Appunti sui Manoscritti di Marx del 1844 (2)

La rozzezza sovietica

Limitiamoci a ricordare la solita discussione sul carattere della proprietà colcosiana che a differenza di quella industriale non è del tutto statale, in quanto per il colcos-azienda è cooperativa, per le parcelle contadine è singola. Si intende che ci riferiamo alla proprietà mobiliare, capitalistica, di attrezzi e scorte, e non alla terra, finché facciamo uso del linguaggio dei russi, pur avendo marxisticamente dimostrato che in effetti la terra dichiarata appartenente alla "nazione", è gestita come privata proprietà del colcos in grandi estensioni, e del colcosiano nei milioni di campicelli.

Quando i russi discutono della proprietà agraria si domandano se può come quella industriale divenire la proprietà di tutto il popolo. Stalin disse rudemente di no perché non si può espropriare il colcos, e tanto meno il colcosiano. Adesso (vedi ad esempio il servile articolo di Rumiansev dato in italiano in Problemi della pace e del socialismo di agosto 1959) al tempo stesso si dispregia Stalin per incensare nuovi padroni, si ciancia di mentito aumento quantitativo della agricoltura e di passaggio anche in questa dal socialismo al comunismo (!!), e intanto si difende la nuova formula kruscioviana sulla piena disponibilità ai colcos di tutto il loro reddito in modo che si possano autofinanziare. La formula retrograda tende a celare il rapporto di sfruttamento degli agricoli sui proletari, sotto forma di un minore investimento statale nei colcos, cui però sono resi liberi i prezzi di vendita (la stessa Pravda comincia a denunziare gli estremi di questa avanzata sulle spalle dei lavoratori, di scatenati "materiali interessamenti"). In economia marxista il reddito dei colcos, vera anonima privata, si compone di profitto di capitale e rendita fondiaria. Finanziandosi con l'autoaccumulazione, il privato colcos si svela come proprietario di terra e di capitale industriale. Non si va dunque verso la proprietà di tutto il popolo, che si sta smantellando a gran ritmo anche nell'industria, ma, con sfacciataggine che peggiora quella dello stesso Stalin, si va in senso opposto.

Ma la formula "proprietà di tutto il popolo" appartiene al "comunismo grossolano" che col solito tecoppismo (o, pei più giovani, teddiboismo ideologico) si vuole gettare addosso ai poveracci del "gruppo antipartito" o si vorrebbe gettare addosso a noi, se ci si facesse l'onore di vederci.

Il passo di Marx lo proverà, e a noi esso interessa per delucidazione teoretica sul concetto della "personalità". Noi seguiamo Marx quando deridiamo la mitologia odierna della Persona umana, come lui mostrando che gli apologeti di questo feticcio sono gli stessi che lo pestano con osceno cinismo come si può fare di una manciata di lumache in un mortaio. Tale sarà il senso dell'ultra-colloquio di questi giorni, vero bacio tra gli impossibili, determinato dal demone dell'oro e del mercato.

Marx e il "comunismo rozzo"

Seguendo lo scorcio storico, dopo il cenno sugli utopisti e sullo "immediatista" (vedremo che questa parola non è un nostro neologismo) Proudhon, Marx porta sulla scena i primi moti che rivendicarono nella lotta sociale (non nella sola letteratura sociale) il comunismo come programma.

La sbozzatura dello scorcio è a grandi colpi di scalpello da mazza pesante, ed impone, anche in qualche dubbio del testo, un massimo di attenzione.

"Infine il comunismo è l'espressione positiva (consigliamo di tradurre la sottolineatura di Marx con: non più solo teorica, ma pratica, come postulato di azione umana) della proprietà privata soppressa, e quindi all'inizio è la proprietà privata generale. Prendendo questo rapporto nella sua generalità, il comunismo nella sua prima forma è soltanto la generalizzazione, e quindi il compimento (dialetticamente, il conato di soppressione si converte in completo sviluppo) della proprietà privata. A questo titolo (quel comunismo) si presenta in una duplice forma. Anzitutto, la dominazione della proprietà privata è ai suoi occhi così tremenda, che esso vuole annientare tutto ciò che non può essere posseduto da tutti come proprietà privata. Poiché per esso il possesso fisico immediato (sciogliamo la nostra riserva: nel comunismo propriamente detto l'uomo consegue tutte le facoltà e soddisfazioni, non per attribuzione individua immediata, ma mediata, traverso il "salto" della persona "privata" alla umanità comunista) ha il valore di scopo unico della vita e dell'esistenza, l'attività determinata degli operai (leggi manuali) non viene soppressa (come nella società non salariale soltanto potrà essere) ma estesa a tutti gli uomini. Si vuole per atto di forza fare astrazione dal talento, etc. (leggi non riconosce il lavoro mentale, intellettuale, e meno nobilmente sedentario)".

Ci si permetta, prima di seguire Marx nel secondo punto imputato ai gloriosi eguali, ossia la questione sessuale, la comunione delle donne, di interpolare qualche nostro chiarimento. La vittoria del comunismo non si poteva avere senza un arsenale di armi teoriche possenti, questo è un nostro secolare caposaldo. Ci serve l'alta polemica prima ed insieme al materiale terrore. In questi passi si anticipano quelli classici del Manifesto, e si arma il partito comunista mondiale e permanente delle nostre risposte incendiarie alla ipocrisia diffamatrice borghese.

Noi vogliamo che i capaci di lavoro muscolare soltanto controllino la società, calpestando i sapienti e i poeti? Ma è la vostra società capitalistica che tutto fondando sul danaro tutto insozza, il lavoro materiale che sarebbe attività bella facile e gradita se non lo umiliasse il salario, quanto il pensiero umano nelle sue manifestazioni, che avete reso venale e succube al vostro dio supremo, l'oro, scendendo ogni decennio di più nei turpi bassifondi della vostra civiltà, a cui preferiamo la bellezza vera delle età barbare.

E, anticipando il secondo punto, noi vorremmo, abolendo la vostra forma di rapporto tra i due sessi, la famiglia monogama (certo che lo vogliamo, sarà risposto, anche nel nostro programma scientificamente marxista) fondare la universale fornicazione? Siete voi borghesi che avete fatto questo, in alto (vedi crociere di miliardari) scambiandovi le donne come le sigarette di marca tra smaliziati sorrisi, rendendo in basso venale ogni donna e ogni rapporto di amore e "oggettivizzando" socialmente tutta la mezza umanità che è di sesso femminile, e che l'infamia proprietaria opprime nel senso attivo e in quello passivo. La società di proprietà privata è alienazione dell'uomo in ambo i sessi ed è doppiamente alienazione nel sesso femminile.

Il nostro chiarimento, di cui torniamo a scusarci, riguarda il primo punto, la questione del lavoro manuale e di quello intellettuale.

Se il nostro testo sottolinea la parola forza nella frase che si riferisce alla svalutazione del talento, dell'ingegno, è per una chiara relazione al passo del programma di Babeuf in cui è detto che la forza saprà contare più che la ragione. Basandoci non su una critica nostra personale ma sull'insieme di classiche valutazioni marxiste in luoghi che sarebbe lungo spulciare, va anche messo in rilievo che la frase dei primi egualitari origina intuitivamente da una posizione di classe. Si tratta della negazione della ideologia della rivoluzione borghese che, nel suo sforzo vano di emancipare l'uomo partendo dal pensiero, grazie alla confutazione dell'autorità dei dogmi chiesastici, si spinge fino a fare della Ragione una Dea con altari. Ma questa Dea non aveva più grazie degli antichi santi per gli stomaci vuoti, e un primo moto di rivolta gridò che il pane si conquista con la forza e non con la ragione o la democratica persuasione.

Una simile reazione è consona al pensiero marxista e ricorda la contemporanea Ideologia Tedesca, in cui Marx colpisce Max Stirner, discepolo di Hegel e poi idolo dell'individualismo anarchico, che nella sua famosa opera: Io; l'Unico e la mia Proprietà esalta il rapporto di proprietà come "prolungamento" dell'Io (la mano prende l'oggetto e l'utensile...) e si dedica ai giochi di parole che Marx dileggia, come quello tra il tedesco Mein (aggettivo mio) e il sostantivo Meinung che vale Opinione.

