Marxismo e questione militare (5)

La presa della Bastiglia e la grande paura

La crisi politica del 1789, com'è noto, si aprì con la convocazione degli Stati Generali sollecitata dagli stessi aristocratici (tale "rivoluzione aristocratica" non è che una delle tante contraddizioni presenti nell'ancien regime). Nessuno dei tre ordini che componevano tale specie di parlamento feudale (in ordine gerarchico: clero, nobiltà e borghesia o terzo stato) dimostrò di avere idee chiare e volontà precisa sul da farsi, e nessuno sospettava nemmeno ciò che riservava l'imminente futuro. Gli ordini privilegiati, che erano stati i primi a prendere l'iniziativa contro il re, si accorgeranno presto che nessuna riforma finanziaria all'ordine del giorno poteva "migliorare" la società (pio desiderio!) e che invece occorreva cambiarla dalle fondamenta. Ben presto infatti, le discussioni finanziarie cedono il passo a quelle costituzionali, Una questione procedurale sulla maniera di votare porta alla rottura. I rappresentanti del terzo stato fanno il primo esperimento del meccanismo democratico: oppongono la votazione per testa a quella per ordine: il diritto di rappresentare la Nazione che - secondo essi - "non poteva ricevere ordini da alcuno". L'indecisione del Re, favorita dalla disgregazione degli ordini privilegiati (parte dei rappresentanti del basso clero e alcuni nobili, come il marchese La Fayette, passano dalla parte della borghesia), porta già ad un virtuale sdoppiamento del potere con la trasformazione in Costituente dell'Assemblea Nazionale.

Ma prima di capitolare, il re, con un atto di forza, reagisce e tenta di esautorare l'Assemblea e ripristinare il pieno assolutismo. Ma grazie al pronto intervento popolare, il tentativo fallisce e l'Assemblea è salva. L'assalto e la presa della Bastiglia (4/7/1789) da parte del popolo è il primo grande atto di violenza rivoluzionaria. II suo immediato eco nelle altre città fa insorgere tutta la Francia contro i poteri locali del re, mentre nelle campagne si scatena la furia della rivolta contadina contro la reazione signorile. L'intera nazione è scossa e la "grande paura" che segue, arma la rivoluzione, ovvero il popolo, col quale le stesse guardie regie passano a far causa comune. II potere può dirsi ora veramente frantumato, e in modo reale esso può trasferirsi per metà in mano alla borghesia. Solo per metà, perché la borghesia non solo non spinge avanti (e subito) la rivoluzione e si rappacifica col Re, ma ha essa stessa paura della violenza scatenatasi dalle viscere delle masse contadine ed urbane nelle quali l'odio di classe si è andato accumulando in lunghi secoli di servitù.

Sia a Parigi che nel resto del paese la borghesia ha nelle mani i due organi fondamentali del potere: il governo municipale e la guardia nazionale. All'Assemblea Costituente non resta che prendere atto della realtà e nella sola notte del 4 agosto abolisce i diritti ed i privilegi feudali e due settimane dopo, con la "Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo" consacra l'ordine borghese fondato non più sulla nascita e sul sangue, ma sul censo.

La presa della Bastiglia aveva assunto un significato enorme: per la prima volta, dopo secoli di continua ascesa e di dominio assoluto e incontrastato, la monarchia scendeva a patti con altre forze politiche. Questo terribile colpo non solo toglie al Re il suo ruolo di arbitro, ma fa scorgere e prevedere la spoliazione di ogni suo residue potere e perfino l'abolizione dell'istituto monarchico.

A confermare i nuovi rapporti fra le classi e a stabilire più chiaramente la subordinazione del potere monarchico, giungono le giornate del 5 e 6 ottobre (1789) con le quali la violenza della piazza e della strada impongono il trasferimento del Re (che si era rifiutato di sanzionare alcuni decreti legge che dovevano realizzare il nuovo ordine borghese) e della stessa Assemblea da Versailles a Parigi. E' interessante rilevare che queste dimostrazioni popolari, che condussero il Re a Parigi in condizioni di vero e proprio prigioniero della folla, furono meno spontanee delle precedenti (perché organizzate in parte dalla nuova Comune) e videro il concorso della Guardia Nazionale, embrione di esercito rivoluzionario della classe borghese.

Risultati della prima violenza rivoluzionaria (1789/1791)

I risultati dei primi atti insurrezionali della rivoluzione francese appariranno cosa concreta attraverso i decreti-legge che dovranno tradurre in pratica la Dichiarazione dei Diritti, e quando la nuova Costituzione (la prima) sarà del tutto elaborata (1971). Tali risultati consistono essenzialmente in alcune importanti riforme politiche (esempio: ripartizione del potere fra Re e "popolo", cioè borghesia; sostituzione degli intendenti regi con i governi municipali per tutto il paese e riconoscimento della guardia nazionale, ecc.) e riforme economiche (quella agraria, per esempio, attraverso l'abolizione della decima, l'incameramento dei beni del clero, ecc.).

