che violazioni di legge noi dovremo eventualmente commetterne in un tempo successivo per le necessità della nostra azione e allora la commetteremo senza rimorsi.

Presidente - E così non ha altro da aggiungere?

Bordiga - Devo trattenermi, poiché lei non me le contesta, su molte altre circostanze del processo. Si è voluto dipingermi come agente dello straniero ed ho il diritto di difendermi.

Presidente - Questo non c'entra con l'accusa di cui lei deve rispondere.

Bordiga - Siccome si è sostenuto che la presente accusa non rappresenta che una diversa valutazione giuridica degli stessi fatti che costituivano la vecchia accusa, ritengo di poter parlare su tutto il materiale che si trova nel processo e da cui si desumeva anche la prima imputazione.

Presidente - A misura che si parlerà di fatti specifici ella potrà dare spiegazioni.

Bordiga - La prego tuttavia di permettermi di trattenermi ora su alcuni punti speciali. Io non voglio sottrarmi alla discussione circa certi rapporti internazionali.

Presidente - In che senso vuole parlarne?

Bordiga - Voglio specificare in quali rapporti si trovava il nostro partito col movimento estero.

Presidente - Questo entra fino ad un certo punto col processo attuale in quanto solo è detto che il Partito Comunista Italiano non è che una lunga mano dell'Internazionale di Mosca. Ma non è questo che costituisce il materiale di accusa, perché il materiale di accusa è costituito da tutti quei fatti che insieme rappresentano l'apologia di atti costituenti reato, eccitamento all'odio di classe, eccitamento alla disobbedienza alla legge in modo pericoloso. Non posso permetterle di parlare dell'Internazionale.

Bordiga - Ma vi è un elemento di fatto.

Presidente - L'elemento di fatto è che lei è stato sorpreso con tremila sterline che le sarebbero state rimesse dal rappresentante russo Krassin.

Bordiga - Ella opportunamente ricorda una affermazione che io debbo smentire. Siccome l'atto di accusa all'inizio dei singoli procedimenti contro ciascun imputato, cita il rapporto della Questura di Roma il quale parte dal fatto di aver trovato me con questo denaro, voglio spiegare come stavano i fatti e fare poi alcune considerazioni.

Io ero materialmente in possesso di questo denaro perché mentre noi ci trovavamo nel nostro ufficio in Via Frattina n. 35 (avendo già saputo in forma generica che la polizia cercava di raggiungerci e di arrestarci) avemmo sentore che alla porta si trovavano alcuni agenti che ci attendevano. Allora noi ci siamo preoccupati di mettere in salvo le cose più interessanti, e la cosa più interessante di tutte era la cassa del Partito: si trattava di banconote inglesi per 2500 sterline e della somma di 39 mila lire italiane. È sembrato a me opportuno tentare di mettere in salvo la somma più importante, cioè le sterline: ed ho messo questo denaro in una busta, mi sono messo la busta in tasca e sono sceso dal locale di Via Frattina. Qui ho constatato di essere seguito da un agente; l'agente ha constatato che io constatavo ciò, e così sono stato arrestato.

Presidente - Anzi, si dice che ella abbia lodato l'abilità con cui fu fatto il colpo.

Bordiga - Non l'abilità, ma la fortuna. Ecco perché: io non avevo l'abitudine di tenere in tasca il denaro. Di solito non portavo valori e nemmeno un centimetro quadrato di carta scritta, perché le precauzioni non sono mai troppe; quella volta invece per la necessità che ho detto avevo preso quel denaro ed anche una busta con documenti che volevo portare in luogo sicuro. Quando sono stato alla presenza dei...come si dice per non dire poliziotti?, di quei signori che hanno avuto la cortesia di trarmi in arresto, io ho detto: siete stati fortunati. Un'operazione come questa la potevate fare già da tempo, bastava mandare un agente a casa di Grieco, il quale usciva ogni mattina per venire al nostro ufficio a via Frattina. Si sarebbe potuto da mesi compiere l'arresto, allora mi avrebbero trovato senza nulla: proprio quel giorno che, dopo tanto tempo, se ne sono accorti mi hanno trovato col denaro in tasca. Solo in quel giorno infatti essi sono riusciti a pensare quale poteva essere il filo: hanno seguito Grieco, hanno constatato che Grieco era entrato in quella casa di Via Frattina e poco dopo hanno veduto che ero entrato io, allora hanno telefonato alla questura per avere rinforzi. La questura ha avuto l'ingenuità di mandare una sola persona, avrebbero potuto arrestare anche Grieco, se dalla questura avessero mandato una squadra; invece hanno arrestato solamente me. Ecco perché io dico che l'operazione è stata semplicemente fortunata: avrebbero potuto farla meglio altre volte, l'hanno fatta tardi e poco abilmente, quindi è stato solo il caso che li ha aiutati.

Presidente - Insomma lei non li promuoverebbe.

Bordiga - No, noi sceglieremmo della gente più adatta.

Se lei vuol domandare come va che nella cassa del partito comunista si trovavano quei determinati biglietti di banca io posso risponderle che non sono obbligato a renderle conto alcuno di ogni singolo biglietto di banca. In nessun caso si rende un conto di questo genere. Ogni cassiere non rende conto se non dell'esistenza di un determinato totale di numerario; in cassa non può rifare per ogni biglietto la storia del modo in cui ha circolato. I biglietti girano: potrebbe darsi che qualcuna di quelle banconote, per esempio, fosse passata anche per le tasche sue, signor Presidente. La circolazione che fa il danaro è complicatissima e sarebbe ingenuo voler ricostruire il cammino di quei biglietti solamente perché se ne è veduto uno così importante: mille sterline! Se mi si domanda invece quali erano le fonti del finanziamento del partito, questa è una domanda a cui sono disposto a rispondere in modo esauriente e definitivo.

