Una fisica della storia

Mark Buchanan, Ubiquità, Mondadori, 251 pagine 8,80 euro.

Come diceva il fisico Richard Feynman, la fisica è semplice, è il mondo ad essere complicato. Però la fisica lo spiega benissimo quando riesce a scoprire le sue leggi. In fondo è la stessa proposizione che Marx mette a fondamento del suo metodo: se per analizzare la realtà complessa non dovessimo passare attraverso astrazioni che la semplificano, "ogni scienza sarebbe superflua". E ogni volta che troviamo la chiave astratta, avanza la nostra comprensione del concreto. La formuletta del saggio di profitto è la rappresentazione potente e concentrata di un rapporto di classe.

Ubiquità è termine originariamente usato in teologia e poi passato nel linguaggio comune. Per i teologi descrive una proprietà di Dio, perché egli sarebbe in ogni luogo a permeare il mondo. Buchanan ovviamente lo usa nell'accezione scientifica, come sinonimo di invarianza. Quest'ultimo è termine anche nostro e chi ci conosce dovrebbe avere una certa dimestichezza con esso. Lo utilizziamo esattamente come lo usano i matematici e i fisici: è invariante ogni strumento, metodo, formula, che sia utile per trattare allo stesso modo fenomeni diversissimi. "In questa nozione è racchiusa a priori l'idea di matematizzare la realtà, ovvero di trasformare problemi qualitativi in problemi quantitativi e quindi costruire formalismi astratti", recita la voce Invarianti, cui l'Enciclopedia Einaudi dedica ben 60 pagine.

Ma perché allora i libri di fisica sono zeppi di matematica e i libri di storia o di biologia, o di filosofia, contengono solo parole? Se l'invarianza o ubiquità è una legge di natura, non è una contraddizione comportarci come se il mondo fosse ancora concepito secondo un dualismo medioevale? La risposta è: sì, è una contraddizione.

Il fisico Buchanan ci descrive, divulgando senza volgarizzare, una corrente materialistica all'interno del mondo scientifico. E il testo che recensiamo spiega in modo chiaro quali siano gli invarianti che legano fenomeni come i terremoti, le guerre, le rivoluzioni, la dinamica degli incendi, le estinzioni delle specie, le ondate speculative in borsa, le battaglie intorno agli stadi, tutti fenomeni legati a sistemi che si "organizzano" in modo spontaneo verso uno "stato critico" al confine tra ordine e caos. È l'organizzazione della materia indipendentemente dalla coscienza.

Per simulare questa organizzazione si può procedere alla costruzione di un modello instabile artificiale (astratto rispetto alla realtà che simula), ad esempio un mucchietto di sabbia su cui cadono granelli a pioggia che provocano collassi casuali sui fianchi; oppure una macchina meccanica che simula le faglie responsabili di un terremoto. La registrazione dell'invarianza in sistemi simulati portò a grafi o curve matematizzabili, e la sorpresa dei primi ricercatori fu che l'invarianza non era verificabile solo all'interno di sistemi simili ma fra sistemi diversissimi.

Non mancano accademici che criticano duramente, a volte con argomenti formalmente corretti, i colleghi in jeans e scarpe da tennis dediti all'indagine sul caos, le catastrofi e la complessità. Hanno dalla loro parte la sicurezza delle carriere, degli stipendi e del tranquillo insegnamento di argomenti consolidati. Ma le scorrerie nelle terre di confine hanno avuto il merito di rompere per sempre il presunto dualismo tra l'uomo e la natura, fra i libri di fisica pieni di matematica e i libri di… cose umanistiche pieni di parole. Hanno contribuito all'estinzione dei Mach, dei Bogdanov, dei Croce, dei Gentile, dei Gramsci, e adesso anche di quella moda primitivista, antiscientifica e psicoanarcoide che serpeggia nei "movimenti".

Rivista n. 22