I comunisti e la guerra balcanica

7 aprile 1999

La guerra in corso nell'area balcanica sembra sfuggire ad ogni logica, ad ogni comprensione. Nella storia nessuna guerra imperialista è mai scoppiata per la logica che ha inventato per giustificare sé stessa. Tanto meno è stata mai fermata da logiche umanitarie o pacifiste. Il proletariato non potrà mai esorcizzarla: potrà solo trasformarla in guerra di classe, per sé, per la rivoluzione.

1. ESEMPIO DAL PASSATO

Quando la guerra tra Russia e Turchia stava per coinvolgere l'Europa intera, l'area balcanica, i paesi rivieraschi del Mar Nero fino al Caucaso, Marx attaccò la politica estera inglese, in apparenza tentennante di fronte al baluardo russo della reazione mondiale. In realtà l'Inghilterra era attenta a far distruggere gli avversari tra di loro per rafforzare il proprio predominio su tutti. Marx attaccò e derise la Francia che si accodava in modo servile all'imperialismo rivale. Se oggi non si possono trarre analogie dirette dalla condotta di imperialismi ormai decaduti in una guerra passata, bisogna però capire quali sono le questioni invarianti nei rapporti interimperialistici di oggi riguardo la stessa area e lo stesso bisogno di predominio del nuovo imperialismo americano.

L'attacco di Marx è basato su considerazioni elementari: a) dal punto di vista diplomatico l'Inghilterra lascia sfacciatamente che gli eventi succedano, "tollera" fino al limite di rottura la tracotanza russa e persino l'avanzata delle truppe zariste verso il Danubio, mentre tutto ciò ha effetti destabilizzanti in un'area enorme che va dal Bosforo ai paesi caucasici, all'Egitto, all'Arabia; b) utilizza le debolezze altrui, lasciando che la Turchia si metta in crisi con i suoi tradizionali nemici (l'Egitto ha appena attaccato in Siria e costretto l'Impero Ottomano a compromettersi con il "serpente russo" per non essere tra due fuochi), in modo che alla fine l'intervento inglese sia indispensabile; c) quando la Russia invade i principati danubiani, e la Turchia dichiara guerra dando inizio al grande scontro Turco-Russo, l'Inghilterra conduce infine un'azione militare apparentemente schizofrenica a fianco della Turchia contro la Russia, affronta vigliaccamente la guerra, mentre assiste alla rovina dei suoi due maggiori nemici del momento, umiliando il terzo nemico, la Francia, che, con tutta la sua "grandeur" è obbligata a seguire il carro inglese.

Marx, col solo elenco delle contraddizioni tra gli imperialismi in lotta tra di loro (scrive su giornali borghesi), permette al lettore di farsi un'idea precisa delle ragioni della guerra. In realtà non ci sono affatto contraddizioni da parte dell'Inghilterra: essa si comporta da vera superpotenza e, a parte le imbecillità "locali" tipo carica dei seicento, trae il massimo vantaggio dalla guerra altrui. E fa scannare gli avversari, lasciando che si indeboliscano sia sul campo di battaglia che con una politica di compromessi micidiali. La Francia ci casca (il Piemonte pure, ma almeno nel suo piccolo ci guadagna). Marx prende per i fondelli Boustrapa (Napoleone III) per la "posizione umiliante nella baia di Besika". A Besika la Francia va a mostrare i muscoli al seguito della flotta inglese che ovviamente domina il giuoco e Marx ironizza: "L'impero di tutte le glorie è caduto più in basso persino del governo di tutti i talenti".

L'impero d'Austria-Ungheria si schierò con la Turchia e oggi sappiamo che la grande dinamica storica degli avvenimenti avrebbe in seguito portato la Germania a sostituire l'impero austro-ungarico, e la Turchia, con tutti i Balcani, ad essere il perno della geopolitica europea continentale secondo gli assi delineati dai classici schemi di Mackinder (heartland) e di Haushofer (fasce Nord-Sud). L'Inghilterra, che ne sarebbe stata danneggiata, doveva impedire la formazione di questi assi e lo fece brillantemente per più di un secolo. Oggi lo fanno gli Stati Uniti.

