America

Non è vero che l'economia sta riprendendo fiato. Non è vero che i segnali di inflazione sono dovuti a una qualche ripresa. Non è vero che l'intervento degli stati per stimolare il mercato non sarà più necessario. Osservatori poco attenti (o molto interessati) affermano, sulla base dei dati della movimentazione di merci, del movimento di materie prime e dei capitali, che la soglia del pericolo è stata raggiunta e superata. Ma qual è la soglia del pericolo?

Così com'è configurata, l'economia globale è fortemente tributaria dalla capacità di smistare tra paesi diversi milioni di tonnellate di merci, il che vuol dire milioni di mezzi di trasporto, dalle navi ai treni, dagli aerei ai TIR, tutti mezzi che utilizzano, per massimizzare la movimentazione, il container. Questo traffico era soffocato dal binomio crisi-pandemia e, adesso che è attenuata la stagnazione dei traffici, sembra che sia anche attenuata la crisi. In realtà sarebbe strano che, dopo anni di stagnazione seguiti al crollo del 2008, non ci fosse un recupero. Da che esiste il capitalismo le crisi sono sempre state il trampolino di lancio del successivo boom. Che però questa volta non c'è stato. Le cifre sono truccate, il cresciuto movimento merci dipende da un aumento della produzione relativo. La corsa è per raggiungere il livello passato, non per segnare nuovi record.

In un flusso disturbato da colli di bottiglia contingenti, cioè da eventi tenuti sotto controllo nei periodi normali, è logico che l'ingresso a monte si congestioni a causa di intoppi a valle. Ciò significa semplicemente che, dopo lo scoppio e il dilagare della pandemia, e soprattutto dopo la crisi economica già in atto prima della pandemia, la quantità di merci del flusso che si sta normalizzando è maggiore nell'unità di tempo. Insomma, per recuperare ciò che si è perso in un mese ci vorrebbe un mese aggiuntivo, ma la produzione sta chiedendo di fare più in fretta perché non può aspettare di riempire i vuoti che, negli acquisti, sono stati accumulati in un anno. Occorrerà perciò smaltire una quantità di merci comunque superiore alla media e questo avrà influenza, ad esempio, sulla disponibilità di container, di treni e di navi. Ma anche sulla capacità di smaltimento presso le infrastrutture portuali, sull'aumento dei prezzi dei noli e perciò delle merci a partire dalle materie prime.

Per avere "ripresa" occorrerebbe ritornare ai numeri del 2008, anzi, superarli, cosa che per adesso non è, e che probabilmente non sarà. Vi saranno invece tensioni sul versante dei servizi al capitale, il più esposto a fenomeni di speculazione. L'Oceano Pacifico, che dal punto di vista economico è il legame che unisce l'esuberanza produttiva cinese con la capacità di consumo americana, è da mesi un contenitore di navi alla fonda, ferme in attesa del loro turno per caricare e scaricare, emblema fotografico di ciò che sta succedendo nel mondo: il conteggio del flusso, l'individuazione della dinamica tramite cinepresa è un po' più complicato.

Contare le navi, i container o i barili di petrolio è facile, sono sotto i nostri occhi; contare i dollari contenuti nelle merci è difficile, sono invisibili. In un sussulto di materialismo il capitalista cerca il modo per guadagnare la sua parte basandosi sul movimento materiale delle merci: deve acquistare materie prime, energia, macchine e stabilimenti, lo farà pagando alla proprietà la sua tangente. L'acciaio non nasce con il cartellino del prezzo; del resto, se pure così fosse, il consumatore di acciaio non saprebbe che farsene finché quel prezzo non sarà equiparato al valore. E anche questo non sarà un compito facile, perché la produzione di valore è interamente demandata all'operaio globale che, nel mondo capitalistico, non è immediatamente identificabile. È infatti arduo isolare i produttori di plusvalore per calcolare quale sia veramente la ripartizione sociale di questo parametro essenziale per la sopravvivenza del capitalismo.

Le voci che contribuiscono a formare il prezzo di una merce, per quanto qui ci interessino, sono del tutto sproporzionate rispetto alla provenienza e alla destinazione della merce stessa. Non esistono criteri obiettivi per fissare un prezzo, tranne quello che tiene conto solo del totale, ignorando i passaggi intermedi. La domanda, l'offerta e i fenomeni aleatori incidono sulla fluttuazione, ma alla fine del ciclo la statistica corregge le oscillazioni. Con la domanda molto forte, con le varie speculazioni e con la scarsa disponibilità di semilavorati e materie prime normalmente c'è da aspettarsi un'inflazione, o almeno così dice l'economia politica. Non importa se la dottrina stessa non ha illuminato la scena nel ciclo precedente quando le banche centrali emettevano moneta in quantità industriale e tutti gli economisti, premi Nobel o no, applaudivano all'immissione di liquidità sul mercato… del denaro. Domanda: si può immettere denaro sul mercato senza che vi sia corrispettivo in valore ricavato dalla vendita di merci? Se il denaro è la "forma fenomenica del valore", tale valore dev'essere tangibile in D-M-D'. Ora, scrive per esempio The Economist, dopo tanta crisi ci sono avvisaglie di ripresa:

"La domanda di beni è incredibilmente forte, ma le aziende stanno lottando per trovare lavoratori e forniture che, rispettivamente, stanno spingendo verso l'alto salari e prezzi mentre la pandemia – la causa originale delle distorsioni – sta svanendo [?] ma non è scomparsa. E gli operatori finanziari, pronti a ritirare lo straordinario stimolo fiscale e monetario degli ultimi 18 mesi, stanno gettando nella mischia un altro elemento di controllo. Alla fine della sua riunione politica del 3 novembre, la Federal Reserve ha dichiarato che avrebbe iniziato a tenere d'occhio il suo programma mensile di acquisto di obbligazioni da 120 miliardi di dollari, avviandosi a fermare tutti gli acquisti entro giugno del prossimo anno."

