Un'antica forma sociale comunistica già urbana

"Ogni lavoro sociale eseguito su grande scala, ha bisogno di una direzione che assicuri l'armonia delle attività individuali e assolva le funzioni generali derivanti dal movimento del corpo produttivo globale. La cooperazione nel processo lavorativo dominante agli albori della civiltà umana poggia sul possesso comune delle condizioni della produzione e sul fatto che l'individuo non ha ancora spezzato il cordone ombelicale che lo unisce alla comunità o alla tribù. Gigantesco appare l'effetto della cooperazione semplice nelle colossali opere degli antichi Asiatici, Egizi, Etruschi ecc." (Marx, Il Capitale, Libro I, cap. XI).

La storia delle popolazioni che abbandonarono il comunismo primitivo e iniziarono ad allevare, a coltivare ed insediarsi in agglomerati urbani, è ancora tutta da scrivere. Mentre lo sviluppo della divisione sociale del lavoro e la separazione in classi è una rivoluzione abbastanza documentata, anche se attraverso il filtro delle classi dominanti, il passaggio a forme sociali evolute, urbane, ma ancora improntate a rapporti comunistici, è del tutto trascurato, nonostante le evidenti attestazioni archeologiche.

Lo stadio rudimentale in cui si trova la ricerca storico-archeologica a proposito dei modi di produzione antichi è certamente dovuto a difficoltà oggettive, ma pesa soprattutto il pregiudizio ideologico che fa passare in secondo piano l'esigenza di conoscere com'erano veramente organizzate le comunità che hanno preceduto le civiltà classiste. È abbastanza diffusa, per esempio, l'abitudine di considerare le società sudamericane come genericamente "pre-incaiche", nel senso di omologate arbitrariamente sul solito modello di sviluppo "asiatico" che in realtà non ha mai funzionato neppure per l'Asia. Persino specialisti che studiano e classificano sul terreno, nelle campagne di scavo, cadono in questo luogo comune.

Al di là di ogni semplificazione le società sudamericane presentano caratteri diversissimi tra loro se osservate in ordine cronologico, ma dalla preistoria all'arrivo dei conquistatori spagnoli mostrano similitudini perfino ossessive a distanza di millenni, ricorrenze stilistiche utilissime per capire le determinazioni materiali che obbligano l'uomo a "scoprire" sempre le stesse vie nel cammino verso forme superiori.

In Perù, nella valle del Supe, sono noti da tempo 18 siti archeologici molto antichi, appartenenti ad una stessa comunità organizzata. In passato erano stati considerati poco importanti, soprattutto per l'assenza di ceramica, sepolture, oggetti d'oro, insomma di tutto ciò che normalmente stimola l'attività dei tombaroli prima ancora della curiosità scientifica. Oggi fortunatamente si hanno a disposizione i mezzi necessari per trarre molta informazione anche dai siti "poveri", quindi nella valle si è scavato.

Nel sito maggiore, Caral, è stata così scoperta una serie di costruzioni che sorgono su una terrazza montana a una ventina di chilometri dal mare. Sei grandi piattaforme in pietra a gradoni occupano l'area centrale vasta 65 ettari. Queste "piramidi" sorgono al limite di piazze lastricate, scavate nel terreno e circondate da edifici rituali. La costruzione più imponente, sempre a gradoni, ha una base di 150 per 160 metri ed è alta 18. I saggi di scavo hanno rivelato quasi sicuramente un solo periodo di costruzione, al massimo due, fatto che presuppone un cantiere pianificato, di solito associato all'esistenza di classi e di uno Stato. Gli edifici mostrano scalinate, vasti ambienti coperti e cortili. Lo schema urbano è quello tipico di una società che conduce un'esistenza fortemente improntata alla vita "esterna" all'abitazione famigliare, dove gli spazi e soprattutto le attività sono comuni e il lavoro è ancora in gran parte indifferenziato. Un'esistenza, quindi, con forti caratteri comunistici. La "cooperazione semplice" è infatti un tratto comune, invariante, in tutte le società abbastanza arcaiche da non fare differenza fra il lavoro quotidiano di tutte le famiglie della comunità e le prime forme di coordinamento centralizzato, compreso il progetto di grandi opere. In tali società, anche quando raggiungono forme urbane ragguardevoli, si mantiene molto forte l'indifferenza del lavoro, cioè non esiste il "mestiere", in quanto il contadino è nello stesso tempo cavatore di pietra, scalpellino, muratore, carpentiere, artigiano, spesso anche cacciatore e pescatore.