È buon marxismo il non lasciar mettere la parte mentale e il gioco del cervello prima del rapporto di lavoro nella sua base materiale; e quella vecchia invettiva alla Ragione-Opinione si collega, sia pure in forma di intuizione primitiva, col concetto rivoluzionario che va chiesta al militante comunista la forza del muscolo che colpisce prima dell'orientamento di pensiero e della "coscienza", come il grande marxista Lenin dimostrò magistralmente in Che fare?

Ciò nulla toglie alla dimostrazione del comunismo integrale, che nelle pagine che trattiamo rivoluzionariamente, nasceva con tutte le sue qualità e caratteri, e trova una soluzione davvero grandiosa del nuovo scioglimento luminoso degli eterni enigmi umani, che un secolo prima di oggi esplose nella storia, anche nella condanna (che qui ha un grande capitolo) di ogni divisione del lavoro, e nel passo che ricordammo di Engels sullo stupore del filisteo quando gli parliamo dell'architetto che farà il carrettiere, e che daremo a suo luogo.

Lotta classista ed educazione

Nel quadro del generale travisamento del marxismo che ha la centrale a Mosca si pretenderebbe fare confusione tra la tesi di Marx che distingue il comunismo grossolano storicamente più antico di quello scientifico e teoricamente definito che si annunzierà col Manifesto, ed una millantata superiorità del comunismo (!) russo odierno, dovuta al suo compito culturale e di "educazione del popolo", sul vero comunismo di cui la percossa e diffamata nostra sinistra non ha cessato di levare la bandiera.

Quella frase di educazione del popolo ben collima con la democrazia piccolo borghese della peggiore specie. Nel marxismo coerente non si tratta del popolo ma del proletariato, e la prospettiva del suo elevamento mentale non si pone come una condizione subdola e disfattista al suo storico compito di ingaggiare e vincere la guerra di classe, ma come un risultato della dittatura di classe e della abolizione sociale delle classi.

Quel primo comunismo della fine del secolo XVIII non poteva ancora sciogliere dialetticamente la contraddizione per cui la classe manuale ed ignorante diviene la depositaria della nuova luce teoretica e la gerente della umana scienza. La chiave di questo problema sta nella forma partito che con il possesso dei vertici del sapere umano collega la lotta senza esclusione di colpi della classe economicamente sacrificata e ottenebrata, non dalla mancanza di personale cultura quanto dalla pestifera educazione borghese. Marx in quel passo in cui riferisce come in quel primo informe tentativo si condannò il sapere della mente a fronte del vigore delle braccia irrobustite dal lavoro fisico, non disprezzò quello sforzo grandioso ma registrò per la storia come quei nostri precursori coraggiosamente proclamarono che, se al servizio dei ricchi erano i sapienti, i poveri accettavano di attaccare la livida alleanza della ricchezza con la cultura, e se per distruggere la prima occorreva debellare la seconda non vi sarebbe stato da esitare.

Questo stadio semplice e generoso doveva essere traversato per giungere a quello più alto che mezzo secolo dopo era possibile ciclopicamente tratteggiare colla proclamazione che strappando alla borghesia il potere e la ricchezza, come sulle rovine delle sue forme di classe nuove se ne sarebbero erette, così una visione nuova e potente del mondo e della storia sarebbe stata levata sulle rovine di quella borghese.

Ora i divulgatori russi vorrebbero porre innanzi che Marx ricuperò il "talento", la "intelligentsia" su cui l'eretico Babeuf lanciò il suo sanguinoso sputo proletario, e paragonare alla nuova e tanto più alta conquista che col marxismo integrale viene data come meta alla rivoluzione, la fondazione - a scimmiottamento di ogni propaganda conformista - delle loro scuolette, biblioteche e forme infinite di diffusione di ideologie prefabbricate e preformate in seno al proletariato russo e degli altri paesi.

Ma le tesi di questo corpo ideologico che il colossale apparato di Mosca diffonde sono mortifere per la scienza e la "filosofia" marxista, sono impastate di quegli stessi errori, che se alla fine del XVIII secolo erano meritori, dopo la metà del XX sono ignominiosi, per cui tutte le categorie anti-Marx e quindi asinesche e bestiali sono levate a miti ideologici; lo scambio, il danaro, il salario ossia l'alienazione del lavoro e del lavoratore, il risparmio ossia la accumulazione del capitale, il livido appetito di possesso di una casa, di un campetto, di una scorticella di utensili o di animali, e di una famiglia posseduta dal maschio.

Non è qui la rivendicazione del talento, che Marx attinge quando stabilisce il piano della forma partito entro la forma classe; ma è, questa sì, imbestiata rozzezza e prostituzione degli obiettivi della umana sapienza.

E poiché alla difesa russa della forma famiglia, degna degli stessi regimi precapitalisti, siamo pervenuti, vediamo se quest'altra bestemmia alla scienza comunista e rivoluzionaria possa lontanamente reggersi sui passi di Marx sulla questione sessuale, e la comunione cosiddetta delle donne, di cui andrebbe accusato un comunismo non ingentilito e borghesemente civile quanto quello che spaccia il Kremlino.

La questione sessuale

Ci riattacchiamo al passo sul comunismo grossolano ove diceva: "Si vuole per atto di forza fare astrazione dal talento, etc.". Era questo eccetera di pugno di Marx che ci siamo noi sopra permessi di sviluppare.

"Il possesso fisico immediato ha per esso il valore di unico scopo della vita e dell'esistenza; l'attività da operai non viene soppressa (nostro postulato) ma estesa a tutti gli uomini; il rapporto della proprietà privata rimane il rapporto della comunità col mondo delle cose". Non è dunque la stessa cosa e la stessa rozzezza nella moscovita "proprietà di tutto il popolo"? Per confermarlo e per far posto all'argomento dei sessi, citiamo più avanti un passo decisivo. "La comunità non è altro che una comunità del lavoro, con la uguaglianza del salario il quale viene pagato dal capitale comune, dalla comunità in quanto 'capitalista' generale. Entrambi i termini del rapporto vengono elevati ad una universalità rappresentata: il lavoro in quanto è la determinazione in cui ciascuno è posto, il capitale in quanto è la generalità e la potenza riconosciuta della comunità".

Questo è uno dei passi in cui è posto in luce meridiana che - a differenza radicale dalla struttura economica russa - nella società comunista e socialista non deve rinvenirsi proprietà di tutti, della comunità, della società, del popolo, come non deve rinvenirsi lavoro salariato o pagato, né capitale della comunità, etc. Marx qui sottolinea di suo pugno le parole salario, comunità, lavoro, capitale. Nella società descritta nel nostro programma rivoluzionario il lavoro pagato, la proprietà, il capitale non devono essere resi comuni, ma soppressi, scomparsi. Chi non capisce questo è comunista rozzo; ma oggi è uno che tenta girare la ruota all'indietro.

Ed ora possiamo liberamente citare. "Infine tale movimento (sempre del comunismo grossolano) che consiste nell'opporre la proprietà privata generale alla proprietà privata, si manifesta nella sua forma animale: al matrimonio (che è indubbiamente una forma di proprietà privata esclusiva) si contrappone la comunanza delle donne, dove la donna diventa proprietà della comunità, una proprietà comune. Si può dire che questa idea della comunanza delle donne è il mistero rivelato di questo comunismo ancora rozzo e materiale. Allo stesso modo che la donna passa dal matrimonio alla prostituzione generale, così l'intero mondo della ricchezza, cioè dell'essenza oggettiva dell'uomo, passa dal rapporto di matrimonio esclusivo col proprietario al rapporto di prostituzione generale con la comunità".

Sarebbe veramente enorme produrre una tale confusione teorica e programmatica, che questa condanna recisa di Marx della comunanza delle donne sia scambiata con una difesa del matrimonio monogamo e dell'istituto della famiglia, e volersene servire (come appare chiara intenzione degli editori filorussi) per stabilire che la struttura russa può gabellarsi per comunista pure avendo il matrimonio e la trasmissione ereditaria di proprietà.

