Principii di organizzazione

Stuart Kauffman, A casa nell’universo, Editori Riuniti, 2001, pp. 411, euro 19,63.
Mark Buchanan, Nexus, Saggi Mondadori, 2003, pp. 275, euro 19,00.

La borghesia sa bene che in fisica opera il determinismo, ma nega ancor oggi le determinazioni sociali, quindi la possibilità di indagare la dinamica storica per mezzo di strumenti scientifici. Si tratta di una posizione del tutto ideologica smentita clamorosamente da ricerche (borghesi) come quelle che recensiamo. La contraddizione è evidente: se si conosce la dinamica di un qualsiasi fenomeno fisico e da essa derivarne lo sviluppo futuro, non si vede perché non si possa utilizzare lo stesso metodo per i fenomeni sociali. Anche nel mondo fisico vi sono fenomeni enormemente complessi, ma persino le teorie del caos sono deterministiche. Si può dire addirittura che tutta la scienza non è altro che una teoria della prevedibilità.

Per la borghesia, riconoscere fino in fondo il determinismo sociale – perciò la prevedibilità delle forme economico-sociali in trasformazione – significherebbe riconoscere la transitorietà della società capitalistica di cui essa è agente, e quindi la fine del proprio dominio di classe. La società capitalistica, come tutte le forme sociali di produzione, come tutti gli organismi viventi, nasce, cresce, si sviluppa e morirà. Ma questo la borghesia non vuole e non può accettarlo. Ha ormai idealizzato la propria esistenza eternizzandola, con tutte le sue forme specifiche, democrazia, diritto, libero mercato, ecc., perciò ancor oggi ha bisogno di miti della creazione cui non corrisponde sempre la logica del declino e della morte: il padreterno della Genesi, il Big Bang dei fisici che dà il via all'universo, l'irriducibile casualità indeterministica che crea la vita dalla materia, la volontà del genio creativo; una serie di percorsi lineari che partono da un punto e vanno verso l'immortalità.

Eppure la scienza borghese, proprio nel tentativo di indirizzare la ricerca scientifica verso nuovi settori di mercato, sta mettendo in crisi tanto il sopravvissuto dogma creazionista quanto l'immanenza delle forme sociali e la loro persistenza nella storia. Il principio democratico, la sacralità dell'individuo, il suo libero arbitrio, ecc. non reggono più la critica dei fatti. Pur lavorando nell'ottica di scongiurare la caduta storica del saggio di profitto, alcuni scienziati producono risultati che li pongono già come transfughi inconsapevoli della propria classe. Occupati in ricerche sulla dinamica dei sistemi, sulla biologia molecolare, sulla cibernetica ecc., generano interessanti capitolazioni ideologiche di fronte al marxismo. Come cellule del cervello collettivo, si fanno strumenti di sviluppo della conoscenza sociale, fino a negare nei fatti alcuni postulati fondamentali, quelli indeterministici in primo luogo. Buchanan critica ad esempio i filosofi alla Popper che negano il materialismo dialettico, quindi storico, perché invece "è possibile individuare leggi matematiche e modelli significativi del mondo umano"(Nexus, pag. 4).

Secondo lo storico della scienza Thomas Kuhn, la differenza fondamentale tra "scienza normale" e "scienza rivoluzionaria", è che la prima si limita a sviluppare le concezioni esistenti senza metterne in discussione le basi, mentre la seconda non solo mette in discussione entrambe, ma le supera permettendo di osservare i fenomeni ad una nuova luce. In genere le teorie rivoluzionarie, i nuovi paradigmi, sono accompagnate da profondi sconvolgimenti che distruggono le vecchie forme sociali neutralizzando l’inerzia ideologica della società morente. La borghesia francese, per esempio, pubblicò l'Encyclopédie, cioè il proprio manifesto, nel pieno della decadenza del vecchio regime, cui seguì inesorabilmente la rivoluzione sociale. Non è quindi strano che elementi disertori della vecchia classe feudale, diventati portavoce del nuovo paradigma, abbiano partecipato alla stesura della "macchina da guerra" per la nuova classe rivoluzionaria. Essi furono celebri come il barone scienziato d'Holbach, il barone economista Turgot, il medico di corte ed economista Quesnay, la cortigiana (ma protettrice degli enciclopedisti) marchesa di Pompadour, l'incriminato per empietà abate de Prades, oppure furono anonimi compilatori; ma tutti, spinti da potenti forze materiali, saltarono il fosso.