Si fa di tutto e il contrario di tutto. Si varano provvedimenti quando non sono ancora esauriti gli effetti di quelli varati precedentemente. Si crea così "un mix volatile" (ancora The Economist). Si confidava ad esempio in una crescita del PIL su base annua del 2%, e con i tempi che corrono sembrava già una benedizione, ma in realtà la crescita sopravvalutata è stata ridimensionata del 60%. Insomma, ci si aspettava dai modelli di previsione un qualcosa che con la realtà non aveva niente a che fare. Il quarto trimestre potrebbe portare a un rimbalzo, parola magica che dovrebbe spiegare l'effetto dei provvedimenti, specialmente se positivi. La propensione dei consumatori all'acquisto è crollata quando l'estate ha visto svanire rapidamente gli attesi miglioramenti rispetto alla pandemia, mentre la variante Delta del virus pandemico si è imposta sulla variante Wuhan. Ora Delta sembra stia mitigandosi, e un mercato esausto sta sperando nell'ennesima promessa di ripresa dovuta alle inamovibili tradizioni dello shopping natalizio. Le cifre di previsione sono ancora ben lontane dalle consuetudini del passato, anche se i cenni di normalizzazione provenienti dalla logistica attizzano speranze. Come si vede, il discorso non è gran che scientifico, tuttavia ciò non impedisce a Bank of America di prevedere una crescita del 6% su base annua nell'ultimo trimestre.

Serpeggiano fenomeni atipici difficili da analizzare, specie con i modelli borghesi. La disoccupazione, ad esempio, raggiunto il culmine storico post Gran Depressione (14,7%), era scesa al 4,8%, ma sta risalendo. Variazioni così repentine non sono usuali: dopo le crisi il mercato della forza lavoro impiega molto tempo a reagire. Oggi, dopo anni di tensione si è forse raggiunto un limite invalicabile, per cui, se è disponibile ancora forza lavoro negli uffici nonostante lo smart working, gli operai sembrano ribellarsi a salari schiavistici e aumentano fenomeni di rifiuto del lavoro. Si stima siano 3 milioni i posti di lavoro che l'industria offre ma rimangono vacanti. 20 milioni sarebbero in tutto le persone coinvolte in questo fenomeno. Per un paese di 330 milioni di abitanti il numero non è eccessivo e non influisce sulla massa dei consumi, che invece aumenta; ma è la prima volta che succede e per il momento nessuno azzarda una spiegazione ufficiale. È solo sicuro che c'è una astensione volontaria dal consumo, un abbassamento voluto del livello di vita non certo alto nella disastrata e famosa middle class americana. Lo sterminio sociale di quest'ultima è responsabile dei variati rapporti fra produzione e consumo di beni durevoli, fra i quali spicca ai primi posti la casa. Il mattone ha perso molti punti rispetto ad altre merci e non è più il principale bene rifugio per capitali, anzi, è diventato, con la stagione dei mutui subprime, un pericolo: troppe case ipotecate possedute da investitori inadempienti sono finite sul mercato facendo crollare i prezzi.

L'inflazione che spaventa è perciò quella dovuta al movimento senza scopo dei capitali, mentre quella giudicata positiva è provocata dall'aumento delle vendite nel settore "consumi delle famiglie", il 4,4% su base annua, il massimo da trent'anni. Bisognerebbe spiegare però come mai le famiglie in generale abbiano aumentato la capacità di spesa tre volte più rispetto a quelle solo operaie, che hanno visto crescere il loro reddito ma soltanto dell'1,5% su base annua. Da vent'anni non succedeva e gli economisti sono molto preoccupati che quell'1,5% di aumento, da 20 anni mai così alto, possa innescare la spirale salari-prezzi!

Fortunatamente, comunica la FED in uno dei suoi rapporti, gli operai sono sempre meno sindacalizzati e quelli che lo sono non riescono a strappare contratti paragonabili a quelli di vent'anni fa.

Intanto si profila all'orizzonte economico degli Stati Uniti la fine degli stimoli all'economia a partire dai tassi d'interesse e dal deficit fiscale, quest'ultimo arrivato al 15% del PIL nel 2020, il massimo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale (e si calcola che il recupero fisco/PIL possa abbassare di 2,5 punti percentuali la crescita annua di qui al raggiungimento del pareggio).

Come si vede, non è tutto oro quello che luccica: la ripresa, dopo la crisi che perdura dal 2008, è problematica; e la necessità di non strafare con gli stimoli (una droga che ovviamente costa) dimostra che il capitalismo, nel suo paese guida, è sfinito. Dove un tempo gli operai qualificati facevano parte della classe media di reddito, ora c'è il vuoto sociale. Decine di milioni di persone hanno visto i loro redditi falcidiati, gli operai non sono riusciti a vedere salire il loro salario più dell'1,5% negli anni migliori da 20 anni a questa parte, e gli economisti sperano che comunque non aumenti in nessun modo perché ne andrebbe di mezzo l'intera economia.

Non è poi così difficile da interpretare il nuovo fenomeno sociale del rifiuto del lavoro.

Rivista n. 50