La proprietà privata generalizzata, Marx ha ora dimostrato, non vale gran che di diverso dalla proprietà privata esclusiva (personale); solo ci interessa storicamente come prima negazione della proprietà privata: ogni primo tentativo di negazione di una forma storica comincia a risolversi nella sua universalizzazione, che in fondo è una riaffermazione. Dire questo non significa certo riaffermare la proprietà privata esclusiva, come quella da cui si presero le mosse. Quindi la critica del possesso comune delle donne come formula inadeguata non vuol dire che si riabiliti il possesso privato da parte del maschio. Il comunismo nostro sviluppato e moderno condanna a più forte ragione la famiglia monogama e il matrimonio che Marx dichiara forma di proprietà privata esclusiva.

Marx stabilisce un paragone tra il rapporto tra uomo privato e bene posseduto (parte di ricchezza), e il rapporto tra maschio e femmina nel matrimonio. Il proprietario privato, poniamo di un campo, è come il "marito-uomo" della "moglie-campo". Nel primo caso il diritto della proprietà vale il poter impedire che un altro semini e raccolga, nel secondo caso il rapporto matrimoniale vale il diritto di impedire che un altro maschio goda la stessa donna. Ci vorrebbe un bello stomaco ad innestare in questa rovente immagine una giustificazione del diritto maritale ben solido nel codice russo (salvo il divorzio noto da secoli ai borghesi e preborghesi).

Quando poi Marx vuole liquidare la comunione delle donne (che noi non giustifichiamo come ci è piaciuto fare per la guerra agli uomini colti) sviluppa il suo geniale paragone e lo chiama "prostituzione generale della ricchezza con la comunità" quella forma in cui la proprietà privata non è annientata ma soltanto generalizzata, e propriamente la "proprietà di tutto il popolo" come dicono oggi in Russia (senza essere giunti manco a questo!).

Degradazione dell'uomo e della donna

Nel citare questi passi è necessario adoperare a volte la parola uomo a volte la parola maschio, in quanto la prima espressione indica tutti i membri della specie, di entrambi i sessi. Può essere inutile usare la parola, aspra in italiano, femmina. Quando mezzo secolo fa si fece una inchiesta sul femminismo, misera deviazione piccolo borghese dell'atroce sottomissione della donna nelle società proprietarie, il valido marxista Filippo Turati rispose con queste sole parole: la donna... è uomo. Voleva dire: lo sarà nel comunismo, ma per la vostra società borghese è un animale, o un oggetto.

"Nel rapporto (del maschio) con la donna, serva e preda della voluttà (del maschio e anche della propria) si trova espressa la infinita degradazione in cui l'uomo vive lui stesso (nella società attuale, qualunque sia il suo sesso), perché il mistero di questo rapporto (dell'uomo agli uomini ossia alla società borghese) trova la sua espressione non equivoca, incontestabile, manifesta, svelata, nel rapporto tra il maschio e la donna, e nella maniera nella quale è inteso (nella generale opinione odierna) tale rapporto che è quello immediato e naturale della vita della specie. Il rapporto immediato, naturale, necessario, dell'uomo con l'uomo è il rapporto del maschio con la donna. Dal carattere di questo rapporto (nelle varie forme storiche, vuol dire il testo) consegue lo stabilire fino a qual punto l'uomo abbia inteso sé stesso quale essere generico, come Uomo (ritorna la formula che l'uomo ha diritto a tale nome solo dal momento storico in cui non vive più come uomo individuo e per il suo individuo, ma come e per il genere comprendente tutti i suoi simili)".

Continuiamo a leggere questo testo eloquente nelle sue ellissi e nelle sue ripetizioni martellanti. "Il rapporto tra il maschio e la donna è il più naturale dei rapporti tra l'essere umano e l'essere umano. (Formula più rigorosa di quella: tra un essere umano e un essere umano, che è infetta di individualismo). In quel rapporto dunque si mostra (in ogni tempo) fino a qual punto il comportamento naturale dell'uomo sia divenuto umano, e fino a qual punto l'essere (intendere la parola come verbo più che come sostantivo) umano sia divenuto il suo modo di essere naturale, fino a quel punto (terza formulazione della medesima tesi) la natura umana sia divenuta la sua propria natura".

Nelle diverse lingue i termini di natura, essenza, modo di essere, essere, come verbo trasformato in sostantivo, ed anche altri, possono apparire intercambiabili e di comune significato. Per tale motivo questi passi possono stancare il lettore, che non li spieghi con il complesso di tutto un sistema di dottrine manifestatosi per lunghi campi di tempo e di spazio, come giochi di parole che non aggiungano nulla di nuovo alle posizioni di partenza.

A solo titolo di collaborazione con il lettore ci proviamo ad aggiungere uno svolgimento nostro, che nella forma storica e narrativa diviene forse più afferrabile. Poco sopra il testo ha detto che dal comportamento degli uomini nei rapporti tra i due sessi si può leggere il grado di sviluppo a cui l'uomo è giunto; e nella traduzione moscovita è detto: il grado di civiltà, termine che è tutto latino e non è nella lingua tedesca... né in quella marxista. Escludiamo e lo verificheremo a suo tempo, che Marx abbia usato il pallido equivalente Kultur, degno di Hitler.

Bestie o angeli?

La specie umana nelle sue forme storiche sociali percorre un cammino, diremo per chiarificare (non uno per calarci nei fanghi mobili delle presentazioni concrete), dallo stato animale in oltre. Le banali concezioni delle ideologie dominanti vedono in questo cammino una ascesa continua e costante; il marxismo non condivide questa visione, e definisce una serie di alternanti salite e discese, intermezzate da violente crisi. Naturalmente la progressiva graduale avanzata degli illuministi borghesi si vanta di aver superata la posizione fideistica, di un istante della storia in cui è avvenuta una "redenzione", per grazia del Dio, che ha segnato la svolta dalla animalità alla spiritualità. Noi non ridiamo nello stesso tono fatuo dei borghesi di questa ingenua costruzione; quella dei progressisti forse non è di essa meno arbitraria e meno fittizia; senza forse esprimere meno validamente una vera conquista della nostra specie, ospita ancora più di errore e di menzogna delle vecchie narrazioni mistiche.

Nello stato animale la vita della specie non è assicurata da una produzione, ma da un rapporto immediato con la natura in cui per un momento si può presentare l'individuo che si assicuri la vita, senza rapporto con quella della specie, e trovante nella natura il modo di soddisfare da sé e per sé il suo bisogno immediato e "naturale". La dottrina borghese della produzione, una volta che con Marx le abbiamo strappato il suo turpe segreto, appare una perpetuazione del punto di partenza animalesco più che un passo verso il punto di arrivo divino di cui eravamo stati illusi nei millenni. Ma la tappa a cui noi tendiamo, avendo volte le spalle allo stato bestiale - naturale e per tanto non ignobile - non ha bisogno di modelli in angeli e spiriti, ed è soltanto umana. I suoi caratteri riteniamo la scienza della nostra specie capace di anticiparli prima dei tempi, senza che debba intervenire miracolo ma sul piano della visibile e palpabile realtà. Ed allora proviamo che nella società di oggi, uscita dalla rivoluzione liberale, siamo ancora più dalla parte della natura bestiale che di quella "umana".

Conteniamo la nostra digressione (se non vogliamo che abbia il risultato opposto) alla questione del sesso. Sembrerebbe che qui l'animale soddisfi il suo bisogno con una identità di rapporto a quello del cibo: trova nella natura ambiente il sesso complementare e si congiunge. Ma già qui il rapporto non è più individuale: la stessa spinta di ognuna delle bestie in ansito d'amore è una determinazione che, senza fantasie finalistiche, deriva dalla esigenza di conservare e sviluppare la specie.

Guardiamo bene prima di stabilire se ci siamo sbestiati, o imbestiati! L'animale non trova cibo contro danaro ma immediatamente e naturalmente. E nemmeno trova amore contro danaro. Che lotti per cibo ed amore col suo simile in dati casi, non sposta questo dedurre.

L'uomo, la cui natura non si è ancora - Marx dice - levata fino ad essere umana, trova contro scambio e danaro cibo ed amore, si nutre in quanto un altro ha fame, e si sazia di voluttà se altri stanno in rapporti di dolore sottobestiali.

Questo il senso dell'animale uomo nello stato proprietario, che vorremmo chiamare un momento: homo insipiens proprietarius.