Il fenomeno dei transfughi di classe è un segno fondamentale della vicina rottura politica con la vecchia società. Certo gli scienziati che studiano i sistemi complessi, la teoria delle reti, i sistemi non lineari, le strutture emergenti dal caos e così via, non hanno coscientemente voltato le spalle alla propria classe adottando conoscenze già proiettate nella società futura. Ma il pensiero dell’individuo riguardo a sé stesso non ha importanza, così come non ne ha l’idea che, in un dato periodo storico, ha di sé stessa un'intera società. È invece importante puntare il detector teoretico marxista allo scopo di rilevare dove e come si producono oggettivamente risultati rivoluzionari collegati al filone della teoria marxista della conoscenza.

Da quando esistono le classi il capitalismo è l’unico sistema produttivo per il quale la produzione è diventata un fatto prettamente sociale. Nel suo divenire storico esso ha rivoluzionato completamente i rapporti di produzione precedenti e ha continuato a rivoluzionare il mondo da esso stesso prodotto. Negli Stati Uniti è normale pubblicare saggi di divulgazione scientifica "leggera", ma è abbastanza sorprendente che ora anche quelli sulle teorie della complessità, delle reti, dei modelli dinamici, cioè su argomenti molto impegnativi, diventino best seller, siano tradotti e venduti a milioni di copie. Evidentemente il capitalismo stramaturo, non potendo che descrivere sé stesso, narra anche delle potenzialità per il suo proprio superamento, e ciò avvince il lettore.

A casa nell’universo di Stuart Kauffman e Nexus di Mark Buchanan sono due testi divulgativi, di piacevole lettura, attraverso i quali si ripercorrono le recenti scoperte di matematici, fisici, psicologi, biologi ecc. nel campo della teoria della complessità, del caos, delle reti, della capacità di auto-organizzazione dei sistemi. Gli stessi autori – biologo il primo, fisico il secondo, entrambi americani – riconoscono che sarà necessario superare ancora molte difficoltà per trovare tutte le leggi soggiacenti al comportamento dei sistemi complessi ed arrivare ad una teoria unificatrice della conoscenza umana. La ricerca è solo agli inizi, dicono. Sappiamo bene che possiamo attenderci gli sviluppi di tale ricerca solo dalla scienza della società futura non più asservita alla necessità del profitto. Ma, al di là dei limiti di ogni scienza di classe, insuperabili dall'interno della società classista che la esprime, dalla strada imboccata non si tornerà più indietro.

A casa nell’universo e Nexus sono opere che, seppure con approcci in campi diversi (la biologia e i sistemi a rete), trattano dello stesso argomento. Affrontano cioè il problema a prima vista misterioso dell'ordine emergente dalle strutture caotiche, e quindi quello della capacità di auto-organizzazione tanto della materia quanto dei sistemi viventi, sociali o… tecnologici. Sono testi che ci interessano particolarmente perché il loro contenuto ci conferma come il concetto di organicità, da noi applicato anche allo studio della forma partito, non sia argomento di "confronto", nel senso che si possa discutere "se si è d'accordo o meno": l'organicità è il modo di essere della biosfera, ovvero di tutti i sistemi, in cui sono importanti non le parti prese isolatamente, bensì le interazioni tra di esse e tra esse e il tutto (come l'individuo nel partito e quest'ultimo nella società). Con le teorie ricordate l’approccio riduzionista cartesiano viene superato e inglobato in un quadro più ampio che, oltre a indagare sulla natura delle parti del sistema, permette soprattutto di vederne proprio le interazioni e quindi la dinamica globale.