Il nostro compito non consiste in una cavillosa esposizione dei fatti e relativi antecedenti, né in un particolareggiato elenco di leggi, ma piuttosto nell'enucleazione dei fatti più salienti, quelli che gettano luce sulla "questione militare" che per noi altro non è che il problema della rivoluzione, nella comprensione del quale non vediamo una sterile opera culturale, ma una preparazione di partito ai compiti che ci attendono domani. "Senza aver studiato la grande rivoluzione francese, la rivoluzione del '48 e la Comune di Parigi, noi non avremmo potuto compiere la rivoluzione d'Ottobre, pur avendo l'esperienza del 1905, giacché anche quel nostro esperimento "nazionale" l'abbiamo fatto basandoci sulle conseguenze delle rivoluzioni precedenti e continuando la loro linea storica" (Trotsky: Gli insegnamenti di Ottobre).

Sottoponiamo dunque alla nostra critica questi primi risultati ottenuti dalla rivoluzione francese.

La nuova legge elettorale basterebbe da sola a dimostrare la natura classista del nuovo potere e la irresolutezza della borghesia chiusa nel suo ghetto spirito di interesse di classe. Con le elezioni indirette ed a doppio grado per la formazione del nuovo corpo legislativo ordinario (la "Legislativa"), nonché dei consigli comunali e provinciali e relative giunte, i diritti politici vengono limitati ad un numero esiguo di cittadini e precisamente ai più ricchi: "Nella maggior parte degli Stati storici, i diritti accordati ai cittadini sono inoltre graduati secondo il loro censo, e questo solo testimonia che lo Stato è un'organizzazione per proteggere la classe possidente contro quella nullatenente. Questo accadeva già ad Atene ed a Roma, dove la distinzione in classi veniva fatta sulla base della ricchezza. Lo stesso si dica per lo Stato feudale del medioevo, dove il potere politico corrisponde alla proprietà fondiaria; ed ugual cosa per il censo elettorale dei moderni stati rappresentativi". Gli opportunisti moderni e tutti i democratici convinti potrebbero esultare e sentirsi autorizzati a far credere perfino a noi che lo stato moderno con il suffragio universale, ha abolito il censo elettorale e non è più uno stato di classe, ma uno stato di tutto il popolo, per usare il linguaggio di Krusciov. Ma ce n'è anche per loro, stiano tranquilli. "Questo riconoscimento politico della differenza di ricchezza non è tuttavia essenziale: al contrario, esso denota un grado inferiore dello sviluppo dello stato": così Engels continua il meraviglioso passo sopra citato de "L'origine della famiglia". Questo passo convalida ciò che noi nella nostra stampa abbiamo sempre sostenuto, e cioè che per ben capire la natura di classe di un dato regime politico occorre risalire alle sue origini, cioè all'epoca in cui esso è rivoluzionario. Nella società capitalistica odierna, tutto è camuffato perché la classe al potere svolge un ruolo controrivoluzionario, e non è quindi da stupirsi che la menzogna e l'inganno siano stati elevati a legge. Se il censo elettorale toglieva ogni illusione ed ogni contenuto alle parole uguaglianza e libertà, la frase "sub lege libertas" che si può leggere oggi in ogni commissariato di polizia della nostra repubblica democratica, non è meno significativa. Il suo senso ultra-classista è stato troppe volte sperimentato sulle carni vive del proletariato rivoluzionario, il quale ha capito definitivamente che il diritto politico concessogli graziosamente dalla borghesia dominante può effettivamente tradursi nella facoltà di andare al parlamento ed al governo, ma ad una condizione: quella di fare leggi borghesi trasformandosi quindi esso stesso in borghese, ovvero tradendo la propria classe. Questo, in ultima analisi, il ruolo di un Togliatti e quello ancor più esplicito di un Nenni che proprio in questi giorni entra nel governo borghese d'Italia.

Ma torniamo al nostro tema.

Se con la legge elettorale, l'alta borghesia "liberale" non ha voluto permettere, perché le temeva, che altre più radicali teste sedessero nel nuovo parlamento, l'elaborazione della Costituzione, con le prime intenzioni di creare il parlamento sul modello inglese con una Camera Alta (rifugio per gli aristocratici) ed una Bassa, dimostra la timidezza della borghesia e la sua condiscendenza rispetto ai vecchi ordini. Se si pervenne al sistema unicamerale (e quindi alla divisione a metà del potere) CIO fu merito ancora una volta della pressione popolare, che porto alla prima scissione del partito borghese in due ali divergenti: la moderata, di indiscussa fede monarchica e amante del compromesso con la nobiltà, e la radicale più democratica, cioè più sensibile alle spinte dal basso ed al senso storico del sanculotti e delle braccia nude.