Gli abitanti dell'antica valle del Supe facevano parte di una società sulla quale non si sa assolutamente nulla, quindi la lettura di queste monumentali tracce proto-urbane risulta meno disturbata dalla storia e dalle stratificazioni ideologiche, così deleterie per i resoconti degli archeologi e degli storici. Ovviamente anche gli scavatori di questo sito, quando traggono le loro conclusioni, non possono fare a meno di utilizzare l'armamentario lessicale che questa società mette a disposizione. Ma le tecniche moderne di scavo e le incognite che gravano sulla "civiltà" in questione impongono di classificare, collegare, valutare i reperti; perciò siamo in grado di studiare sul piano materialistico i problemi legati al divenire sociale senza che l'ideologia dei ricercatori sovrasti e confonda i risultati della ricerca.

La "piramide" maggiore di Caral, l'unica esplorata finora, mostra ben evidenti i terrazzamenti e i rivestimenti in pietra rozzamente squadrata. Sulla sua sommità vi è una spianata su cui sorgevano diversi ambienti preceduti da un atrio monumentale e da un grande braciere a fossa con segni di un intenso utilizzo. Fra i materiali di riempimento della costruzione – sassi e terra recuperati dalla bonifica dei campi, dallo scavo dei canali e dal livellamento delle grandi piazze – sono stati trovati i resti dei sacchi usati per il loro trasporto e molto materiale organico (avanzi di cibo, cotone e steli di una canna annuale) che ha permesso di datare le fondamenta con assoluta precisione. La misurazione con il metodo del radiocarbonio è stata affinata comparando la crescita di quel tipo di canna in vari anni, e si è giunti a stabilire che la costruzione era in corso nell'anno 2627 avanti Cristo, cioè quattro millenni prima che gli Aztechi e gli Incas fondassero i loro domini.

Gli uomini di Caral, pur organizzati in una forma urbana complessa, erano evidentemente ad uno stadio anteriore a quello che Marx ed Engels definiscono della barbarie superiore. Il periodo è precedente all'uso della ceramica e all'introduzione della coltura dei cereali, entrambi apparsi in Perù intorno al 1800 a.C.; non è conosciuta la lavorazione dei metalli, si usano strumenti di pietra, legno e osso, contenitori di vimini, borse di fibra, il tutto molto grezzo e fabbricato all'occorrenza. Tuttavia la forma sociale di Caral, invece di presentare caratteri arcaici, tipici della protostoria sudamericana, è perfettamente sviluppata, urbana, con edifici in muratura di pietra o adobe (un mattone di fango e paglia adoperato ancora oggi) intonacato e dipinto, con segni di una evoluta organizzazione e, soprattutto, di una grande capacità pianificatrice. Intorno al centro urbano vi sono infatti terrazzamenti artificiali per le coltivazioni e reti d'irrigazione, segno che gli abitanti erano capaci di un grande sforzo collettivo non solo per costruirsi una città ma per metterla in armonia con il suo territorio, minuziosamente strutturato e quindi in grado di produrre cibo abbondante in campi irrigati, di permettere la coltivazione del cotone utilizzato in una tessitura evoluta.

Nonostante il clima desertico e il terreno poco fertile, la comunità della valle del Supe disponeva evidentemente di una grande quantità di energia, cioè di molti uomini che avevano tutti largo accesso al cibo prodotto. L'impianto urbano prevalentemente ad uso collettivo e la struttura delle canalizzazioni e dei terrazzamenti escludono un'agricoltura a base famigliare di pura sussistenza, per cui doveva esistere una produzione regolata da qualche forma di autorità centrale in grado di coordinare l'ammasso e la distribuzione degli alimenti, come del resto è accertato anche per le società presenti al tempo dei conquistadores spagnoli. Ci si troverebbe dunque di fronte ad una tipica forma di barbarie intermedia (stadio mai superato sul continente americano fino all'arrivo di Colombo), ma con caratteri arcaici assai contraddittori. Risulta infatti che una struttura urbana e agraria molto avanzata – la stessa che in Mesopotamia aveva dato luogo a forme statali e proto-classiste – sia stata qui utilizzata da una forma sociale ancora legata a residui comunistici primitivi, peculiari della preistoria. Una vera e propria forma di transizione.