La Sinistra Comunista d'Italia diede molta importanza alla geopolitica materialistica dei borghesi, ma non poté utilizzarla com'era: dovette renderla dialettica, aggiungendovi la dinamica storica delle potenzialità, degli eventi e degli invarianti storici. Ovviamente la chiamò in un altro modo e parlò di determinazioni geostoriche.

2. LA GUERRA DI OGGI

Per capire ciò che succede nei Balcani non possiamo assolutamente basarci su ciò che dicono gli organi d'informazione. Del resto la situazione è intricata e contraddittoria, non si può neppure estrapolare materialisticamente dalla semplice elencazione dei fatti comunicati, che possono essere del tutto falsi. Occorre un primo approccio basato sui dati certi per poi giungere alle relazioni fra di essi e alla dinamica degli avvenimenti, quindi al loro significato sociale, politico e militare.

I dati certi a nostra disposizione prima della guerra attuale sono spiegati dalla dinamica generale che segue la guerra del Vietnam. Da quel punto in poi, volutamente o meno, la strategia americana cambia. Con la guerra del petrolio e fatti connessi (dal 1975), la potenza politica ed economica americana viene molto intelligentemente utilizzata al posto della guerra condotta con le armi. Questo è, secondo il lavoro che conduciamo da almeno vent'anni, il nucleo centrale per capire ciò che stanno facendo gli americani e gli altri in questo ultimo quarto di secolo.

L'acquiescenza di tutti gli stati imperialisti minori è resa possibile solo dalla particolarità dell'imperialismo americano: gli Stati Uniti, per la prima volta nella storia e dopo il Vietnam (guerra vinta, come giustamente afferma Kissinger e come risulta evidente oggi), sono diventati una potenza globale che non ha più bisogno di intervenire con i suoi soldati sul terreno per risolvere i suoi problemi strategici. Da quando le esigenze della propaganda contro l'URSS hanno lasciato il posto alla concreta azione tattica e strategica, si è reso evidente che gli Stati Uniti non hanno più concorrenti militari.

Ciò ha implicazioni enormi. Un dimenticato militare italiano, Giulio Douhet, aveva predetto nel 1921 che chi avesse ottenuto il dominio dell'aria sarebbe stato invincibile e avrebbe piegato l'avversario al suo volere. La dottrina militare degli Stati Uniti deriva direttamente da dottrine di guerra totale come questa. La vittoria è assicurata alla tecnologia e all'industria più forte, ma rimane da spiegare che cosa succede quando si è vinto se non si scende a terra, come ormai tutti notano a proposito della guerra balcanica.

La tesi da noi sostenuta da tempo (cfr. Guerre stellari e fantaccini terrestri) è: prima o poi bisogna scendere a terra per conquistare il territorio e piegarlo agli interessi del vincitore. Senza truppe, la guerra, antica o moderna che sia, è un controsenso.

Ovviamente sorge una domanda: cosa succede se gli Stati Uniti raggiungono la condizione predetta da Douhet e per sovrammercato trovano qualcuno disposto a prestar loro delle truppe di terra?

La risposta è semplice: si realizza la specialissima condizione prevista da Douhet senza che l'imperialismo dominante debba rispondere della contraddizione fra le armi stellari e i fantaccini terrestri, vale a dire che si mandano a combattere truppe di popoli o nazioni che, credendo di fare i propri interessi, si fanno scannare in veste di partigiani di un imperialismo o di un altro.

Per questo la posizione comunista antipartigiana è una roccia che non si può demolire. Le condizioni in cui avviene il combattimento moderno, senza dichiarazioni di guerra, senza fronti, con i militari più al sicuro dei civili, conferma la giustezza dell'antipartigianesimo comunista: la condizione di superiorità americana è semplicemente impossibile senza le partigianerie dei prestatori di carne da cannone. L'Inghilterra del 1853 con la sua flotta a Besika, con Boustrapa, Cavour e tutti gli altri partigiani che avevano da ricavare dalla guerra qualcosa per sé, fa appena ridere in confronto agli Stati Uniti del 1940 o del 2000.