L'animale detto "irrazionale", quando accede alla funzione sessuale, sostituisce alla propria avidità di singolo la determinazione superiore della sua specie. Si dice allora che i suoi atti sono dettati dall'istinto, forza della sua natura e della natura tutta, cui il singolo obbedisce come se sapesse e ragionasse, ma senza che possa ragionare e sapere. L'uomo non starebbe molto più su della bestia, se per comportarsi come specie e come società e per avere a differenza della bestia una storia (come il nostro testo espone) dovesse essere investito da un afflato extra natura, soprannaturale.

Questa fu una prima ingenua embrionale formulazione del misterioso procedere. La religione è un ponte storico per cui dall'istinto del bruto si passa alla consapevolezza delle leggi del comportamento di specie. Guai però se questo ponte non fosse mai stato gettato con le sue arcate mitiche!

Questo nostro testo ha molti strali contro la pochezza dell'ateismo borghese, e nella sua sostanza mostra quale discutibile evoluzione sia stata quella dal trascendentalismo all'immanentismo, altro ponte che tuttavia la storia non poteva evitare di gettare.

La forza del nostro materialismo sta nel disegno della nuova avanzata la quale si fa senza uscire dalla natura, anzi rientrandovi dopo che per risolvere l'enigma era stato necessario uscirne un momento e postulare un Primo Motore immateriale.

Il genere umano con la gamma infinita dei suoi rapporti sta nella natura come parte integrante, e non vi è una sfera di questi rapporti che si ponga fuori delle norme di natura, sfera retta da un Dio, o dallo Spirito, piccolo idoletto pensato, lui, soletto e singolo, pertanto innaturale e disumano.

Perché la nostra ascesa da genere vivente a genere razionante, che non ha luce da istinto ma da scienza, se ha un segreto, è quello che la conoscenza della determinante natura di cui l'umanità è parte non subordinata ma anche non soprordinata, non si attinge dal singolo che pensa né da una face che passi di mano in mano, ma si attua nel salto rivoluzionario dalla pretesa storia fatta da persone all'immedesimamento di ogni uomo vivente con la futura e sicura collettività umana, di cui nel senso dialettico il partito marxista e la sua dottrina sono una proiezione anticipatrice nel tempo.

L'amore che un lancio geniale della umana scoperta ha nelle parole di Marx eletto a termometro della avanzata, rivelerà allora che non sarà più uno sfamare soggettivi irresistibili istinti impressi al bruto, ma prova della conquista collettiva della consapevolezza e della gioia illuminata.

Amore, bisogno di tutti

Chiesta scusa del nostro sommesso rimpolpettare possiamo leggere un altro tratto.

"Si dimostra egualmente in quel rapporto (nella storica evoluzione del rapporto tra i due sessi) fino a qual punto il bisogno dell'uomo (e qui va sentito il passaggio dalla dinamica del bisogno di amore, scelto come pietra di paragone, a quella di tutti i bisogni, che nell'epoca dell'individualismo mercantile si chiamano economici e che abbiamo sanguinosamente sferzati col ridurre la loro gamma falsamente allucinante per la morbosità di droghe alla miseria di un unico scarno livido bisogno, quello del danaro) è diventato bisogno umano: fino a qual punto l'altro uomo, in quanto uomo, è dunque divenuto un bisogno per lui; fino a qual punto la sua esistenza, anche nelle sue manifestazioni più individuali (quali sono quelle fisiologiche fino alle tempeste delle glandole endocrine, diamo quale chiosa esatta dell'aggettivo individuali) sia divenuta l'esistere stesso della comunità".

Il concetto che per l'uomo umano, tratto dalla possanza della nostra dottrina sulla Terra dal pianeta extrasolare (direbbero oggi quelli della fantascienza) di un futuro osservabile, ma non preso a prestito da un paradiso di angeli sterili, sia soddisfazione e gioia l'adempiere il bisogno dell'altro uomo, e non più cappio da stringergli la gola, si trova svolto in altri passi di questa trattazione, e in modo lucente nel commento a margine di Mill che abbiamo letto alla Riunione di Parma (vedi n. 21 del 1958, paragrafetto "grandi schemi della società futura").

La conclusione di questo brano di Marx sarà severa per il comunismo grossolano, e perciò aggiungeremo qualche considerazione sempre su questo punto difettoso della comunanza delle donne. Indubbiamente è questa una concezione proprietaria che vede nella femmina la proprietà passiva del maschio, ed esaspera il vizio della società individualista, senza che questo sia tolto da una specie di proprietà del sesso maschile su quello femminile, che arieggia la proprietà di tutto il popolo sui beni nazionali!

Questa proprietà di tutti i maschi su tutte le donne che non vede come il rapporto sia lo stesso per cui il maschio individuo considera la donna preda e merce, rivela dunque esattamente come sia insufficiente il superamento del rapporto di proprietà privata fino a quando l'uomo, di ogni sesso, resta salariato di una potenza capitalista coprente tutta la società.

Come chi lavora per danaro resta estraniato e "passivo", nel comunismo rozzo-russo, così la donna in questa formula rudimentale di comunanza di tutte le donne rimane schiava e passiva quanto nella famigliola monogama. Il rapporto dei sessi nella società borghese obbliga la donna a fare da una posizione passiva un calcolo economico ogni volta che accede all'amore. Il maschio fa questo calcolo di posizione attiva bilanciando una somma stanziata per un bisogno soddisfatto. Ossia nella società borghese non solo tutti i bisogni sono tradotti in danaro, e questo anche per il bisogno di amore nel maschio, ma per la donna il bisogno di danaro uccide il suo bisogno di amore. Si verifica quindi l'uso della chiave del rapporto sessuale sociale, al fine di pesare la ignominia di una forma storica.

La civiltà non si è dunque ancora liberata dalla considerazione che per la donna l'amore è rapporto passivo, come quando era immolata allo jus primae noctis, o trascinata in ceppi nel ratto delle Sabine. In effetti secondo natura la donna, essendo l'amore il fondamento della riproduzione della specie, è il sesso attivo, e le forme monetarie tratte con questo vaglio si rivelano contro natura.

Nel comunismo non monetario come bisogno l'amore avrà lo stesso peso e senso nei due sessi, e l'atto che lo consacra realizzerà la formula sociale che il bisogno dell'altro uomo è il mio bisogno di uomo, in quanto il bisogno di un sesso si attua come bisogno dell'altro sesso. Questo non è ponibile come solo rapporto morale fondato su un certo modo del rapporto fisico, perché il valico sta nel fatto economico: i figli e il loro onere non riguardano i due genitori che si congiungono ma la stessa comunità.

Dove questo problema è risolto traverso l'istituto ereditario (per via paterna, o ancora di maggiorasco) ivi la forma proprietaria privata domina totalmente.

Il comunismo primitivo

La condanna di Marx a scuole e programmi che insieme al salariato e al mercato generale proclamarono la comunanza delle donne si rivolge a formulazioni della fine del secolo diciottesimo. Talvolta però il testo che abbiamo allo studio accomuna questo oggetto di critica, il primo comunismo grossolano controproposto alla nascente forma capitalistica, in qualche cenno, alla vera epoca storica, lontana millenni, del comunismo primitivo tribale. Questa forma è rivendicata in tutta la letteratura marxista e in pagine fondamentali di Marx e di Engels. Senza escludere la necessità che tra quel comunismo antichissimo e il comunismo per cui lotta il moderno proletariato, intercorressero le forme che nacquero colla proprietà privata, le società di classe, e la tradizione del sovrapporsi delle loro "culture", una franca apologia di quella prima alta forma è in pagine del Capitale e della Origine della Famiglia, della proprietà e dello Stato.

Nella coerenza di tutta la nostra dottrina ben possiamo saggiare quella forma primigenia alla luce della struttura sessuale. Vi troveremo la grande luce del matriarcato in cui la donna, la Mater, dirige i suoi maschi ed i suoi figli, prima grande forma di potenza naturale nel vero senso, in cui la donna è attiva e non passiva, padrona e non schiava. La tradizione ne resta nella famiglia latina; mentre il termine famiglia viene da famulus, schiavo, il termine donna viene da domina, padrona. In quel primo comunismo, rozzo sì, ma non proprietario né pecuniario, la forma-amore sta ben più in alto che al tempo dei ratti leggendari; non è il maschio che conquista la donna-oggetto, ma la Mater, che non vorremo chiamare femmina, che elegge il suo maschio per il compito, a lei trasmesso in forma naturale ed umana, di diffusione della specie.