Come si diceva, i responsabili dello scavo, pur avendo accumulato una gran quantità di dati oggettivi e pur avendoli descritti compiutamente, li hanno tuttavia "interpretati" con il filtro dell'ideologia dominante e ci descrivono una società più o meno come quelle precolombiane classiche. Si stupiscono che una comunità senza cereali e senza magazzini – i cereali, essiccabili e immagazzinabili, sono l'unica forza motrice che sta alla base dello sviluppo della forza produttiva sociale di tutte le civiltà – potesse essere così organizzata; nello stesso tempo, osservando le strutture abitative differenziate con in mente società più evolute, ci parlano di classi, una categoria sociale che nelle Americhe non è mai esistita, neppure quattromila anni dopo. Gli Incas e gli Aztechi, infatti, non conoscevano una divisione sociale in vere e proprie classi: essi ebbero modo di provare sulla loro pelle questa "novità" soltanto dopo che i conquistadores l'importarono dalla civile Spagna e tentarono senza successo di ridurli in schiavitù.

Gli archeologi annotano che sono assenti i segni inequivocabili della civiltà, come palazzi del potere, templi dedicati a divinità specifiche, magazzini, oggetti "artistici", ornamenti e gioielli che distinguono il ceto, armi, sculture celebrative; però ipotizzano, chissà perché, l'esistenza di uno Stato e di una classe religiosa al potere. Non è ancora stata trovata traccia di una necropoli, struttura che, riproducendo casa, vita e abitudini dei sepolti, solitamente è lo specchio della società che la costruisce e rappresenta una delle fonti primarie, anche in America Latina, della conoscenza sulle società antiche, sulla loro composizione sociale.

Per gli archeologi la ricca diversità dell'alimentazione e l'imponenza delle costruzioni dev'essere per forza dovuta a un popolo di "contadini, costruttori e artigiani", quindi già con una divisione sociale del lavoro. Nella loro descrizione di questa società, non ancora giunta neppure allo scambio primordiale, quello fra eccedenze, inseriscono persino i "mercanti", dato che gli abitanti di Caral integravano i pasti a base di zucche, fagioli, patate, avocado, arachidi e altre specifiche piante andine, con il pesce proveniente dalla costa. Probabilmente – deducono nel modo più borghese – i resti di lische trovati nelle abitazioni dimostrano che proprio il pesce secco era la "valuta" utilizzata per il "commercio" con gli abitanti della costa. E una così massiccia presenza di spazi pubblici, aggiungono, non può che avere un carattere sacro e insieme amministrativo, quindi il tipo di autorità centrale era certamente una "teocrazia", un governo che regolava anche lo scambio.

"La vita degli abitanti di Caral si svolgeva tra complesse cerimonie e rituali. La religione condizionava il comportamento di ognuno dentro e fuori casa, marchiando così l'intera organizzazione sociale e politica", dice l'archeologa che sovrintende il lavori di scavo. Ma "teocrazia" e "politica" presuppongono una forma di Stato e quindi un governo di classe.

La differenza fra le fondazioni degli edifici in pietra e quelli in canne e fango è interpretata come prova dell'esistenza di una complessa stratificazione sociale, con livelli più numerosi e differenziati rispetto al dualismo fra "classe dominante" e "classe dominata". Ma si sa da decenni che uno dei rompicapi di una civiltà conosciutissima, quella egizia, in grado di scrivere, addirittura grafomane, con una storia vagliata al microscopio anno per anno, è la coesistenza fianco a fianco di abitazioni grandi e "lussuose" mescolate con "povere" case; fatto che probabilmente è da riferire più al numero dei componenti la famiglia che al ceto sociale (vi sono case "operaie" di tre o quattro locali compresi ampi soggiorni a colonne, servizi, dispensa e scale che conducevano a terrazze con pergolato).