I fatti nudi e crudi mostrano una sequenza impressionante. Incominciò la Slovenia a rivendicare l'indipendenza. Le truppe iugoslave, cioè multietniche e quindi inaffidabili, furono tenute in caserma perché la Serbia ottenne assicurazioni da americani, inglesi e francesi contro i tedeschi cattivi che rimettevano il naso nei Balcani. All'epoca l'esercito iugoslavo, con le sole truppe serbe, avrebbe schiacciato la Slovenia in mezza giornata. L'Italia fu tiepida e tentennate, la Germania e il Vaticano approvarono la separazione.

In Croazia le cose furono un po' più complicate. L'esercito era ormai solo a composizione serba e si trovò circondato nelle caserme. Ci fu battaglia, ma con la polizia. Le forze croate erano filo tedesche. Invece di intervenire, i serbi evocarono i fascisti di Ante Pavelic e tutto il resto. E' inutile fare ricerche sul "perché", ma fu strano che uno Stato si lasciasse smembrare a quel modo. In quel periodo erano attive a Belgrado la diplomazia francese e inglese. Gli americani stavano a guardare. Bisognerebbe, come Marx, ripercorrere la storia recente e si dimostrerebbe che Milosevic fu tenuto tranquillo fino all'ultimo con due argomenti già sperimentati: a) con la dimostrazione che non ce l'avrebbe fatta contro la forza dell'imperialismo; b) con l'ottenimento di garanzie sulla sopravvivenza di una Piccola Iugoslavia che tuttavia sarebbe stata una Grande Serbia.

Con l'esplosione della Bosnia le cose cambiarono perché l'inganno antiserbo si dimostrò qual era. La Serbia di nuovo non intervenne in quanto Stato, ma intervennero truppe serbe in appoggio alle armate irregolari formatesi in Bosnia. Da parte della Croazia si fece altrettanto. L'Europa fu trascinata nel gioco americano. Gli antichi e recenti massacratori diventarono tutti moralisti. Ma la "pulizia etnica" ha avuto senso soltanto perché chi l'ha incominciata ha avuto garanzie non solo per il via libera di ripulire il territorio ma anche per la promessa di tenerselo. Per questo la violenza scatenata fu infine superiore a quella di qualsiasi intervento preventivo dell'esercito dell'ex Iugoslavia.

Gli Stati Uniti entrarono direttamente in scena tardi, come al solito per castigare il demonio, tenendo un atteggiamento distaccato, come se stessero facendo un favore ad altri. I loro Palmerston incominciarono a dare colpi precisi a cerchi e botti. E incominciarono a dare ordini, com'è giusto che faccia un imperialismo serio di fronte ad imperialismi burattini. Parlarono di diritto all'autodeterminazione per i popoli balcanici, compresi i musulmani di Bosnia e d'Albania. Figuriamoci. Soprattutto lasciarono fare agli europei, con la sicurezza che questi si sarebbero infognati da soli. Infine, quando la nausea per il massacro, nel frattempo adeguatamente mediatizzato, fu al limite, imposero il trattato di Dayton. Un'assurdità "africana" da epoca coloniale, che disegnava una mappa a chiazze, non avrebbe risolto nessun problema e avrebbe richiesto, per il rispetto, la presenza permanente di truppe. Ci siamo: la tecnologia la mette chi ce l'ha, le truppe anche. E i Balcani sono pieni di gente dal nazionalismo facile, antitedesca e partigiana, come lo sarà fra poco l'Europa intera, se continua così. Altro che trionfalismi dei grandi capi sull'Euro, poveretti.

Mentre gli Stati Uniti, tramite alcuni miliardari visibili e alcune azioni occulte si compravano alcune elezioni locali assicurandosi gli schieramenti politici opportuni, gli europei investivano sul terreno cercando di assicurarsi invece un legame diretto con le borghesie emergenti. Ma l'incomparabile peso politico e finanziario dell'imperialismo americano e il fatto di essere unitario invece che assemblato malamente come quello europeo, ha prodotto risultati dirompenti (non importa se voluti o meno): si pensi ad esempio all'esplosione finanziaria dell'Albania sotto il regime liberalizzatore filo-americano e la conseguente perdita totale di sovranità di questo paese.