A caratterizzare ancor più il nuovo potere borghese basta uno sguardo alla composizione sociale della Guardia Nazionale: essa e composta di soli borghesi e ciò tradisce la preoccupazione della borghesia, di avere uomini armati di propria fiducia. Questa guardia borghese fu creata fin dall'inizio per opporsi alla guardia regia, e in previsione di colpi di Stato da parte del Re; ma le fu affidato pure un altro compito, quello di difendere la proprietà e la legge borghese dalle sommosse popolari. Questa sua natura contraddittoria la farà spesso ondeggiare nel corso della rivoluzione tra le forze moderate borghesi e monarchiche, e quelle radicali piccolo-borghesi e proletarie.

Dopo quanto detto sulle riforme politiche e militari, conviene spendere una parola sulle riforme economiche. Anche esse provano infatti come la rivoluzione sia stata sinora fatta a metà e mettono in luce il volto classista del nuovo potere. Infatti, l'incameramento dei beni ecclesiastici e delle proprietà dei nobili emigrati si tradusse in un vero e proprio trasferimento di ricchezza nelle tasche della borghesia ricca, perché le terre furono vendute a grandi lotti o espropriate con il principio del riscatto. Di qui la delusione dei contadini aspiranti a diventare piccoli proprietari. Si spezza così quel circuito rivoluzionario città-campagna che solo col Terrore - vero governo rivoluzionario - sarà ripristinato per trionfare della rivolta nella Vandea, in buona parte dovuta alla mancata attuazione delle promesse fatte all'inizio ai contadini.

La legge antisindacale Le Chapelier del 17/6/1791, che tende a proteggere i profitti borghesi dagli attacchi dei proletari organizzati, è un'altra perla della nuova legislazione borghese.

La prima controrivoluzione

Com'è sempre avvenuto nella storia, anche durante la rivoluzione francese le vecchie classi non si sono subito rassegnate alla sconfitta ed hanno quindi tentato di riprendere la posizione di privilegio economico e politico alla quale da secoli erano assuefatte. Queste forze di resistenza che la storia incontra sul cammino dello sviluppo sociale rappresentano ciò che chiamiamo controrivoluzione.

In Francia, le forze che tendevano a fermare la ruota della storia si trovavano nella parte più reazionaria della nobiltà e del clero, con in testa la monarchia. Ma la rivoluzione francese, proprio perché era la "grande rivoluzione" della borghesia ed era destinata dalla storia a diffondere il nuovo modo di produzione, non suscitava solo una controrivoluzione interna. Ad essa si univa subito quella esterna e, in primo luogo, quella proveniente da quei paesi più esposti al contagio rivoluzionario, come la Prussia e l'Austria, dove la nobiltà feudale e i principi ed i re temevano le conseguenze minacciose dell'infezione sulle masse sfruttate ed oppresse da secoli. Cade acconcio far notare a questo punto gli effetti di due contraddizioni: una di tipo feudale, che riguardava le forze politiche e sociali al tramonto, e l'altra di tipo borghese che riguardava la nuova classe in ascesa. L'indebolimento della posizione di Luigi XVI ad opera della rivoluzione, in un primo momento non riuscì sgradita ai feudali sovrani d'Europa, gelosi della potenza egemonica che fino allora i Borboni avevano esercitato sul continente; ciò ritarderà il loro intervento armato contro la Francia rivoluzionaria.

Per contro, la gelosia fra la borghesia francese e quella inglese, entrambe tese a stabilire il proprio predominio sul mercato mondiale, farà in seguito passare anche l'Inghilterra nel campo della controrivoluzione; anzi, sarà essa a finanziare le coalizioni europee ed a corrompere gli elementi moderati ed indecisi della stessa Francia. Incredibile ma vero, saranno più di tutti gli Inglesi a dare un contenuto ideologico (Burke) alla controrivoluzione, ed a pretendere di voler "salvare la civiltà". Può stupire oggi che la borghesia imperialista e controrivoluzionaria si allei con le classi rivoluzionarie delle colonie per ostacolarne i moti nazionali rivoluzionari ed anche borghesi, quando nel passato, la prima nazione capitalistica cerco di strozzare sul nascere la consorella nazione francese? Una contraddizione simile la classe proletaria non la conoscerà mai.

Ma anche l'intervento armato inglese contro la Francia non erra subito, perché, come vedremo, attenderà pur esso l'ulteriore indebolimento della monarchia francese che, non molto tempo prima, durante la rivoluzione americana, aveva contrastato la potenza coloniale britannica.

Così, ad un anno di distanza dalla presa della Bastiglia, la Francia festeggiava, in un clima di fraterna solidarietà nazionale, la rivoluzione "compiuta" (così almeno si illudeva l'Assemblea Nazionale). Nel Campo di Marte, a Parigi, Taleyrand celebrò la messa, ed il Re giurò di nuovo la Dichiarazione dei Diritti.