"Il mondo vivente è abbellito da una sovrabbondanza di ordine", scrive Kauffman. Perché allora il capitalismo lo abbru(t)tisce con anarchia e caos? Come in molti processi chimico-biologici, siamo in una transizione di fase: il processo attende compimento. In natura si formano strutture robuste, cioè ordinate in rete, quando gli elementi di partenza, nel loro agitarsi caotico, superano una soglia critica in numero, posizione, qualità, ecc. Pur in presenza della tendenza al disordine insita in ogni sistema che dissipa energia, esse sono in grado di auto-organizzarsi in uno stato stabile e sempre più complesso. Nel processo sociale – e ciò era già rilevato nelle Tesi di Roma del PCd'I sulla formazione e lo sviluppo del partito (1922) – queste strutture compaiono quando le condizioni materiali muovono gli uomini, indipendentemente dal loro pensiero individuale, in una precisa direzione e non in un'altra, cioè quando scatta quella che abbiamo chiamato polarizzazione sociale. Tra le molecole individuali che compongono l'insieme della nostra specie, esistono innumerevoli relazioni, dovute non solo ai contatti fra individui, ma all'intera storia umana da essi rappresentata mentre la vivono. Per questo, ad ogni stadio cruciale del suo corso, si sono sempre innescati processi di auto-organizzazione che rompono gli equilibri precedenti. Insomma, rivoluzioni a livello sempre più alto.

Ad un certo punto la pressione dovuta alle spinte fisiche giunge a coinvolgere il pensiero degli individui delle diverse classi. Allora dall'intero processo sociale emergono strutture ordinate, diverse da quelle precedenti e, secondo i parametri dello sviluppo della forza produttiva, superiori. Le molecole umane, invece di seguire le spinte individuali e tendere in tutte le direzioni, si schierano in modo univoco all'interno delle classi, come la limatura di ferro in un campo magnetico. Ma siccome l'interesse delle classi dominanti non può coincidere con quello delle classi dominate, l'orientamento, univoco all'interno delle classi, è assolutamente contrapposto fra classi diverse. Mentre prima di "schierarsi" le molecole umane si muovevano caoticamente in tutte le direzioni, per cui le loro forze si annullavano reciprocamente (la risultante, come si dice in fisica, era zero), ora la potenza sociale viene esaltata e il conflitto fra gli interessi storici contrapposti esplode in guerra sociale.

Nelle condizioni storiche in cui la risultante delle forze è zero, le classi dominate non sono mai classi per sé, ma solo classi in senso statistico. Nelle situazioni storiche polarizzate, invece, all'interno delle classi la risultante prodotta dalle forze convergenti non è solo la somma di queste, ma di più, in quanto ora esiste una organizzazione interna finalizzata. Fra classi avversarie succede il contrario: le forze sono univoche all'interno dei rispettivi schieramenti, ma gli schieramenti stessi sono contrapposti: perciò la risultante è zero o infinito (la curva sociale non ha tangente o ha tutte le tangenti). Ciò significa che il grande aumento della tensione sociale produce un punto critico, comune a tutte le rivoluzioni, attraverso il quale si arriva alla cuspide-biforcazione: o la sconfitta della classe dominata o la scomparsa definitiva del vecchio ordine sociale.