Riporteremo ora la fine del passo sul primo tipo di comunismo che il testo considera, muovendo verso la comprensione del comunismo integrale.

"Il comunismo grossolano non è dunque che una forma fenomenale della abiezione della proprietà privata, forma che tenta di porre sé stessa come comunità positiva e costituisce tuttavia la prima soppressione positiva (programmatica, di lotta, torniamo a chiosare) della proprietà privata".

Il primo tipo di comunismo apparso nella storia come movimento che presenta un proprio programma, non fu dunque che un tentativo ("tenta di porre sé stesso") di costruire il programma della struttura della "comunità positiva", ossia della comunità per la quale dovrà nel tempo "passare". Quelle formulazioni possono essere utilmente chiosabili e chiarificabili, a condizione di farlo usando adeguatamente tutto l'apporto della storia del marxismo non tralignato; ma nella loro stesura, che consideriamo da rispettare intatta, confermano che non vi è metodo rivoluzionario, non vi è teoria della rivoluzione operaia, non vi è dottrina marxista, se non si dichiara di essere giunti all'epoca in cui è possibile costruire la descrizione delle ossature della società comunista. Questo fu possibile in una epoca critica, che poniamo al tempo del Manifesto, dopo la quale teniamo per sterco i conati di ritocchi revisionisti, o ipocritamente perfezionatori.

Non solo fin da allora, ma fino dal tempo di Babeuf, è evidente e irrevocabile la manifestazione di quanto sia schifosa la forma proprietaria capitalista, e questo materiale di accusa è insito nel conato del comunismo grossolano, perché esso giunge a porsi davanti la "forma fenomenale della abiezione della proprietà privata". Un risultato storico gigante.

Ma il decorso della forma capitalistica e la reazione di classe da essa provocata non erano ancora bastati per erigere la dottrina della morte del capitalismo, della rivoluzione proletaria, e della società comunista.

Mentre dunque il tentativo di tracciare il programma della società futura non può essere che embrionale e anche deforme, tuttavia esso costituisce la prima soppressione positiva della proprietà privata delle parole incise nel manoscritto di Marx. I Comunisti grossolani seppero che cosa volevano distruggere, ma non potevano ancora sapere la palingenesi grandiosa che dalle rovine della distruzione sarebbe uscita. Siamo noi che lo sappiamo.

Le forme apologizzate in Russia oggi non sono quelle che la nostra dottrina promise e noi attendemmo. Esse risentono di quelle insufficienti, che come programma si abbozzò il comunismo grossolano. Ma quello era tenuto a fare scattare l'urto di distruzione e non ad altro. Quelli erano alti precursori, questi di Russia bassi traditori.

Tra i due resta, intangibile, la dottrina del comunismo che non conosce solo la sconfinata abiezione del mondo borghese ma anche i caratteri sublimi del mondo comunista.

Le coppie al vertice

Una applicazione fedele del metodo scolpito da Marx circa il rapporto sessuale ben si attaglia a spiegare l'evento di questi giorni che è echeggiato dai massimi idioti clamori.

Gli Stati della borghesia non solo nella forma delle monarchie, ma in quella della più democratica delle repubbliche, si fanno rappresentare nelle supreme parate dalla coppia vertice dello Stato, Re e Regina, Presidente e Madama del presidente, la cui funzione sociale è solo di accoppiarsi (forse) con lui nell'alcova. Teorizzabile per le monarchie, vomitivo in pieno per le repubbliche, che a ragione i nostri testi assimilano.

Che diremo se nella stessa prassi sguaiata si ravvoltola, tra miliardi di ammirati imbecilli, lo Stato che pretende avere bruciato tante tappe della storia, da bestemmiarsi a cavallo tra socialismo e comunismo?

Non avrete dunque coppie nella società comunista? domanderanno i pivelli. Ve ne saranno, e se vorranno esservene per reciproca intesa non le scioglierà la forza bruta né l'oro. Marx non ha ucciso l'amore, e per suo conto fu un monogamo esemplare. Ma noi non trattiamo le vicende del cittadino Marx.

Noi vi domandiamo se idealisti e poeti hanno scritto dell'amore in modo così alto, come quello che si tratta di intendere.

"Ponete l'uomo in quanto uomo, e il suo rapporto col mondo, come un rapporto umano, e voi non potrete che scambiare amore con amore, fiducia con fiducia... Se tu mi ami senza provocare amore in ritorno, cioè se il tuo amore non sa produrre altro amore che vi corrisponda, se nel manifestare la tua vita come uomo che ama non sai fare di te stesso un uomo amato, il tuo amore è impotente, e il suo nome è infelicità".

Tre stadi del comunismo

Nella riunione e ancora più diffusamente in questo resoconto abbiamo arrecato un contributo, a cui si aggiungerà quello di altre riunioni e trattazioni, al retto intendimento delle prime e definitive tavole del Marxismo teoretico. La loro posizione davanti alle "culture" tradizionali ed alla filosofia è del tutto nuova ed originale, e gli uomini sono oggi dopo più di un secolo dal documento molto lontani dall'averla acquisita - per numerosi che siano nel mondo quelli che al nome del marxismo si richiamano.

La contrapposizione alla filosofia, ancora oggi presente, di natura speculativa e cerebro-personale, dovrà essere ulteriormente trattata. La filosofia che storicamente precede questo passo gigantesco dell'uomo viene come abbiamo più ampiamente presentato: 1. Utilizzata; 2. Criticata; 3. Eliminata. Basti questo passo di poco successivo nell'ordine materiale del densissimo manoscritto (non preparato dall'autore per la pubblicazione e quindi libero dalle esigenze correnti dell'ordine e dell'indice) a quelli testé esposti.

"Lo si vede, non è che nello stato sociale (la società comunista) che il soggettivismo e l'oggettivismo, lo spiritualismo e il materialismo, l'agire ed il patire, perdono le loro contrapposizioni (antichissime polarità tra cui il freddo pensiero credeva di doversi aggirare in eterno) e perdono quindi la loro esistenza in quanto opposizioni; si vede (per la prima volta nella storia) come lo scioglimento delle opposizioni teoretiche sia possibile soltanto in maniera pratica; soltanto attraverso la energia pratica dell'uomo, e come questa soluzione non sia affatto soltanto un compito della conoscenza, ma un compito della vita che la filosofia non poteva adempiere, proprio perché essa intendeva un tale compito come soltanto teoretico".

Senso di questo passo a cui per ora ci fermiamo è che solo un partito di lotta in seno alla società può chiudere, ereditandolo, il compito della eterna disputa tra ideologi, e che nello stesso tempo solo questo organo rivoluzionario può - dal momento di quella esplosiva illuminazione che prese posto a mezzo il secolo scorso - mentre prepara l'assalto in armi al vecchio mondo, possedere la visione suprema della conoscenza che sarà propria della società futura, anzitutto come descrizione di tale società futura, e poi come sola disponibilità conoscitiva del "segreto" che risolse una volta per sempre, e in quel solo colpo, i millenari enigmi.

Il comunismo è qui considerato in tre tempi nella sua apparizione storica. Abbiamo lungamente seguito il N. 1, comunismo grossolano. Ci riserviamo di svolgere il N. 2 che chiameremo comunismo riformista utopista, che vuole partire dallo Stato per usarlo come strumento sulla società, quasi materia plastica, e mostreremo che quel brevissimo passo liquida la forma reazionaria, democratica (e libertaria) del socialismo, tutte da noi aberranti per fallo di "immediatismo". Abbiamo citato all'inizio il N. 3, il comunismo integrato, col suo grido di scoperta e di vittoria che taglia il nodo delle esasperanti antitesi tra natura ed uomo, esistenza ed essenza, oggetto e soggetto, individuo e genere, libertà e necessità. Ed ancora: pensiero ed azione, spirito e materia. Esso, al trapasso indicato del mezzo Ottocento, ripetiamolo come se fosse una professione di fede, è la soluzione dell'enigma della storia: ed è consapevole di essere questa soluzione!

È in questo testo che indichiamo la prova che è sostanza secolare del marxismo rivoluzionario la nostra tesi della sua "invarianza", opposta a revisionisti, traditori, e più recenti aggiornatori, arricchitori, e ritoccatori di vili orpelli infami.