Ma dopo altri sei mesi, e precisamente nella notte tra il 20 e 21 giugno 1791, accadde l'"imprevisto", l"incidente" che di colpo venne ad interrompere l'apparente sviluppo pacifico della rivoluzione, cioè il lavoro parlamentare di preparazione della nuova Costituzione, dei nuovi codici e delle elezioni: il Re Luigi XVI, mentre tentava di fuggire all'estero, presso i rottami della nobiltà emigrata, venne fermato a Varennes. A questa notizia, i circoli e le società popolari, con in testa Cordiglieri e Giacobini, ripresero con più fervore l'attività - peraltro mai cessata - di agitazione e organizzazione di nuovi e più radicali moti di piazza. Sempre a Parigi, focolaio della rivoluzione, e proprio sul Campo di Marte, a un anno di distanza (17/7/1791) dalla precedente manifestazione di "concordia" (la cosiddetta Festa della Federazione), una grande manifestazione che reclamava l'abolizione della monarchia ed il passaggio di tutto il potere al popolo (cioè alla borghesia) venne repressa nel sangue dalle armi della guardia nazionale diretta da La Fayette, su iniziativa del governo municipale e consenziente l'Assemblea. E' questo uno dei primi e più clamorosi episodi che mostrano come quelli che erano stati i due organi fondamentali della vittoria del terzo stato contro la monarchia solo due anni prima, si rivolgano ora contro le masse popolari che l'alta "borghesia teme come il fumo negli occhi, e che vuol tenere soggiogate con la forza, dato che non sa persuaderle che la rivoluzione è "finita". Ma questo palese ondeggiamento fra le forze del passato e quelle del futuro non potrà durare a lungo. Nessun tentativo di Mirabeau riuscirà a conciliare la monarchia con la rivoluzione. II mondo nuovo che sta affacciandosi sulla storia non può edificarsi su basi di falso compromesso. La violenza rivoluzionaria non ha ancora compiuto tutto il suo corso, e nessuna macchinazione reazionaria potrà arrestarla. Anzi, più la controrivoluzione alza la testa e ordisce trame proditorie, più fa arroventare il clima della lotta, più approfondisce la crisi e spinge a sinistra il movimento rivoluzionario, nel quale il ruolo del proletariato, sebbene numericamente debole, si fa sempre più importante. La repressione sanguinosa del Campo di Marte (1791) insegnò cose che nessuna propaganda scritta sarebbe riuscita ad insegnare ed indicò ormai chiaramente che era tempo di spezzare ogni legame residuo di solidarietà fra monarchia e alta borghesia.

La guerra, la nuova rivoluzione ed il crollo della monarchia

Intanto, le lotte seguite all'arresto di Varennes avevano già il loro effetto nel senso di approfondire le divisioni in seno alla nuova Assemblea (la Legislativa) eletta in settembre e in vigore dal 1° ottobre 1791. Alla maggioranza moderata dei "realisti costituzionali" si contrappose una sinistra girondina che per la prima volta mostrò chiare tendenze repubblicane. Le prospettive di nuovi sbocchi rivoluzionari erano avvertite un po' da tutti: non interessavano la sola Francia, ma minacciavano di propagarsi all'estero. In ciò la causa più profonda della guerra che si profilava ormai all'orizzonte. V'erano certo cause oggettive immediate ed anche soggettive che preparavano la guerra; ma la vera causa - come afferma Mehring - è l'impossibilità di coesistenza fra il mondo borghese in via di affermazione piena e completa ed il mondo feudale che finora era rimasto estraneo ai fatti interni della Francia, sia perché non sentiva troppo vicina la minaccia, sia perché, per le proprie contraddizioni interne, era occupato in lotte di tradizionale conquista e spartizione di terre, come in Polonia, ecc..

Ma se ciò è vero, non può disconoscersi che una simile guerra, se non ben preparata politicamente e militarmente, rischiava di compromettere la sorte della rivoluzione, come se ne resero perfettamente conto le forze politiche e sociali più rivoluzionarie, che pertanto si opporranno vigorosamente alle altre forze confluite nel partito della guerra. Riusciranno esse ad intervenire in tempo? Purtroppo, a volere la guerra non saranno solo i monarchici ed i Foglianti, cioè i rappresentanti più moderati della borghesia, ma la stessa sinistra dell'Assemblea, cioè i Girondini. Questi ultimi, a differenza del Re, che sperava dalla sconfitta il ritorno dell'assolutismo, vedevano nella guerra il mezzo per indebolire ancora il potere monarchico ed esaurire al tempo stesso le energie della violenza proletaria tesa ad altri passi avanti sulla via dell'uguaglianza e fino alla distruzione di quel diritto di proprietà che era stato dichiarato sacro ed inviolabile. Stando così le cose, il 20/4/92 l'Assemblea approva la proposta reale di dichiarare la guerra all'Austria (a questa si unirà poco dopo la Prussia).

La giustificazione che veniva data era che la guerra avrebbe rafforzato la rivoluzione e l'avrebbe trasformata da nazionale in internazionale; che insomma sarebbe stata la "guerra per la rivoluzione". Altre volte i partiti borghesi ragioneranno così nel secolo futuro, per esempio nella rivoluzione russa; ma questa tesi sarà da Lenin e dai bolscevichi fatta a pezzi, sia sul piano teorico (siamo infatti già alla fase controrivoluzionaria del capitalismo) che su quello pratico.