Affrontando esempi diversi ma coerenti col nostro assunto, i due libri in questione mostrano come tale capacità di auto-organizzazione delle classi non faccia che riprodurre uno schema implicito nel modo di essere della natura. Anche la materia si è auto-organizzata, ha dato origine alla vita e continua a rivoluzionarla. Kauffman spiega (nel capitolo "Noi i previsti") che l’origine della vita non è "un'opportunità colta al volo", un prodotto del caso come pensava il biologo molecolare Monod, ma un fatto inevitabile dovuto a fenomeni, appunto, di polarizzazione e di organizzazione della materia. Una struttura emergente dalla concentrazione particolare di molecole differenziate che ha raggiunto una massa critica, un livello di soglia. Attraverso concetti come questo è possibile raggruppare in una teoria unificatrice qualunque aggregato di particelle, cellule, animali, bit, uomini. Il mondo del riduzionismo e delle specializzazioni in settori separati sta morendo, ormai i metodi ereditati dalle rivoluzioni passate sono del tutto de-potenziati dallo sviluppo della forza produttiva sociale, cioè dalla base materiale che prepara la società futura. Ora non si tratta di rinnegarli, come fa qualche ingenuo nostalgico del mondo primitivo, ma di inglobarli in una teoria della conoscenza più potente. Così fecero Galileo con Aristotele, Newton con Galileo, Einstein con Newton. Così farà la nuova conoscenza globale (auspicata e prevista da Marx) con tutti quanti. Come disse Bordiga a Gramsci nel 1926 al Congresso di Lione, "Il marxismo è una concezione dell’Universo" e non una ricetta politica. Gramsci annuì, ma rimase al livello delle ricette come la bolscevizzazione forzata dei partiti dell'Internazionale.

La natura è ricca di fenomeni apparentemente diversi tra loro, come gli insiemi di molecole, la cellula, le reti neurali, le relazioni personali, la diffusione delle malattie, gli ecosistemi, i sistemi ferroviari, Internet, le reti elettriche, la fabbrica globale, l’economia mondiale, ecc. Sono tutti esempi di sistemi complessi, oggetto dei due studi di cui ci occupiamo e presentano alcune proprietà fondamentali (invarianti) non dipendenti dalla natura dei singoli elementi. In A casa nell'universo troviamo la definizione di strutture "autocatalitiche", cioè in grado di riprodurre stabilmente la loro struttura a partire da alcuni agenti catalizzatori, mentre in Nexus la complessità è trattata attraverso la "teoria piccolo mondo", cioè la proprietà dei sistemi estremamente complessi in grado di rivelare al loro interno connessioni di semplicità insospettata. Ma i concetti sono gli stessi. In Nexus si mostra questa incredibile semplicità attraverso modelli, simulazioni, grafi, ecc. in relazione alla teoria della complessità. I sistemi sociali, Internet, il cervello umano, funzionano come reti di piccolo mondo: hanno una struttura a moduli, all'interno dei quali comunicano singole cellule (legami forti) e all'esterno dei quali esiste una fitta rete che collega moduli e insiemi di moduli, così come i nodi di una rete da pesca sono collegati da fili (legami deboli). È proprio la presenza di questi "ponti" a lunga distanza che permette a sistemi siffatti di mantenere una straordinaria stabilità, rapidità ed efficienza anche qualora i singoli elementi dei moduli vengano irrimediabilmente danneggiati o colpiti da qualche causa esterna.

In altre parole, tutte le reti dotate di nuclei di relazioni locali presentano una plasticità che non induce una frammentazione in parti sconnesse nel caso venga meno un elemento del sistema. Il funzionamento del cervello e quello delle interazioni fra i materiali di Internet sono in questo senso degli esempi paradigmatici. Quando ci colleghiamo in rete e attiviamo la nostra redazione, utilizziamo i suoi legami forti indipendentemente dallo spazio che separa i singoli redattori; quando questi si collegano al Web tramite il nostro portale, cercano materiale per gli articoli, scambiano posta con lettori dall'Alaska alla Tasmania, utilizzano i legami deboli insiti nel mezzo telematico, ben sapendo che all'estremo opposto della connessione vi può essere un altro nodo con legami forti (un'università che memorizza dati, un'organizzazione politica o sindacale, un governo, ecc.).