Nei Balcani è inevitabile che si scontrino gli interessi contrapposti degli imperialismi, anche quelli europei. Ma è il contesto di questo scontro che lo rende particolarmente esplosivo e carico di potenzialità distruttive nel futuro. In un mondo in cui non ci si può muovere senza toccare interessi americani, per di più nel momento in cui la moneta unica europea diventa un fattore acuto nella generale e spietata concorrenza (l'attuale guerra delle banane non è che l'eruzione cutanea di un male più profondo), la concentrazione degli imperialisti intorno ai soliti Balcani non può che esasperare i contrasti.

L'espansione del capitale europeo a predominio tedesco ha bisogno del processo di dissoluzione della Federazione Iugoslava in quanto ne scaturiscono piccole aree a differente sviluppo economico, integrabili nel mercato dei paesi più forti senza essere in grado, ognuna, di avere un'economia propria e di condurre una politica autonoma. Il fatto è che l'eliminazione di paesi indipendenti e la loro sostituzione con piccole entità locali potenzialmente asservite sarebbe relativamente funzionale agli europei solo se l'area fosse pacificata e controllabile. Invece la balcanizzazione con conflitti inestricabili è perfettamente funzionale agli americani che vi intervengono con diktat appoggiati dall'esuberante forza militare; di qui il successo della balcanizzazione "americana", e la sconfitta di quella "europea".

In una situazione del genere l'indignazione di fronte alle contraddizioni dell'imperialismo è una pura sciocchezza. Gli Stati Uniti sostengono Ankara e le sue violenze contro i Curdi; appoggiano Gerusalemme e la sua guerra contro i Palestinesi; se ne stanno zitti di fronte a Pechino che poco per volta cancella il Tibet; fomentano le tribalità africane contro le ex potenze coloniali ecc. Però bombardano Belgrado e quel che resta della Iugoslavia per la libertà dei kosovari. Non sono per nulla in contraddizione, anzi, sono molto coerenti con i loro interessi globali. Ad essere in contraddizione sono invece gli europei, che in teoria, se fossero quell'insieme unitario che pretendono di essere, avrebbero dovuto integrare la Iugoslavia molto tempo prima che l'imperialismo avversario, di fronte al fatto compiuto, inscenasse l'ipocrita guerra umanitaria. Dire che è l'imperialismo americano a scatenare la guerra in Europa è una semplificazione soggettivistica: agli americani è bastato lasciar fare agli europei con i loro contrasti e la loro incapacità di agire. Marx avrebbe dato dei fessi agli europei, anche se non sempre i governi possono fare quello che vogliono. Dunque i capitalisti non "scatenano la guerra", concetto sbagliato dal punto di vista deterministico: la guerra scoppia in quanto essa è uno specifico prodotto naturale del capitalismo e non dipende dalla volontà dei capitalisti.

Lo smembramento della vecchia Iugoslavia è stato un evento che ogni comunista dovrebbe considerare sfavorevole, come quello dell'URSS, della Cecoslovacchia o di ogni altro vasto territorio che avesse già raggiunto una unità politica ed economica. Se per ipotesi una forza qualsiasi potesse unificare i territori balcanici anche oltre gli ex confini iugoslavi, ciò sarebbe positivo, come lo fu l'affermarsi indipendente della Polonia o l'affermarsi dello stato unitario tedesco nel secolo scorso e recentemente.

D'altra parte i comunisti non possono essere semplicemente contro ciò che succede a causa degli imperialismi e soprattutto non possono essere semplicemente contro ciò che fa l'imperialismo più forte per poter intervenire militarmente. In situazioni come questa essere contro qualcosa o qualcuno significherebbe essere a favore di qualcuno degli attori della tragedia. Perciò non possiamo essere né antiamericani né antiserbi né antinazionalisti (cioè antisloveni, anticroati, antibosniaci, antikosovari, antimontenegrini ecc.), né a favore di qualcuno di questi per la semplice ragione che i comunisti non sono mai partigiani di una borghesia contro l'altra, di un imperialismo contro l'altro. Non sono mai indifferenti di fronte agli effetti delle guerre, perché questi possono essere favorevoli o sfavorevoli rispetto alla rivoluzione, e a volte possono addirittura scatenarla. Perciò non sono mai neppure pacifisti perché ogni rivoluzione è una guerra.