Perciò, se noi leggiamo bene i dati a disposizione e lasciamo da parte i commenti che li accompagnano, abbiamo ben altra visione della società di Caral. Vediamo una comunità integrata, mare-valle, che produceva un grande surplus senza poterlo conservare a lungo (non consistendo esso di cereali bensì di ortaggi freschi e pesce in un clima caldo e umido), e che comunque non aveva nessuna intenzione di conservarlo, dato che lo consumava tutto entro breve tempo, variando dieta a seconda delle stagioni, mentre si dedicava liberamente alla costruzione della sua "città", abitata poi per 600 anni senza che ne venisse variata la struttura. Il magazzino comunitario per la redistribuzione del surplus, che sarà cerealicolo, verrà quasi mille anni dopo, almeno in Sudamerica. La vita sociale urbana era con tutta probabilità basata proprio sulla "religione", ma non si può parlare di "governo dei sacerdoti" quando sappiamo che, presso le società preistoriche e quelle di transizione, il concetto del divino era ancora scienza unica, disponibile, condivisa, che non aveva nulla in comune con forme di chiesa e tanto meno di teocrazia, e perciò non aveva bisogno di preti.

Caral non "commerciava" affatto con i villaggi della costa, a meno di non intendere commerce alla francese, nel senso anche di rapporto, relazione, intesa fra gli uomini. Il mare è distante solo una manciata di chilometri, e i suoi prodotti integravano, in una osmosi fra proteine e amidi, i prodotti della forma urbana. I villaggi costieri rappresentavano il ceppo originario neolitico, ed essendo la "città" una conseguenza, come conferma la datazione, tra popolazione urbanizzata e costiera c'era dunque un rapporto di reciprocità. Tra l'altro non vi erano "contadini", era la popolazione "cittadina" che coltivava i terrazzamenti irrigati, i quali facevano parte del tessuto urbano stesso. Perciò le proteine del pescato integravano i carboidrati delle coltivazioni e viceversa, senza che vi fosse scambio nel senso mercantile del termine. L'osso grezzo di conchiglia e di pellicano era certo scambiato con il cotone che serviva a tessere le reti, ma il movimento era organico, ancora all'interno di una comunità chiusa, anche se differenziata. Prima di Caral, in un'epoca che possiamo definire di passaggio fra un tardo paleolitico e il neolitico locale, vi erano comunità di villaggio composte da un centinaio di pescatori, cui si mescolavano gruppi di cacciatori-raccoglitori e, agli albori dell'urbanesimo, è senz'altro rimasta l'impronta della società precedente che con la sua mobilità risolveva brillantemente il problema della dieta integrata. Il villaggio marino e la "città", quando questa sorse, erano insomma parte di un unico insieme e probabilmente sottostavano ad una stessa autorità (non a un "governo" nel senso di Stato).

Termini come "commercio" o "amministrazione" non possono rendere l'idea dell'effettivo rapporto sociale. Anche "scambio", che è neutro, non può far altro che suonare ai nostri orecchi pesantemente semantizzato a causa di millenni di abitudine. Nessuna società arcaica, anche tra quelle un tempo denominate "selvagge", sopravvissute fino ai giorni nostri e studiate ormai a fondo, ha mai scambiato con indifferenza generi alimentari con altre "cose": il cibo è vita, non è un materiale come un altro; la sua urgenza quotidiana stabilisce un rapporto speciale tra l'uomo che si deve alimentare e l'ambiente che lo circonda. Il cibo è anche elemento primordiale della spartizione ragionata fra uomini, prima di tutto all'interno della famiglia (qualità e quantità differenziate per il cacciatore, la femmina, il cucciolo, l'anziano), e perciò viene utilizzato spesso come elemento di reciprocità nei rapporti fra gruppi di uomini, famiglie, tribù, nazioni. La società arcaica ha quasi sempre trovato riprovevole rapportare il cibo con equivalenti contropartite di altri prodotti. Lo scambio di cibo è perciò sempre stato lo specchio dei rapporti sociali, ristretti o allargati che siano, il meccanismo rivelatore e rilevatore delle condizioni per l'inizio, il rafforzamento o la fine di tali rapporti. Presso le società "primitive" il modo migliore per scambiare gli alimenti necessari ad integrare le diete, come nel nostro caso, è il dono reciproco. E si capisce che non avrebbe senso questo atto se alla base del dono vi fosse lo stesso oggetto. La differenza tra prodotti è sostanziale per questo tipo di scambio, e persino l'equivalenza non permetterebbe il sorgere di questa antichissima istituzione. Solo l'estrema disumanità del presente modo di produzione riesce a porre gli alimenti primari nelle mani di pochissime società private, monopoli che, al servizio di uno stato imperiale superarmato, privano appunto una parte dell'umanità non solo dell'accesso al cibo ma addirittura del normale scambio mercantile capitalistico, basato sull'equivalente generale denaro.

