Tattica dei comunisti nelle amministrazioni locali

II Partito comunista ha incluso nel suo programma il prin­cipio della partecipazione alle lotte elettorali per la conquista delle pubbliche amministrazioni.

Coerentemente a ciò il partito impegna tutti i propri ade­renti che detengono cariche negli organi elettivi, a conser­vare i posti che attualmente occupano; perciò i consiglieri comunali e provinciali comunisti restano nei consessi nei quali i proletari li hanno mandati.

Giova qui ripetere che il Partito omunista non s'illude e non vuole far credere che gli organismi dell'amministrazione locale possano minimamente servire per l'esplicazione di un qualsiasi programma comunista, intesa questa frase nel senso di programma tendente alla conquista del potere poli­tico ed economico da parte della classe lavoratrice. Il Partito comunista crede invece che i comunisti nelle pubbliche am­ministrazioni riescano unicamente ad impedire che la classe borghese si serva di esse per tutelare i propri interessi e raf­forzare i propri privilegi.

I consessi pubblici elettivi nominano nel proprio seno gli organi esecutivi: giunte comunali e deputazioni provinciali.

I comunisti devono restare nelle giunte e nelle deputazioni quando nella divisione dei vecchi gruppi socialisti essi ab­biano ottenuto la maggioranza, numerica. In questo caso i co­munisti devono provocare le dimissioni degli assessori e dei deputati provinciali appartenenti al gruppo socialista, ed as­sumere essi soli la responsabilità dell'amministrazione della quale sono parte e maggioranza.

E nello svolgimento della loro attività i comunisti reste­ranno fedeli al programma del Partito Comunista.

I comunisti daranno al contrario le dimissioni dalle cari­che esecutive (giunte e deputazioni) in quei Consigli comunali e provinciali nei quali sono restati in minoranza nell'avvenuta scissione del vecchio gruppo di maggioranza so­cialista.

Ciò non significa però che in questo caso i gruppi comu­nisti di minoranza debbano assumere una posizione imme­diata e continua di opposizione; essi invece si riservano di valutare di volta in volta le situazioni e le deliberazioni che le maggioranze socialiste saranno per prendere ed il loro voto sarà logicamente contrario ogni volta che ciò sarà reso necessario dalla coerenza con le direttive comuniste.

Ciò che si deve assolutamente evitare è la formazione e la permanenza in carica, di giunte e deputazioni miste di socia­listi e comunisti; il principio dell'intransigenza e dell'anti-collaborazione vige sia di fronte al Partito Socialista che a tutti gli altri partiti, poiché sia da questi che da quello il Partito Comunista si differenzia nel programma, nella valutazione della situazione storica e nelle risoluzioni delle situa­zioni contingenti.

Se l'applicazione della tattica suesposta porterà in molte amministrazioni a crisi e ad impossibilità di funzionamento, di questo non devono preoccuparsi i comunisti, per i quali sovrattutto necessita in questo momento differenziarsi dai socia­listi, che dopo l'esito del Congresso di Livorno, che ha segnato il loro distacco, pensano che noi nella pratica annulleremo quel­lo storico avvenimento solamente per non turbare il normale andamento dei lavori amministrativi.

Da varie parti si sottopone al CE la questione della par­tecipazione alle commissioni.

I comunisti nei consigli comunali e provinciali in cui sono minoranza, e che devono ancora procedere alle nomine delle commissioni, parteciperanno soltanto a quelle che hanno ca­rattere di puro controllo, e solamente in proporzione della loro forza numerica.

In quei consigli in cui le nomine sono già avvenute, le mi­noranze comuniste permarranno nei posti in cui ora si tro­vano se si tratta di commissioni di controllo, e si dimetteranno ove trattisi di commissioni svolgenti un vero compito ammi­nistrativo nei confronti dell'ente locale da cui emanano.

Nel primo caso però, pur restando nelle commissioni, i comunisti rinunceranno al posto di presidenza che even­tualmente occupassero.

I comuni e le province comuniste, che hanno già inviato la loro adesione alla Lega dei Comuni Socialisti, rinuncino per ora ad ogni distacco e non dichiarino le loro dimissioni.

I comuni e le province comuniste che ancora non aves­sero inviato la loro adesione, sospendano per ora ogni delibe­razione in proposito.

È necessario, prima di prendere una definitiva risoluzione in proposito, attendere lo svolgimento ed i risultati del Con­gresso, che la Lega ha convocato per gli ultimi giorni del mar­zo prossimo a Rimini.

Tutti i compagni i quali si trovassero di fronte a situa­zioni particolari, cui non si potessero applicare le norme ge­nerali sovra accennate, devono astenersi dal risolverli diret­tamente, ma devono mettersi senz'altro in comunicazione col CE, mettendolo a conoscenza di tutte le elezioni dei comu­nisti nelle amministrazioni locali.

II CE, valutata la situazione, comunicherà ai compagni in­teressati la risoluzione avvisata migliore, ed essi saranno tenuti ad applicarla disciplinatamente.

Si tenga presente che nel risolvere le situazioni particolari il CE si curerà più che d'ogni altra cosa di seguire una forma generale ed organica di comportamento dei comuni­sti nelle amministrazioni locali.

Il CE del PC d'Italia.

Fonte Manifesti ed altri documenti politici, Libreria del PCd'I, Roma 1921
Autore Il CE del PCd'I
Archivio n+1 Copia dell'originale Rif.
Livello di controllo Rilettura Confr. Orig. X Rev. critica

Archivio storico 1921 - 1923