La vecchia Iugoslavia perderà probabilmente anche il Kosovo, con la benedizione delle bombe tecnologiche. E allora potrà essere la volta del Montenegro e forse anche della Voivodina, oggetto recente di propaganda occidentale antiserba. Belgrado rischierà di rimanere capitale della sola Serbia propriamente detta. Un comunista, per quanto avversario dello pseudosocialismo dei Tito e del nazionalcomunismo dei Milosevic (che è della stessa natura di quello dei D'Alema) non avrebbe mai potuto auspicare la disgregazione di un esteso e popoloso stato come la Iugoslavia. Esso rappresentava una condizione favorevole alla grande industria, ad un mercato unitario e quindi all'esistenza di un proletariato industriale più degli sparsi fazzoletti di terra, e nessun ricorso al "diritto di autodeterminazione" può, nei Balcani, giustificare ciò che è accaduto.

E' chiaro che la decisione militare degli Stati Uniti e dell'Inghilterra di bombardare le illusioni europee tramite la NATO, non può essere spiegata con ammissioni esplicite. L'obiettivo "umanitario" di stroncare la politica "genocida" serba e di difendere il diritto all'autodecisione delle popolazioni diventa allora la bandiera più adatta. I mezzi di comunicazione vi si buttano e il popolo beve.

3. L'OPPOSIZIONE ALLA GUERRA

Lo sporco utilizzo della sofferenza umana obbliga l'informazione a mettere l'accento sulle questioni nazionali ed etniche piuttosto che sulla situazione indotta dagli scontri fra imperialismi. Gli albanesi kosovari vogliono l'indipendenza dallo stato oppressore serbo, e combattono per tale obiettivo. Vogliono l'autodeterminazione, come l'hanno ottenuta gli sloveni, i croati, persino i bosniaci, che pur erano distribuiti sul territorio in modo così ingarbugliato per cui fu inventata la "pulizia etnica". Ma non è questa la causa della guerra. Autodeterminazione è una parola senza senso quando la si usa a caso, specie nel mondo moderno. Sentenziando sull'autodeterminazione al di fuori di ogni considerazione geostorica, in qualsiasi parte del mondo, chiunque può essere fatto passare per un rivoluzionario. Barando sulla materialistica posizione di Lenin, chiunque potrebbe persino dimostrare che gli americani sono i veri realizzatori delle istanze comuniste sul diritto alla separazione dei gruppi etnici ex iugoslavi.

Gli opportunisti si riconoscono dal fatto che nelle guerre borghesi si schierano con qualcuno. A loro non passa neppure più per la mente che i proletari possono essere chiamati a combattere solo per la trasformazione della guerra in rivoluzione. Quando si è partigiani di uno fra due schieramenti borghesi si parteggia per i borghesi. La Resistenza insegna: non si può essere anti-imperialisti quando in una guerra mondiale si è combattuto a fianco di un imperialista contro l'altro. Hanno voluto l'America: eccola qua.

Purtroppo la mentalità partigianesca non attecchisce solo fra i vecchi rottami dell'opportunismo ma anche fra i giovani sottoposti alle varie propagande interessate. La ricerca di una via d'uscita rivoluzionaria da questa società non può passare da logori stereotipi moralistici, democratoidi, ipocritamente umanitari. Tutto ciò rappresenta l'armamentario che scaturisce dal sottosuolo della società borghese ogni volta che la guerra, fisiologicamente necessaria al capitalismo, incombe e provoca adeguate psicologie di massa. I giovani, tra i quali la rivoluzione trova i suoi militanti, devono contrastare in tutti i modi il bombardamento delle loro intelligenze mentre lottano contro la guerra.

Per i classici pacifisti non-violenti, come i radicali, è stato facilissimo sposare la causa americana e applaudire ai bombardamenti. Citano Gandhi e il suo appello alla guerra contro il nazismo. Predicano la tolleranza e il garantismo, ma chiamano vigliacchi coloro che rifiutano la violenza della civiltà contro la violenza della barbarie. Avrebbero bombardato quelli che si ostinano ancora a chiamare comunisti russi che avevano invaso l'Afghanistan, bombarderebbero oggi i Talibani fondamentalisti che hanno rimpiazzato i russi.