A Caral è nell'ambito di un rapporto materiale di dipendenza reciproca, di esigenze complementari che si sviluppa la necessità di coordinare le funzioni sempre più complesse sia all'interno della società valligiana che nei suoi rapporti con quelle della costa. Ma alle origini l'esistenza di un'autorità centrale non comportava necessariamente l'esistenza di una classe al potere, non solo in Perù ma ovunque. Il "capo" era colui che riassumeva in sé le conoscenze della comunità. Poteva essere un singolo, più spesso era un gruppo di uomini, ma la vita sociale era pianificata sulla base del fatto che tutti partecipavano senza distinzione al lavoro collettivo. Questo è testimoniato anche dalla letteratura storica delle civiltà classiche, e la differenza fra le costruzioni di pietra e quelle di adobe, dato il contesto, può essere benissimo interpretabile come differenza fra "costruzione pubblica" e "casa d'abitazione", come in altre società precolombiane, come nell'Egitto antico o nella Mesopotamia, dove le abitazioni erano fatte di fango pressato e intonacato sia per il contadino che per il "re".

L'archeologo non ce la fa proprio a immaginare una società in cui il lavoro non sia pena quotidiana, e di fronte al mirabile impianto materiale dell'antica comunità appena scoperta afferma in un'intervista: "Ciò significa che i governanti erano in grado di convincere i loro seguaci a fare un mucchio di lavoro; la gente non dice semplicemente 'ehilà, lasciateci costruire questo monumento grande e grosso', essa lo costruisce perché qualcuno gli dice di farlo e le conseguenze del non farlo sarebbero significative". I 10.000 abitanti ipotizzati per Caral, prosegue l'archeologo, fornivano sicuramente una forza-lavoro strutturata in rapporto agli interessi di una classe dominante locale. Eppure egli non può non sapere che sono molti i segni, anche in altre forme sociali più evolute, di applicazione di energia indifferenziata per la realizzazione di un ambiente comune.

A Caral sono stati individuati otto quartieri di case d'abitazione modeste le quali – costruite in adobe, come abbiamo detto – sono in netto contrasto con altri edifici dai muri di pietra che circondano il centro pubblico e le sue vaste piazze ribassate e che si ipotizza potessero essere i "palazzi" delle classi agiate. Ora, la differenza fra le zone cerimoniali di Caral e quelle dei centri maya classici e aztechi, rispettivamente di 3000 e 4000 anni dopo, è che le prime erano abitate, mentre le seconde avevano una funzione di scenografia astrologica e religiosa puramente simbolica. Tracce di pratiche "religiose" e "amministrative" dimostrano in questo caso che il "potere" era rappresentato non tanto da una classe quanto dall'autorità del piano centrale di produzione, i cui agenti sociali usufruivano semplicemente di un luogo specifico per svolgere la loro attività. I complessi cerimoniali erano dunque "abitati" quanto le complesse strutture attinenti ai coevi templi egizi.

Anche nell'America Centrale gli antenati dei Maya, che all'epoca di Caral conoscevano già la ceramica e il mais, costruivano capanne di legno montate su basi di fango e sassi, intonacate e colorate, costruite a fianco delle "piattaforme", "piazze" e "piramidi" dei centri cerimoniali arcaici, con le quali formavano un tutto. I prototipi dei giganteschi centri scenografici di epoca tarda erano quindi abitati quando le classi non esistevano ancora: allora tutti gli uomini erano "sacerdoti" della comunità.

A Teotihuacàn, in Messico, è ben conservata la struttura di una "città" che copre circa 20 chilometri quadrati dove, alle suddette scenografie, si sovrappongono quartieri di abitazione disposti su un reticolo regolare. Ognuno dei quadrati (di 57 metri di lato) riproduce, in piccolo, la grande pianta della città, con i templi, le piazze, le vie cerimoniali, i giochi di luce fra ambienti coperti e scoperti. Come in molti casi antichi, Teotihuacàn esprime fino a epoca tarda (750 d.C.) una concezione cosmologica che, per ragioni sconosciute, necessita della ripetizione di moduli sempre uguali a scale diverse, dai pochi metri del cortile del complesso "di famiglia", al quartiere della gens, ai chilometri della "città" intera. Dato che nulla è "privato", il disegno della forma urbana mette in relazione la complessità del costruito con quella sociale che va dall'elemento semplice, l'individuo, all'intero universo (le piramidi sono dedicate agli astri maggiori).