E dirò, come noi abbiamo pubblicamente dichiarato in epoca non sospetta, con comunicati sulla stampa, che le risorse finanziarie per la vita del nostro partito erano insufficienti per quel che veniva dalle organizzazioni italiane. Questo soprattutto in considerazione del fatto che noi avevamo tre giornali quotidiani in centri che non davano possibilità, per la rispettiva posizione, di eliminare e anche solo ridurre il passivo, uno a Torino, uno a Trieste e uno a Roma; ed in considerazione anche che, data la situazione creata in Italia, la diminuzione degli inscritti al partito aveva portato una forte diminuzione delle entrate e difficoltà di ogni genere. Per tutte queste ragioni noi avevamo un forte deficit, ma siccome la nostra organizzazione non è un'organizzazione nazionale ma è internazionale, così essa agisce nello stesso modo in cui le singole sezioni agiscono, per esempio, in Italia. Come noi in Italia adoperiamo il danaro che viene dalla forte federazione di Torino per dare sussidi alle federazioni deboli di Taranto o di Avellino così le sezioni della Internazionale che sono in migliori condizioni danno alle sezioni più deboli, attraverso un centro organizzativo che è il Comitato Esecutivo di Mosca, sovvenzioni in denaro.

Presidente - Il Comitato esecutivo di Mosca non ha rapporti col Governo russo?

Bordiga - No: non è da confondersi con quel Governo e le dirò ora qual è la differenza fra questi due enti.

Il Comitato Esecutivo Internazionale Comunista potrebbe risiedere anche in altre nazioni. Per esempio a Roma, se non vi fosse una polizia così abile che sa scoprire persino la nostra sede di Via Frattina, il che sconsiglia di trasportare qui la sede dell'Esecutivo. Le vecchie Internazionali hanno avuto sede a Bruxelles, a Ginevra e altrove: così la Terza Internazionale ha la sua sede a Mosca. Della Internazionale fa parte il Partito Comunista Russo che è uno dei partiti più importanti, quello che ha avuto il maggior successo e per cui noi abbiamo la massima considerazione e anche la massima invidia soprattutto data la situazione in cui ci troviamo ora.

Il Governo russo, il Partito Comunista Russo e la Terza Internazionale sono enti del tutto distinti. La rimessa di fondi proveniva dalla Commissione del Bilancio della Terza Internazionale, la quale è composta di alcuni compagni di vari paesi e per l'appunto questa Commissione, per caso, aveva proprio un Presidente italiano. Quindi chi aveva deliberato l'invio a noi di quella somma era proprio un italiano. Poteva essere russo, greco o altro ma questo per noi faceva lo stesso.

La diversità fra l'Internazionale e il Governo russo è evidente. Noi siamo un partito comunista affiliato alla Terza Internazionale alla quale sono affiliati i partiti comunisti di tutto il mondo. In Russia l'Internazionale Comunista si trova in una situazione diversa che non negli altri paesi; in questo senso: non che sia un organo del Governo, ma nel senso che il Governo è un organo della Internazionale, o per lo meno, che esiste un rapporto di subordinazione non dell'Internazionale al Governo ma dello Stato russo alla Internazionale Comunista. Così in Italia vi è un partito organizzato, il partito fascista, da cui sono usciti gli uomini che attualmente stanno al governo, e questo partito ispira l'opera del governo stesso che segue le linee direttive del partito. Non altrimenti avviene in Russia, con questa differenza: che in Italia il partito è esclusivamente nazionale, e quindi abbiamo tanto un Governo italiano quanto un Partito Fascista Italiano; mentre in Russia abbiamo lo Stato Russo e un Partito Comunista che è russo, ma che è anche sezione dell'Internazionale. Non solo il Governo russo e i suoi vari organi non possono disporre in materia di movimento comunista internazionale, in quanto solo la Internazionale può fare questo; ma la politica del Governo russo che è dettata dal Congresso e dagli organi direttivi del Partito Comunista Russo, può essere discussa e modificata dalla Internazionale.

Quindi io non potevo avere nessuna relazione con Krassin, il quale non è che un rappresentante diplomatico del governo russo: è un mio compagno che io apprezzo e che stimo, ma che non aveva alcun rapporto organizzativo con noi, così come non può esistere nessun rapporto fra noi e qualsiasi altro rappresentante diplomatico dello Stato russo. Anzi potevamo essere noi come partito, per fare una ipotesi affatto improbabile, se eventualmente Krassin fosse venuto in Italia e avesse voluto seguire una linea di condotta diversa da quella dettata dal comunismo, potevamo essere noi a ricorrere all'Internazionale Comunista perché si constatasse che il rappresentante del Governo russo non seguiva i principii comunisti.

Dicendo questo non intendo dare nessun senso di ripugnanza all'idea di avere dei rapporti col Governo russo; intendo solo ristabilire la verità dei fatti. Noi siamo contro tutti i governi attuali che sono in mano alla borghesia, ve ne è uno solo con cui siamo solidali ed è il Governo russo che ha raggiunto la prima realizzazione dei nostri ideali.

Presidente - E allora perché non se ne vanno tutti in Russia?

Bordiga - Per poterlo fare in questo momento sarebbe stato necessario che ella emettesse l'ordinanza di scarcerazione.

(Viva ilarità).

Presidente - Andranno dopo.

Bordiga - Dopo andremo, se del caso, in Russia, torneremo in Italia, saremo ovunque ci chiamerà il nostro dovere di lottare per il comunismo, sig. Presidente!

Presidente - Bene, bene, per ora ritorni al suo posto!

Da "Il processo ai comunisti italiani", Libreria editirice del PCd'I, 1924.

Archivio storico 1921 - 1923