Per certi pseudocomunisti "moderati" l'intervento militare americano nei Balcani è giustamente assimilabile a quello nel Golfo contro l'Iraq, ma sarebbero pronti a sottoscrivere una prova di forza contro la Turchia (e il suo alleato americano) per far cessare il massacro dei curdi ribelli. O contro Israele (e il suo alleato americano), per impedire il soffocamento definitivo delle istanze palestinesi. Dei massacri algerini non parla nessuno, ma c'è da scommettere che qualcuno di loro bombarderebbe i barbari islamici e qualcun altro gli antidemocratici governanti che hanno provocato i massacri rifiutando la vittoria elettorale degli avversari. Tutti i pacifisti diventano bombardatori non appena qualcuno gli offra una "causa".

Per altri pseudocomunisti "estremisti", è semplicemente in corso un attacco americano contro la Serbia e il suo proletariato. Costoro, all'epoca della Guerra del Golfo, vedevano nell'esercito della borghesia irakena un'oggettiva forza anti-imperialista, quindi un'oggettiva forza rivoluzionaria. Facevano appello ai palestinesi, agli oppressi e anche ai proletari dell'area affinché l'appoggiassero combattendo nei ranghi irakeni contro l'imperialismo americano. C'è da chiedersi se oggi Slobodan Milosevich è considerato da costoro un altro Saddam Hussein, campione della lotta contro l'imperialismo americano.

Infine, per i partiti istituzionali borghesi che si definiscono ancora comunisti, bisognerebbe continuare i negoziati con la mediazione dell'ONU. Questa è la più risibile delle motivazioni contro la guerra balcanica. Clinton e l'ONU benedissero i negoziati fra i palestinesi e gli israeliani e ne uscì uno spezzettamento territoriale peggiore che in Bosnia, per cui i Palestinesi sono stati messi in un vicolo cieco. D'altra parte tutti sanno che le guerre incominciano là dove i negoziati finiscono. Infatti i kosovari intensificarono la loro azione armata e i serbi intensificarono la repressione (comportandosi come tutti gli stati borghesi di questo mondo) proprio durante i negoziati. Come fanno i turchi e gli iracheni con i curdi, tanto per parlare di cose recenti. Se qualcuno bombardasse la Turchia per far cessare il massacro dei curdi e per favorire la nascita del vagheggiato Kurdistan indipendente, quelli che hanno manifestato per Ocalan farebbero altrettanto per chiedere negoziati coi turchi?

4. PROSPETTIVA DEL DOPOGUERRA

Non possiamo conoscere il gioco delle diplomazie segrete e tantomeno i piani militari delle potenze impegnate nella guerra, ma è certo che nei risultati finora conseguiti possiamo leggere un primo dato a favore dell'imperialismo americano: l'Europa non esiste come entità politica ed economica.

Un secondo dato lo leggiamo sul terreno specifico della guerra e delle sue presunte motivazioni: la Serbia sarà il demonio di turno, il rappresentante del Male, ma i bombardamenti alleati l'hanno oggettivamente aiutata a raggiungere il suo scopo immediato, che è quello di consolidarsi in quanto nazione su di un territorio etnicamente omogeneo e ben difendibile, quindi in quanto potenza locale. Che ciò sia stato ottenuto pianificando un doppio gioco di tipo iracheno o in modo spontaneo non ha nessuna importanza; le forze che agiscono in modo disordinato prima o poi si riuniscono in una risultante che è congeniale all'imperialismo più forte.

Un terzo dato lo leggiamo nel resto del territorio, dove almeno un milione e mezzo di albanesi kosovari, montenegrini e macedoni sono "profughi" attuali e potenziali. Anche in questo caso alla balcanizzazione si aggiungono determinanti sociali come quelle che rendono irrisolvibili i problemi palestinese o curdo, e che offrono all'imperialismo più forte argomenti sempre "validi" per intervenire o per ricattare le parti coinvolte, contrarie o sottomesse che siano.