Lo ribadiscono le parole, che nella edizione staliniana seguono: "L'intero movimento della storia e quindi l'atto reale di generazione del comunismo - l'atto di nascita di esso nella sua esistenza empirica (che comincerà nel domani) - ma è anche, per la sua coscienza pensante, il movimento del divenire della storia stessa, compreso e reso cosciente (per il comunismo di oggi)".

Quale è il soggetto di questa coscienza? Il singolo, come negli antichi (pur necessari) vaneggiamenti del filosofare? La massa umana come nella illusione ipocrita demoliberale; e nella peggiore finzione del populismo sovietico?

No, la sede di questa consapevolezza teorica è nel partito di classe, organo politico del proletariato rivoluzionario mondiale, da quel tempo costituitosi, e destinato a vincere tutte le crisi che lo fanno confondere dagli infelici immediatisti con antiche turpi forme, e anche odierne, della società proprietaria.

Invidia e avidità

Nel nostro trattenerci a fondo sul N. 1, il comunismo grossolano, per cui i propagandisti filorussi hanno cercato di agire da mosche cocchiere nel condividere la critica alta di Marx, che non possono intendere, ci siamo dovuti attenere al nostro argomento, che nella esposizione orale e scritta è stata l'analisi della tralignata struttura russa. E riservando alla parte futura quanto abbiamo indicato, vogliamo fermarci su un altro carattere che Marx imputa al comunismo rozzo, e che noi ci sentiamo il diritto di imputare, sulla linea di quell'insegnamento, alle odierne direttive russe.

"L'invidia generale, e che si organizza come una potenza, non è che una forma mascherata sotto cui si presenta la materiale avidità; la quale si procura per tal via una diversa fittizia forma di soddisfazione. La prima idea di abbattere ogni proprietà privata come tale è almeno rivolta contro la proprietà privata più importante (quella dei più ricchi) sotto forma di invidia e di aspirazione al livellamento. Ma invidia e il desiderio di livellamento (tra miseria e ricchezza) costituiscono l'essenza della concorrenza (su cui si fonda la società privatistica). Il comunismo grossolano non è che il compimento di questa invidia e di questo livellamento partendo dal punto di vista del minimo rappresentato (nella presente distribuzione sociale)".

La posizione del comunismo rozzo è qui ridotta da Marx a quella del diseredato che afferma: purché io non veda un ricco che goda, meglio che con una partizione generale siano tutti i membri della società ridotti ad una miseria uguale, pari o di ben poco superiore alla mia attuale. Il testo infatti respinge la dipintura ingenua di una società di uguali in cui tutti siano ridotti malnutriti malvestiti ed anche ignoranti, purché si eviti la vista ossessionante di pochi che godono e stanno bene. Questo movente è indubbiamente molto lontano da quello che noi poniamo come forza di base nel comunismo nostro, nel terzo stadio. Noi vogliamo che il godimento di un altro uomo che può largamente soddisfare il suo bisogno sia non solo godimento nostro, ma si identifichi col nostro stesso bisogno, e dimostriamo che solo ponendo fino da ora questo programma noi arriviamo alla sconfitta e distruzione del mondo della proprietà privata. Quella prima strada presa andava in direzione opposta, se faceva leva sul desiderio che l'altro uomo stia male, e non su quello che stia bene, come condizione del mio stesso benessere.

Il testo stigmatizza quindi vivamente le prime dipinture di una società che per raggiungere la eguaglianza riducesse tutti i suoi componenti entro un raggio di bisogni primitivi, e nega il carattere di una vera umana conquista a questo "ritorno alla semplicità, che è contraria alla natura, dell'uomo povero e senza bisogni, che non solo non è andato oltre la proprietà privata, ma che non vi è nemmeno pervenuto ancora". Siccome il passo imputa a queste prime ingenue dottrine "la astratta negazione della cultura e della civiltà", i moderni ipocriti vorrebbero salire a cavallo di questa invettiva per giustificare le odierne loro smaccate apologie della cosiddetta civiltà borghese, tecnica e scientifica e superproduttiva, e creatrice di bisogni morbosi. Qui Marx ha di mira più che Babeuf lo stesso Rousseau, che voleva risolvere la tragedia dell'organizzazione sociale nefasta col ritorno allo stato di natura, maestro in questo a molti comunisti utopisti. Ma di tali autori Marx ha fatto sempre alti elogi, pur distinguendone nettamente la nostra superiore teoria, e nel rifiutare la loro non sensata rinunzia non ha certo inteso passare dal lato della difesa della civiltà capitalistica, delle cui infamie è stato il primo denunciatore, anche se non aveva visto quelle tanto più enormi note alle nostre generazioni.

Ma questo tema della ricchezza egoistica e della gamma sociale delle umane conquiste è stato e sarà svolto. Quello che ora interessa è che la condanna dell'ingenuo naturismo sia diretta contro l'invidia economica, motore spregevole degno degli immediatisti, ma non dei marxisti completi. Orbene, quel motore della invidia e della cupidigia non è la stessa cosa dell'incentivo materiale introdotto nei recenti congressi russi come movente della produzione per gli sventurati lavoratori russi salariati e per gli avventurati contadinotti colcosiani?

Emulazione = concorrenza = invidia

La posizione di classe del proletario rivoluzionario comunista si può bene esprimere con la formula esecrata dal legalismo borghese - e ormai sconfessata dai filorussi - dell'odio di classe. Non vi è lotta colle armi senza che il combattente odii gli avversari, e senza tale lotta il sistema capitalistico non cadrà. Noi qui odiamo la classe dominante anche e soprattutto quando sappiamo vederla non in un agglomerato di persone gaudenti (il che davvero è un socialismo grossolano) bensì in una potenza mondiale che forma ostacolo alla vittoria del partito rivoluzionario e quindi alla luce e alla gioia per tutti nella società comunista futura. Chi ha colto il passaggio storico dialettico nella sua potenza non si ferma un istante in imbarazzo (sarebbe davvero pivello!) davanti alla abusata obiezione che stupisca di vedere odio generatore di gioia, e armata guerra di classe generatrice di serena pace futura. Marx disse che egli non aveva scoperto il fatto palese e generale della lotta di classe, ma il suo scioglimento futuro nella dittatura del partito classista; e ciò distingueva il suo sistema.

La spinta che chiama i seguaci del partito rivoluzionario a riunirsi in lui comprende l'attesa e l'ansia per questa lotta finale, fino al terrore rosso; ma sarebbe pietoso ridurla alla posizione di chi si adira perché vede che non tutti soffrono come lui e vuole vendicare le sue sofferenze capovolgendo il rapporto. Nella società presente non occorre patente di rivoluzionario a chi si dibatte per togliere all'altro un po' di ricchezza. Questo povero che vuole divenire ricco ha il diritto di essere considerato un benpensante, perché si comporta come tutti i borghesi ed è guidato dalla dinamica della economia e anche della morale borghese. Marx in questo passo ha detto che questo stimolo livellatore per anelito di cupidità ed invidia non differisce dalla concorrenza di una ditta o di un uomo economico contro gli altri, che è la leva stessa, in pratica e nelle ideologie, della economia borghese.

Dai primi passi del movimento operaio, e prima ancora che lo permeasse la sua propria integrale teoria politica, fu chiaro il contrasto tra la ideologia concorrenziale per cui il progresso collettivo nasce solo da questa gara tra singoli per scavalcarsi, e la solidarietà tra i lavoratori sacrificati. La concorrenza tra salariati sarebbe l'ideale per il padronato che, lusingandone ben pochi per una elevazione del magro compenso, giungerebbe a realizzare da tutta la massa un profitto maggiore. Alla potenza della classe dominante tra i cui membri vigeva la lotta di concorrenza, i lavoratori contrapposero l'arma della solidarietà, e tentarono di avanzare tutti insieme con un patto, una lega fraterna, che condannasse la lotta economica dell'uno a danno dell'altro. Molto più alta, ma nello stesso senso, di questo primo associazionismo, va la dottrina socialista di partito. Condannando ogni concorrenza propria del borghese e piccolo borghese, il socialismo, e comunismo, non si riduce allo scopo individuale di migliorare sé stesso, ma a quello di migliorare tutta la società, sola liberazione della classe dominata.

