I buoni-lavoro di Gray-Biagi

Il datore di lavoro compila un modulo, lo spedisce all'INPS con il versamento dell'importo necessario e riceve dei buoni-lavoro da 10 euro l'ora. Con questi può pagare il lavoratore (per adesso occasionale), il quale andrà in un qualsiasi ufficio postale a riscuotere 7,50 euro per ognuno. La differenza va a coprire i contributi di legge. Il sistema dei buoni-lavoro era già previsto dalla famigerata legge Biagi ma non era mai stato applicato. Da qualche mese l'INPS conduce una campagna pubblicitaria per stimolarne l'utilizzo. Al momento non ci sono dati sulla reale circolazione di questi buoni.

Essi non sono cumulabili, hanno un limite di utilizzo e per adesso sembrano più un esperimento che una realtà consolidata. Viene spontaneo il confronto con i buoni-lavoro dell'utopista social-borghese Gray, criticato da Marx. L'analogia è nel valore-ora-lavoro stabilito in anticipo come media di mercato per le tipologie previste. Anche se il buono-lavoro viene scambiato con denaro, la quantità di merce che se ne ricava è fissa. Siamo quindi di fronte ad un titolo cartaceo che è denaro ma non come equivalente universale bensì come rappresentante immediato di tempo di lavoro specifico. La differenza è appunto nella scambiabilità con denaro. Nella proposta di Gray, a differenza di quella di Biagi, il buono-lavoro viene scambiato direttamente con merce, è un titolo di credito per tutte le merci trattate con questo sistema dalla banca centrale che se ne occupa (e tiene la statistica delle ore necessarie a produrre ogni merce).

Rispetto alla macchinosità del sistema di Gray, che comunque — osserva Marx — non esce di una spanna dal rapporto capitalistico, quello di Biagi ha il vantaggio di basarsi sul prezzo di produzione (medio astratto) e non sul prezzo di costo (individuale concreto). Ciò significa che il buono-Biagi ha un carattere già immediatamente sociale, è scambio di lavoro medio con valore medio tramite il denaro. È dimostrata la miseria della filosofia nei confronti della realtà economica.

Nella Critica al programma di Gotha, Marx ipotizza un utilizzo dei buoni-lavoro nella fase inferiore della società comunista, quando questa risente ancora delle "impronte materne della vecchia società dal cui seno è uscita". Il lavoratore in questa fase "riceve dalla società uno scontrino da cui risulta che egli ha prestato tanto lavoro, e con esso ritira dal fondo sociale tanti mezzi di consumo quanto equivale a un lavoro corrispondente. La stessa quantità di lavoro che egli ha dato alla società in una forma, la riceve in un'altra". Non è comunismo, c'è ancora scambio tra equivalenti tramite valore. L'unica differenza — non sostanziale ma importante — è che adesso il lavoratore riceve quello che ha dato, meno la parte per quell'accantonamento sociale che permette alla società di riprodursi. Se anche immaginassimo una società funzionante esclusivamente su questi buoni-lavoro, essa rimarrebbe completamente capitalistica, il lavoratore continuerebbe a ricevere meno di quello che dà, continuerebbe cioè a produrre plusvalore.

Ma a questo punto ci vuol niente a immaginare, al posto del buono con il suo scambio in denaro, una tessera elettronica, l'acquisto diretto in ore lavoro (da ciascuno secondo le sue possibilità a ciascuno secondo i suoi bisogni) e… l'eliminazione dell'inutile capitalista dal circuito bisogno-lavoro-consumo.

Rivista n. 26