Nel 1792 una "guerra rivoluzionaria" era infatti teoricamente giusta, ma c'era un duplice ostacolo - politico e militare - che impediva di tradurla in pratica: in Francia la borghesia non aveva ancora basi solide, cioè non possedeva ancora i requisiti fondamentali per potersi accingere ad una operazione tanto ambiziosa e gravida di rischi: mancavano un governo e un esercito veramente rivoluzionari. Infatti, il governo era ancora nelle mani del Re che trescava con i controrivoluzionari interni ed esterni, e le forze militari erano insufficienti, disorganizzate, e fedeli al Re. Gran parte degli ufficiali del vecchio esercito permanente, in quanto nobili, erano emigrati all'estero, e la guardia nazionale che avrebbe potuto affiancare l'esercito regolare, era pure senza quadri perché, come si sa, durante l'ancien regime ai borghesi era vietato l'accesso al corpo degli ufficiali. In queste precarie condizioni, la guerra non poteva avere che oscure prospettive, e non tardo molto infatti che si registrarono i primi insuccessi sui vari fronti. Dialetticamente, tuttavia, sono proprio questi insuccessi militari a far maturare la rivolta che dovrà creare le condizioni per far fronte ai pericoli esterni. In giugno e in luglio, sotto la pressione delle masse che si spingono fin nella sede dell'Assemblea, i Girondini chiedono urgenti e seri provvedimenti di difesa: in particolare, un "campo" di 20.000 guardie nazionali intorno a Parigi. II rifiuto del Re e la dichiarazione del duca di Brunswick che minacciava la esecuzione militare contro chiunque osasse offendere il Re, provocarono la grandiosa rivolta parigina che culminò nella giornata del 10 agosto '92, in cui una nuova comune rivoluzionaria venne eletta dalle sezioni popolari e si sostituì a quella legale. Sotto la sua direzione, i Sanculotti presero d'assalto le Tuileries ed imprigionarono il Re nel Tempio, sospendendolo da ogni funzione e sostituendolo con un governo provvisorio in cui entrò Danton, il principale organizzatore della nuova comune.

L'Assemblea, ormai dominata dalle masse rivoluzionarie guidate dai Giacobini, si affrettò ad annunciare nuove grandi riforme economiche e politiche. In primo luogo la convocazione di una nuova Assemblea (la Convenzione) da eleggere con suffragio universale, e la creazione di un governo di sua emanazione. Se la rivoluzione del 14 luglio 1789, aveva salvato la Costituente, quella del 10 agosto 1792 aveva condannato la Legislativa, esteso i diritti politici e portato, praticamente, alla repubblica. A ciò non contraddice il fatto che la borghesia francese scegliesse come festa nazionale la data del 14 luglio: non sarà la prima ne l'ultima volta.

Ma prima che si facciano sentire gli effetti benefici di questa seconda rivoluzione, nuovi insuccessi militari vengono a confermare le apprensioni di coloro che avevano a suo tempo osteggiato la guerra: il 20 agosto è investita Longwy e il 2 settembre Verdun capitola. Questi fatti, più la minaccia d'invasione incombente su Parigi ed il tradimento di La Fayette, che dopo l'arresto del Re passa agli Austriaci, mettono nuovamente in moto le masse decise a difendere a tutti i costi la rivoluzione e a non tornare indietro. Nelle giornate del 5 e 6 settembre 1792 esse invadono le prigioni e massacrano i nobili, i preti e gli altri controrivoluzionari che vi avevano prima rinchiusi. Grazie a questa nuova e salutare azione del primo terrore rosso, la Francia rivoluzionaria accorre alle armi a difendere "la patria in pericolo", come proclamano i Giacobini che, d'ora in poi, diverranno i patrioti per antonomasia. E' questo un caso della storia in cui la "difesa della patria" assume un significato altamente rivoluzionario; nel secolo XX, in Europa, specie nella fase attuale del pieno imperialismo, l'appello alla difesa della patria e invece atto puramente controrivoluzionario, e nessuna propaganda stalinista riuscirà ad alterare questa limpida verità.

Come abbiamo visto, proprio quelle forze che si erano poste in un primo momento alla dichiarazione di guerra ne sono diventate ora le più fervide sostenitrici: i pericoli per la rivoluzione che essi avevano previsti e paventati erano divenuti ormai realtà, e pertanto l'unico dovere era di farvi fronte con la massima energia, battendo nel contempo i reazionari interni, dichiarati o semplicemente sospetti. L'afflusso di energie fresche e patriottiche, del volontari, rafforza l'esercito che, grazie anche alla guerriglia dei contadini, il 20 settembre ferma i prussiani a Valmy e li costringe di lì a un mese a ripassare la frontiera. II 6 novembre, a Jemappes, esso riporta la prima grande vittoria militare e libera il Belgio dalla dominazione austriaca. Nel marzo 1793 la Francia raggiungerà anche all'Est le sue frontiere naturali.