Quando in Russia hanno recentemente liberata la cupidigia del singolo agricolo (ed anche artigiano, piccolo commerciante, e così via), presentandole come cosa legittima la ambizione di salire più in alto nel reddito economico, hanno reso omaggio a questo lievito capitalistico della economia, che è la maledetta strega "concorrenza", dando una prova cruciale che tutta la struttura sociale è mercantile, pecuniaria, bassamente capitalistica. Con ciò quello che pretende essere il modernissimo comunismo è dimostrato pieno delle pecche del comunismo di partenza, di quello rozzo e grossolano, il quale tuttavia nella sua ingenua rivendicazione di livellare tutti ad uno standard economico umile non portò un attacco tanto disfattista alla solidarietà rivoluzionaria, quanto la campagna russa di piccolo borghese egoismo personale e domestico, oggi infocolata dall'ultima nequizia, la introduzione delle vendite a credito, stimmate squisita dello schiavo salariato contemporaneo.

E questo principio, che scatena all'interno l'incentivo a scavalcarsi pecuniariamente l'un l'altro, imbevuto della taccia peggiore del comunismo incompleto e rozzo, trionfa poi quando la parola eufemistica di emulazione viene usata come foglia di fico sulla oscenità della concorrenza, ed applicata allo sviluppo internazionale, ove non ha altro senso che di livellamento e pareggiamento tra i vari sistemi capitalistici, in tutta analogia col fatto che due padroni in concorrenza tra loro sono allo stesso titolo borghesi carogne.

Tavole programmatiche di partito

La nostra tesi conclusiva, che ha una portata oltre che conoscitiva e teoretica del tutto pratica ed organizzativa, è quella che il partito comunista non può condurre la sua lotta traverso la storia (come non lo potrebbe il proletariato senza la sua organizzazione in partito, che una volta per sempre postulò il Manifesto dei Comunisti nel 1848) se non subordina la sua azione per un percorso secolare addirittura a chiare tavole programmatiche. Queste, raccogliendo quanto di fondamentale presenta la teoria e la prassi del partito, possono considerarsi condensate in tesi precise fin da quell'epoca, di cui ci andiamo occupando, in cui fu evidente lo scopo e il contenuto della lotta storica della classe operaia contro il capitalismo moderno.

La struttura di queste tavole fondamentali è insita in larga parte nel testo del Manifesto stesso. Ma il Manifesto costituisce una precisa norma di azione nel mondo di una data epoca, e non soltanto il bagaglio di azione e di dottrina comune a tutti i tempi, oltre che a tutti i paesi.

Quindi, il Programma base di tutto il movimento deve essere costruito collegando le tesi centrali che il Manifesto enunciò in modo pubblico a mezzo l'Ottocento, con quelle che figurano nei testi nostri classici come visione generale della storia passata e futura della specie umana, in tutte le sue manifestazioni, e quindi con quel primo scioglimento degli eterni enigmi, che con audacia incomparabile (possibile solo in chi avesse del tutto svalutato la forza dei gesti rivelatori di un uomo singolo di pensiero o di azione) fu enunciata in questi Manoscritti. Il suo contenuto essenziale è la programmatica descrizione dei caratteri propri di una società comunista, oggetto della nostra previsione e fine supremo della nostra battaglia.

Con lunga opera di molti anni abbiamo mostrato che una tale descrizione, rigorosa per quanto essenziale, è obietto delle opere tutte classiche di Marx e di Engels, e che i vari marxisti cui prototipo è Lenin la hanno sempre tenuta per definitiva ed immutabile. E se è potenza del nostro metodo definire la società cui arriveremo, lo è non meno il caratterizzare in linee inviolabili la linea luminosa che ad esso conduce.

Evidente è l'importanza d'azione di una simile "ricostruzione delle tavole" del movimento. La storia di esso e delle sue deviazioni e crisi va utilizzata per dimostrare come si è sempre trattato nei lunghi smarrimenti - di cui la nostra critica ben sa individuare e indicare le reali cause determinanti e talvolta irresistibili - di avere preso una strada diversa da quella tracciata nelle teorie fondamentali. Nella vita di Marx e dopo, la reazione a queste sbandate tralignanti ha sempre avuto il contenuto di un ritorno deciso alle direttive iniziali. Tutto ciò ha avuto nel nostro lavoro di quindici anni ampio svolgimento; ed è noto come abbiamo indicata la guerra del bolscevismo leninista, al tempo della rivoluzione, contro il tradimento esoso dei socialpatrioti e socialdemocratici, come l'esempio più alto di restaurazione totalitaria del marxismo integrale, in che resta il più grande risultato della vittoria di Ottobre, indistrutto dalla terza ondata dei corruttori, che hanno invece travolto il risultato sociale, ossia lo Stato socialista di Russia, e il risultato organizzativo, ossia l' Internazionale Comunista.

La tradizione Lenin-Partito bolscevico-dittatura proletaria nel 1917, resta dunque, sia pure solo nel campo della teoria, la più grande delle vittorie del comunismo rivoluzionario integrale quale uscì verso il 1850, blocco incandescente, dalla fucina della storia umana. Una tradizione così altamente concatenata non potrà essere cancellata mai, e i nomi degli Stalin e dei Krusciov coi lividi caudatari non faranno che aggiungersi alla serie squallida dei revisionisti e degli immediatisti, di cui le prime carogne furono vergognosamente inchiodate sul tavolo anatomico dalla mano stessa di Carlo Marx.

La nostra opera presente ha l'indirizzo di rimettere in ordine le tesi documentali tante volte insidiate, e di portarle nella luce della loro integrità, anche se nell'attuale fase storica una simile terza restaurazione non ha ancora trovato il movimento reale di riscossa rivoluzionaria che se ne dovrà in futuro rivestire.

La facile derisione

Ben noto è il sapore che ogni pidocchioso spirito piccolo-borghese conferisce alle obiezioni e alle critiche a questa nostra ricerca per tornare alla originaria costruzione del marxismo. Noi prenderemmo, a dire di quei coboldi, lo scritto di Marx come un verbo rivelato a cui si debba fede cieca, lo seguiremmo come un dogma che non è lecito discutere ma che si deve accettare a priori. Rinunzieremmo alla luce preziosa della libera critica individuale del nostro intelletto e di quello di quanti ci seguano. Negheremmo che lo svolgersi dei fatti storici per oltre un secolo abbia potuto smentire o per lo meno modificare quelle posizioni dedotte utilizzando solo i dati della storia umana, anteriori a quell'epoca ripetuta di circa il 1850.

Ebbene, o imbecilli sorti dalla degenere cultura borghese, è proprio questo che noi pretendiamo e proponiamo! E abbiamo il diritto di farlo perché la nostra scoperta, il primo impiego della chiave formidabile che risolse le antitesi e gli enigmi che gravavano sull'umanità, già conteneva la conquista scientifica e critica che quei vostri richiami sono vuote ed inconsistenti menzogne - a titolo più chiaro di quel che lo siano ancora più antiche posizioni dell'umano opinare che voi borghesi credete di aver sommerso per sempre sotto la fatuità della vostra retorica illuminista. Sappiamo da allora, e per virtù di quella abbagliante luce che brillò di un colpo, che la masturbazione cerebrale dell'opinione è via più imbelle per giungere al vero della più ingenua delle fedi in verbi grossolani ma partoriti dall'utero vivo della storia. Apprendemmo da quella che in un certo senso fu una rivelazione, non soprannaturale ma umana nel senso della fecondità della consapevolezza sociale di cui Marx parla, che il progresso dell'umanità e del sapere del travagliato homo sapiens non è continuo, ma avviene per grandi isolati slanci tra i quali si inseriscono sinistre ed oscure affondate in forme sociali degeneranti fino alla putrefazione. Ci serviamo di una pagina scritta intorno al 1850 - non perché scritta sotto dettato di un Dio o perché la mano che la tracciava era quella di un superuomo, ma proprio perché fu scritta nel fuoco di quello svolto che aveva attinto la "fase" termica della rivoluzione teoretica, riflesso che non solo accompagna ma in quel dato punto critico anticipa quella pratica - per attribuire patente di idiozia all'uso che omenoni del 1950 fanno oscenamente dell'aggettivo rivoltante "progressivo".

