Tesi nuove come… l'ideologia tedesca

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Il pezzo forte di Krisis è il Manifesto contro il lavoro; e bisogna riconoscere che sono pochi coloro che avversano così radicalmente questa religione, in grado di spingere degli operai, per altri versi sani di mente, a incatenarsi, digiunare, imprigionarsi, persino uccidersi per il lavoro, in un profluvio autolesionista assai poco adeguato alla classe che dovrebbe sovvertire il mondo. È un peccato però che per il resto questo collettivo tedesco non si discosti dal filone della marxologia antimarxista che è fenomeno anche nostrano. A noi sembra che nel mondo esista materiale più che sufficiente per attaccare frontalmente il nemico travestito da rivoluzionario senza coltivare questa specie di chiodo fisso, cioè la ricerca del "difetto che sta nel manico", il germe del marxismo-leninismo che sarebbe in Marx, con il corollario di Engels come cattivo megafono, di Lenin come materialista-statalista, volgare battistrada di Stalin e via di questo passo. È un vizio che Marx denuncia fin dalle prime righe dell' Ideologia tedesca, rilevandolo negli hegeliani:

"La critica tedesca non ha mai abbandonato il terreno della filosofia. Ben lungi dall'indagare sui suoi presupposti generali, tutti quanti i suoi problemi sono nati anzi sul terreno di un sistema filosofico determinato, quello hegeliano. Non solo nelle risposte, ma già nelle domande c'era una mistificazione. Questa dipendenza da Hegel è la ragione per cui nessuno di questi moderni critici ha neppure tentato una critica complessiva del sistema hegeliano, tanta è la convinzione, in ciascuno di essi, di essersi spinto oltre Hegel. La loro polemica contro Hegel e fra di loro si limita a questo: che ciascuno estrae un aspetto del sistema hegeliano e lo rivolge tanto contro l’intero sistema quanto contro gli aspetti che ne estraggono gli altri".

Tanta è la convinzione dei moderni critici di Marx di essersi spinti oltre al maestro, che estrapolano pezzi sparsi dal suo impianto teorico (Marx non ha mai voluto dar vita a un "sistema" filosofico, economico o altro) da utilizzare sia contro di lui che contro altri estrapolatori. Va detto che mentre nella vecchia Italia questo cortocircuito autoreferente sguazza nella trivialità, nella giovane Germania tenta almeno di salvare una certa estetica.

Marx ed Engels non erano degli dei e quindi sbagliavano. Scorrendo le migliaia di pagine li si può beccare qualche volta in contraddizione. Quasi sempre si tratta di concetti in maturazione, oppure diventati obsoleti in via naturale, come riconosce Marx stesso a proposito non solo del Manifesto ma anche dell'appena citata critica alla filosofia tedesca, non più utile agli scopi che si prefiggeva. Ci chiediamo allora: che razza di sport è quello di fare le pulci a un presunto Marx schizofrenico, questa volta non sdoppiato fra una versione giovanile e una matura ma fra una operaista sindacalista e una filosoficamente profonda? Nell'articolo intitolato Il duplice Marx, ad esempio, si incomincia con l'attacco al primo Marx affermando che "il contenuto del Manifesto non è divenuto indigeribile oggi, esso é viziato dall’errore sin dal principio". Ammettiamo pure che il Manifesto vada "storicizzato", sarebbe per questo indigeribile o viziato dall'errore? Errava Darwin a non sapere che ci sarebbe stata la biologia molecolare? E che dire di Galileo e Newton rispetto alla relatività di Einstein? Nel concetto di errore umano che rende soggettivamente indigeribile una qualsiasi proposizione teoretica c'è tanto moralismo illuministico.

Un primo Marx, "essoterico", sarebbe quello dedito "ad esigere diritti di cittadinanza e un equo salario per una giornata di lavoro equa", cioè a "fare proprio l’ontologico punto di vista del lavoro insieme con la relativa etica protestante", rivendicando "il plusvalore non pagato". Mah, a noi risulta che nella Critica al programma di Gotha, Marx sfottesse chi rivendicava il "diritto al frutto indiminuito del lavoro", e affermasse che, di fronte al giusto valore di mercato del salario, diritto contro diritto decide la forza. E che dire della sostituzione "della proprietà privata dei mezzi di produzione giuridica con la proprietà statale" accompagnata dall'obbligo del lavoro per tutti? Un "comunismo da caserma", è la scontata risposta che diede già la Luxemburg contro Lenin. Meno male poi che non è stato tirato in ballo il Marx che voleva far partecipare i bambini alla produzione di fabbrica in quanto il precoce incontro fra lavoro intellettuale, lavoro manuale e ginnastica rappresenta "il germe dell'educazione dell'avvenire". Altro che caserma, qui ci sarebbe addirittura l'Orco cattivo che con la scusa di trascendere dal "tempo di lavoro" al "tempo di vita" perpetua lo sfruttamento dell'infanzia.

Un secondo Marx, "esoterico" sarebbe invece quello che da fine analista critica il feticismo insito nel rapporto capitalistico, di fronte al quale "le proposizioni fondamentali del Manifesto appaiono del tutto insensate. Il capitale non è più una 'cosa' da sottrarre alla classe dominante, ma il rapporto sociale del denaro totale". Il movimento operaio questa cosa non la poteva digerire, "era in grado di comprendere solo la lezione del Manifesto e riteneva perciò insignificante il secondo Marx". Con questi limiti il proletariato si sarebbe dedicato a lotte che invece di demolire la società capitalistica l'avrebbero rafforzata.

Ci sarebbe dunque un Marx per operai ("essoterico", per tutti) e un Marx per iniziati ("esoterico", per pochi). A dire il vero l'interessato si sarebbe fatto due risate su questa come su altre dicotomie, cui opponeva l'unione dialettica dei due corni in cui viene arbitrariamente suddiviso il problema: proprio perché il Capitale non è una "cosa" ma un movimento, nella sua dinamica produce da sé stesso il proprio affossatore proletario. Senza il Marx per operai, il Marx per intellettuali sarebbe un filosofo tra filosofi e non servirebbe a un fico secco.

Ben prima di scrivere il Manifesto, sempre nella succitata critica all'ideologia tedesca, Marx ed Engels sfottono anche i pensatori che buttano qua e là frasi senza contenuto empirico, puri svolazzi del pensiero:

"Là dove nella vita reale cessa la speculazione, comincia dunque la scienza reale e positiva, la rappresentazione dell'attività pratica, del processo pratico di sviluppo degli uomini. Cadono le frasi sulla coscienza e al loro posto deve subentrare il sapere reale. Con la rappresentazione della realtà la filosofia autonoma perde il suo mezzo vitale… Non ci daremo la pena d’illuminare i nostri sapienti filosofi sul fatto che la 'liberazione' dell'uomo non è ancora avanzata di un passo quando essi abbiano risolto la filosofia, la teologia, la sostanza e tutta l’immondizia nell'autocoscienza, quando abbiano liberato l'uomo dal dominio di queste frasi, dalle quali peraltro non è mai stato asservito; che non è possibile attuare una liberazione reale se non nel mondo reale e con mezzi reali, che la schiavitù non si può abolire senza la macchina a vapore e il telaio meccanico, né la servitù della gleba senza un'agricoltura migliorata […]. La 'liberazione' è un atto storico, non un atto ideale".

Ah, già, chiediamo scusa: come dicono alcuni filosofi di scuola italica contemporanea, questo sarebbe il Marx scientista e positivista che non avrebbe capito la fine dialettica di Hegel e si sarebbe fermato alla meccanica di Newton.

Rivista n. 28