Anatomia del capitalismo prossimo venturo

Philip K. Dick, Le presenze invisibili. Tutti i racconti, Oscar Mondadori, 4 volumi, pagine complessive 1.860 € 31.

Uno dei racconti dell'antologia è Minority report, da cui a Hollywood hanno recentemente tratto un film piuttosto banale, ma che sta facendo parlare molto dell'autore. E fa anche vendere i suoi libri. Non successe né con Blade runner né con altri racconti e film. Non può essere solo un'operazione commerciale, perché si sa che il marketing per funzionare deve individuare un target, senza il quale non si vende un bel nulla. Del resto non abbiamo mai avuto simpatia per la legge di Say, secondo la quale una merce produce da sé il suo compratore col solo fatto di esistere. Allora si faccia un esperimento, si vada per librerie o meglio ancora per bancarelle e si veda cosa c'è in vendita: scomparsa dalle letture la fantascienza "sociale" degli anni '50-60, i libri di Phol, di Ballard e di Sheckley rimangono invenduti, mentre non si trova un volume di Dick a pagarlo oro. Da ben prima che uscisse il film. È dunque l'unico autore dell'epoca ancor letto da molti. Allora la questione è: perché Dick è così letto proprio adesso mentre non lo era in vita? Perché è così ricercato mentre gli autori un tempo più famosi di lui non vendono più? Il vecchio film di Ridley Scott era un capolavoro in confronto a quello recente, ma aveva avuto successo in quanto film, non perché era tratto da Dick. Avanziamo un'ipotesi: sono trascorsi altri trent'anni di putrefazione capitalistica, e in qualche modo questo trascorrere è avvertito da lettori e spettatori. Non importa se in modo consapevole.

Misconosciuto dunque in vita e morto in miseria, Dick è un autore che adesso fa vendere perché coinvolge con emozioni viscerali legate al divenire sempre più decomposto del capitalismo. Con i suoi personaggi ci s'identifica per forza. Ed è meglio frequentarli attraverso la lettura, soprattutto dei racconti, più sintetici ed efficaci dei romanzi. Dick mostra di essere un gran narratore della degradazione dell'uomo capitalistico attuale nonostante lo faccia muovere in ambienti di varie società future. Lo sfondo delle storie non è quasi mai la megalopoli né il fantasioso pianeta. Esse si caratterizzano piuttosto per l'assenza di ambiente, per una specie di vuoto sociale, lo stesso che c'è nella società americana così com'è. Chi legge non può fare a meno di registrare la potenza descrittiva di un artifizio così semplice: il futuro è ottenuto con la sola proiezione del presente deformato.

Leggiamo per esempio di un gran computer che, attraverso l'accostamento di una serie di parametri sociali, scopre l'avvento della dittatura su un certo pianeta. Eppure gli ispettori del governo centrale, prontamente inviati, non trovano niente di strano, là vige una democrazia perfetta. È il pianeta capitalisticamente normale che suggerisce al computer, cioè a una macchina non ideologizzata, tutti i dati della dittatura (borghese). Di esempi del genere ce ne sono molti e i giochi fra la realtà virtuale che vivono i personaggi e la realtà effettiva che qualche artifizio fa emergere sono numerosi. In un altro racconto il sistema automatico di produzione per la produzione sopravvive al disfacimento della società umana e continua a trasformare minerali in merci, ottusamente, senza fine, anche se non ci sono più uomini a sufficienza per consumarle. I sopravvissuti tentano di distruggere la rete di fabbriche, ma essa si auto-ripara e, quando è messa veramente in pericolo dalla determinazione degli umani ed è creduta "morta", incomincia a emettere bozzoli-mini-fabbriche in grado di crescere e riprodursi fino ad assumere la capacità di raggiungere la velocità di fuga e riempire l'universo.

Il lettore si sbizzarrisca a trovare nei racconti una costante "profetica" tra la finzione e la dinamica reale. Ed è sorprendente quanto funzioni bene il meccanismo della semplice descrizione della vita quotidiana proiettata nel racconto. Non si tratta di profezie fantascientifiche. Dick non anticipa quasi nulla di tecnologico, non ne azzecca una come futurologo, gli aggeggi che descrive sono di un primitivismo disarmante, quasi a ironizzare sulle sorti magnifiche e progressive dell'umanità, così orgogliosa, anzi, tronfia della sua scienza. Quel che profetizza in modo magistrale è l'impossibilità per la società attuale, se pur sopravviverà nel tempo, di modificarsi. Questo è detto con insistenza ossessiva, e spesso gli unici barlumi di umanità vengono da mondi estranei, da un qualcosa di completamente diverso dal mondo inumano conosciuto e vissuto quotidianamente (come per esempio nel racconto Umano è). Insomma, sembra proprio che Dick sia un autore da difendere contro ogni banalizzazione mediatica.

Nelle sue storie l'individuo è schiacciato dalle forze immani del sistema e deve lottare contro di esse per una salvezza concreta. Che ci riesca o meno, non c'è mai ideologia, solo buona prassi americana, come quella memorizzata dal computer superintelligente (ma nello stesso tempo tanto "stupido" da non capire le delizie della democrazia). Il mondo in cui si muovono i personaggi dickiani è sempre ostile, non per la retorica del racconto, la quale ha bisogno di azione e di lotta, ma perché il mondo capitalistico è così. Una volta un critico scrisse che le storie di Dick erano profonde. Lo scrittore commentò che non aveva capito niente, che erano soltanto spaventose. In effetti la descrizione della vita quotidiana, così normale, traslata in un contesto diverso a soli fini narrativi, produce incubi realmente spaventosi.

Stabilito un minimo di condizioni iniziali, ogni racconto va avanti da solo in modo assolutamente deterministico, diremmo newtoniano, con una meccanica perfettamente consona alla realtà riprodotta. In genere verso una catastrofe. Non c'è niente di più spaventoso, per il borghese, dell'andamento catastrofico della sua società. Comunque, se in un racconto la vede durare per altri mille anni, può darsi che sorvoli sulle implicazioni sociali e si accontenti davvero di vedere in esso un qualcosa di profondo. Tutto sommato al Capitale non interessa la felicità degli uomini, gli basta durare, continuare ottusamente ad accumulare in un deserto sociale, come le fabbriche del racconto, in mezzo a un'umanità resa impotente.

Dick scriveva spesso per la pagnotta. La tecnica di proiettare nel futuro l'America quotidiana era quindi la più sbrigativa, ma gli faceva anche produrre piccoli capolavori. Che sono secondo noi operazioni di alta "topologia" letteraria: chiamiamola "proiezione di invarianti nel tempo secondo trasformazioni". L'angoscia, il dolore, lo smarrimento dei personaggi sulla scena sono gli stessi sentimenti di un'umanità compressa in un guscio che non le corrisponde più. Non c'è mai in Dick una rappresentazione del "bene" sotto le forme del potere capitalistico. Egli descrive in modo così efficace il fascismo democratico normale che evita quello buonista e paternalistico, tecnologico e rétro degli eroi tradizionali. Insomma, a differenza di tanti suoi colleghi, evita Nietzche e adopera Darwin. È feroce con la parvenza di libertà e democrazia, che tratta quindi con umorismo sarcastico e fulminante.

Se è vero che la società futura si evince dalla descrizione scientificamente esatta del capitalismo, ebbene, Dick offre al lettore più di una chiave per sentire che cosa si debba negare per affermare una società che giunga alla metamorfosi completa con la rottura rivoluzionaria. Non si può chiedere di più a un autore di fantascienza.

Rivista n. 9