Giova ripeterlo: queste importanti vittorie militari sugli eserciti stranieri furono il risultato dialettico della vittoria sulla controrivoluzione interna, a sua volta prodotto dialettico delle prime sconfitte riportate in guerra. E' ciò che all'inizio di questo lavoro abbiamo appunto indicato come "rapporto dialettico fra rivoluzione e guerra".

Con il 10 agosto 1792, cioè con l'arresto del Re, un altro grande risultato era stato raggiunto dalla rivoluzione: la monarchia era praticamente caduta. Ufficialmente, ciò sarà decretato all'indomani di Valiry dalla Convenzione (eletta dopo Il stragi di settembre) nel giorno in cui si riunirà per la prima volta. In quello stesso giorno (21/9/'93) la nuova Assemblea dei rappresentanti della borghesia, che ha ormai nelle mani tutto il potere politico, decreta all'unanimità la Repubblica. Ma anche questa unanimità - si noti bene - è stata il frutto della pressione delle masse che hanno appreso ad invadere la sede dell'Assemblea quando essa deve prendere importanti decisioni: è questo un esempio di parlamentarismo rivoluzionario nel quale appunto la minoranza rivoluzionaria (i Giacobini) riesce ad imporre la sua volontà alla maggioranza moderata (i Girondini).

Nuove crisi: la Vandea e l'esecuzione di Luigi XVI

Se parliamo ancora di maggioranza moderata (la "Gironda") vuole dire che la Convenzione non era ancora quell'Assemblea che aspettavano e volevano le forze più sinceramente rivoluzionarie ed i più radicali ed intransigenti partiti politici. In effetti, i Girondini erano prevalsi perché le violenze del settembre '92 (5 e 6) mentre a Parigi - dove si erano manifestate - facevano disertare le urne a una parte della borghesi, in provincia ne avevano fatto serrare le fila. In tali condizioni, non si poteva dunque avere un governo forte e veramente rivoluzionario, deciso ad ogni costo a sconfiggere definitivamente la controrivoluzione interna sempre più minacciosa e pericolosa, perché riusciva a guadagnare una parte dei contadini e a schierarsi contro la rivoluzione: e questa la Vandea, dal nome della zona occidentale della Francia nella quale ebbe il suo fulcro. Ma se gli agenti della controrivoluzione e in primo luogo i "preti refrattari" (quanti, a differenza dei "costituzionali", non vollero giurare la Costituzione) poterono sobillare i contadini, ciò, in buona parte, fu possibile proprio perché la politica dei governi passati non era stata energica come sarebbe stato necessario contro di essi e perché aveva sempre deluso le aspirazioni fondamentali delle popolazioni rurali. Queste s'attendevano dalla rivoluzione non solo l'abolizione dalle servitù personali ma anche la liberazione da quelle reali, da quelle cioè che gravavano sulla terra, e la restituzione delle proprietà confiscate insieme a un serio alleggerimento delle imposte. Alle ostilità dei piccoli proprietari che volevano l'affrancamento totale dal giogo feudale, si aggiungerà in seguito quella della vecchia e nuova borghesia rurale, quando OVRA sopportare i prelevamenti forzati o il pagamento con moneta svalutata delle derrate agricole che gli sforzi della guerra esterna richiedevano. Questa stessa guerra esterna infine non potrà essere mai diretta dai governi girondini con quella energia che la disperata situazione di fortezza assediata richiedeva.

Di fronte a questi gravi problemi interni ed esterni, era inevitabile che la crisi politica dei primi mesi del '93 si aggravasse ulteriormente e generasse un ulteriore spostamento a sinistra del movimento rivoluzionario. E' così che i Girondini, che avevano rappresentato la sinistra della Legislativa, si trasformeranno nella destra della Convenzione, e saranno scavalcati dalla nuova generazione rivoluzionaria dei Giacobini. Ma ancora e sempre, il motore della rivoluzione e dato dalla lotta armata delle masse popolari e specialmente proletarie sfruttate delle città. Sono esse che, tenendo lo sguardo fisso in avanti, verso l'avvenire, il loro avvenire, si schierano contro i governi girondini, ma per spingerli nella direzione opposta a quella in cui punta il malcontento di una par te dei contadini. Non Sara questa l'ultima volta nella storia che i contadini mostrano l'incapacità di svolgere quel ruolo di direzione del movimento rivoluzionario, che invece è in grado di assumere il proletariato fin dal suo primo tentativo di costituirsi in classe, cioè in partito. La spinta in avanti che sanculotti e braccia nude imprimeranno ancora alla rivoluzione minacciata provocherà la rottura fra i partiti della Convenzione. E ciò Sara salutare per far fronte in primo luogo alla disastrosa situazione economica del paese, il cui termometro era la crescente svalutazione dell'assegnato e in cui urgeva una regolamentazione del commercio da far rispettare con la ghigliottina, così come propugnavano e propagandavano con fervore e audacia i partiti agenti fuori dell'arena parlamentare, cioè gli Hebertisti e gli Arrabbiati. Essi avanzano già rivendicazioni egualitarie non solo sul piano politico ma anche economico e sociale: senza uguaglianza economica, ogni proclamata uguaglianza dei diritti politici e vuota di contenuto. Ma ciò significava per la destra girondina e per il centro (la cosiddetta pianura o palude della Convenzione) un vero e proprio pericolo per le conquiste borghesi già realizzate e alle quali essi non volevano certo rinunciare. La sinistra della Convenzione invece (la cosiddetta Montagna, formata da Giacobini e Cordiglieri), pur volendo in fondo le stesse cose della destra e del centro, considerava utile e necessario allearsi con i sanculotti hebertisti ed arrabbiati per assicurare le conquiste ancora minacciate dalla controrivoluzione: "Bisogna che il popolo faccia lega con la Convenzione, e la Convenzione si serva del popolo", diceva Robespierre.

