In morte di Bruno Maffi

Nonostante il legame di lavoro e di affetto che legava qualcuno di noi a Bruno e alla sua compagna, ci è impossibile ricordarlo senza partire dalla lettera di espulsione che ci inviò come responsabile centrale del Partito Comunista Internazionale. Era l'aprile del 1981. La nostra battaglia interna finiva, sarebbe continuata con altre modalità. S'era deciso ovviamente di fare appello a tutti i compagni, e in effetti molti risposero schierandosi con gli espulsi. E comunque la loro opposizione non durò a lungo: nell'ottobre dell'anno dopo il partito era già éclaté, come dissero i francesi, scoppiato. Nella lettera d'espulsione non ne compariva il vero motivo: la nostra lotta contro posizioni tipiche della Terza Internazionale degenerata. La Sinistra aveva già fatto i conti con le tre Internazionali arrivando a constatare – al 1926 – che anche per la Terza era l'ora del bilancio definitivo. L'analisi critica del dopoguerra era la base per proiettare l'azione nel futuro. Avevamo più volte sollevato la questione, sia in documenti "ufficiali" che in occasioni informali con Bruno stesso, ricevendo l'assicurazione che tutto era "sotto controllo". Purtroppo non era così: il "nuovo corso" procedeva e coinvolgeva le strutture del partito, il suo modo di essere, la sua azione.

Vi fu un momento, nel 1978-79, in cui Bruno, forse, si spaventò di ciò che stava accadendo. Aveva incaricato noi, suoi critici, di vagliare il contenuto di vari semilavorati che arrivavano specie dall'estero e, quando i rapporti interni erano ormai deteriorati, progettò ancora, per le riunioni nazionali di coordinamento, la partecipazione di inviati del centro presi anche fra i "dissidenti". Ci chiese persino apertamente d'aiutarlo ad affrontare quelli che considerava – sbagliando – eccessi di zelo. È vero che molti amplificavano le direttive del "nuovo corso", ma esse c'erano e si radicavano. Sapeva che stavamo crescendo senza alcuna selezione e non eravamo più "il partito di Bordiga". Ma non voleva o non poteva frenare il processo. O lo sottovalutava, affermando che anche quando era vivo Amadeo le cose non erano troppo diverse. Sappiamo che era vero. Neppure negli anni '50 il partito era organico nei confronti del suo programma. Le arrabbiature titaniche di Amadeo sono documentate nel nostro archivio. Ma una differenza c'era e sostanziosa: Bordiga non lasciava correre. Ripeteva che se i compagni non se la sentivano di rispettare il programma facessero pure, avrebbe continuato da solo. I giovani facessero attenzione prima di dire fesserie e i vecchi la smettessero di spararne a raffica. Bruno non era di quella tempra, auspicava un grande partito e invece ebbe un ruolo non marginale nella sua involuzione e scomparsa.

Ma non fummo di quelli che gli attribuirono "la colpa" dell'éclatement. Ci sentivamo già vaccinati contro questi sciocchi moralismi. Sapevamo benissimo che il partito eravamo tutti noi, non solo il "centro". Semmai il problema era ben altro: verificare se dallo sfascio si potevano salvare delle forze in grado di continuare il lavoro di Bordiga. Ci trovammo subito di fronte a una chiarissima biforcazione: da un lato la maggior parte dei militanti, anche se sparsi, che già da subito avrebbero continuato dal punto in cui il partito si era sfasciato, nell'82, con la prospettiva di "costruirne" al più presto un altro, "più omogeneo". Dall'altro lato un piccolo gruppo sparso che voleva ripartire da prima dell'involuzione, cioè dalle peculiarità della Sinistra Comunista "italiana", anticipatrice del partito organico e della società di domani, in breve, quello che stiamo facendo oggi, dopo ulteriori selezioni.

Bruno se ne stette in disparte. Lo incontrammo nuovamente nel 1984, per via di alcuni libri che avremmo potuto stampare insieme. Lui aveva nel cassetto il manoscritto del terzo volume della Storia della Sinistra; noi avevamo in preparazione alcune raccolte di testi della Sinistra per la progettata collana dei Quaderni Internazionalisti. All'epoca eravamo tutti piuttosto isolati. Bruno, come ci disse, incontrava solo alcuni compagni della vecchia guardia. Comunque ci conoscevamo per aver lavorato tanti anni insieme, pensavamo che non potessero esserci sorprese reciproche. La situazione non era rosea, ma si poteva almeno pensare di mettere a disposizione dei giovani il patrimonio della Sinistra Comunista. In quel periodo non c'erano forze per fare di più. Dopo quel che era successo, non era proprio il caso di teorizzare soluzioni organizzative. A noi sembrava fosse meglio così. Sentivamo come nostre le Tesi del '64-66, specie quelle di Milano utilizzate tante volte nella battaglia di qualche anno prima: "abusare di formalismi organizzativi quando non ve ne sia una ragione vitale è sempre stato un difetto e un pericolo sospetto e stupido".