Anche a Caral, in modo meno grandioso e regolare ma con la stessa struttura frattale, il complesso delle sei "piramidi" è suddiviso in altrettanti blocchi secondari. Altri ve ne sono non ancora esplorati: a sud-ovest del complesso principale ve n'è per esempio uno, ben visibile nelle fotografie aeree, costituito anch'esso da una "piramide", una piazza circolare interrata e lastricata, edifici cerimoniali a gradinate e abitazioni, il tutto disposto su 23 ettari. I singoli complessi erano evidentemente in relazione stretta, dato che le canalizzazioni dell'acqua, alcune strutture che vanno da una piattaforma all'altra e la produzione del cibo erano in comune.

"Nella valle del Supe si formò il primo Stato peruviano. I suoi antichi abitanti raggiunsero un livello di organizzazione sociopolitica più avanzato che in qualsiasi altra società della loro epoca", insiste l'archeologa già citata. No, diciamo noi, tutto ciò non ha nulla a che fare con categorie prese in prestito dalla società attuale. Non c'è bisogno di Stato e di politica per far funzionare in modo coordinato e razionale una società. Del resto tra gli stessi archeologi si palesa una notevole soggettività non appena si mettano a confronto le loro descrizioni, che variano col variare dell'approccio personale. Ne sono un esempio le diverse interpretazioni della società megalitica di Chavìn de Huàntar. Si tratta di un'altra forma sociale peruviana nata intorno al 1000 a.C., conosciuta ben più a fondo rispetto a quella di Caral. Essa era già basata sulla coltivazione dei cereali, sul loro immagazzinamento, sulla ceramica e su una rudimentale divisione in classi; la sua ceramica dimostra che su un territorio molto vasto si era sviluppata un'unità stilistica peculiare, indice di una "scuola" e perciò di un "dominio culturale" dovuto ad una forte autorità simile allo Stato. Eppure, nonostante questi elementi molto più avanzati di quelli di Caral, qui altri archeologi sono più cauti nell'affibbiare caratteri moderni alla forma antica. Notano, sulla base dei reperti, che a Chavìn non erano presenti forme di governo, burocrazia, organizzazione militare tipica degli Stati. Chavìn viene descritta come una forma ancora "nella fase di transizione dalle società basate su relazioni relativamente egualitarie, in cui le persone hanno uguale status e potere, agli Stati successivi, che sono basati su intrinseche differenze di diritti e doveri individuali e collettivi, su un forte governo dal controllo pervasivo".

Per noi, che non chiamiamo Stati neppure gli imperi dei Maya, degli Incas e degli Aztechi, Caral è ancora comunistica. A differenza di Chavìn, mostra una struttura sociale pienamente organica, segno che l'uomo, nel passaggio rivoluzionario da una forma all'altra, porta con sé il ricordo mai sopìto del comunismo. Agli albori della civilizzazione, questo residuo comunistico non era per nulla secondario, come non lo è nei successivi periodi della barbarie superiore. Esso rivela come una comunità di uomini, ben organizzata e residente in città costruite ex novo su di un progetto a misura del bisogno sociale, possa senz'altro fare a meno delle classi, dello Stato e di tutte le categorie attuali.

Letture consigliate

  • R.S. Solis, J. Haas, W. Creamer, "Dating Caral, a preceramic site in the Supe Valley on the central coast of Peru", Science n. 292, 27 aprile 2001.
  • Karl Marx, Grundrisse, al capitolo: "Forme che precedono la produzione capitalistica", vol. I pag. 451 della edizione Einaudi.
  • Partito Comunista Internazionale, Le forme di produzione successive nella teoria marxista, elaborato in seguito e pubblicato nelle Edizioni 19/75 (disponibile tra i Quaderni Internazionalisti).

La terra è il grande laboratorio che fornisce il mezzo, il materiale e la sede di lavoro. E' la base della comunità tribale. Alla terra gli uomini si riferiscono come proprietà della comunità, la stessa comunità che produce e si riproduce nel lavoro vivo. Ogni singolo si comporta solo come elemento, come membro di questa comunità. L'appropriazione reale attraverso il processo di lavoro avviene in base a questi presupposti, che non sono essi stessi un prodotto del lavoro ma figurano come suoi presupposti naturali o divini (K. Marx, Grundrisse).

Rivista n. 9