"Articoli 18" e battaglie tra fazioni borghesi

Il lavoro salariato è stato nel tempo ingabbiato da vincoli contrattuali e legali. Ma il rapporto fra salariato e capitalista mal sopporta di sottostare a regole fisse. La forza-lavoro è una merce: in un mercato mutevole, essa dev'essere liberamente disponibile. Il capitalista ha il diritto di utilizzarla come vuole dopo averla comprata, è sua. D'altra parte anche il lavoratore ha il diritto di venderla sul mercato alle condizioni che preferisce: finché non l'ha ancora venduta è sua. E non la vende una volta per tutte come lo schiavo, la vende giorno per giorno, poco per volta. Lo Stato fa da mediatore, ma è uno strumento in mano alla classe dominante. Per questo, da sempre, i comunisti dicono che fra due diritti contrapposti può decidere soltanto la forza.

La tradizione sindacale comunista è sempre stata estranea ai contratti a scadenza fissa, alle troppe leggi per i "diritti" dei lavoratori, ai meccanismi automatici di contrattazione, ai protocolli d'intesa per il rilancio dell'economia ecc. ecc. I comunisti hanno rivendicato una legislazione specifica solo in alcuni casi come per la durata della giornata lavorativa o per il salario minimo garantito a occupati e disoccupati. L'esistenza di troppi vincoli obbliga ad un rigido rispetto del contratto e alla fine i capitalisti con il loro Stato hanno sempre il coltello dalla parte del manico. La lotta proletaria non deve mai essere né regolamentata né preannunciata.

E' ovvio che da parte borghese si tenti più che mai di evitarla del tutto: le potenzialità di lotta del proletariato moderno sono troppo grandi per essere lasciate senza controllo. Ecco perché si tenta di instaurare una contrattazione perenne in margine ad automatismi prestabiliti per legge… salvo denunciarli quando non fanno più comodo. Fin dai tempi del sindacalismo corporativo fascista la borghesia vuole ingabbiare la lotta di classe con leggi e vincoli, incanalare nella "legalità" tutto il movimento sindacale e farne un dipartimento del ministero del lavoro.

I sindacati si sono adattati a questa esigenza e ormai non hanno più una vitalità propria; sono come vogliono essere: una forza di governo sociale. Hanno un atteggiamento "difesista", rattoppatore di falle, piagnucoloso. Invece di prendere l'iniziativa corrono dietro a temi imposti dall'avversario. Sono stati a volte persino servili, come nel caso del Protocollo a sostegno della produzione del '93. Questo sindacalismo avvocatesco, presto copiato anche da frange minori che si credono estremiste, ha frenato la capacità di attacco del proletariato. Lo ha ridotto a lottare esclusivamente in risposta a chi non rispetta le regole, lamentando un eterno "attacco padronale".

Il sindacalismo corporativo e le politiche del welfare sono nati contemporaneamente. Essi dichiarano apertamente di essere uno strumento per prevenire moti rivoluzionari. Per questo, proprio perché l'inquadramento organizzativo proletario a livello economico è estremamente importante riguardo a ogni sviluppo della lotta di classe, diventa necessaria l'autonomia sindacale. Ma come la si conquista? Se il sindacalismo odierno è integrato nello Stato e per di più questo fenomeno è ormai storico, cioè irreversibile, come si potrà mai rovesciare la situazione?

Evidentemente non è un problema di sindacato, intendendo con questo termine le organizzazioni che conosciamo. Sotto una pressione autentica e indipendente di masse proletarie decise a raggiungere un risultato, nessun sindacato potrebbe resistere: la storia c'insegna che, se entra con esse in conflitto, o è distrutto o è stravolto e costretto a far sue le istanze di base. La chiave del problema è dunque in ciò che fanno la classe e la sua direzione. E' assurdo assecondare la proliferazione delle istanze sindacali, fotocopie in piccolo di quelle ufficiali, in una mostruosa solidarietà corporativa che in realtà non esce dai limiti istituzionali. Più tragico ancora è l'utilizzo congiunto della forza proletaria per la lotta partigiana contro il Berlusconi di turno a favore di altri borghesi.

Che senso avrebbe la difesa impotente di articoli 18, di contratti pluriennali, di scartoffie su diritti virtuali, di protocolli che legano mani e piedi ai proletari, se essi fossero ben organizzati in un grande movimento e la smettessero di seguire i piagnucolii insopportabili di capi corrotti dall'ideologia del Capitale? Se si ponessero con forza in posizione d'attacco per loro obiettivi indipendenti sotto la direzione di un programma di classe?

"n+1", rivista sul movimento reale che abolisce lo stato di cose presente
Suppl. al n. 6 della rivista n+1, reg. trib. Torino n. 5401 del 14 giugno 2000. Fotocopiato in proprio, 20 marzo 2002.

Volantini