Secondo la teoria delle reti, in ogni sistema in cui vi siano cose o persone in relazione, dagli antichi rimandi "ipertestuali" della Bibbia ai sei miliardi d'individui che abitano il pianeta, occorre mediamente una catena di pochissimi contatti intermedi per collegare qualsiasi punto del sistema, non più di cinque o sei. Per quanto sia complesso, un sistema rivela sempre una semplicità soggiacente. I tre miliardi e passa di pagine Web censite dai motori di ricerca sono sparpagliate alla rinfusa in decine di migliaia di memorie in tutto il mondo, ma il fatto di essere collegate in rete permette all'intero sistema di avere un "diametro" di soli 19 click al massimo per trovare i due documenti più "distanti" senza conoscerne preventivamente l'indirizzo. Ciò che è più incredibile è il fatto che, se invece di tre miliardi di pagine ne avessimo trenta, i click salirebbero solo a 21.

Studiando i sistemi a rete, si è scoperto che questo rapporto particolare fra il numero dei nodi e quello delle connessioni da essi possedute è un invariante in grado di rivelare proprietà prima sconosciute sulla potenza delle reti stesse. Se tracciamo un diagramma su assi cartesiani con il numero dei nodi e il numero delle connessioni per nodo, avremo una curva di distribuzione statistica dei nodi potenti e meno potenti. Ci si aspetterebbe, intuitivamente, che all'aumentare del numero di connessioni per nodo diminuisse proporzionalmente il numero dei nodi con tante connessioni. Per esempio possiamo immaginare che se ci sono 10 nodi con 100 connessioni, ne troveremo più o meno la metà con il doppio di connessioni, cioè 5. Invece gli esperimenti hanno dimostrato che sui più diversi tipi di rete il rapporto è non la metà ma un quinto, non 5 ma 2. I matematici chiamano questo fenomeno "legge della potenza". La regolarità del fenomeno induce a pensare che vi sia qualche legge soggiacente, ma il risultato pratico è quello per cui più si ingrandisce la rete, più le connessioni necessarie si realizzano con sempre meno nodi ma più grandi, come appunto nel caso di Internet e dei 19 click che diventano 21 invece di 190 quando il sistema s'ingrandisce di dieci volte.

I sistemi reticolari – o complessi, che è la stessa cosa – si auto-organizzano secondo principii insiti nella loro natura, e se gli uomini ne fanno parte non fanno altro che adeguarvisi. Essi sono al di là del libero arbitrio e non sono affatto democratici. I singoli elementi non sono liberi di "scegliere", né di procedere in modo casuale, né tanto meno di disporsi secondo schemi ordinati di tipo gerarchico piramidale come nelle organizzazioni sociali classiste. Il cervello umano, per esempio, non è affatto costituito da cellule organizzate in una struttura gerarchica, non ha un "neurone centrale" al vertice di una piramide di comando che ne pianifichi la crescita, o ne controlli il traffico di segnali, ecc. Nei modelli organici i nodi e le connessioni si sviluppano secondo una "spontaneità organizzata", secondo un programma insito nel sistema (come il DNA nei processi biologici) e si intrecciano in una fitta rete di relazioni in doppia direzione.

All’interno delle reti i nodi con il maggior numero di connessioni diventano nodi di riferimento, definiti agenti catalizzatori o hub, e assumono via via funzioni centrali. Tuttavia il sistema li adopera. Non sono affatto essi ad adoperare il sistema, anzi appena si dimostrano non più adatti a svolgere le loro funzioni, vengono sostituiti da altri secondo criteri di adeguatezza. Nessuno sceglie con elezioni democratiche quali debbano essere gli hub, né i nodi della rete si fanno concorrenza sul "mercato delle connessioni" per assicurarsi una posizione di privilegio nel sistema. Come spiegano i due autori, i catalizzatori o hub sono strutture presenti in natura: ad esempio alcune molecole di un batterio partecipano a molte centinaia di reazioni chimiche mentre altre partecipano solo a una o due. Da un punto di vista più astratto i catalizzatori sono elementi che, fornendo il loro contributo specifico e differenziato alla sopravvivenza dell’organismo, ricevono e veicolano gran parte del traffico delle informazioni. Sono quelle parti del sistema che nel loro "percorso storico" hanno raccolto più informazione e sono capaci di riverberarla all’interno della rete nel modo più efficace.