Un quarto dato lo leggiamo nella storia di tutta l'area. L'unificazione tedesca e il coinvolgimento delle zone immediatamente ad Est nella sfera d'influenza storica della Germania, non poteva non provocare una rivitalizzazione del capitalismo in Europa (vedi nostra Lettera n. 22), quindi il bisogno di espansione e, di conseguenza, le spinte alla concorrenza fra stati europei e fra questi e l'America. Una situazione indefinita nei Balcani, fonte di eterni conflitti, evita la concorrenza di un'Europa unitaria e la confina al suo interno, fra gli stati membri, rendendola più acuta. La crisi politica in cui si trovano tutti i governi europei che contano è anche il riflesso degli ineliminabili contrasti esistenti tra i vari paesi.

Un quinto dato lo si legge nella dinamica futura sulla base delle condizioni geostoriche europee ormai consolidate e anch'esse ineliminabili. Già l'azione tedesca (nel senso che la Germania esiste) ha contribuito a provocare il sommovimento balcanico; già l'azione italiana tende a seguire le solite strade verso l'Albania attraverso lo strategico Canale d'Otranto (e prima ancora verso la Libia e il mondo arabo). Per poter essere un'entità diversa da una semplice "espressione geografica", l'Europa dovrebbe adeguarsi alle tendenze storiche, finirla con la finzione atlantica e lasciare l'Inghilterra al suo destino di satellite americano, finirla con l'utopia dello spazio vitale a Nord-Est e prendere atto che la geografia ha disegnato l'economia in troppi millenni per eliminarne le determinanti. Sarà quindi inevitabile una saldatura fra il Centro Europa, palesemente costretto in limiti troppo angusti tra Est e Ovest, e il Sud, verso il Medio Oriente, verso il Mediterraneo. Ma ciò non potrà avvenire in modo unitario, perché più profonde spaccature saranno prodotte proprio dal fatto che qualche paese, come la Francia o la Spagna, sarà costretto a seguire determinanti altrettanto millenarie.

L'esplosione balcanica è la prima avvisaglia di questo processo che è in atto per rompere un accerchiamento reale. Vi saranno ancora mille contraddizioni e mille modi per risolvere questioni locali. Si formeranno e distruggeranno alleanze fra stati. Ma la tendenza non potrà essere bloccata. Mentre gli Stati Uniti possono ormai pensare la loro strategia senza far più riferimento al territorio, l'Europa non lo può fare: l'Atlantico le è negato, l'Asia le è concorrente, il Nord e l'Est non rappresentano una massa economica sufficiente (per di più la Russia è storicamente nemica dell'Europa come del Giappone). Al Sud, dall'Atlantico all'Iran, vi sono invece paesi giovani e popolosi, entrati da poco nel ciclo capitalistico moderno, promettenti come mercati e come alleati. Ma si tratta di terreno di conquista che si può contendere solo all'America, come dimostra la fine che hanno fatto Libia e Iraq, i paesi che avevano il maggior interscambio con l'Europa. Per questo la guerra Balcanica è già guerra mondiale.

Un'opposizione comunista contro la guerra ha senso unicamente quando vi sia consapevolezza che nell'epoca imperialista ogni scontro non è mai un fatto locale. Anche se avviene su di un piccolo territorio fra forze insignificanti, esso è indotto dai rapporti interimperialistici. La guerra borghese, in quanto manifestazione dei conflitti fra gli interessi dei grandi imperialismi, si può evitare solo con la guerra rivoluzionaria. La guerra può essere bloccata da una rivoluzione che l'anticipi o può essere trasformata in rivoluzione mentre è in corso, ma sarebbe un assurdo volerla fermare con azioni che esulano dalla sua natura. D'altra parte, per quanto siano orrende le carneficine della guerra, gli stessi bollettini borghesi ci indicano che esse provocano incomparabilmente meno vittime e profughi dell'esistenza "normale" del capitalismo in sé. E questo vale anche per lo spreco economico. Occorre perciò lottare costantemente non solo contro le borghesie più o meno in grado di essere imperialiste e contro le partigianerie, contro i separatismi, contro i partiti e i movimenti democratici, ma anche contro ogni mistificazione che porti a supporre del tutto arbitrariamente che la sanguinosissima "pace" borghese sia più desiderabile della guerra di classe.

Volantini