La rottura fra i due maggiori partiti della borghesia (i Giacobini ed i Girondini) in seno alla Convenzione si manifestò subito dopo la proclamazione della repubblica. Si tratta va della sorte del Re. Era evidente che, al punto in cui era no giunte le cose, un Re in una repubblica non aveva più diritto di cittadinanza: la stessa persona fisica, finché vegeta e viva, avrebbe ancora alimentato illusioni in un possibile ritorno all'indietro, alla monarchia. La coerenza e la logica dei fatti ne reclamavano dunque la fine completa ed a nulla valsero le richieste dei Girondini di usare indulgenza e di rimettersi al giudizio del popolo. II 21 gennaio 1793, Luigi XVI salì il patibolo in Piazza della Rivoluzione.

La coalizione europea

L'esecuzione del re fu il pretesto di cui si servi l'Inghilterra per intervenire contro la Francia ed organizzare e finanziare la lotta armata contro la rivoluzione ad opera della maggioranza dei paesi dell'Europa ancora feudale: Austria, Prussia, Spagna, Portogallo, principi dell'impero, e quasi tutti gli stati italiani ed il papa.

In realtà, l'interesse che muoveva l'Inghilterra era tipicamente imperialistico: essa voleva escludere la Francia dal Belgio, dove la guerra varcando i confini strettamente difensivi, aveva portato i suoi eserciti con la vittoria di Jemappes. La guerra aveva trasformato la liberazione del Belgio in opera di conquista e stava già estendendosi verso l'Olanda; con ciò la porta d'accesso delle merci inglesi all'Europa continentale sarebbe stata chiusa. Ma, prima ancora che la borghesia francese avesse dato solide basi al suo dominio politico all'inferno e riprendesse la gara per la conquista del mercato mondiale, già in atto sotto la monarchia, l'Inghilterra, che aveva aspettato che la rivoluzione indebolisse la potenza francese, ruppe ogni indugio e si buttò a capofitto nella guerra che per altri vent'anni insanguinerà l'Europa e che pur fra contraddizioni notevoli ara il colpo più decisivo alle vecchie strutture economiche e politiche ed a quelle territoriali degli stati che ne saranno teatro.

Ci interessa per ora esaminare gli effetti della prima coalizione antirivoluzionaria. Riuscirà essa ad arrestare il corso della lotta interna oppure, come la guerra contro Austria e Prussia nella quale si innesta per continuarla, Sara un nuovo fattore di ripresa rivoluzionaria? I fatti hanno dimostrato che il grande processo storico che aveva sconvolto dalle fondamenta tutta la società doveva giungere allo stadio del suo sviluppo finale. La giovane repubblica francese troverà la forza di colpire le ultime e più furiose resistenze armate della controrivoluzione interna ed estera. Ma dove troverà questa forza? La risposta e semplice: negli strati popolari e soprattutto nel nascente proletariato nel suo sforzo di costituirsi in classe, cioè di elaborare il suo programma storico di partito nella forma elementare e spontanea che le condizioni d'allora permettevano. E' in queste lotte sanguinose che le prime intuizioni e previsioni dell'immancabile mondo comunista futuro si affermano e prendono concretezza.

La disfatta di Neerwinden del l8 marzo 1793 arresta di colpo l'avanzata dell'esercito francese verso l'Olanda, e costringe ad abbandonare anche metà del Belgio. Di nuovo il pericolo dell'invasione si profila all'orizzonte e fa da catalizzatore delle tensioni già esistenti fra le varie forze politiche. La Vandea ancora in fiamme resisteva all'inferno. Che fare contro questi due pericoli? Se dopo Jemappes, il torrente rivoluzionario era tornato nel suo alveo, ora si gonfia nuovamente per spezzare le ultime dighe. II fermento popolare, sotto l'incalzare dei rovesci militari e della fame, aggravata anche dal blocco navale inglese, sale ogni giorno, e a Parigi si rivive l'atmosfera di settembre. E' nell'aria la sensazione che sia necessario settembrizzare anche gli ultimi reazionari. I sobborghi reclamano misure di terrore e di salute pubblica, e le sezioni popolari chiedono l'istituzione di un tribunale rivoluzionario che giudichi senza appelli e ricorsi. Alla Convenzione non resta che accogliere tali rivendicazioni, nonché quella di un governo forte, adatto alla situazione di emergenza, come richiesto da Robespierre. E' il periodo del parlamentarismo rivoluzionario cui abbiamo accennato sopra. Già il 16 marzo, i rappresentanti dei sanculotti avevano indirizzato alla maggioranza girondina un monito severo: "Non dimenticate mai questa terribile verità: se proveremo dei rovesci, se il nemico penetra nell'interno ... in mezzo in mezzo a questo rovesciamento generale, il popolo indignato si vendicherà del vostri oltraggi e dei vostri tradimenti e voi perderete allo stesso tempo i beni e la vita". I Girondini, spaventati, tentano ancora una volta di negoziare col nemico. II 2 aprile, il generale Dumouriez, con un brusco colpo di testa, invita i suoi soldati a marciare su Parigi "per far cessare la sanguinosa anarchia che vi regna" e "purgare la Francia dagli assassini e dagli agitatori".