Con i compagni provenienti dal vecchio partito partecipavano al nostro lavoro alcuni nuovi, giovani elementi. Bruno affrontò il lavoro con entusiasmo. Mentre erano in preparazione le raccolte tematiche dei testi, stampammo la Storia e Russia e rivoluzione. Ma per un decennio aveva sostenuto che si poteva costruire l'organizzazione previa della rivoluzione e, se ciò aveva avuto delle conseguenze, ne ebbe di nuovo. Non appena poté riprese il lavoro da dove s'era interrotto: organizzazione, centro, capi, gregari, giornale, proclami e tutto quanto. Secondo noi ciò significava ritornare alla situazione dell'82, perché un uomo – o cento, fa lo stesso – non poteva far girare all'indietro le evidentissime determinazioni che l'avevano provocata. Ma Bruno non poteva fare altro che proseguire coerentemente la sua stessa storia. Non pretendiamo affatto che si rassegnasse al fatto che il partito era morto e che era meglio così: è stato un combattente ed è rimasto sulla breccia fino alla fine.

Era nato a Torino nel 1909. Aveva aderito al socialismo, diventando membro del CC di Giustizia e Libertà nel 1930. Arrestato e imprigionato, aveva conosciuto Onorato Damen e nel '36 si era avvicinato alla Sinistra Comunista "italiana", abbandonando socialisti e antifascisti. Nel 1943 aveva partecipato alla fondazione del Partito Comunista Internazionalista (Battaglia comunista) entrando a far parte degli organismi direttivi. Negli anni seguenti si era avvicinato alle tesi di Bordiga. Nella scissione del 1951-52 si era adoperato per l'organizzazione del nuovo PC Internazionalista (Il programma comunista), ne era diventato responsabile della stampa e poi del lavoro centrale per il coordinamento della rete organizzata. Bordiga – che non voleva burocrazie inutili già dal '21 ai tempi del PCd'I – poco prima della scissione gli scrisse: "A chi rifarsi? Il CE non va, allora dice Damen il CO, il Congresso, e tra poco si chiamerà COstituente con tanto di verifica dei poteri. Penserei a un CU… Non vi offendete, intendo un Commissario Unico. In fondo Bruno è l'unico esecutore sul serio che si ammazza di fatica". Bordiga non amava i pensatori che non sanno tirare la carretta e rompono le tasche con le loro trovate su varianti della teoria. Chi ha lavorato con Bruno sa quale immane quantità di lavoro riuscisse a sbrigare. Aveva imparato da Bordiga e noi abbiamo imparato da lui: chi si mette al servizio della rivoluzione fa e va avanti, come sa e può, senza chiacchiere.

Nel corso degli anni non erano mancate nel partito altre rotture più o meno visibili e dolorose, com'è normale in un periodo controrivoluzionario. Dai documenti d'archivio risulta che le aveva affrontate tutte con difficoltà. Eppure non mancava il materiale adeguato: tutte ebbero come "argomento" un qualche aspetto di polemiche già risolte nella battaglia della Sinistra negli anni '20 e soprattutto nella grande riproposizione del marxismo dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ma proprio questo era il punto. Negli anni '70 al partito era mancato il coraggio politico di assimilare fino in fondo il patrimonio della Sinistra. Aveva privilegiato la storia del partito in quanto organizzazione e non usufruito dell'elaborazione già disponibile sull'incancrenirsi del capitalismo, sull'avanzare nel suo seno di anticipazioni della società futura e sulla natura organica del partito stesso. C'è un esempio illuminante: quando morì Bordiga, nel 1970, Bruno raccolse un'antologia dei suoi scritti e ne scrisse per ogni serie un'appassionata presentazione. Ma è significativo il fatto che, fra le migliaia di testi, solo due erano del dopoguerra, e tutti erano sul partito o su temi connessi. Come dire che il passato aveva schiacciato il futuro. E questo, per ogni rivoluzionario, è esattamente il contrario di ciò che ci vuole.

Rivista n. 12