Con non diversa risorsa attinta tanto dietro di noi ci portiamo al punto di fare spregio di ogni attuale superstizione per il metodo della conta delle opinioni personali equiponderate, e diamo allo stesso titolo del ciarlatano a chi lo impieghi alla scala della società, della classe, e perfino del partito; perché quel misero o lestofante parla di classe e di partito come forze che trasformano la società, ma le pensa come scimmiottate parodie di quella stessa società demoborghese dalla cui sozza poltiglia mai non si potrà disinvischiare.

Quando ad un certo punto il nostro banale contraddittore (che non sa di rimasticare lui senza originalità e senza vita antiche scempiaggini che la dottrina dei nostri testi ha da quel gran tempo liquidate senza salvezza, attingendo alla sola fonte in cui, a grandi tempi, la vita porta sul suo corso travagliato il soffio originale e nuovo, che è morte perdere all'attimo del suo prorompere) ci dirà che noi costruiremo così una nostra mistica, atteggiandosi lui, poverello, a mente che ha superato tutti i fideismi e le mistiche, e ci deriderà coi termini di prostrati a Tavole Mosaiche o Talmudiche, di biblici o coranici, di evangelici o catechisti, gli risponderemo che anche con questo non ci avrà indotti a prendere posizione di incolpati in difesa, e che - anche a parte l'utilità di fare dispetto al filisteo in tutti i tempi rinascente - non abbiamo motivo di trattare come un'offesa l'affermazione che ancora al nostro movimento, fin quando non ha trionfato nella realtà (che precede nel nostro metodo ogni ulteriore conquista della coscienza umana) può essere adeguata una mistica, e se si vuole un mito.

Il mito nelle sue innumeri forme non fu un vaneggiare di menti che avevano occhi fisici chiusi alla realtà - naturale ed umana inseparabilmente come in Marx - ma è una tappa insostituibile della sola via di conquista reale della consapevolezza, che nelle forme di classe si costruisce per grandi e distanziate lacerazioni rivoluzionarie, e che avrà libero sviluppo solo nella società senza classi.

In tutte queste lunghe tappe in cui schiere di avanzati veggenti procedevano tra le tenebre lottando senza posa e risorgendo da ogni rovescio, nelle loro menti non era scienza, ma un mito, e la loro volontà rivoluzionaria non era ancora sapienza, ma mistica soltanto. Ebbene questi miti e queste mistiche erano Rivoluzione, ed il rispetto e l'ammirazione per essi, in quanto lotte che costituivano i rari e lontani scatti in avanti con cui la

società umana ha proceduto, non è in noi sminuita dal fatto che le loro formulazioni sono cadute, e quelle della nostra dottrina sono di ben altro contesto.

I credi delle forme politiche

Non si vede perché il nostro programma storico comunista non dovesse essere ordinato in tavole stabili da rispettare in tutto il corso della lotta per quella conquista che la dottrina anticipò al momento del grande svolto; quando gli stessi borghesi si riportano a principii - sanciti nelle dichiarazioni di diritti dell'uomo, del cittadino, e dei popoli, e nelle varie storiche costituzioni - che alcuni secoli fa ebbero un vero contenuto di lotta rivoluzionaria, ed ancora oggi vengono invocati in formule ad ogni passo chiamate sacre ed eterne malgrado la tremenda usura del tempo. Assistiamo anzi allo scandalo della presente epoca, per cui i sedicenti marxisti che assumevano di avere scavalcato lo stadio di quelle invecchiate superstizioni liberal-popolari e patriottiche, proprio quando pretendono di aver aggiornato il verbo marxista, cadono soltanto a rimasticare le massime umanitarie e pacifistiche proprie dello svuotato pensiero borghese, come per la razzamaglia stalinista.

L'ideologia della forma borghese, quando si formò nel periodo della vitale e prorompente crescenza, respinse indignata le tradizioni cristiano-scolastiche degli antichi regimi di diritto divino, e nel suo giovanile slancio sembrò aver liquidato ogni spirito religioso. Tuttavia dopo la vittoria generale e mondiale la borghesia ricadde sempre più nel rispetto al vecchio fideismo e alle tavole bibliche della morale sociale; che diciamo? Oggi persino i marxisti che volevano andare oltre Marx sono insieme ai borghesi indietreggiati al pietismo millenario e hanno spergiurato il dogma comunista per genuflettersi a quello illuminista borghese prima, e poi indegna combutta con questo al vecchio dogma della credenza religiosa o - che vale lo stesso - della tolleranza per essa, non solo nello Stato, ma come Marx Engels e Lenin a sangue fustigarono, nello stesso partito.

Tutta questa catena dialettica di fasi storiche sta a dimostrare che le forme più stabili e durature dovettero il loro vigore in tutte le fasi, di diverso potenziale, ossia antiformista, che riformista e infine conformista, al loro legame alla sistemazione iniziale in tavole stabili e tradizionali del movimento.

La stessa caduta del movimento nostro in tranelli immani sta a dimostrare quale forza difensiva siano state per la borghesia le sue tavole ideologiche illuministe, che hanno suggestionato in vere tragedie della storia i proletari suoi successori ed affossatori in potenza.

Quanto alle precedenti forme feudali e medioevali la loro ideologia monumentale di partenza ha dato le sue prove resistendo quasi duemila anni, e dimostrando la sua potenza nella organizzazione delle chiese (prima quella cattolica) che dopo tante tempeste ancora incombono e minacciano, e sovrastano anche i popoli dove poté un giorno vincere nonché la rivoluzione borghese, quella proletaria.

Questi movimenti e queste organizzazioni hanno potuto dimostrare il loro peso gigante nella società e nel dramma della sua vita nel tempo, grazie al tener ferma la loro dogmatica e l'ossatura dottrinale della loro predicazione, agitazione ed organizzazione.

Questo carattere delle grandi forme di ordinamento della società e di convinzioni generali si riecheggia con ben altro ritmo e potenza della nostra forma, il cui accanito antiformismo per la prima volta (chiusura della umana preistoria) prelude alla fine delle forme di classe, e non a "conformismi".

Ma ciò a più forte ragione impone la esigenza del movimento di fondarsi sull'inviolabilità di un corpo di tavole dottrinali e programmatiche, a cui nelle urgenze terribili della lunga lotta va, nel seno dell'organizzazione politica di classe, chiesta una obbedienza ed una disciplina (ecco la odiata parola, che è però comoda anche agli "arricchitori"!) senza eccezioni.

Sterile sarebbe ogni disciplina di organizzazione se essa non avesse per base la disciplina stretta ideologica e teoretica. La prima corre il rischio di essere derisa facilmente come soggezione ad uomo o a persona che da fascinatrice per breve china diviene funesta; la seconda non si può ridurre ad omaggio futile a nomi o a genti, ma non può che riferirsi ad un testo scritto, il quale, sia pure in una forma materiale oggi più umile degli antichi incunaboli o della monumentale epigrafica, attinge l'altezza di esprimere un potenziale non individuo, ma proprio della collettività combattente, di un esercito di classe, che per il nostro movimento e per la prima volta nel corso dei secoli identifica in sé - appunto nel possesso geloso di quel credo - la vera consapevolezza illuminata umana che sarà data solo ad una società senza divisioni di classe.

Nel senso di questa sarà risposto per ciascun essere pensante all'enigma insolubile della contraddizione tra determinismo di classe e libera critica. Oggi l'uomo, schiavo del capitale della proprietà e del danaro anche quando sta come singolo tra i loro detonatori, non può gustare la gioia serena della umana consapevolezza aperta senza pericoli in tutte le direzioni. Il problema della conoscenza che tormentò le vigilie del pensiero nei secoli è per noi risolto in quanto oggi la scienza universale futura ha accesso nel seno di un partito, che solo dà il nome alla classe che anticipa il domani. Come il partito sta ancora a mezzo tra la finzione dell'individuo e la meravigliosa conquista "umana" dell'universalità, così nella storia il cemento ideologico che lo contraddistingue sta al di là degli antichi errori che gli versarono il tanto di verità per cui sorsero e dovettero cadere, ma guida e conduce con un sistema di principii che può essere definito ancora una mistica, l'ultima delle mistiche, per cui si lotterà e si cadrà da tanti e tanti non solo nel supremo sacrificio della vita, ma in quello maggiore della gioia di tutto controllare prima di credere, che solo dopo la vittoria alla generazione superstite sarà stata largita da quella ultima che ha avuto la missione di vindice guerriera, in guerra di uomini contro uomini.

Fine

Archivio storico 1952 - 1970