In complicità con il generale austriaco Coburgo, egli progettava di spezzare la Comune rivoluzionaria, disperdere i Giacobini e procedere a nuove elezioni per ristabilire la monarchia. II terzo battaglione volontari di Yonne, guidato da Daout, gli sbarrò la strada e lo costrinse a volgere le terga. Questo atto di indisciplina salvò Parigi dalla controrivoluzione. I sanculotti dell'esercito cessarono di obbedire ciecamente ai loro ufficiali.

Verso la dittatura giacobina

II momento della fine della Gironda va dunque avvicinandosi. II prestigio che i Girondini godevano nel paese e che si erano assicurato quando, servendosi della Comune e di Santerre (un popolano messo a capo della Guardia Nazionale), avevano sconfitto i realisti costituzionali ed avevano in seguito mietuto vittorie militari, viene a cadere con i nuovi insuccessi contro la Vandea e contro i coalizzati.

II 28 marzo, alla notizia che Dumouriez si preparava a marciare su Parigi, 27 sezioni, su iniziativa dell'"arrabbiato" Varlet, nominano dei commissari che si riuniscono all'Arcivescovado assumendo il nome di "Assemblea centrale di Salute Pubblica e di Corrispondenza con tutti i dipartimenti della Repubblica per la salvaguardia del popolo". La stessa borghesia montagnarda, cioè la sinistra della Convenzione, è presa dal panico. La lotta si inasprisce giorno per giorno ed i Girondini passano all'offensiva anche alla Convenzione, attaccando Danton (pur diventato già uomo di centro), Marat e gli altri montagnardi. A questi ultimi non resterà che seguire gli Hebertisti e gli Arrabbiati che, come si è visto or ora, hanno preso l'iniziativa della lotta ad oltranza contro i Girondini, rappresentanti della borghesia agiata.

II 6 aprile, al Comitato Esecutivo, primo governo ordinario della repubblica, viene a sovrapporsi un Comitato di Salute Pubblica, di cui è ora a capo Danton e fra due mesi lo sarà Robespierre.

Allo scopo di prendere nelle mani la direzione del nuovo movimento rivoluzionario delle masse proletarie e popolari e di ogni azione violenta nel campo extralegale ed extraparlamentare, i Giacobini si accordano con i Sanculotti. E naturalmente sanno manovrare in modo da assicurarsi la testa degli organi dirigenti l'insurrezione, attraverso la fusione di tre di tali organismi: il Comitato insurrezionale di recente costituitosi, la Comune e il Direttorio Dipartimentale. La sera del 30 maggio 1793, il comitato insurrezionale di cui fa parte Varlet, lancia l'appello al popolo di Parigi per l'insurrezione dell'indomani. Alle 3 del mattino del 31 maggio, la campana di Notre-Dame suona a martello e si chiudono le barriere della città. Verso le 5, la Convenzione, che solo pochi giorni prima aveva fatto arrestare i magistrati della Comune, soprattutto gli arrabbiati Roux e Varlet, viene invasa dai rivoluzionari che subito intimano l'arresto dei capi girondini ed altri provvedimenti. Concedendo lo scioglimento di un comitato da essi costituito per sorvegliare gli "abusi della Comune", i Girondini possono momentaneamente resistere. Ma solo due giorni dopo, il 2 giugno, l'impresa è ripetuta con tutte le regole: Hanriot, eletto capo della Guardia Nazionale composta ora in buona parte di popolani, fa circondare la sede della convenzione con i suoi cannoni caricati, e blocca i Girondini, che i fucili dei sanculotti con Marat alla testa impediscono di fuggire. Ventinove dei principali deputati girondini vengono arrestati, e con questa epurazione la Convenzione inizia un nuovo corso: si entra in una fase finale della dittatura di classe e della definitiva vittoria della rivoluzione.

Da "Il programma comunista" nn. 23 del 1961, 1-9-10 del 1962, 5-12-13-23 del 1963, 1-2-13-14 del 1964, 6-7-8 del 1965, 2-3-4-1-12-13 del 1966.

Archivio storico 1952 - 1970