Capitalismo, produttivita', disoccupazione

1 aprile 1993

Da tempo per l'Europa e l'Occidente tutto si aggira di nuovo uno "spettro": l'economia non risponde più ai comandi che imprenditori vari e classi politiche diverse cercano di imporle. Per anni ci hanno ripetuto, con la connivenza sindacale, che l'esigenza era di aggiornare tecnologicamente l'industria, mettersi al passo coi paesi più evoluti (e concorrenti), sacrificarsi per difendere ed affermare l'economia nazionale (e questa fanfara l'hanno suonata contemporaneamente alle orecchie degli operai di tutti i paesi!) e con essa le aziende e i dipendenti delle stesse; adesso non riescono a trovare spiegazioni per i magri risultati ottenuti: sforzi paralleli in tutti i paesi capitalistici hanno portato ad un notevole aumento della produttività dunque ad un incremento di produzione che in ogni dove non si sa più dove buttare, in un mercato diventato improvvisamente un'enorme palude.

Inizialmente c'è stato un tentativo di riciclare la vecchia, carognesca litania nazionalista (o peggio regionalista): occorre battere i gialli, o i tedeschi, o difendere i nostri mercati dall'invadenza americana. Ora emerge la sconsolata "verità" che nemmeno i pennivendoli del regime riescono a mascherare completamente: troppe merci invadono un mercato che non riesce ad assorbirle. La produttività cresce, ma parallelamente aumenta la disoccupazione, i consumi calano facendo avvitare sempre più la recessione su se stessa.

L'eccezionale forza produttiva, anziché risparmiare fatica e tempo di lavoro per tutti, deve provocare disoccupazione di massa (ma anche più intenso sfruttamento di chi rimane in fabbrica, vedi il terzo turno alla FIAT); l'enorme massa di merci prodotte anziché soddisfare i bisogni per l'altrettanto enorme massa di lavoratori o emarginati, deve giacere nei magazzini, con la progressiva esclusione dai consumi che tantissime famiglie operaie già sperimentano anche in Italia.

IN REALTA' E' QUESTO MODO DI PRODUZIONE CHE MOSTRA QUANTO SIA ORMAI INADEGUATO E FOLLE: UTOPISTICO E INSENSATO NON E' RIFIUTARE IL RISPETTO DELLE SUE "LEGGI", BENSI' SFORZARSI DI REINCANALARE LE RICHIESTE PROLETARIE VERSO INATTENDIBILI SBOCCHI DI RIPRESA ECONOMICA E DI RINNOVAMENTO AMMINISTRATIVO E ISTITUZIONALE.

Non saranno gli "onesti" che potranno riassorbire i 35 milioni di attuali disoccupati in Occidente se non incanalandoli verso nuovi macelli bellici per ricominciare il ciclo infernale.

Le cause della "malattia" stanno nel cuore stesso del capitalismo, nelle sue regole di funzionamento. Le risposte che sono fatte balenare davanti ai proletari sono di due ordini, complementari e paralleli fra loro, ugualmente fallimentari:

- da un lato "riformare lo Stato" attraverso le sue stesse istituzioni, le elezioni, i referendum;

- dall'altro esercitare la "solidarietà", come hanno la sfacciataggine di chiamarla bonzi e burocrati sindacali: ovvero accettare contratti di riduzioni salariali, accettare nuove sconfitte in cambio di fantomatiche difese dell'occupazione. Su questa linea si giunge fino al prestito forzoso chiesto da Trentin o al lavoro gratuito nei servizi: alleggerimento ulteriore delle tasche dei lavoratori e lavoro sempre più coatto per sostenere l'economia borghese. La solidarietà che ci chiedono non è solidarietà di classe, tra lavoratori: è ulteriore acquiescenza, è ripetuto inchinarsi ai bisogni del capitalismo in cambio di nuova miseria.

LA CLASSE OPERAIA NON HA ALTRI STRUMENTI CHE QUELLI DELLA DIFESA INTRANSIGENTE DEI PROPRI INTERESSI MATERIALI, COLLETTIVI E NON LOCALISTICI, E DELLA RISCOPERTA DELLA PROPRIA INDIPENDENZA ORGANIZZATIVA E POLITICA AL DI FUORI DI QUALSIASI IPOTESI ELETTORALE E REFERENDARIA.

DRASTICA RIDUZIONE DELL'ORARIO DI LAVORO

SALARIO GARANTITO AI DISOCCUPATI

Volantini