L'esercito dei senza-riserve

A Milano sono andato alla riunione pubblica sui fatti di Grecia del dicembre scorso, tenuta da militanti greci, che hanno anche proiettato un filmato. Ho avuto la netta sensazione, come peraltro nel caso delle banlieues francesi, che a differenza di altri movimenti, questo, che non aveva carattere rivendicativo, facesse già parte di una fase storica completamente nuova. Anche se le manifestazioni estetiche potevano sembrare un po' situazioniste un po' sessantottine, immagini e scritte assumevano nel contesto un carattere totalmente nuovo. Ad esempio: "Se questo è il futuro che volete darci, prendetevi questo presente" sullo sfondo degli incendi e di una violenza irriducibile. Ho chiesto se era vero che lo Stato non ha permesso che il movimento dei giovani si saldasse alle prime avvisaglie di quello proletario. Mi è stato risposto che non solo è vero , ma che la polizia ha cercato di non esasperare la situazione per poterla tenere sotto controllo e impedire appunto la saldatura. Ci sono dei quartieri proletari nel centro di Atene. E quando è stato indetto lo sciopero sindacale i lavoratori hanno impedito alla polizia le bastonature dei giovani, anche se non sono intervenuti al loro fianco nella lotta. Ho proprio l'impressione che stia maturando qualcosa di nuovo.

 

Di fronte a fenomeni estesi e importanti come quelli delle banlieues francesi e delle città greche, non si può far altro che pensare a una degenerazione dei rapporti sociali e al progressivo scivolare della società capitalistica verso una situazione fuori controllo. Crediamo che sia sbagliata l'interpretazione corrente secondo cui queste manifestazioni sarebbero soltanto lo sfogo di una rabbia giovanile repressa. Anche se la situazione delle città greche è di lettura più difficile che non nel caso francese, il fenomeno è ovunque lo stesso: esiste ormai una sovrappopolazione assoluta crescente che si affianca al classico "esercito industriale di riserva" proletario, allargando la schiera unitaria dei "senza riserve". Le banlieues sono la vera città, lì sono dislocate le fabbriche o è lì che vengono chiuse per la delocalizzazione all'estero. Quella è la città viva, non il centro storico per i turisti.

È vero che sta maturando qualcosa di nuovo. Nel 1962, quando i proletari torinesi diedero battaglia per giorni contro la polizia e il sindacalismo giallo, ci fu lo stesso tipo di scontro proletario, giovanile e senza limiti di odio, senza mediazioni, tanto che persino i quasi mitici e sinistrissimi Quaderni Rossi ne presero le distanze. Solo che allora il capitalismo era al culmine della fase ricostruttiva post-bellica che comportava lo sfruttamento intensivo ed estensivo di masse operaie, mentre oggi è al fondo della sovrapproduzione senza sbocchi e quindi della crisi da caduta del saggio di profitto a causa della produttività o sfruttamento solo intensivo.

Quando l'estrazione di plusvalore relativo è dominante, diventa cronico il mancato impiego della forza-lavoro. E, come dice Marx, la modernità di un paese la si riscontra non nella quantità di lavoro erogato ma nella quantità di lavoro liberato per sempre. Sarebbe un errore madornale depennare milioni di senza-riserve dal calcolo del potenziale di classe. Il proletariato si espande, i salariati nel mondo non sono mai stati così numerosi, neppure percentualmente alla popolazione, un miliardo e trecento milioni. Di fronte ad essi un altro miliardo e mezzo di persone ingrossano l'esercito della sovrappopolazione relativa che non serve al Capitale, il quale se potesse la tratterebbe come sono stati trattati i nativi americani, inadatti allo sfruttamento.

Rivista n. 26