Una rete artificiale come Internet, con i suoi miliardi di pagine collegate da molteplici rimandi (world wide web), in pochi anni di vita è cresciuta spontaneamente a ritmi vertiginosi, con un'espansione più rapida di quanto non sia stata quella del telefono ai primi del Novecento. Dalle poche centinaia di pagine universitarie dell'inizio, leggibili ma assai scollegate fra loro, si è passati agli oltre 5 miliardi censite ufficialmente sul Web attuale (ma si stimano a circa 500 miliardi le pagine raggiungibili dal proprio computer attraverso i nodi principali o hub).

L'intera società capitalistica funziona come una rete di relazioni. La centralizzazione industriale e finanziaria delle holding, che in gran parte ha sostituito la vecchia concentrazione nelle mani di singoli capitalisti o famiglie, rappresenta una rete mondiale di relazioni che interconnette direttamente o indirettamente sei miliardi di persone con le loro attività, memorie, affanni, comunicazioni, ecc. Il meccanismo regolatore del lavoro sociale a livello planetario esprime dunque, come sistema, un'organicità notevole, mentre all'opposto, nei rapporti di scambio determinati dalla legge del valore, permane il caos, la concorrenza, l’anarchia. Milioni di individui vivono, producono e scambiano solo in ragione della valorizzazione del Capitale, al ritmo delle sue esigenze, annaspando dietro di esse, assolutamente incapaci di "rovesciare la prassi", cioè di impostare la loro vita e, insieme, la vita di specie secondo un progetto, un fine. Si tratta di miliardi di molecole che si dispongono, secondo le leggi descritte, in reti di relazioni le quali, nelle condizioni presenti, non sono fattori di evoluzione sociale ma di enormi contraddizioni. I "nodi" del capitale, cioè i punti in cui esso si fissa, divengono sempre più giganteschi e sempre meno numerosi, mentre il resto delle molecole sociali è solo un "cablaggio", un tramite passivo di valore. I virus che uccidono milioni di persone, le mode attraverso cui si muovono milioni di portafogli, le idee che omologano l'umanità intera, seguono le leggi delle reti. Agendo queste leggi in un sistema capitalistico, esse sono adoperate ovviamente per la salvezza del capitalismo. Ma questo modello di vita, sempre più inumano, è in grado, proprio per le sue caratteristiche legate alle leggi della natura e indipendenti dalla volontà degli uomini, di generare al suo interno un altro modello, altrettanto complesso e a rete, questa volta organico.

Nelle ultime pagine del libro di Kauffman c'è una serie di domande-risposte. Sono quesiti piuttosto ingenui e molto "americani", ma valgono più di una vita intera di attivismo marxisteggiante: che ne sarà della nostra civiltà quando si accorgerà che la democrazia non corrisponde a niente che ci sia utile? Sappiamo che cosa stiamo facendo quando diamo il nostro contributo ai processi di estinzione e di speciazione delle categorie della nostra civiltà? Siamo forse impegnati in un'analisi storico-scientifica post-marxista del divenire umano? Abbiamo quindi trovato uno spazio per "leggi" della scienza storica? La civiltà globale cui siamo giunti è in una fase super-critica? Abbiamo ereditato quattro miliardi di anni di evoluzione biologica, adesso vi partecipiamo, sarebbe ora di fare il punto della situazione. Ciò che dobbiamo temere profondamente, conclude l'autore, "è la devastazione sociale prodotta dalle forme morenti di rapporto col mondo". Niente male.

Rivista n. 13